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Cinema e inclusione: al via il Festival “Tulipani di Seta Nera” a Roma

Fino all’11 maggio è in corso di svolgimento a Roma la XVIII edizione del Festival della Cinematografia Sociale “Tulipani di Seta Nera, con proiezioni gratuite e incontri su inclusione, sostenibilità e diritti. La manifestazione pone l’accento sulle diversità e le fragilità umane attraverso opere nazionali e internazionali. Durante la serata di gala dell’11 maggio verranno annunciati i vincitori, evento che verrà trasmesso in luglio da Rai 2

Prende il via oggi, 8 maggio, e si protrarrà fino all’11 maggio la XVIII edizione del Festival della Cinematografia Sociale Tulipani di Seta Nera, al The Space Cinema Moderno di Roma. La rassegna dedicata al racconto cinematografico del sociale e della sostenibilità punta quest’anno a rimettere al centro della narrazione l’essere umano, le diversità, la fragilità e l’unicità delle persone e dei luoghi.

Attenzione agli “ultimi”, come lascito ideale di Papa Francesco, legalità, integrazione, disagio giovanile, violenza di genere, sicurezza sul lavoro e sostenibilità saranno i temi affrontati nei titoli selezionati, provenienti dai quattro angoli del mondo. Per quattro giornate, ad ingresso libero, spazio alla proiezioni delle opere in concorso e fuori concorso nazionali e internazionali suddivise nelle quattro sezioni – cortometraggi, documentari, digital series e #SocialClip – e appuntamento con grandi protagonisti del cinema, dello spettacolo, della politica e della cultura, con incontri, dibattiti, intrattenimento e premiazioni.

I vincitori della XVIII edizione del Festival verranno premiati domenica 11 maggio, durante la serata di gala conclusiva del Festival, condotta da Lorena Bianchetti, in onda martedì 8 luglio in seconda serata su Rai 2, nella quale verranno premiate tutte le opere vincitrici del Festival, oltre a tanti personaggi che si sono distinti per il loro impegno per il sociale, tra cui la fiction cult della Rai Mare Fuori come miglior serie tv e i Jalisse come miglior gruppo musicale.

Nel corso del Festival saranno presenti, tra gli altri: Andrea Roncato, Annamaria Malipiero, Antonio Catania, Barbora Bobulova, Barbara De Rossi, Daniela Giordano, Danilo Brugia, Elena Russo, Eleonora Daniele, Ettore Bassi, Francesca Pascale, Francesco Facchinetti, Franco Oppini, Greta Manuzzi (Le Deva), Jalisse, Jessica Morlacchi, Jonis Bashir, Lidia Vitale, Lorena Bianchetti, Ludovico Fremont, Marco Carta, Massimiliano Vado, Maurizio Lombardi, Nadia Bengala, Pamela D’Amico, Pietro De Silva, Pino Calabrese, Pino Quartullo, Silvia Salemi, Vince Tempera, Paola Frassinetti, sottosegretaria del Ministdero dell’Istruzione e del Merito, Claudio Durigon, sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Fabrizio D’Ascenzo, presidente dell’INAIL, Ousmane Kabre dell’Ambasciata del Burkina Faso in Italia, Giuseppe Pecoraro, presidente dell’ANAS, Lorenza Lei, amministratrice delegata della Fondazione Roma Lazio Film Commission, Giampiero Strisciuglio, amministratore delegato di Trenitalia, Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione Univerde. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Ufficio Stampa Festival (Daniela Piu), daniela@danielapiu.it; Francesca Alfano (francesca.alfano3@gmail.com).

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Il rinnovamento della FISH Veneto

Vi è una nuova Presidente e un nuovo Consiglio Direttivo per la FISH Veneto (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), Consiglio che ha provveduto a fissare i responsabili delle delegazioni per le varie Province, nonché i gruppi di lavoro su una serie di temi

C’è una nuova presidente per la FISH Veneto (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), che è Viviana Benetazzo (AIAS), con Fabio Tonicello (UILDM) quale vicepresidente e Andreina Comoretto (Associazione Prader-Willi) quale segretaria/tesoriera. Gli altri consiglieri della Federazione sono Gabriella Fermanti (GALM), Giuliano Vanzo (ANGSA), Giovanni Cappellari (AIPD) e Gaia Rovati (AISM).

Il nuovo Consiglio Direttivo, con Flavio Savoldi quale responsabile organizzativo regionale, ha fissato quindi i responsabili delle delegazioni per le varie Province, nonché i gruppi di lavoro su una serie di temi (Disabilità intellettiva; Accessibilità; Assistenza personalizzata-vita indipendente; Inclusione scolastica; Inserimento lavorativo; Cooperazione sociale).

«Prossimamente – come viene riferito – il Consiglio Direttivo definirà un programma di lavoro che dia concretezza all’interlocuzione istituzionale, attivando le Associazioni aderenti e i rappresentanti della nostra Federazione che devono/dovranno essere in grado di sostenere il confronto istituzionale sull’attuazione in àmbito territoriale delle Leggi 227/21 (Delega al Governo in materia di disabilità), 33/23 (Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane) e relativi Decreti». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: fishveneto@libero.it.

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Oltre la burocrazia: il percorso di “Diversamente Bistrot”

Quando si parla di inserimento lavorativo delle persone con disabilità intellettive, le sfide burocratiche e le difficoltà organizzative spesso sembrano insormontabili. Alcune realtà dimostrano però che queste barriere si possono superare: ne è un esempio “Diversamente Bistrot”, il bar-bistrot dell’ANFFAS Udine, cui è dedicata questa nuova puntata del nostro approfondimento sull’inclusione lavorativa delle persone con disabilità intellettive appartenenti al “mondo ANFFAS” Una delle lavoratrici di “Diversamente Bistrot”, a fianco della tabella con il menu

Quando si parla di inserimento lavorativo delle persone con disabilità intellettive, le sfide burocratiche e le difficoltà organizzative spesso sembrano insormontabili. Eppure alcune realtà dimostrano che queste barriere possono essere superate con determinazione e un modello innovativo. Diversamente Bistrot, bar-bistrot dell’ANFFAS di Udine (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), è uno di questi esempi.
La presente intervista fa parte del nostro approfondimento sull’inclusione lavorativa delle persone con disabilità intellettiva e disturbi del neurosviluppo appartenenti al “mondo ANFFAS”, e in questa terza puntata, per analizzare il percorso di Diversamente Bistrot, abbiamo parlato con Maria Cristina Schiratti, presidente dell’ANFFAS di Udine, oltreché vicepresidente della FISH Friuli Venezia Giulia (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), che ci racconta le difficoltà affrontate, i successi raggiunti e le prospettive future di questo progetto.
A sei mesi dall’apertura, il bistrot ha costruito un modello in cui assunzioni dirette, borse lavoro e percorsi di formazione si intrecciano per offrire opportunità a chi solitamente fatica a trovare spazio nel mondo del lavoro.

Vogliamo tracciare un primo bilancio di Diversamente Bistrot? Quali ostacoli rimangono da superare?
«Abbiamo cominciato questa avventura praticamente da soli: ho chiesto aiuto alle famiglie perché i tempi della burocrazia regionale sono troppo lunghi per i tempi dell’impresa. Grandi nemici di questo tipo di attività sono la burocrazia e le difficoltà riguardanti l’assunzione di persone con disabilità intellettiva. Abbiamo sette persone che lavorano, di cui due assunte direttamente, una con la Legge 68/99, due con il SIL (Servizio Inserimento Lavorativo) con due borse lavoro, uno che sta facendo un percorso con un centro di formazione per vedere se le sue abilità sono sufficienti per poter aspirare a una borsa lavoro e poi abbiamo due volontari, uno per raggiunti limiti d’età e l’altro perché avendo un tutore chiaramente non può essere assunto. Quelli assunti direttamente sono anche i “più facili”, pur se la Legge 68/99 in realtà non è adatta alle persone con disabilità intellettiva. Essa, infatti, è stata elaborata per chi ha disabilità motorie e quindi la ritengo poco adatta alle problematiche di una persona con disabilità intellettiva. Noi conoscevamo le due persone che abbiamo assunto direttamente e quella che è stata assunta con la Legge 68/99, secondo le prescrizioni dell’invalidità, non ha bisogno di tutor, ma anche soltanto passare attraverso il SIL o una scuola di formazione professionale richiede tantissima burocrazia.
Personalmente sono molto contenta di quello che abbiamo fatto, sono contenta della risposta della gente: ormai chi viene da noi vuole incontrare Francesca, Luca o Iva. Ma se vogliamo raggiungere l’equilibrio economico, e lo dico da imprenditrice, ci vogliono due anni almeno. Nessuna attività, infatti, raggiunge l’equilibrio economico prima di due anni, perché all’inizio ci sono gli investimenti, i lavori da fare, devi comprare l’attrezzatura, la clientela si deve giustamente affezionare. Poi noi abbiamo cercato questo locale in una “corte privata”, che è protettiva per le persone che ci lavorano, nel senso che è quasi una specie di “oasi felice”, però non è una zona di passaggio; quindi la gente ci deve venire apposta, ci deve conoscere. Anche attraverso i social stiamo avendo una grossa risposta. Quindi per me il bilancio è decisamente positivo».

Quale contratto viene applicato ai lavoratori del bistrot e come viene determinata la loro retribuzione?
«Il contratto è quello del commercio (un tempo pieno è pari a circa 1.380 euro). Tenendo presente che i ragazzi assunti fanno fino a 12 ore alla settimana – non di più perché non ce la fanno – , ricevono uno stipendio regolare, riproporzionato su 12 ore».

Come mai avete scelto di aprire un bistrot? C’è un motivo specifico per cui molte realtà impegnate nell’inserimento lavorativo di persone con disabilità intellettiva si orientano verso il settore della ristorazione?
«È avvenuto per caso, perché in realtà cercavamo una pasticceria: abbiamo fatto per anni corsi di pasticceria! Poi è capitata l’opportunità di rilevare questa attività e io avevo già le persone in mente da coinvolgere. All’inizio siamo stati estremamente prudenti, ma devo dire che le persone che lavorano anche in cucina sono veramente entusiaste. Tuttavia, a mio parere, le persone con disabilità intellettiva hanno bisogno di tempi più lunghi, perciò volevo inserirli in agricoltura. A tal proposito abbiamo un progetto bellissimo, che si chiama Diversamente DOC!, realizzato assieme all’azienda agricola Colutta di Manzano (Udine): da 13-14 anni produciamo ogni anno un vino con l’etichetta Diversamente DOC!. Tre anni fa l’azienda agricola ha assunto, durante l’estate, due di questi ragazzi a lavorare: è andata benissimo, solo che c’è un problema. Le aziende agricole, soprattutto quelle vinicole, per loro propria conformazione, sono fuori dal circuito dei trasporti pubblici. Quindi nessuno riesce a recarsi in sede se non ha la patente; con i mezzi pubblici, non ci arrivi. Era dunque anche difficile garantire la continuità negli anni, doveva esserci qualcuno ad accompagnare le persone. Abbiamo creato un progetto che prevedesse una collaborazione tra l’ANFFAS e Colutta perché potessero andarci a lavorare anche durante l’anno, ma Confagricoltura ce l’ha bocciato: anche la burocrazia nell’ambito agricolo è piuttosto cospicua.
Ho sempre pensato che la collocazione ideale per le persone con disabilità intellettiva sia l’agricoltura, perché l’agricoltura ha i tempi lenti e sono i tempi delle persone che hanno problemi cognitivi. Noi abbiamo cercato di riportare questa calma nel bistrot».

Le prime tappe di questo nostro percorso dedicato all’inclusione lavorativa nel “mondo ANFFAS” sono riportate nei testi Lavoro e disabilità intellettive: viaggio tra esperienze, opportunità e ostacoli da superare (disponibile a questo link) e Dalla pasticceria al “co-housing”: quando il lavoro diventa inclusione e autonomia (disponibile a questo link).

