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Vorrei un sistema che sapesse garantire diritti, autonomia e inclusione reale alle persone con disabilità

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È il presidente della Consulta Regionale del Lazio per la tutela dei diritti della persona con problemi di disabilità, che costituisce per la Regione Lazio un organo primario di consultazione e di promozione per la piena inclusione delle persone con disabilità nella vita sociale e lavorativa. Impegnato da molti anni sul fronte dei diritti, Umberto Emberti Gialloreti, ingegnere, è il protagonista dell’intervista che presentiamo oggi Umberto Emberti Gialloreti

Ingegner Gialloreti, può raccontarci del suo percorso professionale e di come è nato il suo interesse per il mondo della disabilità?
«Il mio percorso professionale è lungo e articolato, ma cercherò di sintetizzarlo. Mi sono laureato in Ingegneria Mineraria nel 1973 e, quasi subito, sono stato assunto dall’AGIP Mineraria di San Donato Milanese, esperienza che mi ha portato a girare il mondo e ad entrare in contatto con numerosi àmbiti dell’ingegneria. Nel corso degli anni ho lavorato in diversi settori, accumulando esperienze preziose e diversificate. Verso la fine del secolo scorso ho dovuto confrontarmi con una condizione che avevo inconsapevolmente portato fin dalla nascita: una degenerazione retinica che, progressivamente, ha iniziato a limitarmi. A quel punto ho deciso di abbandonare la mia posizione di dirigente d’azienda, pur continuando per qualche tempo la libera professione, finché non mi è stato possibile interromperla del tutto.
Il passaggio alla nuova condizione di non vedente è stato un momento di grande sconvolgimento e disagio, ma anche l’inizio di un percorso di riabilitazione volto a imparare a convivere con questa realtà. Personalmente, non condivido l’idea di “accettazione” nel senso tradizionale del termine, perché ritengo che implichi una rassegnazione che per me non è accettabile.
Un punto di svolta importante è avvenuto quando il Presidente dell’UICI di Roma (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) mi ha chiesto di rappresentare l’Associazione in un organismo storico, la Consulta Cittadina Permanente sui Problemi delle Persone Handicappate, istituita nel 1981 dall’allora sindaco Petroselli, per monitorare e valutare le politiche di integrazione. Questo incarico mi ha permesso di entrare in contatto con rappresentanti di diverse disabilità e di confrontarmi su tematiche fondamentali per l’inclusione sociale.
Il vero inizio della mia “nuova” vita nel mondo del volontariato è arrivato intorno al 2010. Da allora, ho avuto l’onore di essere eletto prima vicepresidente e, nel 2014, presidente della Consulta Romana. Nel 2021, poi, sono stato eletto come presidente della Consulta Regionale, incarico riconfermatomi nel mese di luglio dello scorso anno. Questo percorso nel volontariato mi ha permesso non solo di contribuire attivamente al miglioramento delle politiche per le persone con disabilità, ma anche di vivere una rinascita personale e professionale, impegnandomi quotidianamente per un’inclusione più autentica e partecipata».

Quali sono, a suo avviso, le principali sfide che le persone con disabilità devono affrontare quotidianamente in Italia?
«Sono molteplici e di natura estremamente variegata. Un’espressione che uso spesso è: quando in una famiglia si manifesta una disabilità – e ciò può avvenire in ogni momento e nei modi più inaspettati – inizia un “viaggio con una valigia vuota”. Con queste parole intendo dire che, oltre allo sconcerto e allo sconforto iniziale, le famiglie si trovano improvvisamente a dover affrontare una carenza di informazioni essenziali per gestire questo passaggio epocale. Non dovrebbe essere un amico o un social network a fornire il supporto necessario, ma dovrebbe intervenire un’Amministrazione, con la A maiuscola, capace di dire: “Non preoccuparti, ci penso io!”. È indispensabile che le Istituzioni offrano un supporto concreto, fornendo informazioni chiare e accessibili su tutte le opportunità, i diritti e i servizi disponibili, trasformando così un percorso ad ostacoli in un cammino alla portata di tutti.
È proprio per questo impegno che mi dedico a diffondere informazioni e a promuovere una maggiore consapevolezza, affinché ogni famiglia, in un momento così delicato, possa sentirsi accompagnata e supportata, senza dover affrontare da sola un sistema troppo spesso complesso e poco trasparente».

Ha collaborato con diverse organizzazioni e istituzioni nel campo della disabilità. Può condividere alcune esperienze significative e i risultati ottenuti?
«Riassumere quindici anni di attività in poche righe non è semplice, ma alcuni risultati ottenuti a Roma sono particolarmente significativi. Ad esempio, la riforma dell’assistenza domiciliare del dicembre 2012 ha introdotto il diritto di scelta dell’utente tra assistenza diretta, indiretta o mista – un diritto, purtroppo, che nella pratica viene spesso negato. Un altro intervento fondamentale è stato la revisione del sistema di trasporto per le persone con ridotta o impedita mobilità, realizzata nel dicembre 2018. Questo servizio, che dal 1984 rappresentava un punto di forza per la nostra città, essendo inizialmente riservato ai ciechi e alle persone in carrozzina, è stato esteso anche ad altre disabilità, sebbene, anche a causa del particolare momento giubilare, permangano ancora diversi limiti.
Un ulteriore cambiamento importante riguarda la modalità di accreditamento per gli enti erogatori del servizio OEPAC, che garantisce l’assistenza scolastica fino alla scuola media inferiore. Con questo nuovo sistema, è stato possibile superare il proliferare di bandi municipali caratterizzati da difformità inaccettabili, assicurando così maggiore uniformità e qualità per i nostri ragazzi.
A livello regionale, abbiamo avuto l’opportunità di contribuire attivamente, durante il passaggio tra le due Giunte regionali (dal 2021 al 2024), per favorire la pubblicazione del Libro Verde sul sistema “Dopo di Noi”, strumento essenziale per affrontare le angosce delle famiglie e rivedere le modalità di intervento in questo àmbito. Infine, più recentemente, abbiamo partecipato ai lavori della 7ª Commissione Regionale, che ha approvato il primo Piano Regionale sull’Autismo, segnando un ulteriore passo avanti verso politiche più inclusive e mirate alle reali esigenze delle persone con disabilità».

