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Abilismo: quella squisita pratica sociale che trasforma la vita delle persone con disabilità in una “gita all’inferno”

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Per una persona con disabilità buttarla sul ridere è una delle possibili strategie di sopravvivenza alle micro e macro aggressioni quotidiane a cui la espone una società ancora profondamente abilista. È un po’ questa la filosofia di “Abilisti fantastici e dove trovarli”, l’ultima fatica letteraria di Marina Cuollo, che già in precedenti lavori aveva scelto uno stile ironico per parlare di disabilità

Il disegno di una donna in sedia a rotelle, ritratta di spalle, leggermente di lato, mentre solleva un braccio e con la mano mostra il dito medio: l’illustrazione di copertina di Abilisti fantastici e dove trovarli (Fandango Libri, 2025) è abbastanza esplicita, e chi compra (o regala) questo testo ha ben presente che non si tratta di un’opera “in guanti bianchi”. E d’altra parte l’autrice è Marina Cuollo, classe 1981, «napoletana, cinica, spietata, simpaticissima. Non in quest’ordine e non per tutti», nonché «scribacchina molesta», come scherzosamente ha scelto si presentarsi sul suo sito personale (a questo link).
Ma, ovviamente, Cuollo non scherza e basta. Infatti ha anche una laurea in Scienze Biologiche, è dottoressa di ricerca in Processi Biologici e Biomolecole, è scrittrice, TEDx speaker, conduttrice, editorialista e consulente D&I; collabora con diverse testate, tra cui «Vanity Fair», si occupa di rappresentazione della disabilità in àmbito mediale ecc.

Abilisti fantastici e dove trovarli, è la sua ultima fatica letteraria che, per stile narrativo, un po’ richiama il suo testo d’esordio, A Disabilandia si tromba (Sperling & Kupfer, 2017). Diciamo che per una persona con disabilità (quale è anche Cuollo) buttarla sul ridere è una delle possibili strategie di sopravvivenza alle micro e macro aggressioni quotidiane a cui la espone una società ancora profondamente abilista. Ed infatti il tema portante dell’opera è proprio l’abilismo, che, «per chi non lo sapesse, è quella sottile e squisita pratica sociale che trasforma la vita delle persone con disabilità in una gita all’inferno. Non è che qualcuno si svegli la mattina e decida di farlo apposta, per carità. È più un riflesso pavloviano, un’abitudine culturale che si perpetua con la stessa naturalezza con cui ci si sciacqua la faccia appena svegli», argomenta Cuollo.

Gli “Abilisti fantastici” non sono creature mitologiche. In genere sono dei “normodotati”, che Cuollo ribattezza “dotati di norma” (sebbene non si sappia cosa sia la norma), che però non sono tutti uguali e possono essere tipizzati. Dunque c’è l’Homo misericordiosus, altrimenti detto “Il Pietoso”, «spesso intriso di buoni sentimenti e infarcito di bontà, più di un babà col limoncello»; poi c’è l’Homo indifferens, che aiuta chiunque abbia una disabilità a trasformarsi «in un ornamento, meno visibile della tappezzeria e più anonimo del linoleum di un ospedale»; al Quoque, invece, basta vedere o nominare una persona con disabilità che subito ti snocciola «una serie di parenti e/o conoscenti e/o passanti e/o programmi televisivi», che non hanno nulla in comune con la persona con disabilità in questione, «ma gli ricordano che al mondo i problemi non sono solo di stipsi»; interessante è anche la Femminista (Trade Mark, ovvero marchio non registrato): Cuollo osserva come il femminismo, storicamente, abbia sempre «lottato per abbattere le oppressioni, ma chissà perché le donne disabili non sono mai riuscite a farsi spazio nelle discussioni. Forse perché sono sempre state viste come l’equivalente di una pianta grassa: adatte a fare colore, ma facilmente ignorabili finché non c’è bisogno di innaffiarle – cioè, dare loro spazio, quindi mai». Altre varianti di Abilisti fantastici sono il Tuttologo, il Ti Stimo&Ammiro, il Punisher, il Diversamente ipocrita, il Timoroso, il Pasce Lesso, l’Artista Illuminato.

Ma la disamina dell’abilismo non finisce qui. Ridendo e scherzando si parla di ausili per persone con disabilità e non, delle persone con disabilità nella storia (riflettendo sulle persone con disabilità di oggi, ad esempio, l’Autrice osserva: «Non ci ammazzano più – quasi –, ma a volte fa male uguale»), di viaggi, lavoro, relazioni, sessualità, persone con disabilità VIP, stagioni della vita (adolescenza, giovinezza, vecchiaia).

L’ironia e il sarcasmo sono la scelta vincente per contrastare l’abilismo? Possiamo convenire che non esiste una modalità che funziona in tutte le circostanze, una sorta di ricetta magica. Ma tutto ciò che può aiutare a rompere quelle cristallizzazioni mentali che hanno portato – e ancora portano – a svalutare, inferiorizzare o escludere alcune persone sulla base di una loro caratteristica (che sia la disabilità, l’etnia, o un’altra ancora, poco importa) è benaccetto. Le scelte stilistiche non sono mai fini a se stesse. Ed infatti la stessa Cuollo precisa che la sua scelta di scrivere di disabilità con leggerezza non significa che lei «non prenda la questione sul serio. È solo che se passassi ogni momento a rimuginare sull’idiozia del mondo, rischierei di sviluppare un’ossessione per le patatine alla paprika o di rosicchiarmi compulsivamente le pellicine fino a trasformare le dita in carta vetrata. Preferisco ridere. Certo, a volte neanche una risata ti protegge dagli Abilisti fantastici, ma almeno ti aiuta a scordarli più in fretta».

*Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel sito del quale è già apparso il presente testo, che viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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Il nostro tempo che continua

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«Nei giorni della conferenza internazionale It’s OUR Time!, da noi organizzata – scrivono dall’Associazione sammamrinese Attiva-Mente – il messaggio che ha attraversato ogni momento dell’iniziativa è stato quello dell’importanza del tempo. E in quei giorni abbiamo detto con forza che è il nostro tempo, non per chiedere concessioni, ma per vivere pienamente. Perché Il tempo, per chi viene continuamente disabilitato da barriere, pregiudizi e mancanze istituzionali, non scorre come per tutti»

Con la conclusione della conferenza internazionale It’s OUR Time!, da noi organizzata a San Marino in occasione della recente Giornata Europea per la Vita Indipendente del 5 maggio [se ne legga anche la presentazione sulle nostre pagine, N.d.R.], desideriamo condividere un messaggio che ha attraversato ogni momento dell’iniziativa: l’importanza del tempo.
Il tempo che passa, che non torna. Il tempo che pesa, soprattutto per chi vive escluso dalle scelte che contano. Il tempo che non può essere messo da parte né conservato. Il tempo che troppo spesso viene negato, rubato, sprecato. Nei giorni della conferenza abbiamo provato a recuperarlo, quel tempo, restituendo ad esso significato, attraverso il confronto, l’ascolto, la responsabilità condivisa. Abbiamo detto con forza che è il nostro tempo, non per chiedere concessioni, ma per vivere ciò che ci spetta per diritto: la libertà di scegliere, di sbagliare, di amare, di contribuire alla società… in una parola, di vivere pienamente.
Il tempo, per chi viene continuamente disabilitato da barriere, pregiudizi e mancanze istituzionali, non scorre come per tutti. Ogni attesa ha un costo enorme. Ogni ritardo è un diritto sospeso. Ogni giorno è un’opportunità perduta.
Ed è per questo che, se l’evento It’s OUR Time! si è concluso, non si è chiuso affatto il nostro impegno. Al contrario: da qui è ripartita con ancora più forza la richiesta di un cambiamento reale. Continueremo a promuovere e a chiedere, con determinazione, che il diritto alla Vita Indipendente sia riconosciuto, finanziato e reso concretamente esigibile. Perché non c’è più tempo da perdere. E perché ogni vita conta, adesso.
Non vogliamo essere invisibili. Vogliamo essere presenti, liberi e partecipi. Vogliamo che la nostra voce non sia solo ascoltata, ma che abbia peso e potere nei luoghi dove si decidono le politiche e il futuro.

Durante l’Udienza Ufficiale concessa dagli Eccellentissimi Capitani Reggenti della Repubblica di San Martino abbiamo avuto modo di rappresentare loro con chiarezza anche il valore inestimabile del tempo, e quanto ogni ritardo nelle risposte istituzionali incida profondamente sulle vite delle persone con disabilità.
Siamo certi che chi ha partecipato a It’s OUR Time! difficilmente sia rimasto indifferente. Le testimonianze, le storie, le riflessioni emerse hanno toccato corde profonde. Emozione e commozione sono state palpabili, segno che quando si parla con sincerità di diritti, dignità e umanità, nulla può lasciare indifferenti.
Un sentito ringraziamento va dunque a tutte le persone che, a vario titolo, ci hanno aiutato a rendere possibile quell’evento: volontari, collaboratori, istituzioni, enti pubblici e privati, sponsor, tecnici, relatori e ospiti. E un grazie speciale a tutte e tutti coloro che hanno partecipato con presenza, cuore e attenzione, contribuendo a fare della conferenza It’s OUR Time! un’esperienza viva e condivisa. È anche grazie a voi se continueremo a credere, a proporre, a costruire. Insieme.

L’evento si è chiuso con un interessante dialogo, nel corso della presentazione del libro Mezze persone di Elena e Maria Chiara Paolini, su un tema di cui a San Marino ancora non si è mai parlato apertamente: l’abilismo. Un confronto necessario, che ci auguriamo possa segnare l’inizio di un cambiamento culturale profondo.

*Attiva-Mente è un’Associazione della Repubblica di San Marino (contatto@attiva-mente.info).

Per approfondimenti sulla conferenza internazionale di San Marino It’s OUR Time!, accedere a questo link.

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Università di Milano: una linea di ricerca triennale sui diritti delle persone con disabilità

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Nell’àmbito del bando per l’ammissione ai vari Dottorati di Ricerca dell’Università degli Studi di Milano, è prevista anche una linea di ricerca triennale sui diritti delle persone con disabilità, la cui borsa di studio è cofinanziata da CBM Italia e il cui referente è il docente di Diritto Costituzionale Giuseppe Arconzo

In questi giorni l’Università degli Studi di Milano ha pubblicato il bando per l’ammissione ai vari Dottorati di Ricerca e ci piace segnalare che in quello di Diritto Pubblico, coordinato dalla professoressa Francesca Biondi, è prevista anche una linea di ricerca triennale sui diritti delle persone con disabilità, la cui borsa di studio è cofinanziata da CBM Italia, la nota organizzazione impegnata nella prevenzione e nella cura della cecità e delle disabilità evitabili, oltreché nell’inclusione delle persone con disabilità, nel Sud del mondo e anche in Italia.
Referente del programma di ricerca sarà il professor Giuseppe Arconzo, docente di Diritto Costituzionale e coordinatore del corso di perfezionamento su Diritti e inclusione delle persone con disabilità in una prospettiva multidisciplinare, iniziativa, quest’ultima, seguita costantemente anche sulle nostre pagine, oltreché delegato del Sindaco per le Politiche sull’Accessibilità del Comune di Milano.
A questo link (pagine 24-26 del bando) sono disponibili tutte le necessarie informazioni. (S.B.)