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Storia di Fatuma, una mamma etiope, e l’impegno di CBM Italia per eliminare il tracoma

Fatuma è una mamma etiope colpita da tracoma e curata con successo. Malattia batterica degli occhi, il tracoma è la seconda causa di cecità in Etiopia e la principale causa infettiva di cecità nel mondo, colpendo quasi 2 milioni di persone e in particolare donne, bambini e persone con disabilità nelle comunità più povere, dove non c’è acqua pulita e le condizioni igieniche sono scarse. CBM Italia interviene da tempo in Etiopia, con interventi di vario tipo, per combattere il tracoma Una bella immagine di Fatuma (foto di Marco Simoncelli)

Fatuma, 30 anni, vive in un villaggio nel cuore dell’Etiopia insieme al marito e ai loro quattro bambini. Il suo è un sorriso dolce e solare, anche mentre racconta la sua storia: «Tutto è iniziato circa 2 anni fa, sentivo prurito e mi lacrimavano sempre gli occhi. Ho cominciato a lavarmi la faccia ma senza nessun miglioramento. Poi ho provato con alcuni rimedi artigianali, ma la situazione continuava a peggiorare. Avevo gli occhi sempre rossi e gonfi. Non vedevo bene e soffrivo molto».
«Un giorno – prosegue – ho incontrato per fortuna un’operatrice che si trovava nel mio villaggio per parlare alla comunità delle malattie agli occhi più diffuse, delle cause e dell’importanza di tenere il viso sempre pulito. Non appena mi ha vista, mi ha detto che probabilmente si trattava di tracoma e che dovevo andare subito in ospedale a farmi visitare».
Fatuma è venuta dunque a conoscenza della sua malattia, il tracoma, appunto, durante una delle azioni di intervento e sensibilizzazione che CBM Italia organizza nei villaggi più remoti, in cui il tracoma stesso è molto diffuso.
«Inizialmente ero un po’ restia all’idea di farmi visitare, poi mi sono fatta coraggio perché la situazione era diventata insostenibile sia per me che la mia famiglia: non riuscivo più a fare nulla, nemmeno a cucinare».

Arrivata alla clinica oculistica, un infermiere oftalmico visita Fatuma e la sottopone subito all’intervento chirurgico per eliminare il tracoma. «Durante l’operazione ero un po’ agitata, ma è durata poco ed è stato più facile di quanto pensassi. Nei giorni successivi ho continuato a prendere i medicinali che mi hanno prescritto e dopo qualche settimana stavo già meglio. Anche se ho sentito un po’ di dolore, sono davvero felice di averla fatta, perché ho ripreso a vivere davvero».
Da quando ha ricevuto le cure, Fatuma è più consapevole delle precauzioni da prendere per lei e la sua famiglia per evitare nuovi contagi: «Cerco di tenere i visi dei miei figli sempre puliti e faccio loro lavare la faccia due o tre volte al giorno». Da qualche mese, però, la figlia maggiore ha cominciato ad avere prurito e rossore agli occhi: «Quando torneranno gli operatori sanitari, parlerò subito con loro di mia figlia, non voglio aspettare come ho fatto in passato. Purtroppo, anche se a casa seguiamo i consigli dei medici, l’igiene è un problema di tutta la comunità, soprattutto per la mancanza di acqua pulita».
Fatuma racconta infatti che nei villaggi il tempo per occuparsi di sé è limitato, la maggior parte delle ore si sta nei campi a lavorare, badare agli animali o curare i bambini e la casa, oltre al fatto che le persone hanno timore di sottoporsi alle cure. «È difficile convincere le persone a sottoporsi alle visite, anche se è un servizio gratuito. Non sono ancora riuscita a convincere i miei fratelli e i miei vicini di casa che continuano a lamentarsi del fastidio agli occhi. Ma non mi arrenderò, anzi continuerò a parlarne».

Uno dei pozzi costruiti da CBM Italia in Etiopia (foto di Marco Simoncelli)

Quella di Fatuma è una delle tante storie che CBM Italia – la nota organizzazione impegnata per la salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità nel mondo e in Italia – ha raccolto in Etiopia, dove interviene con diversi progetti per combattere il tracoma, applicando la cosiddetta Strategia SAFE, raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ove S sta per Surgery (chirurgia per trattare lo stadio avanzato del tracoma), A per Antibiotics (gli antibiotici che servono per eliminare l’infezione), F per Facial cleanliness (pulizia e igiene del viso) ed E per Environmental improvement (miglioramento dell’ambiente con accesso all’acqua e ai servizi igienici).
In particolare, nel nord del Paese africano, CBM Italia ha avviato già da tre anni il Programma inclusivo di eliminazione del tracoma nella regione di Amhara, con il sostegno della FAI (Fondation Assistance Internationale) e attraverso il partner sul territorio ORDA. Il progetto, tuttora in corso, coinvolge oltre 200.000 beneficiari. Qui CBM Italia ha costruito 16 sistemi idrici (12 pozzi e 4 sorgenti protette), per permettere l’accesso diretto all’acqua pulita; i pozzi sono accessibili alle persone con disabilità grazie alla costruzione di rampe di accesso. A questo si aggiunge la formazione di operatori sanitari, per identificare e trattare le persone colpite da tracoma e la distribuzione di massa dell’antibiotico a base di azitromicina, sempre in collaborazione con il Ministero della Salute locale. Completano l’intervento continue azioni di sensibilizzazione nelle comunità e nelle scuole, per adottare comportamenti igienico-sanitari corretti, con particolare attenzione a donne, bambini e persone con disabilità.

L’Etiopia è uno Stato del Corno d’Africa molto popoloso (128,7 milioni di abitanti, secondo il dato 2023 della Banca Mondiale) e uno dei più poveri al mondo: nel 2023, secondo l’ISU (Indice di Sviluppo Umano, indicatore dell’ONU che misura il livello di benessere di un Paese), era al 175° posto su 191 Stati; il 29,6% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.
I conflitti degli ultimi anni, tuttora in corso, hanno portato alla distruzione di migliaia di casa e di infrastrutture come ospedali, scuole, servizi pubblici. Questa situazione, unita alla grave siccità e alle epidemie, versa il Paese in una condizione di complessa crisi umanitaria, segnata da povertà socioeconomica e insicurezza alimentare. Sono 21,4 milioni le persone che necessitano di assistenza umanitaria delle quali 16,7 milioni sono donne e bambini, 4,5 milioni gli sfollati, 2,1 milioni i minori con disabilità e oltre 1 milione i rifugiati.
Il governo etiope stima che viva in povertà il 95% delle persone con disabilità, situazione che conferma quel circolo vizioso per cui le persone con disabilità rischiano con maggiore probabilità di diventare o restare povere, e la povertà può essere causa di disabilità se viene negato l’accesso alle cure.
Con una prevalenza tra le più alte al mondo, in Etiopia si contano 1.680.000 persone cieche: la prima causa della cecità è la cataratta (49,9%), la seconda il tracoma (11,5%). Sono percentuali assai elevate, dovute alla mancanza di servizi e alla scarsa cura e prevenzione delle malattie visive da parte della popolazione: basti pensare che in tutto il Paese ci sono solo 140 oftalmologi, di cui l’80% lavora nella capitale Addis Abeba.
Come detto, dunque, il tracoma è la seconda causa di cecità in Etiopia ed è anche la principale causa infettiva di cecità nel mondo (dove colpisce 1,9 milioni di persone). Si tratta di una malattia batterica degli occhi che fa parte delle Malattie Tropicali Neglette o Dimenticate, cioè antiche malattie della povertà che colpiscono chi vive in condizioni igieniche inadeguate, mancanza di acqua pulita e di servizi medici e sanitari. Il 40% di esse è concentrato nell’Africa Sub-Sahariana e il loro nome deriva dal non essere state per molto tempo considerate nei programmi sanitari nazionali, nonostante registrino numeri alti e siano portatrici di stigma e discriminazione sociale. Oggi, invece, rientrano nell’Obiettivo 3 dell’Agenda ONU 2030: “Entro il 2030, porre fine alle epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria e malattie tropicali trascurate; combattere l’epatite, le malattie di origine idrica e le altre malattie trasmissibili».
Solo in Etiopia, oltre 76 milioni di persone convivono con il tracoma in ampie zone del Paese. Di queste, oltre 9 milioni sono bambini di 1-9 anni. E sono 1,3 milioni le persone che hanno la trichiasi, deviazione delle ciglia che sfregano contro il bulbo oculare, conseguenza dolorosa del tracoma che può provocare cecità. (C.A. e S.B.)

Per ulteriori informazioni: Caterina Argirò (caterina.argiro@leacrobate.it).

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Vivere con l’ADHD: sfide, speranza e ironia nel libro di Francien Regelink

Pagina dopo pagina, il saggio autobiografico di Francien Regelink Strafare. La mia vita (irre)quieta con l’adhd” diventa un viaggio intenso nelle piccole cose di tutti i giorni vissute in modo “non conforme”, contribuendo a rompere il silenzio e lo stigma che circondano il tema delle neurodivergenze. Il tutto senza retorica e con umorismo, in un libro dedicato in definitiva al coraggio di essere se stessi, pur con una condizione che è una “differenza invisibile”

Leggere Strafare. La mia vita (irre)quieta con l’adhd di Francien Regelink (Le Plurali Editrice, collana “Le Sagge”) è stato un giro sulle montagne russe. Sulla copertina c’è un ritratto pop di Francien che fa la linguaccia e sulla lingua mostra una pastiglia, con irriverenza, perché nel libro si parla anche di farmaci e di droghe, senza naturalmente incoraggiarne l’utilizzo.
La scrittura è veloce, a tratti può apparire perfino sconclusionata, ma è soltanto un’altra maniera di mettere in ordine le idee, una “logica illogica” che ci fa entrare nella mente dell’autrice e nel suo modo di percepire quanto la circonda.

Francien ha l’ADHD (dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder), disturbo da deficit di attenzione e iperattività, una condizione ancora poco conosciuta e sottovalutata, che soltanto in Italia colpisce fino a 2 milioni di persone, adulti compresi, spesso inconsapevoli che le loro difficoltà nella gestione del tempo e delle emozioni, i problemi ad organizzarsi e mantenere la concentrazione hanno questa origine. L’impatto è significativo sul lavoro, le relazioni interpersonali e la generale qualità della vita.
Il saggio autobiografico di Francien Regelink, scritto senza filtri e senza nascondere momenti di crisi, vergogna e depressione, ironico, sempre onesto ai limiti della sfacciataggine, racconta il percorso esistenziale e la quotidianità dell’autrice, classe 1986, giornalista e autrice di bestseller. Lei ha scoperto tardi di avere l’ADHD, a 26 anni, in altri casi la diagnosi arriva nell’infanzia, quando si nota che un bambino o una bambina non riesce a stare fermo, parla in continuazione, non ascolta quanto viene detto, si distrae e fa tutto in maniera un po’ “diversa” dagli altri.
Anche Francien era così, anche a scuola si impegnava al massimo, ma non riusciva ad ottenere i risultati sperati. La sua famiglia la circondava di affetto, non la faceva sentire “sbagliata” o fuori posto, per loro era “semplicemente Francien”. Diventata grande, quel “semplicemente Francien” le sta stretto e cominciano le domande: «Perché non riesco a concentrarmi e mi distraggo tanto fa­cilmente? Perché riesco a finire le cose solo quando si avvicina la scadenza? Perché certe attività apparentemente semplici mi costano tanta fatica? E perché le emozioni mi colpiscono con tanta forza?». Ha già dato un nome a quelle difficoltà, ADHD, servono degli specialisti per la conferma e non è facile trovarli, all’inizio la liquidano con un farmaco sbagliato che le provoca pesanti effetti collaterali. Quando finalmente trova un’équipe multidisciplinare che la supporta, Francien può affrontare le giornate con una consapevolezza maggiore. Rimane il fatto che è sempre in bilico tra un’accentuata sensibilità agli stimoli esterni e la ricerca di stratagemmi, per risultare gradita alle altre persone che non capiscono il suo comportamento sopra le righe, agitato: «Il bisogno di essere amati e di stare in relazione con altre persone è inscritto nella nostra biologia: il nostro desiderio di piacere viene chiamato in causa fin dall’infanzia e noi cerchiamo di essere come il mondo ci vuole. Spesso senza riuscirci, il che è frustrante».
Si sente dire in tono consolatorio che «tutti siamo un po’ ADHD», solo che questa condizione non è un cappotto che si può mettere e togliere a piacimento. Lo spiega nella prefazione Nogaye Ndiaye, attivista, scrittrice, formatrice e divulgatrice, che anche lei convive con l’ADHD, in più è donna, in più è nera, quindi ha subito discriminazioni multiple: «L’ADHD rende la vita difficile, dolorosa, un percorso a ostacoli in salita senza sosta. Non è solo “Oh, che sbadata!”. È vivere con un cervello che non smette mai di correre – nella direzione sbagliata».

