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È fondamentale continuare a finanziare buona ricerca sulla SLA

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In occasione della Giornata Mondiale sulla SLA (sclerosi laterale amiotrofica) del 21 giugno, la Fondazione ARISLA ribadisce l’impegno del mondo della ricerca a individuare soluzioni terapeutiche per questa malattia, ricordando di avere investito, dal 2009 ad oggi, 17 milioni di euro in attività di ricerca, finanziando 115 progetti, di cui 21 in corso, in diversi àmbiti. «È fondamentale continuare a finanziare buona ricerca e rafforzare la collaborazione tra ricercatori», dichiara la presidente dell’ARISLA Lucia Monaco

Lo sviluppo di nuovi modelli di diagnosi della SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e di metodi per monitorarne la progressione, lo studio dei meccanismi patologici, anche quelli meno esplorati, la sperimentazione di molecole già in uso, l’utilizzo di tecniche avanzate di imaging per distinguere la malattia da altre patologie e l’applicazione dell’intelligenza artificiale per un’analisi dei dati clinici sempre più tempestiva: sono i campi su cui sta lavorando la ricerca scientifica italiana finanziata dall’ARISLA, la Fondazione Italiana di Ricerca sulla SLA, per contrastare questa grave malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, le cellule che permettono di parlare, camminare e respirare, e che nel tempo paralizza tutti i muscoli volontari. Si stima che in Italia siano circa 6.000 le persone con la SLA, con un’incidenza pari a 2-3 nuove diagnosi all’anno ogni 100.000 abitanti.

In occasione dunque della Giornata Mondiale sulla SLA (SLA Global Day) del 21 giugno, di cui abbiamo già ampiamente riferito in altra parte del giornale, l’ARISLA intende ribadire l’impegno del mondo della ricerca a individuare soluzioni terapeutiche per la SLA, ricordando di avere investito, dal 2009 ad oggi, 17 milioni di euro in attività di ricerca, finanziando 115 progetti, di cui 21 in corso, in diversi àmbiti (ricerca di base, preclinica e traslazionale, clinica e tecnologica) e supportando 160 ricercatori selezionati attraverso 17 bandi competitivi (la selezione del 18° bando è in corso). Sempre l’ARISLA, inoltre, sostiene da sempre i giovani ricercatori: sono infatti 312 le borse di studio finanziate fino ad oggi, di cui 23 attive, un investimento ha contribuito ad un’importante attività di formazione dei giovani ricercatori nel campo della SLA.
«Il nostro osservatorio sui progetti finanziati – dichiara Lucia Monaco, presidente dell’ARISLA – ci restituisce un’immagine positiva della ricerca scientifica italiana che si occupa di SLA. È infatti una ricerca di qualità che sta producendo risultati su vari fronti, come indicano anche le 442 pubblicazioni scientifiche derivanti dai progetti finanziati, che confermano la rilevanza dei traguardi raggiunti per la comunità scientifica internazionale. Per arrivare a nuovi risultati è fondamentale continuare a finanziare buona ricerca e rafforzare la collaborazione tra ricercatori, perché da essa possono nascere nuove idee e progetti a beneficio di tutte le persone».
«Con l’attuazione del Piano Strategico – aggiunge -, abbiamo selezionato in ARISLA nuovi progetti di ricerca, frutto dell’interazione tra ricercatori di base e clinici, affinché gli uni mettano a disposizione degli altri il proprio patrimonio di conoscenza e si acceleri l’identificazione di interventi concreti per la diagnosi e il trattamento della SLA». (S.B.)

A questo link è disponibile un ulteriore testo di approfondimento. Per altre informazioni: Tiziana Zaffino (tiziana.zaffino@arisla.org).

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Due giornate promosse dall’AIFO a Ostuni, tutte all’insegna dell’inclusione e della solidarietà

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Il 21 giugno la cerimonia di consegna del Premio AIFO “Donne per l’Inclusione 2025”, conferito a Mafalda Pistillo, direttrice dell’Associazione I Portatori di Gioia di Ceglie Messapica (Brindisi) e il 22 giugno il convegno “Diversità che Unisce: la forza dell’inclusione”: sono le iniziative all’insegna dell’inclusione e della solidarietà organizzate per il prossimo fine settimana a Ostuni (Brindisi) dall’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) Foto di gruppo per l’Associazione pugliese I Portatori di Gioia la cui direttrice Mafalda Pistillo riceverà il 21 giugno a Ostuni il Premio AIFO “Donne per l’Inclusione 2025”

Due iniziative all’insegna dell’inclusione e della solidarietà, organizzate dall’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), che vedranno protagonisti donne, associazioni, istituzioni e cittadini impegnati nella costruzione di comunità più giuste e accoglienti, due appuntamenti, con la quale la stessa AIFO riafferma il proprio impegno per una società più equa, in cui le diversità siano riconosciute come una risorsa e la collaborazione tra istituzioni e territorio diventi motore di cambiamento.
Accadrà nel prossimo fine settimana nella città pugliese di Ostuni (Brindisi), a partire dalla serata del 21 giugno (ore 21), presso il Centro di Spiritualità Madonna della Nova, quando vi sarà la cerimonia di consegna del Premio AIFO Donne per l’Inclusione 2025, conferito quest’anno a Mafalda Pistillo, direttrice dell’Associazione I Portatori di Gioia di Ceglie Messapica (Brindisi).
«Si tratta di un riconoscimento – spiegano i promotori – che celebra l’impegno quotidiano di una donna la quale, attraverso il proprio operato, promuove l’inclusione delle persone con disabilità e favorisce percorsi di partecipazione e autonomia».
La serata sarà arricchita dagli interventi delle Istituzioni locali e della direttrice dell’AIFO. La consegna del premio sarà affidata a Enrichetta Alimena, giornalista e attivista, firma anche di Superando, già vincitrice della precedente edizione e a conclusione dell’incontro è previsto un momento conviviale e musicale con I Portatori di Gioia.

Nella mattinata del 22 giugno, invece, sempre presso il Centro Madonna della Nova (ore 9.15), è in programma il convegno denominato Diversità che Unisce: la forza dell’inclusione, aperto a soci AIFO, familiari, rappresentanti delle istituzioni, associazioni e realtà del territorio.
L’incontro, moderato da Franco Colizzi, socio delegato AIFO e già presidente dell’Associazione, si propone di offrire strumenti concreti e stimoli operativi per promuovere una cultura dell’inclusione, attraverso la condivisione di buone pratiche ed esperienze significative.
Dopo i saluti iniziali di Antonio Lissoni, presidente dell’AIFO, dei sindaci di Ostuni e San Vito dei Normanni, Angelo Pomes e Silvana Errico, del presidente della BCC Ostuni Francesco Zaccaria e del rappresentante di Scaff System Licio Tamborrino, vi saranno le testimonianze di rappresentanti di cooperative sociali, associazioni e professionisti impegnati nella costruzione di una società più inclusiva, tra cui Francesco Parisi, Stefania Calcagni, Marco Miglietta, Michele Falavigna e la già citata Enrichetta Alimena.
I temi affrontati spazieranno dal lavoro come strumento di emancipazione e coesione sociale, alla cooperazione inclusiva, fino all’innovazione sociale generata dalla partecipazione attiva delle comunità locali.
Il convegno si concluderà in tarda mattinata per poi proseguire con la visita al Giardino Raoul Follereau, intitolato lo scorso anno alla figura del fondatore dell’AIFO. Il trasferimento sarà organizzato grazie ai mezzi dell’UNITALSI. (S.B.)

Per maggiori notizie o per iscriversi al convegno del 22 giugno, è possibile compilare il modulo disponibile a questo link. Per ulteriori informazioni: clelia.faraone@aifo.itfederica.dona@aifo.it.

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Quel portone chiuso della Regione Toscana

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Il 16 giugno a Firenze vi è stato un presidio di protesta indetto dall’AVI Toscana per chiedere risposte alle criticità che stanno incontrando le persone con disabilità in questa fase di transizione alla nuova disciplina regionale di accesso ai contributi per la Vita Indipendente. Sotto un sole caldissimo, le persone intervenute hanno atteso di essere ascoltate dal Presidente della Regione sin dal primo pomeriggio, ma alle 18.30 il portone del palazzo della Presidenza è stato chiuso e nessuno le ha ricevute… Alcune delle persone con e senza disabilità intervenute il 16 giugno al presidio di protesta per difendere il diritto alla Vita Indipendente, davanti al portone chiuso del palazzo della Presidenza della Regione Toscana

Il 16 giugno scorso a Firenze [se ne legga la segnalazione anche su queste pagine, N.d.R.], ha avuto luogo un presidio di protesta indetto dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), per chiedere risposte alle criticità che stanno incontrando le persone con disabilità in questa fase di transizione alla nuova disciplina regionale di accesso ai contributi per la Vita Indipendente, intesa come assistenza personale autogestita.
Sotto un sole caldissimo, le persone intervenute hanno atteso di essere ascoltate sin dalle 14.30, ma il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, era in Giunta. Alle 18.30 il pesante portone verde del palazzo della Presidenza Regionale è stato chiuso. Il presidente Giani, finita la riunione di Giunta, era uscito da un altro ingresso, e le persone con disabilità, attonite, hanno capito che non c’era più niente da aspettare.