Come valuta l’attuale legislazione italiana in materia di disabilità? Ci sono aspetti che ritiene debbano essere migliorati?
«La legislazione italiana in materia di disabilità, sulla carta, appare estremamente avanzata e ricca di buone intenzioni. Tuttavia, nella pratica si evidenzia un netto divario tra il testo normativo e la sua effettiva applicazione. La mancanza di provvedimenti attuativi, la cronica insufficienza delle risorse finanziarie e il continuo rinvio delle riforme promesse rendono difficile trasformare in realtà quanto previsto dalla legge.
Un esempio emblematico è rappresentato dal provvedimento definito “epocale”, noto anche con il nomignolo di “Riformona”, il quale, a causa di innumerevoli proroghe, è stato posticipato per almeno un anno. Questo episodio sottolinea come l’intenzione di innovare e migliorare il sistema debba essere supportata da un impegno concreto da parte delle Istituzioni, affinché la normativa possa tradursi in benefìci tangibili per le persone con disabilità».

L’accessibilità è un tema cruciale per l’inclusione. Quali passi concreti dovrebbero essere intrapresi per rendere le nostre città più accessibili?
«L’accessibilità non deve essere ridotta esclusivamente all’aspetto architettonico. È stato giusto evitare di “aggettivarla”, perché troppo spesso si è parlato delle barriere fisiche, come se, una volta abbattute, tutto fosse risolto. In realtà, esistono numerose altre barriere che devono essere superate: quelle digitali e, soprattutto, quelle culturali. Queste ultime, infatti, ci ricordano ogni giorno quanto sia ancora necessario un profondo cambiamento nel modo in cui concepiamo l’inclusione.
Per rendere le nostre città realmente accessibili, occorre adottare un approccio integrato che preveda interventi infrastrutturali (non solo abbattere gradini, ma ripensare gli spazi urbani per renderli fruibili da tutti); soluzioni digitali (promuovere tecnologie e servizi online accessibili, affinché ogni cittadino e cittadina possa beneficiare pienamente delle risorse digitali); cambiamento culturale (educare la società per superare stereotipi e pregiudizi, affinché l’inclusione diventi parte integrante della nostra cultura).
Solo con un impegno su tutti questi fronti potremo garantire un accesso equo e una partecipazione piena alla vita sociale per ogni individuo».

Nel contesto educativo, quali strategie ritiene siano più efficaci per favorire l’inclusione degli studenti con disabilità?
«Il diritto allo studio rappresenta, a mio avviso, l’ultimo diritto soggettivo realmente garantito, nonostante negli ultimi anni si siano verificati attacchi che avrebbero potuto sconvolgere persino figure di rilievo, come l’onorevole Falcucci, ricordata per avere eliminato, nel 1977, le cosiddette “classi differenziali”, un vero vanto italiano. La scuola, infatti, non è solo un luogo di istruzione, ma rappresenta il contesto sociale più decisivo per l’inclusione degli studenti con disabilità.
In quest’ottica, le strategie più efficaci per favorire l’inclusione sono molteplici e vanno ben oltre il semplice aspetto didattico: trasporto e assistenza: è essenziale, cioè, garantire un trasporto adeguato e servizi di assistenza specifici che permettano agli studenti di raggiungere la scuola e partecipare attivamente alle attività educative senza barriere; comunicazione e tecnologie: l’utilizzo di nuove tecnologie e tecniche di Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) è essenziale per creare ambienti di apprendimento accessibili e per superare le difficoltà comunicative che possono insorgere; sostegno in classe: il supporto didattico personalizzato e il sostegno diretto in classe sono determinanti per rispondere alle esigenze specifiche di ogni studente, garantendo così un percorso formativo completo; formazione dei docenti e del personale: la formazione continua e specializzata di docenti e operatori educativi è indispensabile per affrontare le sfide legate all’inclusione, assicurando competenze aggiornate e metodologie efficaci; integrazione sociale: infine, la scuola dev’essere un ambiente in cui si promuove la partecipazione attiva e l’integrazione sociale, affinché ogni studente, indipendentemente dalle proprie capacità, possa sentirsi parte integrante della comunità scolastica.
Solo attraverso un impegno congiunto e il costante investimento di risorse e professionalità, le Istituzioni potranno realmente garantire un’educazione inclusiva, capace di rispondere alle esigenze di una società che si proclama attenta, proiettata verso il futuro e moderna».

La tecnologia sta avanzando rapidamente. In quale modo le innovazioni tecnologiche possono supportare le persone con disabilità?
«Le nuove tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale, rappresentano oggi un’opportunità straordinaria che, se utilizzata con la giusta attenzione, può davvero costituire un nuovo paradigma per il supporto alle persone con disabilità. Tuttavia, è essenziale evitare quelle “sbornie” moderniste non ben valutate, che rischiano di proporre soluzioni appariscenti, ma non sempre efficaci o adatte alle reali esigenze degli utenti.
I progressi medico-scientifici resi possibili da queste innovazioni offrono speranze concrete: la tecnologia può infatti contribuire a diagnosticare e trattare tempestivamente patologie comuni, le cui incidenze aumentano con l’allungarsi della vita media delle persone con disabilità. È essenziale, ripeto, che tali strumenti vengano sviluppati e implementati con cautela, affinché anche quei casi definiti “non collaboranti” – termine che uso con una certa riserva, ma che serve a descrivere situazioni di particolare complessità – possano beneficiare di interventi adeguati.
Un esempio significativo è il Progetto Tobia, avviato presso l’Ospedale San Camillo di Roma e ora presente in cinque ospedali romani, che ha rivoluzionato l’approccio nei nosocomi laziali. Questo progetto dimostra come la tecnologia possa essere integrata nel sistema sanitario per migliorare la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento, offrendo un supporto più mirato e tempestivo alle persone con disabilità.
Se le innovazioni tecnologiche saranno maneggiate con cura e prudenza, esse potranno davvero contribuire a trasformare il modo in cui affrontiamo le sfide legate alla disabilità, migliorando la qualità della vita e favorendo un’inclusione sociale concreta, ricordando che l’approccio umano degli operatori, se autenticamente empatico, rende tutto possibile».