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Un evento voluto per mettere in discussione stereotipi e narrazioni dominanti

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Sarà l’evento del 27 maggio a Bologna, aperto dalla presentazione da parte di Iacopo Melio del suo ultimo libro “Ma i disabili fanno sesso? 100 risposte semplici a 100 domande difficili”, a dare il via a “Roadmap to Inclusion”, rassegna culturale proposta dalla Cooperativa emiliana Arca di Noè, «un percorso di eventi, incontri e storie che raccontano il tema della disabilità e i progetti di inclusione sociale attraverso prospettive e linguaggi diversi»

Prenderà il via il 27 maggio Roadmap to Inclusion, rassegna culturale estiva proposta dalla Cooperativa Sociale emiliana Arca di Noè, «un percorso di eventi, incontri e storie che raccontano il tema della disabilità e i progetti di inclusione sociale attraverso prospettive e linguaggi diversi, per andare oltre i luoghi comuni e promuovere spazi di incontro e relazione per tutta la cittadinanza», come spiegano i promotori.

Ad aprire dunque la rassegna il 27 maggio, come detto, sarà l’evento al Fuori Orsa DLF di Bologna aperto alle 19.30 dalla presentazione in diretta streaming, da parte di Iacopo Melio, giornalista, scrittore, politico e attivista per i diritti umani e civili italiano, del suo ultimo libro Ma i disabili fanno sesso? 100 risposte semplici a 100 domande difficili (Il Margine), nel corso di un dialogo pubblico moderato da Nunzia Vannuccini, diversity manager del Comune di Bologna.
«Sarà un evento a ingresso gratuito, aperto all’intera cittadinanza – sottolineano dall’Arca di Noè – per invitare a mettere in discussione stereotipi e narrazioni dominanti, attraverso un confronto diretto e senza filtri su disabilità, sessualità e inclusione. Tramite le domande e le risposte contenute nel suo libro, Melio affronterà con profondità e ironia diversi temi, dal corpo e il desiderio all’educazione sesso-affettiva, dall’uso delle parole alla percezione sociale della disabilità, fino alla necessità di una cultura del lavoro più equa e realmente inclusiva».

Successivamente è previsto lo spettacolo musicale itinerante della Rulli Frulli Marching Band, formazione di 20 elementi che unisce inclusione e musica, attraverso l’uso di strumenti autocostruiti con materiali di recupero.
Durante la serata, infine, sarà presente anche l’Associazione Mörbidø con il suo spazio di gioco destrutturato, dedicato alla cura relazionale e alla socialità congiunta di persone grandi e piccole. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: comunicazione@arcacoop.com (Sara Arlati).

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La Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità va aggiornata con nuove azioni

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«La Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 va aggiornata con nuove azioni sul lavoro, sull’accessibilità e sulle tecnologie assistive e per esse devono essere garantiti adeguati finanziamenti»: lo hanno detto gli esponenti della delegazione dell’EDF, il Forum Europeo Sulla Disabilità, nel corso di un incontro con Hadja Lahbib, commissaria europea per l’Uguaglianza, la Preparazione e la Gestione delle Crisi Yannis Vardakastanis, presidente dell’EDF, con Hadja Lahbib, commissaria europea per l’Uguaglianza, la Preparazione e la Gestione delle Crisi (©European Union, 2025)

«Ho apprezzato la proficua discussione con la commissaria Lahbib alla quale ho spiegato il nostro punto di vista, ossia che le recenti Osservazioni del Comitato ONU devono essere il punto di partenza di una forte seconda fase della Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità»: lo ha dichiarato Yannis Vardakastanis, presidente dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, a margine di un incontro avuto da una delegazione del Forum stesso con Hadja Lahbib, commissaria europea per l’Uguaglianza, la Preparazione e la Gestione delle Crisi, incontro che ha fatto seguito alle recenti Osservazioni Conclusive del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, sull’applicazione da parte dell’Unione Europea della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. In tal senso, come abbiamo riferito nei giorni scorsi sulle nostre pagine, il Comitato ONU ha evidenziato sostanzialmente che nonostante i progressi compiuti, l’Unione Europea, che ha ratificato la Convenzione ONU nel 2010, deve assumersi maggiori responsabilità, emanando leggi e politiche che promuovano i diritti delle persone con disabilità».

La delegazione dell’EDF, dunque, ha chiesto alla commissaria Lahbib che la Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 venga aggiornata con nuove azioni e in particolare con un programma di garanzia volto a sostenere finanziariamente l’occupazione delle persone con disabilità, con una nuova Agenzia Europea di regolamentazione per l’accessibilità, nonché con un fondo per l’accessibilità nel nuovo Piano Europeo sull’edilizia a costi accessibili e con una legislazione sull’accessibilità da un punto di vista economico alle tecnologie assistive.

È però dal punto di vista delle risorse finanziarie che l’EDF ha esposto le istanze più stringenti, chiedendo innanzitutto di garantire finanziamenti consistenti per le organizzazioni di persone con disabilità e le attività correlate, di supportare adeguatamente le iniziative stabilite dalla citata Strategia per i Diritti delle Persone con Disabilità e da ultimo, ma non certo ultimo, di assicurare che nessun finanziamento venga destinato a iniziative che violano i diritti delle persone con disabilità.

Altro tema sollevato durante l’incontro è stato quello riguardante la necessità di invertire la rotta sulla proposta di revoca della Proposta di Direttiva per l’attuazione del principio di parità di trattamento tra le persone, indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall’età o dall’orientamento sessuale, un provvedimento che, come sottolineato qualche mese fa sulle nostre pagine dall’EDF, viene ritenuto «un altro triste segnale dei tempi ostili che stiamo vivendo».

E infine, anche alla luce del ruolo ricoperto dalla commissaria Lahbib, il Forum ha espresso la necessità di includere la disabilità sia nella preparazione alle situazioni emergenziali, sia nella gestione delle situazioni di catastrofi naturali o causate dall’uomo. Il tutto ponendo particolare attenzione sul sostegno alle organizzazioni locali di persone con disabilità quali operatori umanitari, migliorando altresì la raccolta di informazioni sul numero di persone con disabilità colpite dalle crisi. (Stefano Borgato)

Per ulteriori informazioni: André Felix (Ufficio Comunicazione EDF), andre.felix@edf-feph.org (a cui scrivere in inglese).