Di presìdi di protesta ce ne sono stati molti altri. Sempre a Firenze, in Piazza Duomo, in uno dei luoghi più belli del mondo. Il penultimo si era tenuto il 5 maggio scorso [se ne legga a questo link, N.d.R.], pioveva e c’era l’allerta meteo arancione. In quell’occasione due esponenti delle persone con disabilità erano stati ricevuti dal Presidente della Regione e da Serena Spinelli, assessora regionale alle Politiche Sociali, e avevano potuto avanzare le richieste, a loro avviso, più urgenti, vale a dire:
° erogazione del contributo assegnato entro il giorno 25 del mese di riferimento;
° adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale di ogni singola persona con disabilità;
° adeguamento dell’importo dei contributi per la vita indipendente all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale in base al CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) e a quanto stabilito dall’INPS;
° rendicontazione almeno trimestrale, concedendo almeno quindici giorni per la consegna della stessa;
° eliminazione delle differenze di trattamento fra le varie zone della Toscana.
Nei giorni successivi attendevano una risposta dai vertici della Regione, che però ai primi di giugno non era ancora arrivata, da qui l’idea di scendere ancora in piazza il 16 giugno. La risposta è arrivata in seguito, ma è stata ritenuta formale e inadeguata, cosa che ha appunto indotto a confermare il presidio del 16.

Alla richiesta di adeguare l’importo dei contributi per la Vita Indipendente all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale, il presidente Giani ha risposto che l’importo massimo dei contributi è già stato aumentato, passando da 1.800 a 2.000 euro mensili. Ma le persone con disabilità argomentano che «in realtà, tale cifra massima è stata assegnata a pochissime persone. Inoltre, è un aumento dell’11% mentre il costo dell’assistenza personale è aumentato del 50%».
Confrontandosi tra di loro, esse hanno anche riscontrato che «troppi contributi di scarso ammontare sono stati dati a pioggia». Nella sua risposta il presidente Giani ha anche negato che vi siano differenze di trattamento tra le varie Zone della Toscana, ma le persone con disabilità stanno riscontrando il contrario.
Ci sono poi le difficoltà dovute al fatto di dover anticipare le somme dei contributi, che vengono erogati a rimborso. E qui, nonostante che i fondi siano già stati trasferiti ai Presìdi territoriali, alcuni di questi stanno erogando i rimborsi due mesi dopo il mese di pertinenza (il mese di marzo è stato corrisposto a maggio), ciò che obbliga le persone ad anticipare due mesi di stipendio ai propri assistenti personali.
E ancora, le modalità di rendicontazione sono divenute molto più complesse, tanto da indurre le persone con disabilità a doversi appoggiare ai commercialisti e a sostenere spese addizionali che non sono coperte dai contributi stessi. Le più penalizzate sono le persone che vivono sole e hanno difficoltà economiche, le altre compensano per lo più appoggiandosi ai familiari.
Tutti problemi concreti che non trovano ascolto.

Anche a quest’ultimo presidio le persone, con e senza disabilità, hanno portato gli ombrelli, questa volta per ripararsi dal sole. Hanno parlato al megafono. «La Toscana ha recentemente approvato la legge sul fine vita. È una legge giusta, ma noi vogliamo vivere. Aiutateci a vivere!», hanno detto, tra le altre cose. Hanno acclamato a gran voce: «Giani vieni giù! Giani vieni giù! Giani vieni giù!». Hanno cantato Bella ciao, la Canzone del maggio di Fabrizio De André («Anche se voi vi credete assolti, / siete lo stesso coinvolti») e altre. Anche questa volta il palazzo della Regione era presidiato dalle Forze dell’Ordine, in borghese, forse per dare meno nell’occhio, ma non per questo meno ferme nell’impedire l’accesso alla struttura anche quando il portone era aperto. Poi il portone si è chiuso anche fisicamente. Il palazzo è riuscito a difendersi dalle richieste delle persone con disabilità. Che tristezza! (Simona Lancioni)

Si ringrazia Roberta Mancini per la collaborazione.

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Disabilità: serve un “cambio di testa” nelle Istituzioni e nella Società

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«Ci impegneremo a continuare nel nostro operato, per far valere le ragioni e i bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie, con l’obiettivo di costruire una Campania più inclusiva, giusta e accessibile per tutti»: lo ha dichiarato Gennaro Pezzurro, subito dopo essere diventato il nuovo presidente della Federazione FISH Campania, che nei giorni scorsi ha anche provveduto a definire le altre cariche della propria Giunta Un’immagine del recente congresso della FISH Campania, durante il quale è stata nominata la nuova Giunta della Federazione

«Ci impegneremo a continuare nel nostro operato, per far valere le ragioni e i bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie, con l’obiettivo di costruire una Campania più inclusiva, giusta e accessibile per tutti»: lo ha dichiarato Gennaro Pezzurro, subito dopo essere diventato il nuovo presidente della FISH Campania (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), succedendo a Daniele Romano, come avevamo segnalato nei giorni scorsi.
La Federazione campana ha anche provveduto a definire le altre cariche, nominando quale vicepresidente vicario Alessandro Parisi, quale vicepresidente Alessia Malasomma, quale segretario Nicola Longo e quale tesoriere il presidente uscente Daniele Romano. Gli altri due membri della Giunta sono Raffaele Puzio e Rosaria Duraccio, mentre il Comitato dei Garanti sarà presieduto da Vincenzo Gargiulo, affiancato da Angela Lepore e Miriana De Maio.

Tutti i membri della nuova Giunta hanno innanzitutto voluto «esprimere profonda gratitudine a Daniele Romano per la sua dedizione e il suo impegno instancabile come Presidente uscente, riconoscendo il ruolo fondamentale nel rafforzare la FISH Campania e nel tessere relazioni istituzionali cruciali». «Pur giovane – hanno aggiunto – Romano si è dimostrato un riferimento solido, esperto in relazioni istituzionali e dotato di una visione ampia, progressista e democratica».
Dal canto suo, Gennaro Pezzurro, nel suo discorso programmatico, ha delineato le linee guida per il futuro della Federazione campana, sottolineando «l’importanza di consolidare e ampliare le relazioni istituzionali a tutti i livelli (governativo, regionale e territoriale)», evidenziando altresì «la necessità di dialogare con professionisti, sindacati e partiti politici, mantenendo un approccio qualitativo e imparziale per promuovere una democrazia deliberativa che ponga al centro i bisogni reali delle persone».

«Un punto cardine del mio mandato – ha quindi affermato – sarà quello che amo definire come il “cambio di testa” nelle istituzioni e nella società, promuovendo cioè l’empowerment (crescita dell’autoconsapevolezza) e l’autodeterminazione delle persone con disabilità, sfidando la cultura assistenzialistica che spesso si sostituisce alla volontà individuale. La disabilità, infatti, è creata dall’interazione tra la persona e l’ambiente, incluse le barriere culturali e sociali, e tutto il nostro impegno sarà quindi volto a rimuovere tali barriere».
«Vorrei inoltre enfatizzare il fatto – ha aggiunto – che i diritti e la qualità della vita non possono essere legati solo a servizi o rimborsi, ma devono mettere la persona nella sua interezza al centro del progetto di vita, favorendone l’inclusione piena in ogni àmbito: lavoro, istruzione, cultura, sport, partecipazione sociale e vita affettiva».

«Intendo essere – ha concluso – un presidente “ecumenico e progressista”, unendo cioè le diverse anime del movimento e lottando per un futuro in cui la disabilità sia valorizzata come risorsa per l’intera società. Il mio ruolo per altro, non sarà quello di “un uomo solo al comando”, ma che la mia presidenza avrà successo solo grazie al contributo attivo e alla partecipazione di tutti i membri e delle varie Associazioni aderenti alla nostra Federazione». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: fishcampania@gmail.com.