Può parlarci del ruolo delle famiglie e delle comunità nel supporto alle persone con disabilità?
«Il ruolo delle famiglie e delle comunità nel supporto alle persone con disabilità è esistenziale, direi, e complementare. Come accennato in precedenza con l’analogia della “valigia vuota”, quando una famiglia si confronta per la prima volta con una disabilità, si ritrova improvvisamente priva degli strumenti e delle informazioni necessarie per affrontare questa sfida. In questo momento, la comunità dei pari diventa una sorta di nuova famiglia allargata, con cui i “nuovi” membri entrano in contatto fin da subito. Spesso, subito dopo la scoperta del problema, si osserva un iniziale forte coinvolgimento da parte di familiari e amici. Tuttavia, questo supporto tende a scemare con il tempo, lasciando spazio alla necessità di creare legami con altre famiglie che condividono esperienze simili. Questi contatti rappresentano un conforto reale e una fonte di sostegno continuo, poiché chi vive quotidianamente le stesse difficoltà sa bene cosa significa affrontare tali sfide.
I soggetti più intraprendenti e disponibili spesso si organizzano attivamente, dando vita ad associazioni, gruppi e iniziative che non solo offrono un supporto pratico ed emotivo, ma avanzano anche proposte e rivendicazioni significative per migliorare le condizioni di vita dei propri cari e dell’intera comunità. In questo modo, la collaborazione tra le famiglie e la comunità diventa un elemento chiave per creare una rete solida e inclusiva, capace di rispondere in modo efficace alle esigenze di tutti. Spetta a noi accogliere tutte queste realtà e integrarle in un sistema accessibile a tutti».

Lei è stato riconfermato alla Presidenza della Consulta per la Disabilità della Regione Lazio. Qual è il ruolo di questo organismo e quali sono le iniziative più importanti che sta portando avanti?
«Il ruolo della Consulta, come definito dalla Legge della Regione Lazio 36/03 è principalmente quello di stimolare, monitorare e commentare con attenzione i provvedimenti che la Regione intende adottare in una vasta gamma di settori. Tra questi rientrano:
– Sanità: dalle diagnosi precoci alla riabilitazione.
– Istruzione: dalla scuola all’università, per garantire un reale diritto allo studio.
– Assistenza: inclusa l’assistenza domiciliare, con un focus sulla personalizzazione dei servizi.
– Mobilità: migliorare il trasporto per le persone con ridotta o impedita mobilità.
– Lavoro: per promuovere l’inclusione lavorativa e combattere le discriminazioni.
– Sport, cultura e tempo libero: affinché le persone con disabilità possano partecipare pienamente alla vita sociale.
– “Dopo di Noi”: con una fase preparatoria di “Durante Noi”, finalizzata a garantire un futuro dignitoso alle persone con disabilità anche quando i familiari non potranno più occuparsene.
Uno dei temi più impegnativi e rilevanti è quello della vita indipendente, sancito dall’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. È interessante notare che, nella versione originale inglese, il concetto non è independent, ma independently, ossia un’idea più profonda che indica l’autonomia nonostante la disabilità, affermando il diritto di vivere secondo le proprie scelte, indipendentemente dalla condizione fisica o mentale.
Un’altra battaglia importante riguarda l’articolo 12 della stessa Convenzione ONU, che protegge il patrimonio delle persone con disabilità. L’obiettivo è impedire la spoliazione dei loro beni e garantire che il patrimonio familiare venga equamente distribuito tra tutti i figli, evitando discriminazioni e prevenendo la richiesta di compartecipazioni economiche ingiuste per le spese assistenziali.
La Consulta si batte per la tutela integrale delle persone con disabilità, affinché nessun diritto venga lasciato indietro e affinché ogni intervento regionale sia realmente inclusivo e rispettoso della dignità di ogni individuo».

A livello regionale, ci sono Proposte di Legge o iniziative in Commissione che potrebbero migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità? E quali sono i principali ostacoli alla loro approvazione?
«Un tema determinante e atteso da tempo a livello regionale è la vera integrazione socio-sanitaria. Molte delle attività rivolte alle persone con disabilità, infatti, oscillano tra l’àmbito sociale e quello sanitario, con una prevalenza a volte dell’uno, a volte dell’altro, ma sempre con elementi di entrambi. La proposta chiave consiste nel mettere in comune i budget di questi due comparti, razionalizzando le risorse, evitando sprechi e distorsioni. L’obiettivo, in sostanza, è dare concreta attuazione all’articolo 14 della Legge 328 del 2000, che prevede: la stesura del Piano Individuale, un progetto personalizzato che accompagni la persona con disabilità, adattandosi ai cambiamenti delle sue esigenze nel tempo; la predisposizione del budget di progetto, con le risorse che confluiscano tutte in un unico portafoglio vincolato, alimentato da diverse fonti, tra cui INPS (invalidità e accompagnamento), Stato (fiscalità generale), Sanità Distrettuale, Ente Locale (con assistenze), Famiglie, Enti del Terzo Settore e sponsorizzazioni e fondi come il 5 per mille.
L’idea è semplice ma potente: ognuno cede una parte del proprio budget – sociale o sanitario – per creare un fondo unico, trasparente e ben definito, da destinare al progetto individuale della persona con disabilità. Il Nuovo Piano Regolatore Sociale Regionale, attualmente in fase di approvazione, tocca questo tema, ma – ed è qui il punto critico – mancano modalità e tempistiche certe. È tuttavia improrogabile che le intenzioni non restino solo parole, ma si traducano in obiettivi chiari e misurabili.
I principali ostacoli sono la resistenza burocratica a far dialogare Sanità e Sociale, comparti spesso bloccati in una logica di competenze separate; la mancanza di una regia unitaria che garantisca l’effettivo coordinamento delle risorse; il rischio che tutto resti su carta, senza una reale attuazione operativa.
Le mie speranze e aspettative per il futuro sono, in fondo, semplici: che le persone con disabilità possano essere felici e serene, vivendo una vita dignitosa e rispettata, sostenuta da un sistema che non le lasci sole e che sappia garantire diritti, autonomia e inclusione reale».