Pagina dopo pagina, Strafare. La mia vita (irre)quieta con l’adhd diventa un viaggio intenso nelle piccole cose di tutti i giorni vissute in modo “non conforme”, contribuendo a rompere il silenzio e lo stigma che circondano il tema delle neurodivergenze; nel testo non mancano gli approfondimenti della specialista Cathelijne Wildervanck, che spiega dal punto di vista medico, clinico e psicologico cos’è l’ADHD. Ma sono le parole dell’autrice a farci riflettere e ridere, perché c’è spazio anche per la leggerezza, a volte l’unica arma per restare a galla in una vita dove tutto diventa una sfida, anche vestirsi. Pure noi, davanti ad un vasto guardaroba, impieghiamo tempo per scegliere cosa indossare, per Francien questa scelta può paralizzare l’intera giornata, dopo avere superato lo scoglio di alzarsi dal letto, fare un po’ di ginnastica e mangiare in un appartamento spartano dove sono ridotti al minimo gli spazi nei quali si possono accumulare oggetti inutili che mandano in cortocircuito il cervello.
Francien è sempre vestita allo stesso modo, nel suo armadio solo pochi capi base dello stesso colore, intercambiabili, così non si rischia di uscire in disordine. Su un calendario mensile segna le azioni quotidiane portate a termine con successo, è un incitamento vedere quella lunga fila di crocette per indicare gli obiettivi raggiunti, un po’ meno gratificante il segno sulle giornate storte. Se perfino in casa, al risveglio ogni mattina, occorre questa pianificazione, provate ad immaginare cosa può accadere all’esterno, ad esempio in un ambiente pieno di gente, rumori, odori, luci e colori come un supermercato. Le àncore di salvezza sono la lista della spesa e una budget coach che accredita una data cifra una volta alla settimana per evitare di spendere troppo. E se non basta, Francien gira tra gli scaffali guardandosi i piedi, per non puntare l’occhio su prodotti che la farebbero indugiare in pensieri e associazioni di idee che la manderebbero in tilt.

Francien Regelink

È a questo punto del libro che mi sono resa conto di quanto debba essere avvilente per le persone con ADHD sentirsi dire che «siamo tutti come loro». È vero, anche noi non sappiamo tante volte cosa indossare la mattina e usciamo dal supermercato con prodotti che non avremmo pensato di comprare, ma questo non ci scombussola la mente, non ci fa sentire in colpa al punto da star male. Questo non ci obbliga a lavorare sotto la scala antincendio, isolati dal resto dell’ufficio per non avere distrazioni, con le cuffie sulle orecchie per estraniarsi da tutto e tutti.
Le cause che portano alla manifestazione dell’ADHD non sono state ancora completamente accertate, alcune ricerche suggeriscono una componente genetica nella sua trasmissione. Francien vorrebbe diventare madre, il racconto si fa intimo quando parla del timore di non essere in grado di portare a termine una gravidanza a causa dei farmaci che a volte deve assumere per superare i periodi di depressione e forte ansietà, ha paura di non essere in grado di accudire suo figlio o sua figlia che da grande potrebbe avere i suoi stessi sintomi comportamentali, nessuno può escludere che accada, ma il sogno è tanto grande da indurla ad informarsi, nel caso dovesse trovare l’uomo giusto per formare una famiglia. Ha avuto diverse relazioni sentimentali e l’ADHD non ha sempre avuto un’influenza negativa. Ha influito invece sulla scoperta della sessualità e Francien ci spiega perché senza retorica, con un’irriverenza che può lasciare di stucco. Lei lo sa, infatti premette che non vorrebbe che i suoi genitori e i suoi ex leggessero questo capitolo! Francien, che fin da bambina ha dovuto frenarsi, sviluppando tecniche di occultamento della sua autentica personalità, è diventata una donna che ha trovato la propria strada, le proprie “istruzioni per l’uso” che vuole far conoscere sia a chi come lei ha l’ADHD, sia a chi non ce l’ha, ma è convinto che la cosiddetta “normalità” sia soltanto un’illusione.

In Strafare. La mia vita (irre)quieta con l’adhd niente è logico e tutto è possibile, è una lettura che ci aiuta a pensare in termini di possibilità e non di limiti. «Io auspico un mondo in cui a ciascuno sia data la libertà o le condizioni per poter sperimentare, per scoprire e fare ciò che funziona, per me, per te e per chiunque altro», spiega l’autrice, confidandoci che «ormai riconosco che tutti i “sintomi” del mio Adhd sono le mie qualità, che mi hanno portato molto lontano. L’unica cosa che auspico per tutte le persone con Adhd è che possano fiorire. Che abbiano fiducia nelle proprie sensazioni e capacità». Senza retorica e con umorismo, proprio come questo libro che, in definitiva, è dedicato al coraggio di essere se stessi, pur con una condizione che è una “differenza invisibile”: «Se una persona sulla sedia a rotelle non può superare un gradino, è normale accorrere in suo aiuto o meglio fare in modo che quel gradino proprio non ci sia. […] Ma se l’infortunio è dentro la mia testa, la gente non si aspetta che io mi fermi. […] L’aiuto arriva solo se io faccio notare che ne ho bisogno. Ma questo è ancora un punto critico». Una considerazione e un insegnamento che valgono per tutti e tutte.

*Direttrice responsabile di Superando.

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Abitare inclusivo: libertà di scelta per una Vita Indipendente

Esplorare e promuovere un cambiamento culturale profondo, in cui il diritto all’abitare non sia solo l’accesso a uno spazio fisico, ma l’espressione concreta del diritto di scegliere dove, come e con chi vivere, per ogni persona, a partire da chi convive con condizioni di disabilità, anche gravi: è quanto si propone l’incontro del 10 maggio sul tema “Abitare inclusivo: libertà di scelta per una Vita Indipendente”, in programma a Pordenone all’interno dell’evento “104 – The Caregiving Expo”

Come può l’abitare diventare la chiave per una vita piena, dignitosa e libera per le persone con disabilità? A questa domanda si tenterà di risponde durante il convegno Abitare inclusivo: libertà di scelta per una Vita Indipendente, in programma per la mattinata del 10 maggio a Pordenone, all’interno di 104 – The Caregiving Expo, evento in programma presso la Fiera di Pordenone, interamente dedicato a chi si prende cura delle persone anziane, fragili e con disabilità, già da noi ampiamente presentato in altra parte del giornale.
L’incontro del 10 maggio si propone in sostanza di esplorare e promuovere un cambiamento culturale profondo, in cui il diritto all’abitare non sia solo l’accesso a uno spazio fisico, ma l’espressione concreta del diritto di scegliere dove, come e con chi vivere, per ogni persona, a partire da chi convive con condizioni di disabilità, anche gravi. Una riflessione, questa, che si inserisce nel solco tracciato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/09, che impone agli Stati l’obbligo di creare condizioni che evitino discriminazioni, esclusione ed emarginazione. In tale contesto, il convegno vuole contribuire alla diffusione di una cultura dell’abitare come strumento di inclusione, benessere e autonomia.

Attraverso dunque l’intervento di rappresentanti delle Istituzioni, esperti, amministratori locali e attori del Terzo Settore, verranno affrontati durante l’incontro temi quali la personalizzazione dei progetti di vita, le soluzioni abitative alternative all’istituzionalizzazione, l’uso delle tecnologie e dei servizi di supporto, le politiche e gli strumenti attivi in Friuli Venezia Giulia, come il FAP (Fondo per l’Autonomia Possibile) e il Budget di Salute.
Interverranno, tra gli altri, Antonella Sberna, vicepresidente del Parlamento Europeo; Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali; Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), oltre a rappresentanti delle Consulte Regionali e Territoriali della Disabilità, di Fondazioni, Cooperative Sociali, Comuni, Aziende Sanitarie e del Terzo Settore.
Modererà l’incontro Sergio Raimondo, presidente della Consulta delle Associazioni delle Persone con Disabilità e delle loro Famiglie della Provincia di Pordenone. (S.B.)

Ringraziamo Sergio Raimondo per la collaborazione.

A questo link è disponibile il programma completo dell’incontro del 10 maggio, per iscriversi al quale accedere a quest’altro link.
Oltreché alla presentazione generale (a questo link), abbiamo dedicato spazio, in altre parti del giornale, anche ad altri appuntamenti in programma nell’àmbito dell’evento 104 – The Caregiving Expo di Pordenone, esattamente negli articoli La Fondazione Bambini e Autismo di Pordenone a “104 – The Caregiving Expo” (a questo link) e Gli “Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo” del Friuli Venezia Giulia (a questo link).

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Gli “Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo” del Friuli Venezia Giulia

Sarà a Pordenone il 9 maggio, nell’àmbito della manifestazione “104 – The Caregiving Expo”, il nuovo appuntamento con gli “Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo” dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), che in questo caso, dunque, saranno dedicati al Friuli Venezia Giulia e organizzati dall’ANFFAS della Regione, in collaborazione con l’ANFFAS Nazionale

«Con estremo piacere portiamo i nostri Stati Generali in Friuli-Venezia Giulia, arrivando ai confini del nostro Paese, per continuare ad analizzare le realtà regionali e costruire confronto e dialogo con tutti gli attori coinvolti: anche in Friuli Venezia Giulia, dunque, verrà lasciato un segno tangibile del nostro impegno nel promuovere un modello di partecipazione e inclusione a trecentosessanta gradi, in una Regione che già è considerata un modello di efficienza, ma in cui non mancano comunque problematiche relativamente all’esigibilità dei diritti delle persone con disabilità»: così Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), presenta il nuovo appuntamento con gli Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo della propria Associazione, quelli cioè del Friuli Venezia Giulia, organizzati dall’ANFFAS della Regione, in collaborazione con la stessa ANFFAS Nazionale, e in programma per il 9 maggio a Pordenone, nell’àmbito di 104 – The Caregiving Expo, evento in programma presso la Fiera di Pordenone, interamente dedicato a chi si prende cura delle persone anziane, fragili e con disabilità, già da noi ampiamente presentato in altra parte del giornale.
Si tratterà dunque di un incontro che sarà fonte di confronto e dialogo con le istituzioni, le amministrazioni, le rappresentanze sindacali e del Terzo Settore della Regione coinvolta, rispetto ai temi concernenti le disabilità intellettive e i disturbi del neurosviluppo, segnatamente con un focus riguardante le specificità del territorio in termini di criticità e buone prassi, con il diretto protagonismo delle persone con disabilità intellettive e delle loro famiglie.

«Anche se il Friuli Venezia Giulia a livello nazionale è considerata una regione virtuosa – spiega Maria Cristina Schiratti, presidente dell’ANFFAS Regionale, oltreché vicepresidente della FISH Friuli Venezia Giulia (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Doisabilità e Famiglie) – non mancano criticità che emergeranno sicuramente in occasione delle tre tavole rotonde previste nel pomeriggio del 9 maggio. Problematiche importanti, che esistono soprattutto per quanto riguarda la sfida del “Dopo di Noi” e la riforma introdotta dalla Legge Regionale 16/22 che prevede un cambiamento di rotta al momento ostacolato da alcuni. Al di là di questo, non mancheremo, per l’occasione, di dare voce agli autorappresentanti della nostra Regione: in mattinata, infatti, interverranno alcune persone con disabilità intellettiva e del neurosviluppo proprio per esporre il loro punto di vista e le loro aspettative per il futuro».