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La burocrazia, madre di tutte le barriere culturali

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Nell’esprimere piena solidarietà alla pacifica protesta del presidente dell’AICE Pesce – scrivono Ettore Trizzino e Salvatore Di Giglia – per far sì che si sblocchi una Legge volta a sancire la piena cittadinanza delle persone con epilessia, auspichiamo che l’applicazione delle norme in materia di disabilità operi finalmente secondo la “fisiologia del diritto”, senza costringere le persone a percorrere la via giudiziale (“patologia del diritto”), ponendo in essere una permanente situazione conflittuale Il presidente dell’AICE Pesce è giunto al decimo giorno di sciopero della fame davanti al Ministero della Salute

Giunto al decimo giorno, lo sciopero della fame di Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), certamente da condividere e supportare, ha condotto ad affermare, nel corpo di un articolo pubblicato da Superando, a firma di Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), che «non possiamo tollerare che la burocrazia diventi una barriera più insidiosa delle stesse condizioni di salute».
Ferma restando la volontà del nostro Ente [Ente Nazionale Tutela Disabilità APS] di esprimere piena solidarietà al presidente dell’AICE circa i contenuti della sua pacifica protesta, l’affermazione del Presidente della FISH viene da noi valutata come oltremodo condivisibile e da essa potrebbe partire un importante momento dal quale si possa ragionevolmente attribuire a tale “insidiosa barriera” (ovviamente di tipo culturale) il valore pregnante che le è proprio e, conseguentemente, richiedere la necessaria consapevolezza da parte dell’Apparato della Pubblica Amministrazione.

Invero, per troppi anni (lustri), non abbiamo mai pensato dal mettere in discussione ciò che abbiamo da sempre considerato ovvio e intangibile. Ci riferiamo al fatto che la condizione di disabilità è stata – anche da noi persone con disabilità – normalmente accostata o strettamente collegata a concetti riferibili all’altrui sensibilità d’animo, alla caritatevolezza, all’altruismo, al buonismo, e chi più ne ha, più ne metta. Questa visione, che per decenni nelle diverse dinamiche sociali abbiamo in qualche modo inconsciamente tollerato, ha finito per creare granitici pregiudizi o stereotipi, affondando profonde radici nel campo del riconoscimento dei nostri diritti e favorendo spesso il loro mancato rispetto.
Si ritiene oggi fondamentale fare una riflessione in merito a tale assunto. Si è infatti convinti che il generalizzato riconoscimento del carattere ovvio di tale ultima affermazione, in passato ci abbia fatto desistere dal richiedere interventi diretti e mirati ad eliminare in radice, seppure gradualmente, questa forma di dogma con il quale, benché suffragata da ragioni di vario tipo e natura, abbiamo convissuto da sempre.
Oggi dobbiamo analizzare criticamente anche ciò che nel tempo ci è sembrato scontato. Sarà il modo più efficace che potrà spingerci e aiutarci a discernere e scoprire i reali motivi posti a base delle ingiustizie e iniquità sofferte a causa di una burocrazia non perfettamente attenta ai contenuti e ai tempi prefissati dalle norme in tema di disabilità.
Nel contempo sarà fondamentale sollecitare anche interventi formali nei riguardi della stessa Pubblica Amministrazione, mediante la produzione di specifica prassi (Circolari e Direttive applicative della normativa di settore), diretta a superare al proprio interno il “pregiudizio secondo cui la materia della disabilità può essere trattata con indifferenza” fino a rendere discrezionale l’applicazione di norme cogenti e disattendere spesso persino i perentori termini entro i quali numerose attività devono essere svolte. Tutto ciò confidando sulla possibilità che i destinatari-beneficiari del provvedimento omesso o ritardato possano astenersi dal porre in essere la corrispondente tutela giudiziale.

Ci riserviamo di ritornare sull’argomento per introdurre ed esporre in concreto situazioni analoghe che sono state affrontate in modo efficace dalla stessa Pubblica Amministrazione, allorché essa abbia acquisito consapevolezza che i danni conseguenti alle proprie disattenzioni, ritardi e omissioni si discostano non solo dal principio di legalità al quale la Pubblica Amministrazione stessa deve sempre e comunque orientarsi, ma riescono – da un lato – a creare situazioni disagevoli e inique per i destinatari e – dall’altro – non convenienti su piani diversificati neanche per il suo apparato burocratico (riduzione del grado di affidamento nella Pubblica Amministrazione; condanne alle spese giudiziali, se non addirittura per lite temeraria; sfiducia nelle Istituzioni in generale; altre).
Se non sarà, infatti, la stessa burocrazia, mediante il superamento di questa erronea visione, a riconoscere e a privilegiare che anche l’applicazione delle norme in materia di disabilità deve operare secondo la fisiologia del diritto, saremo ancora per molto tempo costretti ad esigere prevalentemente i nostri diritti attraverso la via giudiziale (patologica), finendo per porre in essere una situazione conflittuale che non avrebbe assolutamente motivo di venire ad esistenza.

*Rispettivamente operatore del diritto e coordinatore del Centro di Ascolto Telefono D dell’Ente Nazionale Tutela Disabilità APS.

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L’arancione, colore che vuole essere luce, energia e speranza per le persone con la distrofia facio-scapolo-omerale

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Domani, 20 giugno, sarà la Giornata Mondiale della Distrofia Facio-Scapolo-Omerale (FSHD) e anche l’Italia parteciperà all’iniziativa internazionale “M’illumino di arancione, per richiamare l’attenzione su una delle più comuni malattie muscolari rare, che sta vivendo una fase promettente a livello di ricerca. Se ne parlerà all’XI Convegno Nazionale FSHD 2025, organizzato a Roma, ma fruibile anche online, dall’Associazione FSHD Italia, in collaborazione con la UILDM e il Gruppo FSHD dell’AIM 

Domani, 20 giugno, che sarà la Giornata Mondiale della Distrofia Facio-Scapolo-Omerale (World FSH Day), anche l’Italia parteciperà all’iniziativa internazionale M’illumino di arancione, che porterà appunto all’illuminazione simbolica di una serie di edifici pubblici e luoghi rappresentativi, per richiamare l’attenzione su quella che è una delle più comuni malattie muscolari rare.
La distrofia muscolare facio-scapolo-omerale si caratterizza per una progressiva atrofia muscolare, generalmente a partire dai muscoli del volto, delle spalle e delle braccia, con eventuale coinvolgimento di altri distretti, compresi addome, gambe e muscoli respiratori. Ha una prevalenza di circa 6-7 persone su 100.000 e oltre il 20% di chi ne è affetto perde la capacità deambulatoria.
Vi è oggi accordo nel ritenere che la malattia sia causata non dalla carenza di una proteina (come nella maggior parte delle altre forme di distrofia muscolare), ma dall’attivazione inappropriata di un gene, DUX4, che determinerebbe il progressivo coinvolgimento di singoli muscoli, con la comparsa di aspetti infiammatori seguiti da degenerazione grassa.
Ad oggi non esistono terapie approvate in grado di arrestare o rallentare la progressione della malattia e il decadimento funzionale, né di ricostruire i muscoli danneggiati. Tuttavia, i recenti importanti investimenti dell’industria farmaceutica nella ricerca e l’avvio di numerosi trial clinici innovativi in Europa e negli Stati Uniti stanno alimentando nuove e concrete speranze.

Al centro degli eventi in programma per domani, 20 giugno, nel nostro Paese, vi sarà dunque il l’XI Convegno Nazionale FSHD 2025, organizzato a Roma (Zest Hub), ma fruibile anche online, a cura dell’Associazione FSHD Italia, in collaborazione con la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e il Gruppo FSHD dell’AIM (Associazione Italiana di Miologia), incontro che si avvarrà del patrocinio dell’OMaR (Osservatorio Malattie Rare), della Consulta Malattie Neuromuscolari, dell’Alleanza Malattie Rare e della SIN (Società Italiana di Neurologia).
«Sarà un momento di dialogo, formazione, aggiornamento scientifico e condivisione – spiegano i promotori – aperto a pazienti, familiari, medici, ricercatori, istituzioni e aziende farmaceutiche, in un contesto di crescente attenzione internazionale verso la distrofia facio-scapolo-omerale. L’arancione, colore scelto a livello globale per rappresentare la comunità FSHD, vuole essere luce, energia e speranza. La scelta del 20 giugno ha un significato speciale anche per il nostro Paese: è infatti stata proclamata Giornata Nazionale della FSHD nel 2018, per volontà dell’allora ministra della Salute Lorenzin, che si ispirò alla vicenda dei fratelli Biviano, due giovani di Lipari (Messina), affetti da distrofia facio-scapolo-opmerale che, insieme alla loro famiglia, portarono alla ribalta nazionale le difficoltà vissute quotidianamente da chi convive con una patologia neuromuscolare rara. Sandro e Marco Biviano, infatti, a partire dal 2013 e per oltre due anni, campeggiarono in tenda davanti a Montecitorio, per rivendicare il diritto dei malati cronici e delle persone con disabilità alle cure e all’assistenza dello Stato».