Infine, quale messaggio vorrebbe trasmettere a Lettori e Lettrici per sensibilizzarli sul tema della disabilità?
«Il messaggio è chiaro: non guardiamo alle persone con disabilità solo attraverso la lente distorta che li mostra come “geni” o “eroi” – come accade spesso per le figure sportive o di successo – ma riconosciamole per quello che sono: persone normali, con le loro esperienze, desideri e difficoltà, esattamente come chiunque altro. La vera inclusione passa dal trattare ogni individuo con cura ed empatia, senza mitizzazioni né pietismi, ma con il rispetto dovuto a ogni cittadino. Solo così potremo costruire una società realmente equa e accogliente».

*Umberto Emberti Gialloreti è presidente della Consulta Regionale del Lazio per la tutela dei diritti della persona con problemi di disabilità. La presente intervista è già apparsa in «Paese Sera.it», con il titolo “Un viaggio con una valigia vuota: il cammino della disabilità secondo l’Ing. Umberto Emberti Gialloreti” e viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contenitore e diverso titolo, per gentile concessione.

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La gestione del pasto nelle persone con disfagia

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Sarà “La gestione del pasto nel paziente con disfagia”, il 10 aprile, il tema del nuovo appuntamento online promosso dalla UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), in collaborazione con MedicAir, nell’àmbito di un ciclo di incontri dedicato alla disfagia (deglutizione difficoltosa)

Avviato il 27 febbraio scorso, come avevamo segnalato sulle nostre pagine, proseguirà il 10 aprile (ore 17), il ciclo di tre incontri dedicati alla disfagia (deglutizione difficoltosa), promosso dalla UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), in collaborazione con MedicAir.
Coordinato da Anna Mannara, consigliera nazionale della UILDM e nutrizionista, questo appuntamento, anch’esso online, sarà dedicato al tema della Gestione del pasto nel paziente con disfagia e vi interverrà l’infermiera di MedicAir Alice Cescutti (per partecipare, fare riferimento a questo link). (S.B.)

Per ulteriori informazioni: uildmcomunicazione@uildm.it.

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Né “eroi”, né “fonti di ispirazione”: solo persone protagoniste della propria storia come chiunque altro

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«Coniato dall’attivista e scrittrice australiana Stella Young, il termine “Inspiration Porn” – scrivono dall’Associazione Attiva-Mente – descrive la tendenza a rappresentare le persone con disabilità come “eroi” o “fonti di ispirazione” per il solo fatto di vivere la loro quotidianità. Non pornografia nel senso classico del termine, dunque, ma una forma di oggettificazione emotiva che vede le persone con disabilità mostrate in spot, articoli o meme come “esempi” da ammirare» Un esempio “classico” di “Inspiration Porn”, generato con l’intelligenza artificiale

Il termine Inspiration Porn è stato coniato dall’attivista e scrittrice australiana Stella Young e descrive un fenomeno tanto diffuso quanto invisibile: la tendenza a rappresentare le persone con disabilità come “eroi” o “fonti di ispirazione” per il solo fatto di vivere la loro quotidianità.
Non si tratta di pornografia nel senso classico del termine, ma di una forma di oggettificazione emotiva. Le persone con disabilità vengono mostrate in spot, articoli o meme come “esempi” da ammirare, spesso accompagnati da frasi come «Se ce l’ha fatta lui, che è in carrozzina, allora puoi farcela anche tu». Oppure: «Non si è arreso nonostante la sua condizione» ecc.
L’obiettivo di questi messaggi non è migliorare le vite delle persone con disabilità, ma far sentire meglio chi non le vive. È uno sguardo paternalista, che gratifica lo spettatore “normodotato” e trasforma la disabilità in uno strumento di motivazione altrui.

L’Inspiration Porn è dannoso ed è un problema perché disumanizza, nel senso che riduce la persona a un simbolo, ignorando la sua complessità, i suoi diritti, i suoi bisogni. Sdrammatizza le discriminazioni, facendo sembrare cioè, che con la sola forza di volontà, si possano superare barriere che in realtà sono sistemiche e sociali. Inoltre, non fa altro che rinforzare gli stereotipi, cosicché l’“eroe disabile” o l’“angelo speciale” diventano l’unica narrazione possibile, escludendo chi non corrisponde a questo modello. Lo scopo non è includere davvero, ma commuovere, rassicurare chi guarda da fuori o raggiungere altri fini.

La lotta contro l’abilismo, ovvero la discriminazione basata sulla disabilità, passa anche da un cambio radicale di narrazione. Non si tratta di evitare di raccontare le storie delle persone con disabilità — con i loro limiti, talenti, pregi e difetti — ma di farlo con rispetto, ascoltando le loro voci, senza semplificazioni, senza romanticizzare e senza trasformare la disabilità in una “lezione di vita” per gli altri. È un aspetto su cui tutti — anche noi stessi, persone con disabilità — dovremmo imparare a prestare più attenzione.