Moderati da Emanuela Bertini, direttrice dell’ANFFAS Nazionale, i lavori – ai quali è stata invitata anche la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli – saranno aperti dagli interventi dei già citati Roberto Speziale e Maria Cristina Schiratti, subito prima della sessione I diritti delle persone con disabilita intellettive e disturbi del neurosviluppo, con le relazioni di Alessia Maria Gatto e Corinne Ceraolo Spurio, legali componenti del Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale.
Nel pomeriggio, come anticipato da Schiratti, sono previste tre tavole rotonde, sui temi Stato dell’arte sulla concreta esigibilità dei diritti delle persone con disabilità in Friuli Venezia Giulia, La sfida del Dopo di NOI nel Durante Noi: Una risposta concreta! e Come rendere concreto ed esigibile il progetto di Vita, sostenuto dal budget di progetto, alla luce delle riforme del Friuli Venezia Giulia?.
Le conclusioni della giornata saranno affidate a Roberto Speziale. (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo. Per ulteriori informazioni: anffasfvg@gmail.com, nazionale@anffas.net.

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Accessibilità nei luoghi di cultura: strategie e buone pratiche al centro di un convegno a Siracusa

L’8 e il 9 maggio Siracusa ospiterà il convegno nazionale denominato “Giornata di studi sull’accessibilità nei luoghi di cultura: strategie e buone pratiche per un’esperienza inclusiva”, dedicato all’accessibilità nei luoghi di cultura, con interventi istituzionali e l’esposizione di esperienze da tutta Italia

Giovedì 8 maggio e venerdì 9 maggio, presso l’Auditorium del Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi a Siracusa, si terrà il convegno nazionale denominato Giornata di studi sull’accessibilità nei luoghi di cultura: strategie e buone pratiche per un’esperienza inclusiva.
Saranno due giornate dedicate al tema dell’accessibilità nei musei e nei parchi archeologici, per riflettere su come rendere i luoghi della cultura davvero aperti a tutte e tutti. In programma interventi istituzionali, tavole rotonde, testimonianze ed esperienze da tutta Italia.
Tra gli altri relatori anche Elisabetta Schiavone di CERPA Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità); Stefano Mainandi di FIABA; Aldo Grassini e Annalisa Trasatti del Museo Tattile Statale Omero di Ancona; Bernadette Lo Bianco dell’Associazione Sicilia Turismo per Tutti; Arianna Felicetti di ISAAC Italy; Luigi Biondo, direttore del Parco archeologico di Segesta; Marta Russo dell’Associazione Diritti Diretti. (C.C.)

Ringraziamo CERPA Italia per la segnalazione.

A questo link è disponibile il programma completo. Per ulteriori informazioni: info@expoct.it.  

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La presentazione a Palermo di un progetto di velaterapia

Il 9 maggio, a Palermo, la ministra per le Disabilità Locatelli presenterà un progetto di velaterapia realizzato in collaborazione con la Lega Navale Italiana e la Federazione Italiana Vela. Per l’occasione ci sarà visibilità anche per la barca d’altura “Our Dream”, prima imbarcazione confiscata alla criminalità organizzata, intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e resa pienamente accessibile dalla Lega Navale Italiana alle persone con disabilità motoria La barca d’altura “Our Dream”, confiscata alla criminalità organizzata, intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e resa accessibile dalla Lega Navale Italiana alle persone con disabilità motoria

Nella mattinata del 9 maggio (ore 11), presso il Marina Convention Center-Molo Trapezoidale e Pontile della Lega Navale di Palermo, la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli presenterà il progetto di velaterapia promosso dal proprio Ministero e realizzato in collaborazione con la Lega Navale Italiana e la FIV (Federazione Italiana Vela), evento inserito nell’àmbito delle iniziative promosse dalla stessa Locatelli per il Tour Mediterraneo della Nave Amerigo Vespucci.

Introdotti dalla Ministra per le Disabilità, i lavori dell’incontro – al quale sono stati invitati i referenti della Regione Siciliana e del Comune di Palermo – prevedono poi gli interventi dell’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, dell’ammiraglio Donato Marzano, presidente nazionale della Lega Navale Italiana e di Andrea Stella, fondatore della ONLUS Spirito di Stella.
Seguiranno due panel cui parteciperanno Simona Donati, esperta nell’àmbito degli Uffici del Ministro per le Disabilità; l’ammiraglio Luciano Magnanelli; Roberto Keller, direttore responsabile del Centro Regionale del Piemonte sui Disturbi dello Spettro Autistico in Età Adulta; Luca Sangiorgi, direttore della Struttura Complessa per le Malattie Rare Scheletriche all’Ospedale Rizzoli di Bologna; Giuseppe Toro, presidente nazionale dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie, i Linfomi e il Mieloma) e presidente dell’AIL di Palermo-Trapani; Ludovico Pedullà, ricercatore senior della FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla); Antonio Costanza, presidente dell’ANFFAS di Palermo (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo); Giancarlo D’Errico, presidente dell’ANFFAS di Torino; Mario Barbuto, presidente nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti); Sante Ghirardi, fondatore della ONLUS Marinando Ravenna; Cinzia Parisi, presidente dell’ENS di Palermo (Ente Nazionale Sordi); Carmelo Forastieri, atleta paralimpico e presidente dell’Associazione Italiana Classe Hansa, consigliere della Lega Navale di Palermo; Alberto Bilardo di Legacoop.

Al termine dei lavori i partecipanti si sposteranno presso il pontile della Lega Navale per l’attività dimostrativa con Hansa 303 e Azzurra 600. In fondo al pontile stesso sarà ormeggiata la barca d’altura Our Dream, prima imbarcazione confiscata alla criminalità organizzata, intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e resa accessibile dalla Lega Navale Italiana alle persone con disabilità motoria. (S.B.)

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Arriva a Roma il “Diversity Day” per l’inclusione lavorativa

L’8 maggio è in programma presso l’Università Roma Tre il “Diversity Day”, evento dedicato all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e categorie protette. Con il patrocinio del Ministero per le Disabilità, metterà in contatto aziende e candidati, offrendo anche formazione sulle esigenze delle persone sorde e con difficoltà verbali

Giovedì 8 maggio, presso l’Università Roma Tre, si terrà il Diversity Day Roma 2025, evento in Italia dedicato all’inserimento e all’inclusione lavorativa di persone con disabilità o appartenenti alle cosiddette “categorie protette” (come da Legge 68/99), con il patrocinio del Ministero per le Disabilità.

L’evento, come detto, si svolgerà presso l’Università degli Studi Roma Tre (Via Ostiense, 234/236, ore 9.30-16.30) e costituirà la seconda tappa dell’edizione 2025 del Diversity Day, progetto nato nel 2007 per accorciare le distanze tra disabilità e mondo del lavoro, mettendo in contatto diretto aziende e candidati e coinvolgendo anche università, scuole, associazioni e istituzioni (ne abbiamo parlato anche in precedenza).

Promosso negli anni da ANDELValue People e Jobadvisor, il Diversity Day Roma 2025 si avvarrà anche della collaborazione della Fondazione Allianz UMANA MENTE, arricchendosi di alcune novità: la formazione per le aziende includerà infatti un approfondimento dedicato alle persone sorde e a chi ha difficoltà nell’espressione verbale, grazie alla collaborazione con Io Se Posso Komunico.
Il Career Day si svolgerà in un ambiente accessibile a tutti e a tutte, sia a livello architettonico che sensoriale. (C.C.)

Per iscriversi al Diversity Day è necessario compilare il relativo form. Per ulteriori informazioni: info@diversityday.itmarina.massaro@mail-people.it (Marina Massaro).

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A protestare per la Vita Indipendente, sotto la pioggia e sorvegliati a vista

Dopo ore sotto la pioggia e sorvegliate a vista dalle forze dell’ordine, le persone con disabilità partecipanti al presidio di protesta promosso a Firenze dall’AVI Toscana, hanno potuto vedere una propria delegazione ricevuta dal Presidente della Regione e dall’Assessora alle Politiche Sociali. Quanto prima invieranno le proprie richieste e osservazioni sulla situazione dei finanziamenti per la Vita Indipendente e sulla Proposta di Legge Regionale sulla Vita indipendente. Pieno sostegno alla protesta è arrivato dalla FISH Nazionale Alcune delle persone con e senza disabilità che il 5 maggio hanno partecipato al presidio di protesta promosso dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana) sotto la pioggia, davanti all’ingresso del palazzo della Presidenza della Regione, a Firenze

Il 5 maggio, nonostante la pioggia e l’allerta meteo arancione, le persone con disabilità hanno scelto comunque di prendere parte al presidio di protesta per rivendicare la Vita Indipendente promosso dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), a Firenze, in Piazza del Duomo, davanti al palazzo della Presidenza della Regione (se ne legga la nostra precedente segnalazione).
I/le partecipanti hanno valutato di non poter rimandare l’iniziativa perché ritengono che la situazione di molte persone con disabilità fruitrici dei progetti di Vita Indipendente sia drammatica, perché ormai avevano organizzato tutto, e anche Eugenio Giani, il presidente della Regione Toscana, era già stato avvertito dell’iniziativa. Hanno ritenuto quindi ragionevole che il Presidente della Regione le incontrasse, anche in considerazione del fatto che proprio ieri il 5 maggio ricorreva anche la Giornata Europea della Vita Indipendente (The European Independent Living Day).
«Nonostante diluviasse hanno schierato due file di Carabinieri per impedire che le persone con disabilità potessero entrare nel palazzo della Presidenza a ripararsi dalla pioggia», raccontano sgomenti dall’organizzazione. Raffaello Belli, esponente dell’Associazione organizzatrice, ha fatto più volte presente ai Carabinieri, attraverso l’uso di un megafono, che così facendo stavano violando i princìpi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione e in primo luogo l’articolo 2, che definisce la solidarietà come dovere inderogabile; ma anche l’articolo 3, che richiede che si debba tenere conto del fatto che la particolare situazione delle persone con disabilità, alcune delle quali in sedia a rotelle, sotto la pioggia, è ben diversa di quella delle persone senza disabilità. Ha anche sottolineato che prima di essere Carabinieri, loro erano persone. Ma loro non hanno accolto la richiesta di aiuto, e hanno ubbidito sino in fondo all’ordine di presidiare il palazzo.
«È stato molto grave – commentano dall’AVI Toscana –, da parte dei Carabinieri, lasciarci sotto la pioggia. Anche perché il diritto di manifestare è garantito anch’esso dalla nostra Costituzione, e loro non possono non considerare la nostra diversa situazione. Ed è stato anche molto grave che la Regione ci abbia lasciato impassibilmente sotto la pioggia, anche perché il Presidente era stato avvertito della richiesta di incontrarlo proprio nella Giornata Europea della Vita Indipendente e quindi, come minimo, avrebbe dovuto farci scrivere che quel giorno non era disponibile ad incontrarci e darci un altro appuntamento», ma non è arrivata alcuna comunicazione in tal senso.
Alla fine però, verso le 15, il presidente Giani e l’assessora regionale alle Politiche Sociali Serena Spinelli, hanno ricevuto alcuni dei manifestanti. Volevano interloquire con una sola persona in rappresentanza del gruppo, ma si sono presentati in due, Raffaello Belli e Patrizia Pepe.
All’inizio il Presidente si è mostrato molto risentito perché ha detto che aveva pochissimo tempo, ma in realtà l’incontro è durato più di un’ora.
In questo tempo la delegazione ha avuto modo di esporre le ragioni della protesta. L’assessora Spinelli ha dichiarato di essere stata offesa pesantemente in modo personale in un messaggio e-mail inviato dall’AVI Toscana ai Consiglieri Regionali e a quel punto, come riferisce Belli, egli stesso ha chiesto all’Assessora di leggere il testo del messaggio. Per Belli, infatti, era evidente che in esso «non vi era alcuna offesa personale, ma che semplicemente avevamo scritto che la Regione ha gestito tutta questa vicenda senza tenere conto delle nostre richieste [si riferisce alla recente modifica della disciplina per l’accesso ai contributi individuali per i progetti di Vita Indipendente, N.d.R.], e questo sarebbe come se la Regione facesse scrivere solo a degli uomini una legge per tutelare le donne vittime di violenza senza tenere conto di quello che dicono queste donne».