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Gli albini non sono più fenomeni da baraccone, ma quali sono le nuove sfide?

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«Tanti passi sono stati fatti in termini di inclusione delle persone albine in Italia – scrive Roberta Terra, promotrice del blog “Nero su Bianco” -, ma altri se ne possono fare per rendere il mondo un posto migliore. Ricordando che le mobilitazioni più efficaci sul tema della disabilità sono state fatte grazie alla popolazione che vive una determinata condizione in prima persona, in quanto conosce le proprie esigenze e limitazioni quotidiane» Roberta Terra

In occasione dell’ormai prossima Giornata Internazionale dell’Albinismo, che cade ogni anno il 13 giugno, è importante a porre l’attenzione sui numerosi passi avanti che sono stati fatti negli anni (e nei secoli) in termini di “normalizzazione” di questa condizione, ma anche sulle rimanenti lacune da colmare e su quelli che possiamo definire come i nuovi “circhi” di oggi, in riferimento alla triste spettacolarizzazione delle persone albine all’interno dei tendoni tra fine Ottocento e fino alla metà del secolo scorso.
Sono convinta che dal passato, soprattutto se difficile, possiamo fare solo una cosa giusta e cioè imparare. Non è necessario dimenticarlo né negarlo, ma piuttosto tenere a mente gli errori commessi per non ripeterli, anzi, utilizzare quella sofferenza per porci in una condizione migliore.

A partire dalla seconda metà del XIV secolo e fino agli Anni Cinquanta del secolo scorso si diffuse una macabra moda, il fenomeno dei cosiddetti freak show, spettacoli circensi che radunavano diversi personaggi con caratteristiche anomale (spesso dovute a disabilità), per fare divertire il pubblico con la loro sola presenza e con i classici numeri da circo.
Una sorta di “fiera del bizzarro”, dove ovviamente erano presenti anche gli albini, merce più che rara da trovare. Oltre alla ridicolizzazione del diverso, già di per sé biasimevole, aggiungiamo le condizioni di lavoro disagiate e la poca attenzione alle esigenze di queste persone.
Ne parlo approfonditamente nel mio blog (Nero su Bianco), nato proprio per diffondere la consapevolezza sulla condizione genetica rara dell’albinismo, dal momento che anch’io sono albina.

I tempi dei circhi e dei freak show ce li siamo fortunatamente lasciati alle spalle, ma cosa rimane oggi di quella mentalità, che sbarra gli occhi di fronte al diverso e non riesce ad accoglierlo dentro di sé?
Parlando di spettacolo e di spettacolarizzazione, il fascino estetico dell’albinismo continua a persistere e da una parte lusinga chi riceve attenzioni e complimenti per i suoi capelli candidi e la sua pelle diafana, incantando dall’altrafotografi, parrucchieri, make up artist e anche pittori e registi che vorrebbero plasmare la nostra immagine a loro piacimento.
Ma quale tipo di immagine? Che tipo di rappresentazione ne esce? La moda, il cinema, così come tutte le forme d’arte, contribuiscono in maniera silente ma potentissima a formare e ad influenzare l’opinione pubblica (molto più di queste mie parole e di quelle che porto sul blog o sui miei canali social). Se la gente continua a vedere immagini di albini che impersonificano o angeli o diavoli, come potrà mai pensare che siamo persone normali? Inconsciamente si instilla l’idea che l’albino è “freak”. Inoltre, se restiamo ancora un attimo nel mondo dello spettacolo, è necessario tenere conto del fatto che esiste un backstage prima di vedere il personaggio in scena. Questo backstage dovrebbe includere una grande attenzione a quelle che sono le esigenze delle persone albine.
La dico in modo più semplice e diretto: se vuoi una modella o un modello albini o la comparsa albina, non puoi buttare questa persona sotto il sole per un’ora impedendogli di mettere la crema solare perché “se no poi si rovina il trucco”, e non puoi chiedergli di leggere a distanza senza studiare un metodo alternativo per fargli pronunciare quella frase. Né puoi dargli indicazioni per raggiungere un posto solo in auto…
Questi sono solo alcuni dei pochi esempi che si possono fare riguardo alle esigenze degli albini, a maggior ragione quando si trovano su un set o in uno studio fotografico: il trucco e le luci possono causare fastidio alla persona albina, e non si possono ignorare nemmeno le sue problematiche visive importanti.