«La Giornata del 20 giugno – sottolinea dal canto suo Enzo Ricci, direttore scientifico di FSHD Italia e responsabile del Centro FSHD del Policlinico Gemelli di Roma – è nata da una storia di coraggio e ha acceso i riflettori su una comunità viva, resiliente e determinata. Oggi, come allora, vogliamo che nessuno resti al buio, né nei diritti, né nella ricerca, né nell’attenzione pubblica. La celebrazione di quest’anno, per altro, ricorre in una fase particolarmente promettente della ricerca di una cura per la distrofia facio-scapolo-omerale: in tempi recenti, infatti, lo studio su questa malattia ha registrato un crescente interesse da parte dell’industria farmaceutica e del mondo scientifico, con l’avvio di numerose sperimentazioni terapeutiche, alcune delle quali già in fase clinica e con esiti preliminari incoraggianti. Gli approcci variano da famaci che, con differenti meccanismi, mirano a impedire la produzione del gene DUX4 al blocco di interleuchine pro-infiammatorie come IL-6 (che medierebbero gli effetti tossici di DUX4 sul muscolo), fino all’inibizione della miostatina, con l’obiettivo di aumentare la forza e il trofismo dei muscoli del tutto o in parte risparmiati dalla malattia». (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del convegno. Per ogni altra informazione e approfondimento: Simonetta de Chiara Ruffo (simonettadechiara@gmail.com).

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Carrozzine a motore elettrico e spese a carico degli utenti: bene il Veneto, ma la FISH scrive al Governo

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«Le Aziende Sanitarie dovranno assicurare agli assistiti tutte le prestazioni di adattamento e personalizzazione delle carrozzine a motore elettrico e quelle di manutenzione, riparazione e sostituzione di batteria o altri componenti necessari»: così la Regione Veneto, che risolve dunque positivamente il problema da noi evidenziato in questi giorni, che tuttavia permane per il resto del Paese. In tal senso la FISH scrive ai Ministri della Salute e per le Disabilità, chiedendo un immediato intervento risolutivo

È con grande piacere che registriamo un importante passo avanti sulla questione da noi segnalata in queste settimane, quando avevamo ripreso alcuni articoli pubblicati dal «Fatto Quotidiano» a firma di Renato La Cara, secondo cui dal 1° gennaio di quest’anno spetterebbero agli utenti le spese legate alla manutenzione e alle riparazioni delle carrozzine a motore elettrico (batterie, motori, joystick, ruote), dopo l’entrata in vigore del Nomenclatore Allegato 5 al DPCM 12/2017, avvenuta il 30 dicembre 2024, con l’approvazione delle relative Tariffe dell’Elenco 1.
Proprio ieri avevamo segnalato che la questione era stata sollevata anche tramite un’Interrogazione Parlamentare in cui si chiedeva ai Ministeri della Salute e dell’Economia e Finanze, se intendessero «adottare con la necessaria urgenza iniziative per garantire che i codici relativi alle riparazioni e sostituzioni per gli ausili rientranti nel codice ISO 12.23 (carrozzine a motore elettrico) fossero a carico del Servizio sanitario nazionale e quindi garantiti gratuitamente alle persone che ne hanno bisogno».
Prima ancora che a livello nazionale, però, la visibilità iniziale aveva riguardato la Regione Veneto, grazie alle segnalazioni provenienti direttamente da persone con disabilità, tra cui il blogger Luca Faccio. In tal senso l’assessora alla Sanità del Veneto Manuela Lanzarin aveva pubblicamente dichiarato che la propria Regione si stava «attivando per affrontare questa problematica e definire un percorso regionale che includa anche queste prestazioni essenziali».

Ebbene, è oggi ancora Luca Faccio che nel ringraziare le testate giornalistiche e le trasmissioni che hanno dato voce alla vicenda, segnala come, almeno per quanto riguarda il Veneto, la situazione si sia evoluta positivamente, se è vero che l’assessora Lanzarin si è espressa in una nota ufficiale come di seguito: «Le Aziende Sanitarie dovranno assicurare agli assistiti aventi diritto, su prescrizione dello specialista, non solo l’erogazione del dispositivo medico, ma anche tutte le prestazioni di adattamento e personalizzazione (a cura di professionisti sanitari abilitati) e quelle di manutenzione, riparazione e sostituzione di batteria o altri componenti necessari. Si dispone altresì che tali prestazioni (manutenzione, riparazione e sostituzione di batteria o altri componenti necessari) devono essere garantite anche agli assistiti già in possesso di una carrozzina elettrica prescritta ed erogata ai sensi del DM 332/99 [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».

Bene dunque per il Veneto, ma come scrivevamo ieri, il problema riguardava sostanzialmente tutte le Regioni d’Italia e ad esempio per la Lombardia avevamo segnalato l’Interrogazione presentata dalla consigliera regionale Lisa Noja. Che succede dunque nel resto del Paese?
In tal senso la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), per la quale nei giorni scorsi aveva preso posizione il presidente Vincenzo Falabella, ha inviato una lettera al ministro della Salute Schillaci e alla ministra per le Disabilità Locatelli, denunciando a propria volta «questa grave criticità che sta colpendo migliaia di persone con disabilità in tutta Italia, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Nomenclatore, approvato con il Decreto Tariffe del 30 dicembre 2024, ciò che ha provocato un vuoto inaccettabile, coincidente appunto con la revoca del Decreto Ministeriale 332/99, facendo sì che il Servizio Sanitario Nazionale non copra più gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle carrozzine a motore elettrico, dispositivi essenziali per la mobilità e l’autonomia. Il tutto lasciando alle famiglie oneri economici insostenibili».
Ritenendo quindi «inaccettabile che si proceda a un alleggerimento del Servizio Sanitario Nazionale a discapito dei “più fragili”» e sottolineando come «questa lacuna violi i principi della Convenzione ONU, la FISH chiede «un immediato intervento del ministro Schillaci per ripristinare la copertura economica per riparazioni e sostituzioni delle carrozzine elettriche; una urgente integrazione del Nomenclatore, evitando che questioni burocratiche limitino l’autonomia delle persone con disabilità; la definizione di soluzioni strutturali per prevenire future esclusioni».
Chiedendo dunque un confronto urgente con i due Ministeri e restando a disposizione per collaborare, nel confidare in una risposta tempestiva da parte del Governo, la Federazione conclude ricordando che «ogni giorno di attesa si traduce in maggiori difficoltà per migliaia di cittadini già in condizioni di vulnerabilità. In altre parole: ogni giorno di ritardo è un diritto negato!». (S.B.)

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Il supporto tra pari nell’area della salute mentale

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L’acronimo ESP sta per Esperti/e Per Esperienza o Esperti/e in Supporto tra Pari, persone che lavorano all’interno dei servizi di salute mentale e che si distinguono per avere vissuto e superato una crisi emotiva, traendo da questa una conoscenza di determinate situazioni che va al di là di quanto si può apprendere dalla letteratura. Susanna Brunelli è una ESP e ha accettato di condividere con noi il cammino esistenziale che l’ha portata a dedicarsi a chi sta cercando di superare una battaglia che lei ha vinto

Le disabilità psico-sociali sono invisibili. Non c’è nessun segno evidente, una sedia a rotelle, un bastone bianco, una protesi che a colpo d’occhio faccia comprendere che una persona vive una condizione di difficoltà interiore. La salute mentale, che pure è parte essenziale del benessere di ognuno di noi, è ancora circondata da pesanti pregiudizi che inducono le persone a nascondersi, a fingere che vada tutto bene, quando invece avrebbero bisogno di ascolto e sostegno.
Se in questo àmbito il modello medico che predilige le tradizionali terapie farmacologiche è ancora prevalente, si sta lentamente (e aggiungerei fortunatamente) facendo strada un pensiero nuovo che tende la mano ai bisogni senza giudicarli. La mano tesa arriva da chi ha attraversato periodi bui, è riuscito a portare a termine con successo un percorso di ritorno alla vita e desidera mettere la propria esperienza a disposizione di chi affronta lo stesso disagio.

Si identificano con un acronimo, ESP, che sta per Esperti/e Per Esperienza o Esperti/e in Supporto tra Pari, lavorano all’interno dei servizi di salute mentale e si distinguono per avere vissuto e superato una crisi emotiva, traendo da questa una conoscenza di determinate situazioni che va al di là di quanto si può apprendere dalla letteratura. Non è un impegno scontato, sarebbe più comodo lasciarsi tutto alle spalle, per questo va ancora più apprezzata la volontà di rivestire questo ruolo così delicato.
Susanna Brunelli è una ESP e ha accettato di condividere con noi il cammino esistenziale che l’ha portata a dedicarsi a chi sta cercando di superare una battaglia che lei ha vinto.
Susanna, ci racconti brevemente chi è: «Sono di Verona, nata nel 1963, ma “rinata” il 18 marzo 2019. Fin da piccola ho sempre avuto una propensione verso la relazione d’aiuto, mi veniva naturale essere disponibile all’ascolto, probabilmente perché spesso non mi sentivo ascoltata. Ero timida, ma anche molto empatica, e trovavo facilmente un modo per entrare in connessione con le persone».
Susanna si racconta in modo aperto e sincero anche quando le domando come è venuta in contatto con l’ambiente psichiatrico: «Posso dire di avere avuto familiarità con l’ambiente psichiatrico fin dalla nascita. Alcuni aspetti della mia genealogia hanno lasciato tracce più evidenti su alcuni membri rispetto ad altri, la dualità tra fragilità e forza si è trasmessa e alternata nel corso delle generazioni. Anch’io ho vissuto un’esperienza psichiatrica, prima come familiare e poi come persona direttamente coinvolta, all’età di 54 anni. Vorrei precisare che attribuisco poco peso all’aspetto genetico, sono convinta che siano le influenze dell’ambiente, delle energie e delle interazioni a giocare un ruolo più determinante».