Con il presidente Giani la delegazione dell’AVI Toscana ha parlato anche della recente Proposta di Legge regionale sulla Vita indipendente presentata dalla stessa Regione, che attualmente è all’esame del Consiglio Regionale (su questo tema si segnala anche un nostro approfondimento). Quindi il Presidente ha chiesto loro di scrivere direttamente a lui sia le cose che non vanno ora, sia le loro osservazioni sulla citata Proposta di Legge Regionale. Appena possibile, pertanto, l’AVI Toscana provvederà a inviare la documentazione.

Le richieste avanzate dall’Associazione sono le seguenti:
1. Eliminare le differenze di trattamento fra le varie zone della Toscana.
2. Adeguare l’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale di ogni singola persona con disabilità e all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale.
3. Eliminare l’incapacità di fare Vita Indipendente che contrasta anche con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
4. Tenere ben presenti le maggiori esigenze delle persone con disabilità con necessità di assistenza intensiva molto elevata.
5. Anticipo del contributo entro il giorno 25 del mese di riferimento.
6. Inclusione degli accantonamenti della tredicesima e del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) nella rendicontazione.
7. Conguaglio della rendicontazione a fine anno.
8. Rendicontazione almeno trimestrale entro tempi più lunghi dei 5 giorni richiesti, ad esempio, da Firenze.
9. Ammettere che il contributo Vita Indipendente possa coesistere con altri contributi.
Per quanto poi riguarda le osservazioni sulla Proposta di Legge Regionale sulla Vita indipendente, elaborate da Raffaello Belli, esse sono liberamente fruibili a questo link.

«Il problema centrale che è emerso – spiegano ancora dall’AVI Toscana – è che l’assessora Spinelli si è ripetutamente impegnata a risolvere i singoli casi [qualora si fossero presentate delle difficoltà], mentre noi abbiamo sottolineato più volte che la via non deve essere questa, bensì quella di stabilire delle regole appositamente studiate per evitare che si creino situazioni che possano mettere in difficoltà le persone».
Dunque, come accennato, l’accordo finale è stato che l’AVI Toscana scriverà direttamente al Presidente della Regione le richieste più urgenti e le osservazioni sulla Proposta di Legge Regionale. Va per altro segnalato che la stessa assessora Spinelli ha detto a Giani che sarebbe importante che il Presidente intervenisse personalmente sulla questione.

Sebbene abbia considerato gravissimo che le persone con disabilità intervenute al presidio di protesta siano state lasciate sotto la pioggia, l’AVI Toscana ritiene che un impegno personale da parte del Presidente della Regione, se attuato in maniera concretamente efficace, sarebbe un segnale importante per la Vita Indipendente delle persone con disabilità. (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: avitoscana@avitoscana.org.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, insieme all’immagine utilizzata, per gentile concessione.

Pieno sostegno alla protesta promossa dall’AVI Toscana è arrivato dalla FISH Nazionale (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), che in una nota sottolinea come «Cittadini e cittadine che vivono quotidianamente le conseguenze di politiche inadeguate siano stati accolti da un cordone delle forze dell’ordine, come se rappresentassero una minaccia. E solo dopo tre ore sotto la pioggia, hanno potuto incontrare il Presidente della Regione e l’Assessora alle Politiche Sociali, senza tuttavia avere ancora risposte concrete ai problemi sollevati».
«Esprimiamo dunque pieno sostegno alle azioni promosse dalle persone con disabilità e dalle Associazioni toscane – proseguono dalla FISH -, riconoscendone la piena legittimità e condividendo le ragioni alla base della mobilitazione. I ritardi nell’erogazione dei contributi per l’assistenza personale mettono infatti a rischio l’autonomia quotidiana di molte persone, giacché la tempestività nei pagamenti rappresenta un elemento imprescindibile per garantire condizioni di vita indipendente. Non si tratta solo di un dovere amministrativo, ma di un atto concreto di rispetto verso chi, da quei fondi, dipende per esercitare i propri diritti».
«Le persone con disabilità non possono più essere invisibili», dichiara il presidente della FISH Vincenzo Falabella. «Esse non chiedono privilegi, ma il rispetto di diritti fondamentali e far sentire la propria voce sotto la pioggia non può e non deve essere l’unica via per essere ascoltati dalle Istituzioni». (S.B.)

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Convivere con la sclerosi multipla: a Milano si inaugura un potente racconto visivo

«Un potente racconto visivo che esplora attraverso l’arte l’esperienza di chi convive con la sclerosi multipla»: così l’AISM di Milano (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) presenta la mostra fotografica “Bambù – Disagio e Resilienza”, che verrà inaugurata il 7 maggio e sarà poi visitabile fino al 13 maggio (a ingresso gratuito) all’Ex Fornace di Milano

«Un potente racconto visivo che esplora l’esperienza di chi convive con la sclerosi multipla: attraverso infatti gli scatti di nudo artistico realizzati da Valter Belloni e l’interpretazione intensa della modella Clelia Bastari, persona con sclerosi multipla, questo progetto mette in luce la fragilità e la forza di chi affronta quotidianamente questa malattia»: così l’AISM di Milano (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) presenta la mostra fotografica Bambù – Disagio e Resilienza, che verrà inaugurata il 7 maggio (ore 19) e sarà poi visitabile fino al 13 maggio (a ingresso gratuito) all’Ex Fornace di Milano (Alzaia Naviglio Pavese, 16).

«La sclerosi multipla – ricordano poi dall’AISM del capoluogo lombardo – è una malattia sempre più invisibile, difficile da riconoscere all’esterno, ma compagna quotidiana per tutte le persone che vi convivono. Questa mostra è strutturata sostanzialmente attorno a tre elementi chiave, ossia i veli, che avvolgono il corpo e offuscano la visione, rappresentando la malattia che si manifesta in modo improvviso e inaspettato; lo specchio, che riflette il sé e pone interrogativi su identità e percezione: cosa si vede da fuori? Cosa vedono gli altri? Questo corpo è ancora il mio? E infine la sedia, simbolo di appoggio che rappresenta il bisogno di sostegno per affrontare il disagio, ma anche il ruolo degli altri nel fornire aiuto e comprensione. Il titolo Bambù è una metafora botanica che esprime l’emblema della resilienza: il bambù, infatti, si piega senza spezzarsi, proprio come chi convive con la sclerosi multipla, trovando nella propria flessibilità la forza per affrontare la quotidianità».

«Un’esperienza fotografica e umana – concludono dall’Associazione – che invita quindi alla riflessione per sensibilizzare il pubblico sulla realtà di una malattia che è diventata sempre più invisibile grazie ai progressi della ricerca, ma che resta profondamente impattante per chi la vive sul proprio corpo. Un’esposizione da non perdere, per comprendere, attraverso l’arte, cosa significa convivere con la sclerosi multipla».

L’iniziativa, va segnalato in conclusione, è stata realizzata anche grazie al supporto tecnico di Stamperia Milanese e dell’Istituto Italiano di Fotografia, oltre ad avvalersi del patrocinio del Municipio 6 del Comune di Milano. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Luigi Moroni (luigi.moroni@aism.it).

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Doppiaggio e audiodescrizione: arti imparentate “oltre il buio”

Savio Tanzi parla oggi di audiodescrizione e doppiaggio con Angelo Maggi, attore-doppiatore – o, come si definisce a teatro, “doppiattore” – che ha dato la voce italiana ad attori statunitensi quali Bruce Willis, Tom Hanks o Robert Downey Jr. Una testimonianza, quella di Maggi, che conferma la stretta parentela tra l’adattamento dialoghi per il doppiaggio e la scrittura per l’audiodescrizione, specialmente nel nostro Paese

Non è che per caso hai un fiammifero, vero?
(Chuck Noland al pallone Wilson, nel film Cast Away, 2000).

Una foto di qualche anno fa di Angelo Maggi con l’attore americano Tom Hanks, che ha doppiato, tra l’altro, nel film “Cast Away”

Con la mia ormai consueta serie di interviste a tema audiodescrizione, cerco di portare ai Lettori e alle Lettrici di Superando, assetati di arte come tutti, contributi interessanti che possano svelino cosa ci sia davvero dietro il lavoro di audiodescrizione di un’opera audiovisiva per i fruitori con disabilità visiva.
Con lo speaker cieco Mario Loreti abbiamo affrontato il sentito tema dell’importanza di una voce calda e umana a speakerare i copioni di audiodescrizione, anziché quella fredda e sintetica di molti prodotti. Con l’audiodescrittrice e dialoghista Laura Giordani si è parlato dell’importanza di scovare i dettagli, quelli che contano. Con un’altra grande Laura, la presidente Raffaeli, fondatrice dell’Associazione Blindsight Project, ho potuto scoprire di più su un’importante associazione a tutto tondo dedicata alle disabilità sensoriali – e tutti i bisogni che ne conseguono nella vita di tutti i giorni. Per l’articolo di oggi, ho avuto l’onore di conoscere un’eccellenza italiana del doppiaggio, arte particolarmente apprezzata dai fruitori ciechi e ipovedenti italiani. Ho avuto infatti la fortuna di parlare di audiodescrizione e doppiaggio con Angelo Maggi, attore-doppiatore – o, come giustamente si definisce a teatro, “doppiattore” – che dà la voce italiana a importantissimi interpreti statunitensi quali Bruce Willis (come nel film Il sesto senso) o Tom Hanks (come negli indimenticabili capolavori Cast Away e Cloud Atlas), ma anche Robert Downey Jr nelle sue numerose opere Marvel o a simpatici e celeberrimi personaggi di animazione, come il commissario Winchester dei Simpson o Woody in Toy Story 4. E si potrebbe andare avanti a nominare altre indimenticabili lavorazioni per ancora tante altre pagine.
Se è vero com’è vero che una buona audiodescrizione ha l’onore e l’onere di fondersi ai dialoghi (i quali sono doppiati ogni qual volta si stia godendo di un prodotto audiovisivo di provenienza straniera), allora anche chi lavora nel mondo del doppiaggio può dirci qualcosa di vero, importante e necessario su un tema spesso giudicato ingiustamente “di nicchia” o “minoritario” come l’audiodescrizione. A continuazione, il nostro scambio.

Conosce l’audiodescrizione? Finora ne ha mai fatto esperienza?
«La conosco, non ne ho mai usufruito né mai prestato la voce, ma decisamente mi piacerebbe farlo: è un ausilio che mi affascina ed è una professione che apprezzo e stimo molto. Lo definirei come il racconto per persone cieche o ipovedenti di quanto accade sullo schermo. Didascalie che raccontano il susseguirsi delle azioni».

Come accade nel doppiaggio, anche l’audiodescrizione spesso si serve di figure improvvisate per il risparmio dei costi, danneggiando i fruitori. Che cosa ne pensa?
«Sicuramente anche nel doppiaggio c’è stata una maggiore attenzione negli ultimi vent’anni a costi e tempi delle lavorazioni, cosa che nei primi Anni Ottanta – quando ho iniziato io – era profondamente diversa. Probabilmente si aveva più attenzione per la qualità, non si pensava tanto alle tempistiche, ma a fare tutto per bene. Oggi, invece, soprattutto con l’avvento dell’era digitale, si tende più a pensare ai costi e la qualità ne risente. Si cerca di risparmiare tempo e denaro. Lo stesso sicuramente avverrà nell’audiodescrizione, è una tendenza globale. Se per il semplice obiettivo di risparmiare si ricorre a gente inesperta, non formata, senza alcuno studio alle spalle, il risultato e la qualità finale ne risentono».