Gli albini oggi fanno rete ed è proprio ad una community, quella di Albini in Italia, che mi sono rivolta per raccogliere le sensazioni che provano oggi le persone albine, nel nostro Paese.
Il quadro che ne emerge è quello di una ancora presente insistenza (e altrettanta maleducazione) delle persone nel porre domande invadenti alle persone albine: «Ma signora, come mai tinge i capelli a suo figlio così piccolo?», oppure «Piccolo, hai paura? Perché ti tremano gli occhi?».
A volte la curiosità dei passanti si manifesta con sguardi fissi e frasi bisbigliate all’orecchio del vicino, con tanto di mano semichiusa a conca davanti alla bocca, altre volte le persone esprimono il loro disagio di fronte ad una persona albina, conversando ad alta voce sull’albinismo (o sulle sue caratteristiche) davanti all’interessato, ma senza rivolgergli la minima parola.
È una situazione che, per usare un termine della generazione Z, definirei cringe, termine che rende molto l’idea del mix di stranezza e imbarazzo.
Dall’altro lato sia genitori di bambini albini che albini adulti lamentano difficoltà di tipo burocratico-amministrativo, in tutta quella serie di fasi e passaggi in cui il fenomeno dello scaricabarile è ampiamente, seppure inconsciamente, praticato, e chi ne paga le conseguenze è appunto il soggetto albino. Se negli Anni Cinquanta e Sessanta alcuni albini frequentavano gli istituti per ciechi o imparavano ad utilizzare il Braille, oggi i tempi sono cambiati. Gli studenti con albinismo si avvalgono dell’aiuto dell’insegnante di sostegno e di diversi ausili informatici digitali per studiare con maggiore facilità, ma dall’altra parte permangono altri problemi, forse un tempo ritenuti collaterali, ma che in realtà sono di primaria importanza. Non dimentichiamoci, infatti, che gli albini non sono solo ipovedenti, ma i loro occhi hanno anche una scarsa tolleranza alla luce, e spesso le aule delle scuole o dei luoghi di lavoro non sono adeguate ad accogliere richieste di questo tipo, come quella di poter oscurare i vetri con delle tende, in modo che non ci sia un’illuminazione eccessiva per gli occhi dell’alunno albino, ma che allo stesso tempo non ostacoli la visione al resto della classe.
Un’altra questione è quella della consapevolezza del concetto di “ipovisione” anche nei luoghi pubblici, negli studi medici, negli ospedali, nelle sedi comunali ecc., che sono magari sufficientemente adeguati per i ciechi, ma non per gli ipovedenti; in questi casi basterebbero informazioni più chiare e con scritte più grandi.
Una cosa che però noto tristemente è la disparità sul territorio nazionale, per quanto riguarda le procedure di richiesta e alcune agevolazioni per chi parte da una condizione di svantaggio: ci sono infatti notevoli differenze non solo da una Regione all’altra (a volte mancano degli standard o non vengono sempre rispettati), ma anche da un Comune all’altro. Parlo ad esempio dell’annosa questione delle creme solari (alcuni albini le ricevono gratuitamente, altri no), ma anche delle disponibilità di figure e fondi per i percorsi di psicomotricità per bambini piccoli e di terapia visiva.
Se vogliamo fornire ancora un esempio, anche i mezzi pubblici (indispensabili per chi la patente non la prende per disabilità e non per scelta) non sono gratuiti per tutti, ci sono delle differenze a livello regionale che pongono il paziente nella condizione di chiedersi «Perché lui sì e io no?».

Per concludere, tanti passi sono stati fatti in termini di inclusione (che è sinonimo di accettazione, comprensione, aiuto e attuazione di nuove norme) delle persone albine in Italia, ma altri se ne possono fare per rendere il mondo un posto migliore. Ricordando che le mobilitazioni più efficaci sul tema della disabilità sono state fatte grazie alla popolazione che vive una determinata condizione in prima persona, in quanto conosce le proprie esigenze e limitazioni quotidiane.

*Promotrice del blog “Nero su Bianco”.

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Il CNCA diventa Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti

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«Il volontariato non è solo risposta all’emergenza, ma anche costruzione quotidiana di legami, diritti e possibilità»: lo ha detto Marina Galati, subito dopo essere stata riconfermata alla Presidenza del CNCA, che da Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza è divenuto Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti Marina Galati è stata riconfermata alla Presidenza del CNCA

Oltre a confermare alla Presidenza Marina Galati, l’Assemblea Nazionale del CNCA, allineandosi a quanto già fatto dalla propria rete, ha anche approvato il cambio di nome da Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza a Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti.
«Siamo in un tempo che richiede coraggio, visione e prossimità – ha affermato la confermata presidente Galati – e il volontariato non è solo risposta all’emergenza, ma anche costruzione quotidiana di legami, diritti e possibilità. Il nostro impegno sarà quello di lavorare per sostenere il movimento delle persone e favorire la presa di parola, soprattutto giovanile, attraverso azioni di advocacy [“tutela”] e sostegno a percorsi di autorappresentanza». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di approfondimento. Per altre informazioni: ufficio.stampa@cnca.it.

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Ridefinire l’inclusione: le parole e le immagini per l’equità in Salute

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È possibile una nuova narrazione condivisa dell’inclusione per parole e immagini? Lo si potrà scoprire il 27 maggio a Roma, in occasione della mostra e del contemporaneo evento “Ridefiniamo l’inclusione: parole e immagini per la Health Equity, iniziativa organizzata dall’OMaR (Osservatorio Malattie Rare). La mostra ha visto dieci artisti rappresentare visivamente il concetto di inclusione a partire dal percorso introspettivo realizzato da un gruppo di persone affette da patologie ematologiche rare

È possibile una nuova narrazione condivisa dell’inclusione per parole e immagini? Lo si potrà scoprire il 27 maggio a Roma (Palazzo Merulana, Via Meruilana, 121, dalle 17), in occasione della mostra e del contemporaneo evento Ridefiniamo l’inclusione: parole e immagini per la Health Equity, ove con i termini Health Equity si parla naturalmente di “equità in Salute”, iniziativa organizzata dall’OMaR (Osservatorio Malattie Rare) e realizzata grazie al contributo non condizionante di Sobi.

«Palazzo Merulana – spiegano dall’OMaR -, museo di arte contemporanea e promotore di iniziative culturali di rilievo internazionale, ospiterà dunque questa mostra di illustrazioni realizzate da dieci artisti, tra i più apprezzati sulla scena italiana. Essi sono stati i protagonisti di un’attività creativa unica, finalizzata a rappresentare visivamente il concetto di inclusione a partire dal percorso introspettivo realizzato da un gruppo di persone affette da patologie ematologiche rare. Le opere sono nate quindi da una riflessione condivisa dal nostro Osservatorio con gli artisti, che hanno appunto tradotto in immagini le esperienze, le emozioni e i bisogni raccolti, creando dieci opere che esplorano diverse prospettive sull’inclusione. La loro diversità tecnica e di stile consente di raffigurare temi complessi con uno sguardo che promuove una rappresentazione più ricca e sfaccettata della realtà».