La prospettiva di Susanna, frutto della sua esperienza, dà quindi importanza al contesto e alle relazioni nel nostro benessere psicologico: «Il mio pensiero critico mi porta a considerare alternative all’approccio organicista in psichiatria, che si basa principalmente sulla teoria secondo cui il disagio psichico abbia una causa biologica». Ma come valuta il sistema di supporto alla salute mentale in Italia? «Dopo molti anni di esperienza, considero il sistema fallimentare poiché spesso produce esiti devastanti che impattano profondamente sulla vita delle persone coinvolte. Sono stata seguita per 18 mesi dai servizi di salute mentale della mia città, di cui 11 mesi di ricovero, alcuni dei quali nello stesso reparto in cui, molti anni prima, era stata ricoverata mia sorella. È stata un’esperienza terribile, direi infernale, che ha rappresentato per me un doppio trauma, aggravando ulteriormente la disperazione che stavo vivendo in quel periodo. Sono portatrice di una patologia autoimmune, l’artrite reumatoide, che mi inviava costantemente segnali di allerta. Cercavo di farmi forza e di sopravvivere, dando priorità alla situazione e alle circostanze di cui mi ero fatta carico. Troppo carico! Spesso mi sentivo come se non avessi avuto il diritto di esistere».
Ma come è venuta a conoscenza degli Esperti/e in Supporto tra Pari – le chiedo – e quali ragioni l’hanno spinta a intraprendere questa strada? «Una volta riacquisita la mia autonomia, nel 2019 mi è sorto spontaneo il desiderio di dare un senso a quanto di terribile avevo vissuto. Ho cercato nella mia rete di conoscenze, partecipato a incontri, e nel mio percorso ho scoperto MAD in ITALY. Grazie ad alcuni contenuti che pubblicavo sui social per promuovere una maggiore comprensione pubblica, sono stata contattata dagli amministratori di questo portale di informazione scientifica, con i quali collaboro, cercando di coinvolgere anche altre persone che vogliono raccontare la propria storia di trasformazione dopo un periodo di sofferenza. Per quanto riguarda il campo dei diritti, faccio parte dell’Associazione Diritti alla Follia che mi ha fatto conoscere la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e molti altri aspetti relativi al mondo delle disabilità psico-sociali».
Chi è e cosa fa un ESP? «L’ESP è una persona che ha vissuto un’esperienza nel campo della salute mentale e può diventare un Esperto in Supporto tra Pari dopo avere intrapreso un percorso di recovery, ovvero un percorso di consapevolezza e autoconoscenza, e avere attuato un processo di cambiamento nella propria vita. Avendo acquisito un “sapere esperienziale”, si mette a disposizione di chi sta attraversando situazioni simili a quelle vissute personalmente».

L’idea di implementare persone con esperienza vissuta all’interno dei servizi specialistici è nata negli Anni Novanta e si è sviluppata in vari modi in diversi Paesi europei. In Irlanda, ad esempio, gli ESP fanno parte della strategia nazionale per la salute mentale, mentre in altri Stati l’iniziativa viene lasciata ai singoli servizi locali, sebbene siano ormai assodati i benefici del supporto tra pari nell’approccio alle disabilità psico-sociali. E in Italia? «Negli ultimi anni si è assistito a una crescita dell’interesse e della presenza di queste figure – spiega Susanna -. Secondo le stime disponibili, in Italia circa 16 milioni di persone convivono con un disturbo mentale, molte ricevono assistenza attraverso i servizi di salute mentale pubblici e privati. Per quanto riguarda gli ESP (noti anche come peer specialist o peer worker), i dati aggiornati sul numero esatto sono ancora scarsi. La presenza di queste figure è più evidente in alcune zone d’Italia, mentre in altre sono praticamente inesistenti. Fino ad ora gli ESP sono stati principalmente riconosciuti come orientatori o facilitatori, o inseriti formalmente come volontari, attraverso tirocini o borse lavoro. Le Regioni più coinvolte sono il Trentino Alto Adige, l’Emilia Romagna, la Lombardia, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte».

Susanna Brunelli

Lo scorso dicembre Mental Health Europe, la principale organizzazione non governativa europea indipendente impegnata nella tutela dei diritti delle persone con disabilità psico-sociali, ha pubblicato una guida, Short Guide. Peer Support in Mental Health Care, che fornisce una migliore comprensione del ruolo di sostenitori e sostenitrici tra pari nel percorso di recupero delle persone con disagio mentale. L’ennesimo segno che sta crescendo l’interesse, ed è così anche nel nostro Paese: «Diverse Associazioni a livello locale, regionale e anche reti nazionali – racconta ancora Susanna Brunelli – si impegnano nella sensibilizzazione, nella promozione e nel coordinamento dell’inclusione di questi esperti. A tal proposito, desidero segnalare una notizia molto recente: il 6 giugno 2025, l’Associazione professionale AIPESP (Associazione Italiana Persone Esperte in Supporto tra Pari) è stata ufficialmente riconosciuta a livello istituzionale. Per entrare dunque a far parte di questa realtà, è necessario avere completato un percorso formativo adeguato, che integri il sapere esperienziale. Si prevede che l’Associazione possa offrire corsi per ESP, rappresentando un risultato significativo per chi desidera inserirsi in questo settore».

Ma quali domande le pongono le persone che hanno bisogno di supporto? «Le persone che mi contattano desiderano condividere la loro esperienza; appena percepiscono che sono disposta ad ascoltarle, sentono la necessità di raccontare la loro storia di sofferenza. Un gesto semplice come ascoltare può fare la differenza, offrendo sollievo a chi si sente spesso incompreso e trascurato. Queste persone possono essere direttamente interessate o membri della famiglia che cercano disperatamente qualcuno in grado di fornire soluzioni o informazioni».
Riguardo alle difficoltà che più spesso le vengono sottoposte, il racconto di Susanna si fa duro: «Nella maggior parte dei casi, il problema non risiede tanto nel disagio stesso, quanto nelle conseguenze di una cattiva gestione di esso. Le principali criticità riguardano gli effetti collaterali dei farmaci, che spesso vengono somministrati in modo sconsiderato e a lungo termine. Ho incontrato molti ragazzi e adulti che lamentano disfunzioni fisiche di vario genere dopo un uso prolungato di farmaci. Persone che hanno subito Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), contenzioni e talvolta anche elettroshock, eventi che devastano l’anima e l’identità».
Non sempre positivo, poi, è il rapporto con i professionisti del settore, una certa chiusura è ancora dovuta alla propensione a sostituirsi alla persona con disabilità psico-sociale, non ritenendola “competente” in merito alla propria condizione: «I miei interventi spesso coinvolgono anche gli operatori dei servizi e, sebbene le mie critiche abbiano, a mio avviso, un intento costruttivo, percepisco una certa resistenza, salvo rare eccezioni di persone più aperte al confronto. Sembra che ci sia un’inversione di marcia e che si tenda più a regredire piuttosto che a rispettare i diritti sanciti dalla Convenzione ONU, molti dei quali sono ancora poco conosciuti sia dagli operatori dei servizi sia dai fruitori degli stessi».

Susanna sa di non dover «essere utilizzata come raccolta di frustrazioni, lamentele e piagnistei che non portano a nulla», la soddisfazione più grande è «creare relazioni basate su un dialogo reciproco e autentico, vedere che le mie indicazioni contribuiscono ad ampliare la conoscenza degli altri e verificare che ne traggono beneficio». Quando le chiedo cosa si senta di consigliare a chi intende intraprendere “la via dell’ESP”, non ha dubbi: «La formazione è essenziale per sviluppare capacità comunicative, lavorare sulla propria stabilità emotiva e valorizzare i talenti personali, mettendo a disposizione elementi e strumenti utili per entrare in contatto con il cuore delle persone. È importante cercare e coltivare rapporti con gruppi di pari, ampliare il proprio punto di vista e mantenersi aggiornati. Inoltre, consiglio di sviluppare un pensiero critico per mantenere la propria autonomia, rimanendo fedeli alla propria storia di sofferenza e ai propri valori, affinché il cammino personale sia sempre autentico e libero».
Piedi per terra, sempre, dunque, «essere consapevoli che non si può salvare nessuno e che le persone possiedono già dentro di sé le risorse per evolversi. Il compito dell’ESP è accompagnarle in questo processo, senza mai sostituirsi a loro».