Che cosa auspica per il doppiaggio, per il cinema e per l’accessibilità cinetelevisiva?
«Auspico, per esempio, la possibilità di dare cuffiette a persone non vedenti, potendo così ascoltare le voci del doppiaggio – un’eccellenza tutta italiana, invidiataci dal mondo intero – ascoltando un film e “vedendo” le voci con l’aiuto della cuffietta per l’audiodescrizione. E sottolineo il verbo “vedere”, perché una voce può essere vista, soprattutto quando l’attenzione è tutta rivolta all’udito, come succede per i fruitori di audiodescrizioni».

Anche nel doppiaggio si lavora nel buio: gli stessi doppiatori vengono spesso definiti delle “voci nel buio”. Dalla sua esperienza, quali analogie riesce a trovare tra doppiaggio e audiodescrizione in tal senso?
“Il mio ultimo spettacolo, Il camaleonte. La voce oltre il buio è incentrato proprio su questo tema. Già nel titolo mi sono trovato a operare un superamento da “voce nel buio” a “voce oltre il buio”. In questo mio show, in cui il protagonista è il doppiaggio, racconto quella che è stata la mia esperienza, l’inizio della mia carriera. Ricordo vividamente il momento in cui mi sono affacciato a questa professione e sono entrato per la prima volta in sala doppiaggio. La prima cosa che mi colpì fu questo buio pesto. Lì ho potuto subire il fascino di quelle voci che mi emozionarono. Vedere come combaciassero a sync con le immagini fu una magia, me ne innamorai perdutamente.
Sicuramente con l’audiodescrizione è la stessa cosa: un attore-doppiatore spera che le stesse emozioni che prova nel buio della sala al leggio possano arrivare agli spettatori. Lo stesso auspicio animerà un buon audiodescrittore che lavora a un prodotto: al di là di tutti gli aspetti tecnici della professione, l’audiodescrittore lavora per permettere ad altre persone nel “buio” di provare delle emozioni. Si può senz’altro fare questo parallelismo ed è un lavoro molto importante che credo non morirà mai, neanche con l’intelligenza artificiale. Per raccontare – o in questo caso descrivere – un prodotto audiovisivo serve infatti l’anima, un valore aggiunto di cui l’intelligenza artificiale non potrà mai dotarsi. Un esempio in tal senso lo può fornire il mio contributo nel film del 2000 Cast Away, nel quale ho doppiato Tom Hanks. Nella scena in cui il suo personaggio, il naufrago Chuck Noland, perde il suo amato pallone Wilson e urla per cercare di recuperarlo mentre si allontana, galleggiando in mare aperto, io pensavo a mio padre che era venuto a mancare da poco tempo. In quel caso, ebbi la possibilità di recitare facendo leva su un mio dolore, mettendoci l’anima, cosa che non potrà mai avvenire con l’intelligenza artificiale».

Testimonianze come questa, dunque, ribadiscono la stretta parentela che intercorre tra l’adattamento dialoghi per il doppiaggio e la scrittura per l’audiodescrizione, specialmente in Italia. Nel “bel Paese”, infatti, la pregiata tradizione del doppiaggio ha decisamente impresso come la cera di un francobollo le sue consuetudini e il suo modus operandi nella stesura dei testi descrittivi dell’audiodescrizione. A ogni buon audiodescrittore che si rispetti, inoltre, vengono richieste nozioni di linguaggio filmico e conoscenza dell’industria cinematografica: pertanto, è bene che se ne intenda anche di doppiaggio.
Le due arti – doppiaggio e audiodescrizione – sono cugine, anzi sorelle! Prova ne sia uno dei tratti “genetici” che più di altri spicca nel loro legame di parentela: il buio. Quello fisico che governa nella sala di doppiaggio, laddove attori, direttori, assistenti, fonici e talvolta dialoghisti si riuniscono per lavorare all’edizione italiana di un prodotto. Quello metaforico nel quale esistono le voci di questa particolare categoria di attori, che per definizione rimangono “all’ombra” degli interpreti stranieri doppiati. E, infine, quello totale o parziale che può caratterizzare la vista di un fruitore: un limite sensoriale che – quantomeno da un punto di vista artistico, culturale e in parte sociale – può essere superato o colmato da parole. Queste stuzzicano la mente, proiettando il film nella sala cinematografica più umana che ci sia: l’immaginazione.

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La Fondazione Bambini e Autismo di Pordenone a “104 – The Caregiving Expo”

Uno stand informativo per tutte e tre le giornate, l’organizzazione di un incontro l’8 maggio sul tema “Salute e disabilità: le risposte concrete” e la partecipazione, il 10 maggio, all’altro incontro “Abitare inclusivo: libertà di scelta per una vita indipendente”: consisterà in questo la presenza della Fondazione Bambini e Autismo di Pordenone a “104 – The Caregiving Expo”, evento della città friulana, dedicato a chi si prende cura delle persone anziane, fragili e con disabilità Filippo Ghelma, responsabile del DAMA (“Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”) all’Ospedale San Paolo di Milano, parteciperà all’incontro promosso l’8 maggio a Pordenone dalla Fondazione Bambini e Autismo

Dall’8 al 10 maggio, anche la Fondazione Bambini e Autismo di Pordenone parteciperà attivamente a 104 – The Caregiving Expo, evento in programma presso la Fiera di Pordenone, interamente dedicato a chi si prende cura delle persone anziane, fragili e con disabilità, già da noi ampiamente presentato in altra parte del giornale. Oltre infatti ad esservi presente con un proprio stand informativo, insieme alla Consulta Regionale delle Associazioni delle Persone con Disabilità e delle loro Famiglie del Friuli Venezia Giulia, la Fondazione vi promuoverà anche, nella mattinata dell’8 maggio (ore 10), un incontro sul tema Salute e disabilità: le risposte concrete, moderato da Luca Apollonio dell’ Associazione Noi Uniti per l’Autismo di Pordenone, con gli interventi di Filippo Ghelma, presidente dell’ASMeD (Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità) e responsabile del DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance, ovvero “Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”) all’Ospedale San Paolo di Milano, che tratterà il tema Disabled Advanced Medical Assistance (DAMA): una questione di diritti; Roberto Dall’Amico, direttore del Dipartimento Materno Infantile all’Ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone (Le cure pediatriche nei disturbi neuropsichiatrici); Cristina Meneguzzi, direttrice del Dipartimento delle Dipendenze e della Salute Mentale nell’ASFO (Azienda Sanitaria Friuli Occidentale) (Psichiatria e salute); Cinzia Raffin, presidente e direttore scientifico della Fondazione Bambini e Autismo (L’Unità di Urgenza e prevenzione per l’Autismo-UUPA: una risposta concreta); Emanuela Sedran, responsabile della formazione nella Fondazione Bambini e Autismo (Vi.Co. Hospital: come la tecnologia può aiutare). Per le considerazioni finali è stato invitato Riccardo Riccardi, assessore alla Salute, alle Politiche Sociali e alla Disabilità della Regione Friuli Venezia Giulia.

La Fondazione Bambini e Autismo parteciperà poi, nella mattinata del 10 maggio (ore 10) anche all’incontro Abitare inclusivo: libertà di scelta per una vita indipendente, organizzato dalla Consulta Provinciale di Pordenone, con il contributo del proprio direttore generale Davide Del Duca, riguardante Un nuovo modello di residenzialità che viene da lontano: l’abitare secondo Fondazione Bambini Autismo.

Da segnalare infine che per tutte e tre le giornate della manifestazione la Fondazione presenterà una mostra di mosaici realizzati presso l’Officina dell’Arte, il proprio centro lavorativo per persone con autismo adulte. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: relazioniesterne@bambinieautismo.org.

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Persone con disabilità e lavoro: collocate assai poco!

«A oltre 25 anni di distanza dall’entrata in vigore della Legge 68/99 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”) e del passaggio di competenze dal Ministero del Lavoro alle Regioni, ci sono oltre un milione di iscritti al Collocamento Disabili, mentre ne risultano occupati solo 360.000» lo scrive Marino Bottà introducendo questo suo approfondimento, dedicato anche a come funziona l’avviamento al lavoro delle persone con disabilità Persone con disabilità impegnate nell’orticoltura

A oltre 25 anni di distanza dall’entrata in vigore della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) e del passaggio di competenze dal Ministero del Lavoro alle Regioni, la situazione occupazionale delle persone con disabilità non è per nulla migliorata. Alcune Associazioni storiche desidererebbero addirittura un ritorno alla vecchia normativa (Legge 482/68) e al collocamento obbligatorio. Ci sono infatti oltre un milione di iscritti al Collocamento Disabili, mentre ne risultano occupati solo 360.000, pari al 35,85%, contro il 51,3% della media europea.
Il lavoratore con disabilità occupato ha in media un’età di 59 anni (solo il 17,5% ha meno di 40 anni) e uno stipendio medio di circa 18.000 euro all’anno. Nella quasi totalità dei casi appartiene alla categoria dei cosiddetti “disabili-abili” (titolati, professionalizzati e privi di problemi intellettivi, mentali e sensoriali). Infatti, Il 63% è laureato e il 42,7% è diplomato. Solo il 16,9% lavora nell’industria, il 6,4% nell’agricoltura e la restante parte in settori non produttivi. Al contrario i disoccupati cosiddetti “disabili-disabili” non lavorano e dispongono delle cooperative sociali (diffuse prevalentemente al nord) e di strutture occupazionali diurne; mentre la maggior parte trascorre il proprio tempo in famiglia.

Vista l’età degli occupati, si può facilmente dedurre che molti di loro siano stati inseriti dal vecchio collocamento obbligatorio, prima dell’anno 2000 (entrata in vigore della Legge 68/99). Va inoltre considerato che dopo il 2010, la quasi totalità degli occupati ha trovato il lavoro autonomamente o tramite le agenzie per il lavoro. Ovviamente nel numero degli occupati sono compresi i lavoratori già dipendenti che hanno acquisito l’invalidità in costanza di rapporto di lavoro. Ne consegue che il collocamento pubblico ha collocato un numero risibile di iscritti. Ossia solo quelli che sono stati avviati numericamente dopo che l’azienda non aveva rispettato i patti declinati in una convenzione redatta ai sensi dell’articolo 11 della Legge 68/99 («[…] gli uffici competenti […] possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla presente legge […]». Nel caso poi di mancata assunzione secondo le modalità «[…] gli uffici competenti avviano i lavoratori […] per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili». Ovviamente, l’assunzione non riguarda i primi in graduatoria, ma i lavoratori in possesso dei requisiti richiesti.

Nella tabella disponibile a questo link, vi sono i dati ufficiali sullo stato di attuazione della Legge 68/99 nel decennio che va dal 2011 al 2021 (Relazioni al Parlamento: di più recenti non ne esistono). Essi indicano una media annua di avviati al lavoro pari a 36.000 persone delle quali 27.076 perdono il posto entro 12 mesi, pari al 75%. È pertanto difficile pensare al collocamento pubblico come ad un servizio per il collocamento mirato. La persona giusta al posto giusto! «Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione» (articolo 2 della Legge 68/99).
Eppure, i servizi provinciali dispongono del Comitato Tecnico, un organismo composto da medici e da tecnici esperti in materia, che dovrebbero segnalare alle aziende i candidati disponibili e adatti al loro contesto produttivo. Purtroppo, nella quasi totalità dei casi non avviene ed è inconcepibile, visto il mandato normativo! Va da sé che le imprese costrette ad arrangiarsi ricorrono alle agenzie per il lavoro e assumono quelli che prima sono stati definiti come “disabili abili. Ne consegue che oltre l’80% degli iscritti dichiara di non avere ricevuto alcuna proposta di lavoro dal collocamento.