Come disse Stella Young: «Io non sono la vostra ispirazione, grazie. Non per il semplice fatto di essere andata a scuola o di vivere la mia vita».
L’inclusione non si fa con slogan motivazionali, ma con diritti, accessibilità, rappresentazioni realistiche e rispetto. E le persone con disabilità non devono essere un “motivo di ispirazione” per gli altri, ma protagoniste della propria storia, come chiunque altro.

*Attiva-Mente è un’Associazione della Repubblica di San Marino (contatto@attiva-mente.info).

A questo link è disponibile un video di Stella Young, con la possibilità di attivare i sottotitoli in italiano.

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La necessità di una rete tra le Unità Spinali

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«Vi è la necessità di creare una rete tra le Unità Spinali con il supporto del Ministero, oltreché di istituire un Registro Nazionale dei Mielolesi, elementi essenziali per definire politiche adeguate ai bisogni delle persone con tali problemi»: lo ha affermato Filippo Preziosi, presidente del Comitato Consultivo Misto all’Istituto Riabilitativo Montecatone di Imola (Bologna), durante la recente Giornata Nazionale della Persona con Lesione Midollare del 4 aprile Partecipanti all’iniziativa “Scendi in pista con Montecatone”, organizzata il 4 aprile dall’Istituto Riabilitivo Montecatone presso l’Autodromo di Imola

«Le Unità Spinali costituiscono per noi, persone mielolese, l’unico punto di riferimento, in àmbito sanitario, per tutta la durata della vita, dopo la fase acuta»: lo ha detto Filippo Preziosi, presidente del Comitato Consultivo Misto all’Istituto Riabilitativo Montecatone – la nota struttura di Imola (Bologna) impegnata nella riabilitazione di persone mielolese o con grave cerebrolesione acquisita – durante il collegamento con Palazzo Chigi, promosso il 4 aprile, in occasione della Giornata Nazionale della Persona con Lesione Midollare, evento di cui abbiamo ampiamente riferito in altra parte del giornale, che ha potuto contare sulla presenza, tra gli altri della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli e dei presidenti della FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Persone con Lesione al Midollo Spinale) e della SIMS (Società Italiana Midollo Spinale), Vincenzo Falabella e Adriana Cassinis, organizzazioni promotrici dell’evento stesso, patrocinato dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico) e sostenuto anche dalla Fondazione Serena Olivi.
Intervenuto dunque in rappresentanza degli utenti e delle loro famiglie, Preziosi ha evidenziato «l’importanza dell’individuazione precoce e degli interventi tempestivi per trattare le numerose complicanze conseguenti alla mielolesione» e ha sottolineato «la necessità di creare una rete tra le Unità Spinali con il supporto del Ministero, oltreché di istituire un Registro Nazionale dei Mielolesi», elementi ritenuti essenziali per definire politiche adeguate ai bisogni delle persone con tali problemi.

Montecatone, come avevamo riferito nei giorni scorsi, ha voluto articolare la Giornata in due momenti principali: il collegamento mattutino dall’Istituto con Palazzo Chigi, di cui si è detto, e l’iniziativa pomeridiana Scendi in pista con Montecatone, presso l’Autodromo di Imola.
Presente per l’occasione, Massimo Fabi, assessore della Regione Emilia Romagna alle Politiche per la Salute, ha ricordato che «ogni anno in Italia circa 2.500 persone subiscono una lesione al midollo spinale e in larga parte hanno meno di 40 anni. L’istituto di Montecatone è uno dei più avanzati a livello nazionale per la cura di questi pazienti, cui offre percorsi terapeutici e di riabilitazione straordinari. La Regione Emilia Romagna farà di tutto per sostenerlo, ma è fondamentale che anche a livello nazionale non venga ridotto, ma aumentato il numero di posti letto dedicati alle Unità Spinali, strutture che richiedono un’altissima e indispensabile specializzazione. È necessario infatti investire su queste realtà, perché oggi, grazie a tecnologie e materiali sempre più avanzati e innovativi, e a professionisti di grande competenza, è possibile dare nuove speranze e prospettive di vita alle persone con paraplegia o tetraplegia».
Dal canto suo, il commissario straordinario di Montecatone, Mario Tubertini, ha evidenziato a propria volta «l’importanza cruciale delle Unità Spinali in Italia per la gestione di pazienti fragili, dalla fase acuta fino alla dimissione. Ritengo inoltre, come anticipato da Filippo Preziosi e come più volte da noi sottolineato, che l’istituzione di una rete nazionale di Unità Spinali favorirebbe una ricerca più approfondita e mirata e, inoltre, promuoverebbe la condivisione di pratiche efficaci in questo specifico ambito medico».

Le ottime condizioni meteorologiche hanno poi favorito nel pomeriggio la bella riuscita dell’iniziativa Scendi in pista con Montecatone, incontro non competitivo aperto a tutti – cittadini a piedi, persone in carrozzina e in handbike – arricchito da attività complementari come il tennis tavolo e la pet therapy.
«Siamo orgogliosi – ha affermato Giancarlo Minardi, Presidente di Formula Imola – di ospitare questo evento all’Autodromo di Imola, in occasione della Giornata Nazionale della Persona con Lesione Midollare, un’iniziativa che incarna perfettamente i valori di inclusione e solidarietà. Il nostro circuito non è solo un luogo di competizione, ma anche un punto di incontro per la comunità, dove lo sport diventa un veicolo di unione e condivisione. La partecipazione delle persone con lesione midollare e l’impegno delle Associazioni coinvolte dimostrano quanto sia importante garantire a tutti l’accesso allo sport e al movimento. Formula Imola è fiera di poter contribuire a questa causa e di mettere a disposizione il proprio spazio per un evento che ha un profondo significato sociale. Ringraziamo dunque tutti gli organizzatori e i partecipanti per il loro impegno e per aver reso possibile questa giornata speciale».