In conclusione, se dovesse riassumere la sua esperienza fino a qui cosa direbbe? «Credo che tutto nella vita abbia un suo senso: non esistono bene o male, giusto o sbagliato. Le chiamo esperienze, anche quella vissuta in 18 mesi di “psichiatria dura”. Questo è il mio punto di forza. Questa esperienza mi ha aiutato a liberarmi dalle barriere e dalle credenze limitanti che avevo permesso di instaurare nella mia mente. Ma so anche che, se nei momenti più bui si riesce a cambiare la propria percezione dei fatti, si può trovare una via d’uscita e una nuova prospettiva di vita».

*Direttrice responsabile di Superando. Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Quel ponte tra la crisi e la rinascita: la storia di Susanna e il supporto tra pari nell’area della salute mentale”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore e differente titolo, per gentile concessione.

Per ulteriori approfondimenti, si può consultare la Carta Nazionale degli Esperti in Supporto tra Pari in Salute Mentale a questo link. Per informazioni: susi.brunelli@gmail.com.

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Il tema delle valutazioni nella “riforma della disabilità” e il mancato riferimento ai diritti umani

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Sulla scorta di un recente convegno che ha permesso di approfondire varie tematiche sulla cosiddetta “riforma della disabilità”, analizzando i Decreti Attuativi della Legge Delega 227/21, Giampiero Griffo si sofferma in questo suo approfondimento sul tema delle valutazioni, rilevando alcune criticità e in particolare la mancanza di un chiaro riferimento ai diritti umani nel principale Decreto Attuativo della stessa Legge 227/21. «E tuttavia – conclude – i tempi ci sarebbero per introdurre gli appropriati correttivi»

Si è recentemente tenuto a Torino il convegno Su base di uguaglianza: per un progetto di vita che garantisca le libertà e i diritti delle persone con disabilità, organizzato dall’Università di Torino e dalla Fondazione Time2 [se ne legga anche la nostra presentazione, N.d.R.], incontro che ha permesso di approfondire varie tematiche relative all’applicazione della riforma del welfare legata alle persone con disabilità, anche analizzando i Decreti Attuativi della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità.
Le presenti riflessioni nascono proprio dalle suggestioni scaturite dagli interventi dei vari relatori di quel convegno. Per ragioni di sintesi, sarò costretto ad un’analisi dei principali elementi emersi, anche se altre questioni meriterebbero pure adeguati approfondimenti. Prossimamente, quindi, dedicherò ulteriori contributi ad altrettanti temi, mentre in questa sede intendo parlare delle valutazioni.

Il Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge 227/21, prevede due tipi di valutazioni (articolo 5), ossia la valutazione di base che è «il procedimento unitario volto al riconoscimento della condizione di disabilità definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a), che  comprende ogni accertamento dell’invalidità civile previsto dalla normativa vigente» (dell’invalidità civile, cecità civile, sordità civile, condizione di disabilità in età evolutiva, condizione di disabilità ai fini dell’inclusione lavorativa) e «l’individuazione dei presupposti per la concessione di assistenza protesica, sanitaria e riabilitativa […], l’individuazione degli elementi utili alla definizione della condizione di non autosufficienza, nonché di disabilità gravissima […], l’individuazione dei  requisiti necessari per l’accesso ad agevolazioni fiscali, tributarie e relative alla mobilità».
Al terzo comma si legge poi che «il procedimento di valutazione di base è informato ai seguenti criteri: a) orientamento dell’intero processo valutativo medico-legale sulla base dell’ICD e degli strumenti descrittivi ICF, con particolare riferimento all’attività e alla partecipazione della persona, in termini di capacità dell’ICF; b) utilizzo, quale strumento integrativo e di partecipazione della persona, ad eccezione dei minori di età, del WHODAS e dei suoi successivi aggiornamenti, nonché di ulteriori strumenti di valutazione scientificamente validati ed individuati dall’OMS ai fini della descrizione e dell’analisi del funzionamento, della disabilità e della salute; c) considerazione dell’attività della persona, al fine di accertare le necessità di sostegno o di sostegno intensivo; d) per i soli effetti della valutazione dell’invalidità civile di cui al comma 1, lettera a), impiego di tabelle medico-legali relative alla condizione conseguente alla compromissione duratura, elaborate sulla base delle più aggiornate conoscenze e acquisizioni scientifiche; e) tempestività, prossimità, efficienza e trasparenza».

Già la sola lettura dell’articolo 5 del Decreto Legislativo 62/24 fa emergere l’ambiguità del mantenimento del regime dell’invalidità civile che si concentra sulla condizione di limitazione funzionale della persona. In attesa delle regolamentazioni successive, solo questo regime è ora esigibile e anche in prospettiva, essendo la definizione del progetto personalizzato e partecipato effettuata solo a richiesta dell’interessato/a, si rischia di mantenere due regimi di welfare.
Altro elemento critico sono gli strumenti tecnici previsti per il riconoscimento della condizione di disabilità.
Durante la discussione nel Comitato ad Hoc (Ad Hoc Committee), incaricato di definire il testo della della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) presentò la proposta di utilizzare la definizione dell’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) quale definizione del concetto di disabilità, ossia «la disabilità è il risultato dell’interazione fra fattori individuali e contestuali, fra cui rientrano menomazione, personalità, atteggiamenti individuali, ambiente, politica e cultura».
La risposta del Comitato ad Hoc fu il rifiuto di quella definizione perché non includeva il rispetto dei diritti umani, essenziale elemento alla base del testo della Convenzione. Venne quindi adottata un’altra definizione, vale a dire: «La disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri».
D’altra parte l’ICF non è proprio adeguato ad intervenire sulla personalizzazione per vari motivi: nei suoi passaggi (items) individua i fattori personali che infatti non sono codificati; l’ICF è nato per evidenziare la presenza di limitazioni funzionali in una determinata popolazione ed area geografica e non per definire progetti per le persone con disabilità; inoltre, è un sistema rigido, basato solo su performance del corpo, che non prende in considerazione interventi di empowerment (crescita dell’autoconsapevolezza) prodotti dalla formazione e dall’utilizzo di ausili tecnologici, rivelandosi pertanto come incapace di valutare i trend positivi o negativi che vivono le persone.
ICF e ICD sono strumenti basati su valutazioni sanitarie, espressi in maniera teorica sulle capacità prestazionali del corpo, senza attivare le potenzialità abilitative della persona.

Va qui anche ricordato che sempre il Comitato ad Hoc ebbe a New York una fitta discussione proprio sul tipo di Convenzione da approvare e alla fine, anche sulla base della ricerca di Gerard Quinn e Theresia Degener Human Rights and Disability, decise di definire un testo basato proprio sui diritti umani. Infatti la Convenzione, all’articolo 1, riconosce per la prima volta in un testo giuridico la piena ed effettiva titolarità dei diritti umani per le persone con disabilità e all’articolo 5 – articolo chiave per l’interpretazione della maniera di applicare i diritti delle persone con disabilità – ribadisce che la valutazione della condizione di disabilità si effettua sui due concetti base dei diritti umani: la non discriminazione e l’uguaglianza di opportunità, quest’ultima già definita dalle Regole Standard delle Nazioni Unite del 1993.
Quindi la definizione di persone con disabilità cui fa riferimento la Legge 227/21 all’articolo 2, comma 2, punto 1, che definisce la delega come «adozione di una definizione di “disabilità” coerente con l’articolo uno secondo paragrafo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità», è basata appunto sui diritti umani. Questa chiara delega, però, non trova purtroppo una definizione adeguata nel Decreto Legislativo 62/24. Infatti, l’articolo 1, comma 1 di quest’ultimo definisce gli obiettivi del Decreto nel senso di «assicurare alla persona il riconoscimento della propria condizione di disabilità, per rimuovere gli ostacoli e per attivare i sostegni utili al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti». Per quanto il concetto sia evidenziato, quindi, non vi è riferimento ai diritti umani. Al comma 2, però viene sottolineato solo «l’effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei supporti, dei benefici e delle agevolazioni, anche attraverso il ricorso all’accomodamento ragionevole e al progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato secondo i principi di autodeterminazione e non discriminazione».
Ebbene, questa mancanza di un riferimento chiaro ai diritti umani rischia di non fare effettuare la comparazione tra la condizione delle persone con disabilità con quella degli altri cittadini e cittadine, essenziale nel campo della valutazione del rispetto dei diritti umani di queste persone. Tanto più che vari tribunali hanno basato le proprie Sentenze proprio su questa comparazione, condannando enti pubblici e privati a rimuovere le condizioni di violazione di diritti umani (si vedano ad esemmpio le Sentenze raccolte nel portale Jusabili.it).