Da ricordare anche che durante l’evento del 27 maggio – cui è attesa la presenza tra gli altri di vari rappresentanti istituzionali – verrà presentata la pubblicazione Ridefiniamo l’inclusione, curata dall’OMaR insieme a Jacopo Casiraghi, psicologo e psicoterapeuta, coordinatore degli psicologi dei Centri Clinici NeMO (NeuroMuscular Omnicentre).

Il progetto Ridefiniamo l’inclusione: parole e azioni per la Health Equity è stato realizzato con il patrocinio di AMARE (Associazione Malattie Rare Ematologiche), della Fondazione Paracelso e della Lampada di Aladino. (S.B.)

All’evento del 27 maggio si potrà accedere solo su invito nominativo. Per ogni ulteriore informazione: Rossella Melchionna (melchionna@rarelab.eu).

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Attenzione: i diritti potrebbero diventare “rovesci”!

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«Di fronte a quello che si sente fare e dire negli Stati Uniti e in altre parti del mondo – scrive Maurizio Cocchi – ciò che occorre da parte nostra di persone copn disabilità è una costante consapevolezza che tutto quello che abbiamo ottenuto in questi anni di impegno e di lotta, l’abbiamo ottenuto grazie alla democrazia, alla libera stampa e alla piena circolazione delle idee. In altre parole, i nostri diritti non piovono dal cielo, li abbiamo ottenuti noi, ma solo grazie al fatto di poter vivere nella democrazia e nella civiltà» René Magritte, “Golconda”, 1953, Menil Collection, Houston, Texas (USA)

Come sarebbe se un giorno ci svegliassimo accorgendoci che non siamo più persone con disabilità, ma una massa informe di “storpi”, “orbi”, “sordomuti”, “scemi” e “mongoloidi”? In fondo la disabilità, questa bella definizione di “Persone con disabilità”, è solo un costrutto giuridico, creato per tutelarci e per dare dignità alla nostra presenza nel mondo, ma anche un ruolo attivo nella società, che mette in campo politiche per aiutarci e per far sì che noi restituiamo quanto ricevuto, attraverso il lavoro, contribuendo al sostegno dei consumi, a rendere più empatica e gradevole l’intera società…

A sentire però due degli esseri umani più potenti della terra, Donald Trump ed Elon Musk, sembra proprio che se i disabili scomparissero, sia di nome che di fatto, non sarebbe un gran danno!
Si ha notizia, ad esempio, che l’attuale presidente degli Stati Uniti, già a partire dal 2015, durante un comizio, abbia sbeffeggiato un giornalista per la sua disabilità. Nel 2024, poi, aveva affermato che la sua avversaria nella corsa alla Casa Bianca, Kamala Harris, sarebbe stata «una disabile mentale»; in quel caso, volendo offendere la vicepresidente degli Stati Uniti, aveva reso esplicito il suo pensiero verso questo tipo di disabilità. Ancora più recentemente, poi, a ribadire il disprezzo per le persone con disabilità intellettiva ci sono state le sue dichiarazioni in seguito ad un disastro aereo avvenuto nell’aeroporto di Washington: «Biden e Obama hanno assunto come controllori di volo persone non qualificate e con disabilità fisiche e psichiche» [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
Il presidente Trump, per altro, non si è limitato ad esibire le proprie “opinioni”, ma ha messo in atto una serie di politiche tese a diminuire l’impegno della propria Amministrazione a favore dell’inclusività, attraverso pesanti tagli ai finanziamenti pubblici in favore di varie istituzioni, compreso il sistema scolastico pubblico.

Elon Musk, invece, ha dichiarato di «avere la sindrome di Asperger», quindi è un disabile. Già, un disabile che mal sopporta gli altri disabili, di qui l’uso del termine “ritardato” per definire la disabilità intellettiva, facendo ritornare indietro l’orologio del progresso di molti anni. Stesso ragionamento per il suo atteggiamento derisorio nei confronti di un dipendente di Twitter affetto da distrofia muscolare [di questo Musk si era successivamente scusato, N.d.R.].
Sempre per ciò che riguarda Twitter – oggi X -, molto più concreto e significativo è stato lo smantellamento dello staff adibito al controllo dell’accessibilità della piattaforma, in dispregio totale delle persone con disabilità con problemi ad utilizzare quel social media.

Si potrebbe dire che questo, in fondo, non sarebbe niente, trattandosi di idiosincrasie dovute al carattere dei personaggi, con effetti tutto sommato limitati e circoscritti a pochi àmbiti, per quanto incivili. Ciò che invece ci deve allarmare di più sono le decisioni generali di sistema compiute finora dall’Amministrazione Trump. Ad esempio l’uscita dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che salvo cambiamenti, allo stato attuale dei fatti gli Stati Uniti attueranno dal 22 gennaio del prossimo anno. Poi l’annuncio di uscire dal Consiglio ONU per i Diritti Umani [l’Amministrazione Trump ha firmato in febbraio un ordine esecutivo in cui richiede appunto una rivalutazione dell’impegno degli Stati Uniti all’interno del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, N.d.R.] e non ultima anche l’intenzione di uscire dall’Unesco, come era già accaduto nel 2019, salvo poi il rinetro degli Stati Uniti in tale Ente con l’Amministrazione Biden.