Da ricordare in conclusione che oltre al supporto delle già citate organizzazioni FAIP, SIMS, CIP e Fondazione Serena-Olivi, Montecatone si è avvalsa per il 4 aprile anche del sostegno del Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia Romagna. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa Istituto Riabilitativo Montecatone (Massimo Boni), massimo.boni@montecatone.com.

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Nasce “Prima Persona Plurale”, Festival della Vita Indipendente

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“Prima Persona Plurale”, Festival della Vita Indipendente, ovvero tre giornate di divulgazione, riflessione e confronto per promuovere l’autodeterminazione e la piena partecipazione nella società e nella collettività delle persone con disabilità: dal 5 al 7 maggio a Torino, su iniziativa della Fondazione Time2

L’autodeterminazione della persona con disabilità e la sua partecipazione alla vita della società: intorno a questi due diritti fondamentali nasce Prima Persona Plurale, Festival della Vita Indipendente, manifestazione che si terrà dal 5 al 7 maggio 2025 a Torino, presso Open, lo spazio della Fondazione Time2, creata da Antonella e Manuela Lavazza.

Il Festival vuole essere l’occasione per celebrare la Giornata Europea della Vita Indipendente, che ricorre appunto il 5 maggio, focalizzando l’attenzione sul tema e rivendicando così questa Giornata in un anno, il 2025, in cui in Italia è iniziata la sperimentazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità.
La conquista dei diritti delle persone con disabilità è il risultato di una storia e di un impegno collettivi: così, con un programma fatto di panel, talk e attività, si toccheranno il passato, il presente e il futuro di questa storia. Tre giornate di divulgazione, riflessione e confronto per promuovere l’autodeterminazione e la piena partecipazione nella società e nella collettività delle persone con disabilità.

Tanti gli ospiti presenti a Torino per questa prima occasione: tra loro Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), sin dagli anni Settanta attivo nel campo della difesa e tutela dei diritti umani e civili delle persone con disabilità; a raccontare la sua storia plurale, dando vita a una performance teatrale, sarà Jozef Gjura, attore tra le altre della recentissima serie TV Il gattopardo.

Parteciperanno a Prima Persona Plurale anche Valentina Perniciaro, autrice e attivista che con la sua Fondazione Tetrabondi ha avviato una rivoluzione nell’approccio della disabilità; ed Elisa Costantino attivista con disabilità e ricercatrice di Disability Studies e Vita indipendente. Queste e molte altre le persone e le storie che animeranno le tre giornate del Festival.

«Diventare adulti significa poter esercitare pienamente la propria cittadinanza: muoversi liberamente negli spazi pubblici, accedere al lavoro, scegliere dove e con chi vivere. Prima Persona Plurale nasce per offrire un’occasione di confronto su questi temi e per valorizzare il diritto alla Vita Indipendente», afferma Antonella Lavazza, vicepresidente della Fondazione Time2.
«Prima Persona Plurale significa riconoscerci nell’esperienza ordinaria di persone all’interno di uno spazio democratico. Non si tratta di un’eccezione o di un privilegio, ma della realizzazione concreta di ciò che è possibile e necessario: il diritto di ciascuna persona ad avere voce, a scegliere, a partecipare pienamente alla vita sociale», a dirlo è Lavinia D’Errico, filosofa e ricercatrice presso l’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa e componente del Comitato Scientifico del Festival, insieme a Samuele Pigoni, segretario generale della Fondazione Time2, Cecilia Marchisio, docente di Pedagogia Speciale e dell’Inclusione all’Università di Torino e allo stesso Giampiero Griffo.

Tutti gli eventi di Prima Persona Plurale saranno gratuiti e garantiranno la partecipazione a persone con e senza disabilità: gli spazi di Open, infatti, sono accessibili a persone con ridotta mobilità, con disabilità sensoriali e intellettive. Tutti gli incontri, inoltre, saranno sottotitolati dal vivo, disponibili in LIS e trasmessi in streaming. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Ufficio Stampa Fondazione Time2 (Silvia Bellucci), silviabelluccicomunicazione@gmail.com.

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Jerry Hasani: il coraggio di trasformare il dolore in musica

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Dal bullismo subìto alla condizione di disabilità fin dalla nascita, Jerry Hasani ha fatto delle proprie esperienze un potente messaggio musicale. Con la canzone “Quicksand”, il giovane artista albanese, trapiantato in Italia, racconta un percorso di resilienza e inclusività che ha già ispirato molti ragazzi e ragazze. La nostra intervista Jerry Hasani con Ilenia Tosto nell’immagine di copertina di “Quicksand”

Dal bullismo subìto alla condizione di disabilità fin dalla nascita, Jerry Hasani ha fatto delle proprie esperienze un potente messaggio musicale. Con la canzone Quicksand, l’artista albanese trapiantato in Italia racconta un percorso di resilienza e inclusività che ha già ispirato molti ragazzi e ragazze. Collaborando con Ilenia Tosto e Promo L’inverso, Jerry ha unito visioni e sonorità per creare un progetto unico. La musica, per lui, non è solo arte: è un ponte che collega esperienze e speranze.

La tua storia è ancora poco conosciuta: raccontaci innanzitutto di te e raccontaci quali aspetti del tuo percorso sono fondamentali per capire chi sei.
«Sono un rapper albanese e da quando sono nato vivo con la paralisi cerebrale. All’inizio i medici non avevano compreso la natura del mio problema. Nel 2006, io e mia madre decidemmo di trasferirci in Italia, dove finalmente trovammo delle risposte. Crescendo, ho affrontato la vita con il sorriso, cercando di non farmi sopraffare dalla mia disabilità. Tuttavia, quando arrivò il momento di iniziare le scuole medie, il mio mondo cambiò. I compagni mi parlavano sempre meno, fino a quando non rimasi completamente solo. Non capivo il motivo di questo comportamento, mi chiedevo cosa avessi fatto di sbagliato, finché non capii che la ragione era la mia disabilità. Fu un momento difficile, ma decisi di non abbattermi. Cominciai a rifugiarmi nella musica, in particolare nella trap. Col passare del tempo, la mia passione per la musica crebbe e così decisi di provare a scrivere le mie canzoni».