L’affidamento all’INPS dei riconoscimenti lascia poi perplessi: la composizione delle Commissioni valutanti, infatti, è prevalentemente medica: come riusciranno, dunque, a comprendere e a cogliere l’interazione con barriere di diversa natura che vanno rilevate nei concreti contesti di vita e relazione? Non sarà necessaria una ricognizione negli àmbiti di vita delle persone con disabilità per conoscere quali siano le condizioni disabilitanti? Purtroppo il sistema dei barèmes, le tabelle basate sulle percentuali di invalidità, incapace di valutare gli altri aspetti che caratterizzano le persone con limitazioni funzionali, ha assegnato un potere decisionale enorme ai medici legali.

Sempre il Decreto 62/24 sottolinea quindi la necessità di definire un profilo di funzionamento della persona, che però non può essere misurato solo attraverso forme di prestazioni abiliste (il funzionamento ordinario di un corpo, come fa l’ICF): infatti, la condizione di limitazione funzionale non è statica, ma dinamica e necessita di essere potenziata attivando le risorse di resilienza e adattamento della persona, tramite strumenti di varia natura. A tal proposito l’articolo 26 della Convenzione ONU distingue la riabilitazione, ovvero l’intervento svolto per recuperare le funzioni perdute, dall’abilitazione, cioè i fattori che permettono alla persona, nonostante le limitazioni funzionali, di acquisire capacità e competenze, grazie ad appropriati sostegni umani, tecnici e tecnologici. E la dimensione dell’abilitazione di una persona si realizza attraverso competenze di varia natura che non si esauriscono in competenze sanitarie, ma riguardano l’educazione, il lavoro, la vita di relazione, lo sport. Non è un caso che l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, stia domandando all’Unione Europea di promuovere proprio gli interventi e i servizi di abilitazione.

Come si vede, dunque, i temi su cui migliorare il Decreto Legislativo 62/24 nel campo delle valutazioni sono tanti e il tempo della sperimentazione dovrebbe essere sufficiente, fino al giugno del 2026, per introdurre gli appropriati correttivi.

*Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peopoles’ International) e condirettore del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies Robert Castel) dell’Università suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha fatto parte della delegazione italiana coinvolta alle Nazioni Unite nell’elaborazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

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Amministrazione di sostegno: tutelare non deve significare opprimere

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«Questo evento dovrà essere il primo passo per ripensare l’amministrazione di sostegno come leva di inclusione e non più di controllo. Perché tutelare non deve più significare opprimere»: lo dice Vincenzo Falabella, coordinatore dell’Osservatorio Inclusione e Accessibilità del CNEL, a proposito dell’incontro del 25 giugno “Amministrazione di Sostegno e Terzo Settore. Sinergie per un Sistema Integrato di Protezione Giuridica e Sociale”, promosso dallo stesso CNEL e dalla Fondazione Terzjus

Organizzato dall’Osservatorio Inclusione e Accessibilità del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), di cui è coordinatore Vincenzo Falabella e dalla Fondazione Terzjus, è in programma per il pomeriggio del 25 giugno a Roma, presso la stessa sede del CNEL (Villa Lubin, Sala Marco Biagi, ore 15-18), ma fruibile anche online, sul canale YouTube di Terzjus, un incontro riguardante un tema al quale Superando sta recentemente dedicando molto spazio (se ne legga ad esempio a questo e a questo link). Amministrazione di Sostegno e Terzo Settore. Sinergie per un Sistema Integrato di Protezione Giuridica e Sociale, questo il titolo dell’incontro, che segnatamente prenderà spunto dal rapporto Terzo Settore e Amministrazione di Sostegno. Questioni, scenari e prospettive, un “Quaderno di Terzjus” prodotto su incarico della Fondazione Ravasi Garzanti e curato da Antonio Fici, noto giurista esperto in Diritto del Terzo Settore e tematiche sociali e da Mario Renna, studioso con una consolidata esperienza nel campo delle politiche di welfare e inclusione (il rapporto integrale sarà disponibile online sul sito di Terzjus a partire proprio dal 25 giugno).

«Al centro vi è il ruolo chiave del Terzo Settore – spiega Falabella –, con il rapporto curato da Antonio Fici e Mario Renna che intende proporre un cambio di paradigma sul tema dell’amministrazione di sostegno, a partire da alcuni punti fermi, ovvero più ascolto e meno sostituzione, con garanzie procedurali per rispettare l’autodeterminazione delle persone; gli Enti di Terzo Settore come alleati che grazie alle loro competenze multidisciplinari e a uno status di neutralità, possono affiancare le famiglie, garantendo continuità e inclusione; e da ultima, ma non certo ultima, una riforma urgente, basata sulla formazione per gli operatori, verifiche periodiche e reti territoriali solide».
«Questo evento – conclude Falabella – dovrà dunque essere il primo passo per ripensare l’amministrazione di sostegno come leva di inclusione e non più di controllo, una vera e propria sfida di civiltà giuridica, quella cioè di proteggere i cosiddetti “fragili” rispettandone la voce. Perché tutelare non deve più significare opprimere».

Dopo i saluti istituzionali di Renato Brunetta, presidente del CNEL, Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità e Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la moderazione di Sara Vinciguerra, responsabile per la comunicazione della Fondazione Terzjus, introdurranno l’incontro Gabriele Sepio, segretario generale della Fondazione Terzjus e Mario Cera, Presidente della Fondazione Ravasi Garzanti.
A presentare quindi il “Quaderno di Terzjus” Terzo Settore e Amministrazione di Sostegno. Questioni, scenari e prospettive saranno gli stessi già citati curatori dello stesso Antonio Fici e Mario Renna.
Interverranno poi Roberto Speziale, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo) e Felice Scalvini, direttore della Fondazione Ravasi Garzanti.
Le conclusioni saranno affidate a Luigi Bobba, presidente della Fondazione Terzius e a Vincenzo Falabella. (S.B.)

Per partecipare in presenza all’incontro del 25 giugno è necessario prenotarsi tramite questo link. L’incontro stesso, come detto, potrà anche essere seguito da remoto sul canale YouTube della Fondazione Terzjus.

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“Abbazie in Festival”: l’arte che è di tutti e per tutti

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Otto serate gratuite, otto luoghi simbolici e completamente accessibili della Marca Trevigiana e un’unica, potente dichiarazione d’intenti: l’arte è di tutti e per tutti. È lo spirito che anima l’edizione 2025 di “Abbazie in Festival”, rassegna che quest’anno raddoppierà gli appuntamenti e soprattutto rinnoverà con forza la propria vocazione inclusiva, con la partecipazione di artisti e artiste con e senza disabilità che si esibiranno insieme Alcuni artisti e artiste che parteciperanno ad “Abbazie in Festival 2025”

Otto serate gratuite, otto luoghi simbolici e completamente accessibili della Marca Trevigiana e un’unica, potente dichiarazione d’intenti: l’arte è di tutti e per tutti. È questo lo spirito che anima l’edizione 2025 di Abbazie in Festival, rassegna diretta da Matteo Gobbo Trioli e organizzata dalla Fondazione Efesto, che quest’anno raddoppierà gli appuntamenti e soprattutto rinnoverà con forza la propria vocazione inclusiva, con la partecipazione di artisti e artiste con e senza disabilità che si esibiranno insieme.
Presentata alla stampa il 13 giugno scorso presso la Provincia di Treviso, con la partecipazione dei rappresentanti delle Amministrazioni coinvolte e di alcuni artisti, la rassegna vuole essere occasione per costruire nuovi spazi di espressione e ascolto, dove le differenze non siano solo accolte, ma valorizzate. «Abbazie, chiostri, corti – afferma Gobbo Trioli – non sono semplici scenografie: sono custodi di silenzio e memoria, pronti a risvegliarsi grazie alla danza, al teatro e alla musica, trasformandosi in spazi di incontro, di riflessione e di bellezza».