Bisogna quindi prendere atto che gli Uffici Provinciali non collocano le persone con disabilità, e tanto meno le accompagnano al lavoro; sono invece impegnati nella gestione delle procedure burocratiche: iscrizioni, convenzioni, esoneri, ottemperanze ecc. Questa situazione causa evasione ed elusione degli obblighi con punte del 70%. Infatti, le aziende spesso si impegnano ad assumere un certo numero di lavoratori con disabilità, che però spesso disattendono. Purtroppo, il Ministero del Lavoro ignora la situazione e gli Assessori Regionali si accontentano di quanto viene loro rendicontato dai dirigenti degli uffici competenti, mentre la classe politica non dispone di strumenti oggettivi di valutazione, vista l’inesistenza di una banca dati nazionale e di statistiche aggiornate.
È amaro, quindi, dover concludere dicendo che il sistema di collocamento nei prossimi anni continuerà a navigare nella “nebbia del percepito”, accompagnato dal suono della propaganda delle varie parti in causa.

«Dopo 23 anni, le persone con disabilità non hanno ancora capito che non spetta a noi collocarli»: questo è quanto mi disse qualche anno fa il responsabile del collocamento di una Provincia del Centro Italia, dimentico della pomposa targa affissa alla porta d’ingresso “Collocamento Mirato”. Ma, al di là di queste amarezze, vediamo come funziona l’avviamento al lavoro per le persone con disabilità.
Di norma l’azienda individua autonomamente il lavoratore (assunzione nominativa) e quindi chiede il nullaosta. L’Ufficio Provinciale competente per territorio verifica se il lavoratore è regolarmente iscritto, dopo di che ne autorizza l’assunzione.
Ma come fanno le aziende a trovare i lavoratori? Possono rivolgersi al collocamento. L’ufficio spesso non risponde o invia un elenco generico di nominativi. In alcune Province, invece, provvede a esporre un bando presso i propri uffici e redige un’apposita graduatoria. Il più delle volte le imprese si rivolgono alle agenzie per il lavoro, affrontando così il sovraccosto dovuto alla somministrazione, o si rifanno ai curricula che hanno ricevuto. Questo spiega l’enorme percentuale di chi perde rapidamente il posto di lavoro. Del resto, non può essere altrimenti fino a che non ci saranno: un efficace collocamento mirato, un percorso di accompagnamento personalizzato e un passeur (Disability Job Supporter) in grado di favorire la transizione al lavoro. Per ora il sistema pubblico resta solo una vetrina senza negozio.

Vista la situazione, dunque, cosa può fare un lavoratore con disabilità in cerca di lavoro? Se è in possesso di una discreta professionalità e ha un buon potenziale occupazionale, può iscriversi al collocamento e poi rivolgersi a tutte le agenzie per il lavoro possibili. È inoltre utile navigare in internet e cercare enti pubblici, privati o del privato sociale che si occupano di inserimento al lavoro. Qualora decidesse di inviare il curriculum, è bene premettere un breve scritto per richiamare l’interesse del recruiter.
Se la persona presenta particolari difficoltà di inserimento al lavoro, è bene che si rivolga ai servizi pubblici locali o alle cooperative sociali.
Si può quindi concludere dicendo che il sistema pubblico non si occupa di collocamento mirato, ma di avviamento numerico (in media 127 avviati ogni anno).

*Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco, oggi presidente dell’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) (marino.botta@andelagenzia.it).

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Soluzioni terapeutiche dall’incontro tra ricerca medica e spaziale

L’IRCCS Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lecco) – sezione scientifica dell’Associazione La Nostra Famiglia – e la Società Mars Planet Technologies hanno recentemente sottoscritto un protocollo d’intesa per sviluppare congiuntamente attività di ricerca e innovazione nel campo della medicina spaziale, con l’obiettivo, tra l’altro, di ottenere strumenti innovativi da sperimentare nei trattamenti di neuropsicomotricità e in generale nella disabilità motoria Una seduta di lavoro ad AstroLab, laboratorio di riabilitazione hi-tech con realtà virtuale e robotica, presso l’IRCCS Medea di Bosisio Parini (Lecco)

L’IRCCS Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lecco) – sezione scientifica dell’Associazione La Nostra Famiglia – e la Società Mars Planet Technologies hanno recentemente sottoscritto un protocollo d’intesa per sviluppare congiuntamente attività di ricerca e innovazione nel campo della medicina spaziale. «Questa collaborazione – spiegano dall’IRCCS Medea – mira a studiare e mitigare gli effetti dell’ambiente spaziale sulla salute e sulle prestazioni umane negli ambienti estremi, con particolare attenzione alla fisiologia e alla riabilitazione in condizioni di microgravità. In particolare, l’accordo prevede il trasferimento tecnologico delle soluzioni sviluppate a supporto delle attività umane nello spazio, mutuandole e adattandole in termini applicativi alla medicina riabilitativa, con l’obiettivo di fornire in dotazione strumenti innovativi da sperimentare nei trattamenti di neuropsicomotricità e in generale nella disabilità motoria».

Centro di eccellenza nella ricerca scientifica e nella riabilitazione medica, l’IRCCS Medea unisce quindi le proprie competenze specialistiche all’esperienza di Mars Planet Technologies, attiva nello sviluppo di tecnologie per missioni di simulazione umane nello spazio, medicina spaziale in àmbito VR/XR/AR (rispettivamente realtà virtuale, estesa e aumentata) e sistemi di supporto alla vita.
In particolare, attraverso questo accordo, le due realtà intendono promuovere progetti di ricerca sulla medicina spaziale; valorizzare competenze mediche e ingegneristiche in un contesto di innovazione; creare un polo di riferimento per la ricerca, formazione ed educazione nel settore; avviare collaborazioni con enti di ricerca, università e agenzie spaziali. Il tutto per rafforzare il rispettivo impegno nel costruire un futuro in cui spazio e medicina si incontrino, per spingere i confini della conoscenza e del benessere umano.

«La collaborazione tra istituzioni mediche e tecnologiche – commenta Sandra Strazzer, responsabile dell’Unità Operativa Complessa per le Cerebrolesioni Acquisite dell’IRCCS Medea – può accelerare lo sviluppo di nuove metodologie diagnostiche, terapeutiche e riabilitative. In reparto accogliamo bambini che, in seguito ad un trauma cranico, passano da un’attività di gioco e di movimento alla completa immobilità. Ebbene, dalla collaborazione multidisciplinare con Mars Planet Technologies ci aspettiamo ricadute importanti anche sulle applicazioni terrestri, sia per quanto riguarda l’interpretazione dei cambi metabolici sia per gli sviluppi di innovazioni tecnologiche riabilitative».
«Questa intesa – afferma dal canto suo Antonio Del Mastro, direttore tecnico di Mars Planet Technologies – rappresenta un passo fondamentale per lo sviluppo di soluzioni innovative che possano migliorare la salute degli astronauti nelle future missioni spaziali e, al contempo, offrire nuove applicazioni terapeutiche sulla Terra. Si tratta di un segmento della Space Economy destinato ad avere sempre più importanza nel quadro del trasferimento tecnologico, che Mars Planet Technologies intende interpretare attraverso la collaborazione con uno dei principali attori della medicina riabilitativa». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Cristina Trombetti (cristina.trombetti@lanostrafamiglia.it); Eugenio Sorrentino (eugenio.sorrentino@marsplanet.org).

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Diritti in Sanità e in Salute Mentale

“I diritti in sanità ed in salute mentale”: è questo il titolo del convegno-dibattito pubblico che si terrà a Bologna il 9 maggio, iniziativa promossa dall’Associazione Diritti Senza Barriere che proporrà un confronto sui temi della salute mentale, ma anche sull’amministrazione di sostegno e, più in generale, sugli istituti di tutela giuridica, nella cui applicazione sono state riscontrate rilevanti criticità. Tante, e tutte di spicco, le figure coinvolte

I diritti in sanità ed in salute mentale: si intitola così il convegno-dibattito pubblico che si terrà a Bologna il 9 maggio, iniziativa promossa da Diritti Senza Barriere, Associazione di Volontariato attiva dal 2001, che si ispira ai principi della solidarietà umana e si prefigge di operare nell’àmbito della tutela e promozione dei diritti nel settore sanitario e assistenziale, al fine di migliorare la qualità dei servizi sanitari.
Nella suggestiva cornice della Cappella Farnese, presso Palazzo d’Accursio di Bologna (Piazza Maggiore, 6), verrà dunque proposto un confronto sui temi della salute mentale, ma anche sull’amministrazione di sostegno e, più in generale, sugli istituti di tutela giuridica, nella cui applicazione sono state riscontrate rilevanti criticità. L’evento è dedicato alla memoria di Paolo Dotta, un farmacista molto stimato, deceduto nel febbraio scorso.

I lavori – che si svolgeranno dalle 14 alle 18,30 – saranno coordinati da Bruna Bellotti, presidente dell’Associazione organizzatrice e dopo il saluto di Massimo Masotti, consigliere dell’Ordine Provinciale dei Medici e degli Odontoiatri di Bologna, interverranno Ivan Cavicchi, docente all’Università Tor Vergata di Roma, sul tema Cambiare il modo di pensare la salute mentale, significa anche cambiare le prassi nell’affrontare la sofferenza mentale; Andrea Angelozzi, psichiatra, già direttore del Dipartimento Salute Mentale dell’Azienza USL del Veneto (I servizi di salute mentale dell’Emilia-Romagna secondo i dati SISM (Sistema Informativo Salute Mentale) del periodo 2015-2023); Francesco Trebeschi, avvocato civilista e amministrativista del Foro di Brescia (Tutela e amministrazione di sostegno: il ruolo e i poteri che la legge e la giurisprudenza riconoscono ai familiari); Claudia Moretti, avvocata civilista del Foro di Firenze (I doveri e le responsabilità dell’amministratore di sostegno, verso il beneficiario e nei rapporti con la Pubblica Amministrazione della presa in carico); Rita Fochesato, notaia del Distretto di Trento e Rovereto (Possibili soluzioni notarili funzionali ad una regolamentazione giuridica di protezione rispetto ad una condizione, attuale o futura, effettiva o potenziale, di Fragilità della Persona).

Al convegno parteciperanno, in presenza o da remoto, anche ulteriori figure del mondo della comunicazione, dell’associazionismo di settore, o “semplici testimoni” di vicende legate all’area della salute mentale o all’applicazione degli istituti di tutela giuridica. (Simona Lancioni)

Il programma dettagliato del convegno-dibattito pubblico è scaricabile a questo link. Per altre informazioni: dirsenbar@yahoo.it.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con alcune modifiche dovute al diverso contenitore – per gentile concessione.

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“Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo”: un evento speciale per le scuole

L’8 maggio il docufilm Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo”, dedicato alla storia della celebre atleta paralimpica, sarà al centro di un evento speciale riservato alle scuole, e ospitato dal The Space Cinema Roma Moderno, oltreché trasmesso in contemporanea in tutte le altre sale del circuito (ad eccezione di Salerno), segnando l’uscita ufficiale del lungometraggio nelle sale italiane Un’immagine tratta dal docufilm dedicato ad Ambra Sabatini

Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo: si chiama così il docufilm dedicato alla storia della celebre atleta paralimpica, che nella mattinata dell’8 maggio (ore 10) sarà al centro di un evento speciale riservato alle scuole, e ospitato dal The Space Cinema Roma Moderno, oltreché trasmesso in contemporanea in tutte le altre sale del circuito (ad eccezione di Salerno), segnando l’uscita ufficiale del lungometraggio nelle sale italiane.
Pensato come momento di incontro e ispirazione per le nuove generazioni, l’evento offrirà quindi al pubblico scolastico l’opportunità di confrontarsi con una storia di determinazione, crescita e rinascita e in sala a Roma saranno presenti la stessa Ambra Sabatini, il regista del docufilm Mattia Ramberti, il conduttore radiofonico e televisivo Gianluca Gazzoli e il giornalista Giovanni Bruno.