La canzone Quicksand prende ispirazione dalle sfide personali che hai vissuto, incluso il bullismo subito durante l’infanzia. Quando hai capito che quelle cicatrici potevano trasformarsi in un messaggio musicale?
«La canzone è un viaggio attraverso le esperienze difficili che ho vissuto, soprattutto il bullismo. Ho capito che quelle cicatrici potevano diventare un messaggio musicale quando ho trovato forza nelle mie esperienze e ho visto come la musica potesse essere un canale potente per esprimere emozioni e sensibilizzare gli altri. Scrivere Quicksand è stato un modo per dare un significato alle difficoltà passate, trasformando il dolore in qualcosa di positivo».

Come è nata la collaborazione con Ilenia Tosto e Promo L’inverso, e come siete riusciti a fondere le vostre visioni nel progetto?
«Entrambi eravamo interessati a usare la musica come mezzo per raccontare storie autentiche, con un impatto sociale. Abbiamo combinato le nostre esperienze e competenze, trovando un equilibrio tra i suoni e i temi. Ilenia ha portato un’energia unica al progetto, e Promo L’inverso ha dato una struttura al beat che ha permesso alla nostra visione di prendere vita. L’unione delle nostre visioni ha dato a Quicksand quella profondità emotiva e quella spinta creativa che la rende unica».

Un’altra immagine di Jerry Hasani

In che modo la tua disabilità ha influenzato il tuo percorso artistico e la tua capacità di connetterti con il pubblico attraverso la musica?
«La disabilità ha sicuramente influito sul mio percorso artistico. Fin da quando sono nato, ho dovuto affrontare sfide extra che altri non vivevano, ma queste esperienze mi hanno reso più sensibile e più determinato. La musica è diventata la mia voce, il mio modo di comunicare e di entrare in contatto con gli altri, soprattutto con chi può sentirsi escluso o diverso. Questo mi permette di connettermi con il pubblico a un livello molto profondo, perché attraverso le mie canzoni, sento che posso trasmettere un messaggio di speranza e di resilienza».

Usi la musica come strumento per sensibilizzare i giovani sul bullismo e sulla discriminazione. Come hanno reagito i ragazzi e le ragazze?
«Abbiamo ricevuto feedback molto positivi da parte di giovani che si sono riconosciuti nei temi trattati in Quicksand e di scuole che sono pronte ad affrontare il tema.  Molti ci hanno raccontato che la canzone li ha aiutati a sentirsi meno soli e a comprendere che anche le difficoltà possono essere superate. Il bullismo e la discriminazione sono temi difficili da affrontare, ma la musica può davvero fare la differenza nel creare consapevolezza e innescare il cambiamento».

Quali sono i tuoi progetti futuri per continuare a promuovere il messaggio di inclusività e solidarietà che Quicksand rappresenta?
«Il mio progetto futuro è quello di continuare a portare avanti questo messaggio non solo attraverso la musica, ma anche con iniziative concrete. Io e Ilenia stiamo pianificando di lavorare con scuole e organizzazioni che combattono il bullismo, creando momenti di sensibilizzazione attraverso eventi e performance live. Vorremmo anche esplorare collaborazioni con altri artisti che abbiano la stessa missione, per amplificare il messaggio e raggiungere ancora più persone». (Carmela Cioffi)

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Vita indipendente: rendere concreto e reale un diritto fondamentale delle persone con disabilità

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“La vita indipendente per le persone con disabilità. Un diritto fondamentale”, libro pubblicato da Massimiliano Verga e Alessia Lovece, è una lettura utile – forse necessaria – almeno per tutte quelle persone, a partire dagli operatori sociali, oggi impegnate nel difficile compito di rendere concreto e reale un diritto fondamentale, come quello alla vita indipendente delle persone con disabilità, ancora troppo spesso non rispettato

La vita indipendente per le persone con disabilità è un diritto fondamentale, ma non si tratta di un’affermazione scontata: quando infatti parliamo delle esigenze più importanti delle persone con disabilità, ancora oggi il discorso scivola subito sul diritto all’assistenza, alla cura e, forse, alla scuola e al lavoro. La questione del diritto delle persone con disabilità di essere libere, fatica ancora ad imporsi nel discorso pubblico, anche e soprattutto di quello degli addetti ai lavori.
La vita indipendente per le persone con disabilità. Un diritto fondamentale (Ledizioni, 2024) è il titolo di un saggio scritto dal professor Massimiliano Verga (Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca) e con la dottoressa Alessia Lovece, testo che ripercorre la storia recente dell’affermazione del diritto alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità: o forse sarebbe meglio dire del tentativo, ancora in corso, di affermare e riconoscere questo diritto fondamentale per tutte le persone, comprese tutte le persone con disabilità.