Il festival si aprirà il 26 giugno all’Abbazia di Santa Maria del Pero a Monastier di Treviso, con un grande omaggio a Luciano Pavarotti: un centinaio di giovani danzatori del Triveneto ne interpreteranno con passione le arie più celebri, trasformando la musica in movimento ed emozione.
Si proseguirà il 3 luglio all’Abbazia di Santa Bona a Vidor, con la messinscena di Gianni Schicchi di Puccini, opera che unisce ironia, ingegno e partecipazione, con un cast che intreccia esperienza e nuove generazioni.
Il 10 luglio, quindi, al Parco della Cultura di Mogliano Veneto, prenderà vita Tutto in un arco, uno degli appuntamenti più significativi, evento musicale che celebra talento e inclusione, dove l’orchestra, diretta da Elisabetta Maschio, si fa spazio di dialogo, ascolto e meraviglia.
Protagonisti saranno due violoncelli, il BrailleCello (per alcuni accorgimenti sulla tastiera ispirati dalla scrittura dei ciechi), di Giulia Mazza, musicista sorda dalla nascita e quello del giovane talento Riccardo Baldizzi che, con percorsi diversi eppure profondamente intrecciati, raccontano con il loro strumento la capacità della musica di essere un linguaggio in grado di superare ogni limite.
Il 17 luglio, poi, la Chiesa dei Templari di Ormelle ospiterà il concerto-reading Via Lucis, viaggio sonoro dal Medioevo al Novecento, tra spiritualità, leggenda e musica, mentre la settimana successiva, il 24 luglio, all’Abbazia di Sant’Eustachio di Nervesa della Battaglia, risuonerà Oro Puro, un concerto potente e immersivo con venticinque sassofoni e percussioni in dialogo tra loro, a cielo aperto.
E ancora, il 7 agosto, l’ex Convento di San Francesco a Conegliano ospiterà Quando i tacchi cantano, serata dedicata al flamenco, dove musica, canto e danza si fondono in un linguaggio universale capace di attraversare confini geografici e culturali, mentre il 21 agosto, al Parco Villa Cavarzerani di Gaiarine, prenderà vita Brillìi di luna, spettacolo poetico e musicale che omaggia la luna, da sempre musa silenziosa e ispiratrice, attraverso versi, improvvisazioni e pittura dal vivo.
E infine, l’ultimo appuntamento. Stavolta il palco sarà di chi scrive [Filippo Visentin]. Il 28 agosto, infatti, alla Chiesa del Redentore di Nerbon (San Biagio di Callalta), sarò protagonista di Nel chiaroscuro delle note, un recital pianistico che intreccia musica e danza. Eseguirò per l’occasione brani di Skrjabin, Rachmaninov, Debussy, Chopin e Brahms, accompagnato dai danzatori di Terraglio Danza, con le coreografie di Carlo Zaja.
Per me, cieco dalla nascita, la musica non è solo arte, ma visione interiore. In questa sorta di passeggiata emotiva, il gesto dei danzatori darà forma alle note, trasformandole in un dialogo tra suono e movimento. Sarà anche un’occasione per ricordare il valore del Braille, strumento essenziale per l’accesso alla letteratura musicale e più in generale alla conoscenza.

Abbazie in Festival dimostra che la cultura può e deve essere un ponte, capace di collegare mondi apparentemente lontani, di far dialogare storie, corpi e voci differenti. In un momento storico in cui l’inclusione rischia di restare una parola vuota, questa rassegna rappresenta un esempio concreto di come si possa costruire una società più giusta, cominciando proprio dalla bellezza. Perché l’arte, quando è autentica, non esclude mai. Al contrario, accoglie.

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I risultati del nostro sondaggio, con i Lettori e le Lettrici al centro

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La Persona al centro quando parliamo di disabilità, i Lettori e le Lettrici al centro quando ragioniamo intorno a Superando in un’ottica di miglioramento della testata, per renderla sempre più aderente alle richieste e alle esigenze di coloro che la consultano: è nata da questo l’idea di lanciare un sondaggio aperto a tutti i contatti della mailing-list del giornale, per chiedere a chi ci segue un’opinione sui contenuti che proponiamo. E oggi ne presentiamo i risultati (Realizzazione grafica di Carmela Cioffi)

La Persona al centro quando parliamo di disabilità, i Lettori e le Lettrici al centro quando ragioniamo intorno a Superando in un’ottica di miglioramento della testata, per renderla sempre più aderente alle richieste e alle esigenze di coloro che la consultano.
Dopo il restyling grafico del dicembre scorso, in occasione del ventennale dalla nascita di Superando, che ha reso il nostro sito più moderno, semplice da consultare e in linea con le pagine web dei giornali online, la redazione, di concerto con l’editore FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), nello scorso mese di maggio ha lanciato un sondaggio aperto a tutti i contatti della mailing-list del giornale, per chiedere a chi ci segue un’opinione sui contenuti che proponiamo.
Tre i quesiti con diverse opzioni di risposta e una premessa che rimarca il legame tra noi della redazione, i Lettori e le Lettrici: “La tua opinione conta”.
Quando, a sondaggio chiuso, ci siamo ritrovati intorno a un tavolo per tirare le somme, un numero ci ha stupiti e, lasciatemelo dire, inorgogliti non poco: 639. Tanti e tante sono stati coloro che hanno espresso la loro opinione, compilando il modulo e inviandocelo. Tra noi avevamo ipotizzato diversi numeri, anche perché è stata la prima volta che la testata si è avvalsa di uno strumento come questo per “sondare il terreno” e c’erano molte aspettative, alcune ottimiste, altre un po’ meno, ma nessuna, neppure la più entusiasta, aveva immaginato un numero così alto di adesioni.

Il nostro primo motivo di soddisfazione, dunque, nasce dal fatto che quel 639 dimostra l’attaccamento ad un giornale che negli anni si è costruito una reputazione fatta di serietà, chiarezza, attenzione al linguaggio e alle novità che dall’Italia e dal mondo arrivano nel campo della disabilità. Tutto questo fa di Superando una delle voci più importanti nell’àmbito della comunicazione sociale e ci impegnamo affinché questa voce raggiunga sia le persone con disabilità e le loro famiglie che le istituzioni, le associazioni, ma anche cittadini e cittadine che semplicemente vogliono conoscerci perché credono nel valore dell’inclusione.

Tornando al sondaggio, il 72% di quanti hanno risposto dichiara di apprezzare l’invio quotidiano delle notizie pubblicate, scegliendo dalla lettura delle prime righe quali articoli approfondire.
Questa domanda è stata la ragione principale per cui abbiamo promosso questa “votazione”: la mail che ogni mattina trovate nella vostra casella di posta elettronica, infatti, non è una vera e propria “newsletter”, così come la si intende, ovvero una selezione di notizie inviate a cadenza settimanale o quindicinale. Volevamo capire se la consueta modalità che da sempre contraddistingue Superando fosse ancora consona alle necessità di chi ci segue oppure fosse necessario un deciso cambio di rotta.
Direi che da questo punto di vista non ci sono dubbi, il 72% si può definire quasi un plebiscito, e d’altra parte soltanto con un invio quotidiano è possibile avere una panoramica dei numerosi testi che pubblichiamo, una quarantina alla settimana, tra notizie, contributi di opinione e approfondimenti, tra cui molte segnalazioni di eventi in giro per l’Italia che “si perderebbero” con una diversa cadenza temporale della newsletter.

Tra coloro, poi, che preferirebbero invece un invio meno frequente, il 92% predilige una e-mail settimanale con le notizie principali pubblicate nei sette giorni precedenti. Questo dato può tornarci utile nel caso la redazione riuscisse a trovare sufficienti forze in campo per realizzare due distinte newsletter, una giornaliera e una settimanale, tra le quali Lettori e Lettrici potrebbero scegliere quella più adatta a loro.

Infine, abbiamo chiesto quali argomenti vengano consultati più volentieri. Diritti e pari opportunità sono al primo posto con il 28% di preferenze, distanziati di 11 punti rispetto ad autonomia e mobilità. Seguono, nell’ordine, salute e ricerca, lavoro, istruzione, scuola e formazione, società, sport e turismo, esteri. Questo ci dice che Superando è anche uno strumento concreto che le persone utilizzano per sapere quali siano i loro diritti e come farli valere, perché c’è ancora un estremo bisogno di informazione in questo campo, per districarsi nella selva di leggi che riguardano la disabilità e che sul territorio non sempre vengono applicate in maniera omogenea.
L’ultimo posto dell’argomento “esteri” un po’ ci amareggia, ma al contempo ci sprona a batterlo con maggiore costanza, convinti che ciò che accade al di fuori dei nostri confini nazionali non sia lontano nel mondo interconnesso di cui facciamo parte e possa avere ripercussioni anche a casa nostra, una sorta di specchio del nostro futuro, uno specchio che non sempre ci restituisce un’immagine serena.

Cosa faremo ora con i dati raccolti? Pensiamo di migliorare l’aspetto della newsletter, magari inserendo delle immagini per renderla più accattivante, e siamo anche in questo caso aperti ai suggerimenti di tutti e tutte.
Ringrazio di cuore il segretario di redazione Stefano Borgato e la collaboratrice di redazione Carmela Cioffi, per avere saputo porre le giuste domande, oltre a Sergio Falabella che ha seguito con perizia tutta la parte tecnica del sondaggio. E a nome di tutta la redazione ringrazio voi, Lettori e Lettrici, per avere aderito con tanto interesse a questa iniziativa e vi rinnovo l’appuntamento su queste pagine ogni giorno con le nostre notizie.

*Direttrice responsabile di Superando.

L'articolo I risultati del nostro sondaggio, con i Lettori e le Lettrici al centro proviene da Superando.

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