L’opera dura 60 minuti e ripercorre le tappe più significative della vita di Ambra Sabatini, dall’incidente che nel 2019 le ha cambiato la vita alla medaglia d’oro e al record mondiale conquistati alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 (in realtà 2021), fino alle recenti sfide internazionali, tra cui le Paralimpiadi di Parigi 2024. «Un racconto autentico e coinvolgente – come si legge nella presentazione – che affronta temi fondamentali come la resilienza, l’inclusione e la valorizzazione della diversità, offrendo spunti importanti per le nuove generazioni».
«Girare questo docufilm – racconta Ambra Sabatini – è stata una delle esperienze più incredibili che abbia mai fatto. Non dimenticherò mai le intense giornate di riprese passate con la mia fantastica troupe. È stato uno dei periodi più intensi della mia vita, dentro ci sono stati sogni, difficoltà, crescita e rinascita. Vedere il film concluso sarà per me un’emozione fortissima e mi auguro, anzi sono sicura, che per tanti altri sarà lo stesso».

Diretto, come detto, da Mattia Ramberti, il docuufilm è una coproduzione Giffoni Innovation Hub e BlackBox Srl, realizzato in collaborazione con Autostrade per l’Italia, che ha scelto Sabatini come testimonial per le proprie campagne sulla sicurezza stradale. Il progetto ha visto inoltre il supporto di Accenture Song. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: petroccione@spencerandlewis.com (Antonio Petroccione).

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I nuovi dati sull’autismo negli Stati Uniti parlano di un costante aumento dei casi

I nuovi dati divulgati dai Centri di Controllo e Prevenzione delle Malattie statunitensi evidenziano come negli USA ci sia stato un nuovo incremento delle diagnosi di autismo, con una prevalenza di un bambino di 8 anni su 31. È auspicabile che questo fenomeno induca anche l’Italia, dove si registra un aumento delle forme più severe, ad investire in quegli interventi precoci e intensivi (ABA), che hanno mostrato la maggiore efficacia

I nuovi dati divulgati dai Centri di Controllo e Prevenzione delle Malattie statunitensi evidenziano come negli USA ci sia stato un incremento delle diagnosi di autismo, con una prevalenza di un bambino di 8 anni su 31 (3,22%) per il 2022. Un incremento, questo, che non può essere spiegato soltanto con la diversa classificazione o con la diversa propensione a fare diagnosi. È pertanto auspicabile che questo fenomeno induca anche l’Italia, dove si registra un aumento delle forme più severe, ad investire in quegli interventi precoci e intensivi che hanno mostrato la maggiore efficacia.

Entrando nel dettaglio dei dati esaminati, va innanzitutto ricordato che nei siti della rete di monitoraggio dell’autismo e delle disabilità dello sviluppo (ADDM) dei CDC di Atlanta (Centers of Disease Control and Prevention) – siti che fin dal 2000 si trovavano in 11 Stati degli USA, ora saliti a 16 – si esegue, a cadenza biennale, un’indagine campionaria sulla prevalenza del disturbo dello spettro autistico, nei confronti dei bambini di 4 e di 8 anni.
Ebbene, alla vigilia del 2 aprile di quest’anno, Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo, è stata pubblicata dai CDC una nuova indagine sulla prevalenza (disponibile a questo link), nella quale si riporta che nell’anno 2022 un bambino di 8 anni su 31 (32,2 per mille) aveva la diagnosi di autismo. Tale cifra è molto superiore a quella del 2020 (1 su 36, pari al 28 per mille), che a sua volta presentava un aumento ancora più elevato rispetto a quella del 2018 (1 su 44, pari al 23 per mille). Anche nel 2022, inoltre, la prevalenza ha mostrato una variabilità fra siti altissima, andando dal 9,7 per mille del Texas al 53,1 per mille in California. Il disturbo dello spettro autistico è risultato infine 3, 4 volte più prevalente tra i maschi (49,2) rispetto alle femmine (14,3) e tra i bambini di 8 anni il 39,6% è stato classificato anche come persona con disabilità intellettiva.

A questo punto, per fare un confronto con il nostro contesto italiano, ricordiamo che l’Istituto Superiore di Sanità, con metodologia simile a quella americana ADDM, nel 2019 ha riscontrato un bambino ogni 77 (ultimo dato disponibile), ovvero più o meno lo stesso livello della ricerca dei CDC di Atlanta del 2008, cioè a 11 anni di distanza.
Le mamme americane sanno ormai che i figli con disturbo dello spettro autistico possono usufruire di interventi intensivi, che per essere più efficaci debbono essere effettuati più precocemente che sia possibile. Le mutue e gli Stati, sia pure in modi differenti fra loro, offrono da molti anni e sempre con maggiore ampiezza gli interventi basati sull’ABA (Applied Behaviour Analysis – Analisi Applicata del Comportamento), che la Linea Guida dell’AAP (American Academy of Pediatrics) consiglia come intervento di elezione. Queste differenze sono una delle cause della variabilità di prevalenze fra un sito e l’altro, poiché è noto che la migliore assistenza aumenta la spinta della domanda delle famiglie ad aumentare le diagnosi, persino con trasferimenti di residenza da uno Stato a un altro più generoso.
La stessa raccomandazione verso gli interventi basati sull’ABA, seppure seguita con molta fatica e in poche ASL, veniva data in Italia nel 2011 anche dalla nostra Linea Guida Ministeriale n. 21 dell’Istituto Superiore di Sanità sull’autismo nei bambini e negli adolescenti, uscendo finalmente dall’oscurantismo delle psicoanalisi psicodinamica sistemica e lacaniana le quali, com’è noto, sostenevano che l’autismo fosse provocato da carenza di affetto della madre, perciò definita “madre frigorifero”. Purtroppo, la nuova generazione di esperti del Centro Nazionale di Eccellenza Clinica dell’Istituto Superiore di Sanità ha cancellato la Linea Guida n. 21, che pure era stata confermata nel 2015 e dalle Linee di Indirizzo del 2018, tuttora vigenti, facendo accettare ai vari portatori d’interesse (associazioni di familiari e di esperti) di considerare equivalenti tutti i tipi di interventi senza prove eccellenti di efficacia. Sarebbe come se tutti gli interventi avessero soltanto prove di efficacia molto basse.

La nostra Associazione APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale), insieme ad altre, ha tentato con ogni mezzo di denunciare questo errore che in statistica si definisce “effetto pavimento” (Floor Effect) o anche “effetto tetto”. Un errore che, se fosse passato inosservato, avrebbe automaticamente provocato il rifiuto di introdurre nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) gli interventi con prove intermedie, come appunto quelli basati sull’ABA. Questi ultimi, infatti, esigono interventi psicoeducativi precoci e intensivi, e quindi costosi, per almeno tre anni, cosicché, a parità di efficacia, ci si poteva attendere che le autorità sanitarie inserissero nei LEA (che dovrebbero essere garantiti a tutti) quelli meno costosi, non certo quelli intensivi, il cui costo veniva persino esagerato dall’Istituto Superiore di Sanità, come se dovesse essere praticato in forma residenziale e non sul territorio.
L’ultima edizione della Linea Guida per bambini e adolescenti dell’ottobre 2023 ha in parte corretto quell’errore, aggiungendo (pagine190-192 l), la tabella riassuntiva delle prove di efficacia, dalla quale emerge che gli interventi basati sull’ABA sono più efficaci degli altri per ridurre quasi tutti i “comportamenti problema” che ostacolano l’inclusione nella scuola e nella società delle persone con autismo. Ora ci si aspetta dunque che la Scuola e la Sanità italiane si adeguino alla buona prassi degli altri Paesi avanzati come l’Australia, anche perché i maggiori costi degli interventi intensivi proposti saranno più che compensati dai risultati.

La Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, che il 2 aprile scorso ha visto l’impegno a livello nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo), dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo) e di tutti i LIONS italiani, che hanno dedicato all’autismo il service dell’anno Autismo e inclusione, nessuno escluso, faccia agire tutta la nostra società, per evitare che l’Italia resti arretrata rispetto agli altri Paesi avanzati su un problema sociale sempre più importante come l’autismo.

*Rispettivamente presidente e segretario dell’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale).

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Oltre un milione e mezzo di persone con disabilità nell’Unione Europea vivono ancora segregate

«Oltre un milione e mezzo di persone con disabilità nell’Unione Europea – scrive Haydn Hammersley del Forum Europeo sulla Disabilità – vivono ancora segregate in strutture residenziali. In occasione dunque della Giornata Europea della Vita Indipendente, abbiamo voluto ribadire ancora una volta il nostro appello all’Unione Europea, ma anche ai governi nazionali, affinché abbandonino gli istituti segreganti a favore di servizi per la vita indipendente e basati sulla comunità» “Independent Living Now!”, ovvero “Vita Indipendente ora!”, recita il cartello

Oltre un milione e mezzo di persone con disabilità nell’Unione Europea vivono ancora segregate in strutture residenziali. In occasione dunque della Giornata Europea della Vita Indipendente del 5 maggio (The European Independent Living Day), la nostra organizzazione [EDF-Forum Europeo sulla Disabilità] ha voluto ribadire ancora una volta il proprio appello all’Unione Europea, ma anche ai governi nazionali, affinché abbandonino urgentemente gli istituti segreganti a favore di servizi per la vita indipendente e basati sulla comunità.
Già con il nostro documento su tale tema, prodotto nel marzo dello scorso anno, avevamo delineato le ragioni per cui non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla continua istituzionalizzazione delle persone con disabilità in tutta Europa e alla sconvolgente realtà che in molti Stati Membri dell’Unione Europea il numero di persone con disabilità istituzionalizzate continua ad aumentare.
Gli istituti segreganti negano alle persone con disabilità il diritto di scegliere come, dove e con chi vivere, ma possono anche diventare scenari di gravi violazioni dei diritti umani. Qui di seguito riportiamo alcuni esempi significativi di casi che hanno ricevuto particolare attenzione dagli organi d’informazione.
Whorlton Hall, una struttura ospedaliera specializzata nel Regno Unito, dove persone adulte con disabilità sono stati sottoposti ad abusi fisici e psicologici. La morte di una donna con disabilità in un istituto in Repubblica Ceca per mano di un membro del personale. E ancora, gravi violazioni dei diritti umani sono state denunciate in centri di assistenza per persone con disabilità in Romania, dove le persone con disabilità ivi residenti hanno dovuto affrontare carestia, torture e sfruttamento.

E tuttavia, per ogni caso che riceve l’attenzione degli organi d’informazione, innumerevoli altri rimangono sconosciuti. È stato dimostrato, inoltre, che le persone ricoverate in istituti psichiatrici corrono un rischio maggiore di abusi sessuali e fisici e di severe misure disciplinari, tra cui punizioni corporali e contenzioni, nonché casi di sterilizzazione forzata. In particolare le donne sono segnatamente più a rischio di tali abusi.
Abbiamo anche osservato, in anni recenti, quanto possano essere pericolose le strutture chiuse in periodi di crisi: si pensi alla pandemia da Covid, quando alcuni istituti sono diventati da una parte focolai di infezioni, dall’altra vere e proprie “centrali di abusi”. E con l’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo anche visto quanto fossero isolate le persone negli istituti e quanto le autorità fossero impreparate ad evacuare i residenti in luoghi sicuri, con il conseguente numero incalcolabile di vittime.

Torniamo dunque a invitare i responsabili politici a riconoscere quanto siano dannosi gli ambienti istituzionali segreganti per oltre un milione e mezzo di persone con disabilità nell’Unione Europea che ancora vi vivono, e a impegnarsi finalmente ad abbandonare questa pratica obsoleta e dannosa.

*Settore Politiche Sociali dell’EDF (Forum Europeo sulla Disabilità). Traduzione e adattamento in italiano a cura della redazione di Superando.

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