In generale, dunque, assistiamo ad un crescente disprezzo per tutti gli organismi internazionali, compresa la Corte di Giustizia dell’Aia, ma non solo da parte degli Stati Uniti, bensì anche di molti altri Paesi che sentono le normative internazionali e, più in generale, i vincoli di legge, come un freno alle loro mire espansionistiche, se non addirittura avendo il desiderio di cancellare o sminuire quei sistemi di diritti faticosamente raggiunti nel corso degli anni e concretizzati nelle stesse normative internazionali.
A riprova di come queste ultime siano considerate un impaccio, un freno alle libertà nazionali e non una crescita di civiltà per tutti i Paesi, si può pensare anche a tutti i “mal di pancia” suscitati dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Anche trascurando i “soliti” Stati Uniti, il cui Senato non ha ratificato il documento perché avrebbe leso la sovranità nazionale, Paesi importanti e di grande civiltà come il Regno Unito, la Francia e la Danimarca, oltre a molti altri, hanno approvato la norma internazionale con riserva, mettendo in discussione soprattutto quei passaggi che tutelano la libertà e l’incolumità dei pazienti psichiatrici.

Come si vede, l’impalcatura che sorregge il concetto di “disabile” è molto precaria e basta un leggero “vento dittatoriale” per farla crollare rovinosamente.
Evidentemente non si tratta di ridurre o di far tacere le nostre battaglie, ciò che occorre da parte nostra è una costante consapevolezza che tutto quello che abbiamo ottenuto in questi anni di impegno e di lotta, l’abbiamo ottenuto grazie alla democrazia, alla libera stampa e alla piena circolazione delle idee. In altre parole, i nostri diritti non piovono dal cielo, li abbiamo ottenuti noi, ma solo grazie al fatto di poter vivere nella democrazia e nella civiltà.
Chi può dare il proprio contributo sul lavoro, aiutare per quanto possibile gli altri, rispettare e comprendere chi ci aiuta, sostenere chi ha più problemi di noi, lo faccia, senza nascondere paure e pigrizie dietro la disabilità. E quando c’è una manifestazione per la pace, la democrazia, il sostegno ai popoli oppressi, la libertà, mettiamoci in prima fila, magari verificando di non essere presi in giro.

*Consulente di impresa per il Terzo Settore, persona con disabilità.

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Pubblicazione Bollettini movimenti del personale docente di ogni ordine e grado della provincia, a.s. 2025/26

Ultime da A.T.P. Catanzaro -

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Una pubblicazione e due mostre fotografiche per promuovere una nuova idea del caregiving

Superando -

La pubblicazione “Storie di quotidiana cura. Nulla è facile niente ma niente è impossibile” e due mostre fotografiche: sono gli strumenti prodotti a conclusione della campagna “@scATTIdicura”, ideata da Cittadinanzattiva Emilia Romagna, in collaborazione con il Coordinamento regionale delle Associazioni di Malati Cronici e Rari, per promuovere una nuova idea di caregiving attraverso la fotografia Una delle immagini prodotte nell’àmbito della campagna “@scATTIdicura”

Lanciata un anno fa [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], la campagna @scATTIdicura ha inteso promuovere una nuova idea di caregiving attraverso la fotografia.
L’importante iniziativa è stata intrapresa nell’àmbito di La cura non è un affare di famiglia, campagna ideata da Cittadinanzattiva Emilia Romagna, in collaborazione con il CrAMC (Coordinamento Regionale delle Associazioni di Malati Cronici e Rari). In particolare, – come spiegarono, a suo tempo, dall’Organizzazione – @scATTIdicura si proponeva di rispondere ad alcune domande («Quali sono le pratiche di cura? Quali i luoghi, gli oggetti, i gesti, i dettagli della cura? Chi sono i protagonisti e le protagoniste?»), con l’intento di coinvolgere e portare all’attenzione «della Cittadinanza e delle Istituzioni il tema delle caregiver (il femminile è dovuto, perché sono in ampia maggioranza donne), ruolo non riconosciuto, né in alcun modo tutelato».
Ebbene, con le foto raccolte è stata realizzata la pubblicazione Storie di quotidiana cura. Nulla è facile niente ma niente è impossibile, e due mostre fotografiche, allestite anche con il coinvolgimento dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bologna. L’infermiere nell’arte della cura e scATTIdicura, oltre i numeri c’è vita, queste le denominazioni delle due mostre, che intendono raccontare e mettere in dialogo la cura formale e quella informale.

«Da quando nel 1826 Joseph Nicéphore Niépce realizzò la prima fotografia della storia, le foto, quelle vere, custodiscono gelosamente un segreto: la capacità di risuonare nell’animo umano con profonde emozioni. In un segreto mai svelato, le immagini si rispecchiano sulle nostre storie e identità̀ e ci rimandano a pensieri e sensazioni che rivelano il nostro sguardo nel mondo – spiegano da Cittadinanzattiva Emilia Romagna –. Le fotografie della mostra fanno parte di quelle vere e che ben conoscono quel segreto. La prima annotazione è, quindi, di sostare davanti alle foto e lasciarsi sedurre da quanto appare; lasciare che il nostro “sguardo sul mondo” si attardi in ogni foto. Con quel misto di tenerezza e pudore necessario quando ci si avventura nel territorio della cura, perché i titoli già lo rivelano».
Le mostre si propongono pertanto come «un’occasione per esplorare e partecipare attivamente a una riflessione collettiva sul tema della cura», ma anche per tenere desta l’attenzione sul fatto che in Italia, come già accennato, la figura del caregiver è sempre in attesa di essere riconosciuta e tutelata (se ne legga anche a questo link).

Inaugurate il 12 maggio scorso, le due esposizioni saranno visibili fino al 30 maggio nei seguenti locali: Quadriportico di Sant’Isaia (Via Sant’Isaia, 90, Bologna); Istituto Ortopedico Rizzoli (Via Pupilli, 1, Bologna); Ospedale Santa Maria della Scaletta (Via Montericco, 4, Imola).
Sono anche previste due visite guidate gratuite alla mostra ospitata al Quadriportico di Sant’Isaia di Bologna, il 26 maggio (ore 10.30-12), e il 28 maggio (ore 16-17.30). Per partecipare è necessario prenotare attraverso l’indirizzo scattidicura@cittadinanzattiva-er.it.