Si tratta di una pubblicazione opportuna, nel momento in cui stiamo sperimentando la fatica di mettere in atto tutti quei cambiamenti che sarebbero necessari per riconoscere e rispettare effettivamente la libertà di tutte le persone con disabilità di poter scegliere dove e con chi vivere e di partecipare alla vita sociale in condizione di uguaglianza (o anche solo simili) con gli altri.
Il punto di riferimento di questa riflessione non poteva che essere l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità che ha definitivamente sancito «il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone».
Il libro prende dunque le mosse dai fondamenti culturali e giuridici della Convenzione ONU, per poi immergersi nella realtà italiana e, in particolare, sulla natura della Legge 112/16 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare) e sulle difficoltà applicative di essa.
Seguendo un ordine cronologico, ampio spazio viene dato alle diverse affermazioni su questo tema del Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ovvero di quell’organismo deputato ad offrire l’interpretazione autentica della Convenzione. Documenti ancora spesso poco conosciuti e le cui affermazioni, quando sgradite, vengono facilmente sottovalutate.
Quasi metà della pubblicazione si occupa poi di quanto sta avvenendo in Italia, a seguito delle disposizioni normative che hanno tradotto in legge quanto previsto dall’articolo 19 della Convenzione, analizzando opportunità, difficoltà e questioni aperte.

Una lettura utile – forse necessaria – almeno per tutte quelle persone, a partire dagli operatori sociali, oggi impegnate nel difficile compito di rendere concreto e reale un diritto fondamentale, ancora troppo spesso non rispettato.

*Direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Malattie ossee comuni e rare: i meccanismi biologici e le speranze terapeutiche

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Il 9 aprile, in corrispondenza con la cerimonia conclusiva del concorso “Come vedi la disabilità?”, l’Associazione Lega Arcobaleno di Tivoli (Roma) ha promosso l’importante convegno scientifico divulgativo, denominato “Malattie ossee comuni e rare; meccanismi biologici, speranze terapeutiche”, cui interverranno, con un linguaggio accessibile a tutti e tutte, Maurizio Pacifici e Anna Maria Teti, scienziati di livello internazionale che da anni lavorano intensamente in tale settore I ricercatori Anna Maria Teti e Maurizio Pacifici che interverranno al convegno di Tivoli del 9 aprile

Come avevamo anticipato in altra parte del giornale, nel presentare il concorso Come vedi la disabilità?, promosso a Tivoli (Roma) dall’Associazione di Promozione Sociale Lega Arcobaleno, la cerimonia conclusiva di premiazione dello stesso coinciderà, nel pomeriggio del 9 aprile, con l’importante convegno scientifico divulgativo, denominato Malattie ossee comuni e rare; meccanismi biologici, speranze terapeutiche (Sala Convegni del Convitto Nazionale, ore 16), incontro durante il quale si toccheranno varie problematiche legate alla struttura scheletrica portante del corpo, «una preziosa occasione – spiegano dalla Lega Arcobaleno – per i cittadini e le cittadine giovani e meno giovani, per conoscere da vicino lo stato dell’arte della ricerca scientifica in questo specifico àmbito di cui parleranno direttamente due scienziati di livello internazionale che da anni lavorano intensamente in tale settore, vale a dire Maurizio Pacifici e Anna Maria Teti, che con un linguaggio accessibile a tutti e tutte, condurranno i presenti in un mondo poco esplorato dai non addetti ai lavori».

«Sappiamo – spiegano dall’Associazione promotrice dell’incontro – che spesso e volentieri si fanno alcuni errori di valutazione che a volte comprometteranno la nostra salute: la mancata attenzione ai primi sintomi e il non saper riconoscere i segnali possono infatti metterci in condizione di sottovalutare alcuni campanelli d’allarme che ci invia direttamente il nostro corpo. A tal proposito, tutti sanno ormai bene che la prevenzione è fondamentale, ma spesso non si ha né la voglia né l’occasione di informarsi per tempo su alcuni importanti argomenti, ignorando così informazioni utili per la nostra salute. Entrando nello specifico dell’incontro del 9 aprile, quando pensiamo alla nostra struttura scheletrica, abbiamo convinzioni non sempre corrette, credendo, ad esempio, che sia preferibile un osso molto ricco di calcio, ritenuto più forte e resistente. E invece non è affatto vero! Ma anche nella condizione opposta, quando ci troviamo di fronte all’impoverimento della calcificazione ossea, apparentemente solida, si ha una forma patologica che può portare a situazioni di dolore e fratture. La densità dell’osso dev’essere infatti equilibrata, la calcificazione di essa ottimale e da mantenere assolutamente, se è vero che un osso con il corretto apporto di calcio sarà più flessibile e quindi meno soggetto a traumi. Limitazioni funzionali, patologie nascoste, patologie deformanti, patologie tumorali spesso non visibili sono tutti termini che ormai abbiamo imparato a conoscere e infatti oggi definiscono malattie comuni. Ne parlerà il 9 aprile la professoressa Anna Maria Teti, già docente e ricercatrice all’Università dell’Aquila, oltreché ricercatrice associata senior presso l’Istituto di Biomedica e Biologia al CNR di Monterotondo (Roma)».

«Per quanto poi riguarda le malattie rare – proseguono dalla Lega Arcobaleno -, le cose si complicano perché le conoscenze sono ancora molto limitate. Fortunatamente la scienza non si ferma e con i suoi professionisti, scienziati noti o meno conosciuti che conducono ricerche e sperimentazioni, ci offre speranze di significativi miglioramenti. Esiste ad esempio una rara malattia pediatrica che causa la formazione di escrescenze ossee. Si tratta della severa patologia degli osteocondromi multipli, argomento su cui il 9 aprile si soffermerà il professor Maurizio Pacifici, direttore del Dipartimento di Ricerca del Children’s Hospital di Philadelphia (Stati Uniti), che con il proprio team sta studiando e sperimentando per cercare di trovare una terapia idonea. Si tratta di una malattia consistente in tumefazioni ossee che si manifestano in una parte specifica delle ossa lunghe (omero, tibia, femore) a volte anche nella scapola, caratterizzata appunto dallo sviluppo di escrescenze ossee che se non trattate continuano a crescere, distruggendo l’osso e l’articolazione».

Il convegno, ricordiamo in conclusione, è aperto a tutte le persone interessate. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Anna Benedetti (presidente Associazione Lega Arcobaleno), annabenedetti40@gmail.com.

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