L’invito ai visitatori e alle visitatrici è dunque quello «di lasciarsi toccare dalle immagini, riflettere sui temi proposti e percorrere questo viaggio con la consapevolezza che la cura, nelle sue molteplici sfaccettature, è il fondamento su cui costruire una società̀ più̀ umana e solidale». (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: Rossana Di Renzo (responsabile del Coordinamento CrAMC), scattidicura@cittadinanzattiva-er.it.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, insieme all’immagine utilizzata, con alcune modifiche dovute al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Guida e assunzione terapeutica di sostanze: perché serve un intervento interpretativo o normativo

Superando -

La nuova disciplina sull’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope da parte di chi guida può colpire ingiustamente persone con disabilità che le utilizzano su prescrizione medica. Per questo è auspicabile un intervento interpretativo o normativo che distingua tra uso terapeutico e abuso, che introduca margini di tolleranza legati a concentrazioni-soglia clinicamente validate e che valuti la compatibilità del trattamento farmacologico con l’idoneità alla guida, piuttosto che sanzionare penalmente in automatico

Una recente Circolare congiunta del Ministero dell’Interno e di quello della Salute ha introdotto importanti novità nelle procedure di accertamento delle condizioni psicofisiche alla guida [di tale tema ci siamo già occupati sulle nostre pagine: se ne legga in calce, N.d.R.]. La Circolare riguarda le nuove modalità di accertamento del reato di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Com’è noto, la Legge 177/24 ha riformulato l’articolo 187 del Codice della Strada, eliminando il requisito dell’“alterazione psicofisica” quale elemento costitutivo del reato. La nuova fattispecie punisce dunque chi guida dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, qualora sia accertata – mediante analisi su sangue o fluido orale – la presenza di princìpi attivi o metaboliti attivi della sostanza, anche in assenza di un’evidente alterazione della capacità di guida. In tal senso, la Circolare chiarisce che è sufficiente la presenza nel sangue o nella saliva di sole molecole attive, senza considerare l’effettiva alterazione del soggetto. Presupposto della punibilità è che: «Occorre provare che la sostanza psicotropa sia stata assunta in un periodo di tempo prossimo alla guida, tale da far presumere che la sostanza produca ancora i suoi effetti nell’organismo durante la guida».
Viene inoltre specificato che solo la presenza nel sangue o nel fluido orale di metaboliti attivi è indicativa di una condizione penalmente rilevante. La presenza nelle urine, invece, non è sufficiente ai fini della punibilità penale, ma può rilevare per l’idoneità alla guida (articoli 128 e 119, comma 4, del Codice della Starda).

A questo punto, tuttavia, occorre rilevare che la Circolare non distingue tra assunzione a fini terapeutici ed uso illecito: infatti, ai fini della punibilità non rileva lo scopo dell’assunzione, ma solo la presenza attiva della sostanza; la temporalità prossima all’attività di guida. Questo crea una criticità giuridica e costituzionale per le persone con disabilità o patologie che assumono psicofarmaci su prescrizione medica, i cui effetti possono persistere nel sangue o nella saliva in modo cronico e controllato.
A nostro sommesso avviso, reputiamo che vi siano possibili profili di incostituzionalità o illegittimità, con particolare riguardo, ad esempio, all’articolo 3 della Costituzione (infatti la norma può discriminare indirettamente chi, per motivi di salute, assume regolarmente psicofarmaci), nonché all’articolo 32 della Costituzione stessa, perché penalizza condotte terapeutiche lecite e necessarie e anche riguardo al “Principio di offensività”, poiché la norma sanziona la mera presenza della sostanza, senza verificare l’effettiva alterazione o il pericolo per la circolazione.
L’assenza, infatti, di una soglia quantitativa o di limiti oggettivi nella rilevazione delle sostanze attive, amplia eccessivamente la discrezionalità applicativa. La mera presenza, anche minima, di una sostanza nel sangue – eventualmente dovuta a terapie regolari e non alteranti – non consente pertanto una valutazione proporzionata della pericolosità della condotta, cosicché le persone con disabilità e patologie croniche che necessitano dell’assunzione regolare di psicofarmaci (antiepilettici, ansiolitici, antidepressivi) si trovano esposte a un rischio oggettivo di incriminazione, pur in assenza di comportamenti pericolosi. L’effetto è una disparità di trattamento indiretta rispetto ad altri soggetti, con un potenziale impatto sulla libertà di circolazione e sulla loro piena partecipazione alla vita sociale e lavorativa.
E ancora, la Circolare ammette che i metaboliti attivi sono rilevabili “solo per alcune ore” nel sangue o nella saliva, variabili in base all’emivita della sostanza. Tuttavia, molti farmaci (ad esempio benzodiazepine, antiepilettici) usati in modo cronico mantengono concentrazioni residue stabili, anche in assenza di effetti negativi reali sulla guida.

La nuova disciplina, dunque, pur coerente con l’obiettivo europeo di Vision Zero [progetto di sicurezza stradale che mira a eliminare tutti i decessi e le lesioni gravi sulla rete stradale. N.d.R.], può colpire ingiustamente persone che non rappresentano un rischio reale per la sicurezza stradale. È quindi auspicabile un intervento interpretativo o normativo che distingua tra uso terapeutico e abuso, che introduca margini di tolleranza legati a concentrazioni-soglia clinicamente validate e che valuti la compatibilità del trattamento farmacologico con l’idoneità alla guida, piuttosto che sanzionare penalmente in automatico.

*Centro Studi Giuridici HandyLex della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

Del tema trattato nel presente contributo si sono già occupati in Superando i testi A proposito di quella norma del Codice della Strada riformato e di quella recente Circolare Ministeriale di Giovanni Battista Pesce (disponibile a questo link) e Un importante passo avanti con quella Circolare Ministeriale (disponibile a questo link).

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