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Cinque Azzurri alle Olimpiadi di Scacchi per Ciechi e Ipovedenti

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Sono in corso di svolgimento (fino al 26 giugno) a Vrnjačka Banja, in Serbia, le Olimpiadi di Scacchi per Ciechi e Ipovedenti e a rappresentare il nostro Paese vi è una squadra formata da cinque atleti selezionati dall’ASCID (Associazione Scacchisti Ciechi e Ipovedenti Italiani), rappresentando un movimento che coniuga sport, cultura, inclusione e resilienza Il viterbese Bersan Vrioni, capo delegazione della squadra azzurra alle Olimpiadi di Scacchi per Ciechi e Ipovedenti e attuale presidente dell’ASCID (Associazione Scacchisti Ciechi e Ipovedenti Italiani)

Da oggi, 16 giugno, e fino al 26 del mese, si tiene a Vrnjačka Banja, in Serbia, l’evento più atteso del quadriennio per il mondo degli scacchi paralimpici, vale a dire le Olimpiadi di Scacchi per Ciechi e Ipovedenti e a rappresentare il nostro Paese vi è una squadra formata da cinque atleti selezionati dall’ASCID (Associazione Scacchisti Ciechi e Ipovedenti Italiani), pronti a difendere i colori dell’Italia, mossa dopo mossa, sogno dopo sogno, in un contesto internazionale che richiama le migliori compagini dei cinque continenti, a rappresentare un movimento che coniuga sport, cultura, inclusione e resilienza.

Come leggiamo nel comunicato diffuso per l’occasione dall’ASCID, «la squadra azzurra è composta da Bersan Vrioni di Viterbo, capo delegazione, attuale presidente dell’ASCID, l’architetto e la voce che guida anche oltre la scacchiera; Marco Casadei di Forlì-Cesena, capitano, una mente strategica di rara lucidità, l’anima guerriera al servizio della squadra. Giancarlo Badano di Alessandria, esperto scacchista e punto di riferimento per l’intero movimento, presidente del Club Scacchistica Acquese Collino Group, le cui squadre, sotto la sua guida, militano nella massima serie nazionale, il Campionato Italiano a Squadre Master; Diego Poli di Trieste, uno dei giocatori più attivi dell’ASCID e istruttore riconosciuto dalla Federazione Scacchistica Italiana, che dedica tempo e passione alla formazione di nuovi giocatori; Jiazhuang Vandelli di Modena, classe 2002, al suo esordio in Nazionale, la promessa che avanza, lo sguardo fresco e audace verso il futuro. Si tratta di una squadra di tutto rispetto, con 183 presenze complessive in Nazionale e una strepitosa collezione di successi nei Campionati Italiani Assoluti, Rapid e On-line, dove sono saliti ben 67 volte sul podio, conquistando per 24 volte il titolo di Campione».

«Partecipare alle Olimpiadi – sottolinea Bersan Vrioni – non è solo un traguardo sportivo, ma un atto di testimonianza. Significa dimostrare che la passione e la competenza sanno vedere oltre ogni barriera. È la celebrazione della mente, dell’intuito, della concentrazione. È la prova che il talento non ha bisogno della vista per brillare. L’Olimpiade è la vetta del mondo sportivo, il palcoscenico dove ogni bandiera vibra di orgoglio. Anche quella italiana. Per questo invitiamo tutti a stringersi idealmente attorno alla nostra squadra, perché ogni messaggio, ogni condivisione, ogni pensiero positivo può diventare una forza invisibile che ci accompagna e ci sostiene, perché in quel silenzio assoluto che precede ogni mossa, tra concentrazione e tensione, c’è qualcosa di più di una semplice partita: c’è la rivendicazione del diritto a esserci, a competere, a vincere. Sulla scacchiera e nella vita». (S.B.)

È possibile seguire in tempo reale risultati e classifiche delle Olimpiadi di Scacchi per Ciechi e Ipovedenti, turno dopo turno, a questo link. Per ogni ulteriore informazione: presidenza@ascid.it.

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La terza edizione del “Disability Pride Torino”

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È in programma per il 20 giugno, presso la Sala delle Colonne del Palazzo Civico di Torino, la conferenza stampa di presentazione del “Disability Pride Torino”, la cui terza edizione è prevista per il 28 giugno nel capoluogo piemontese Un’immagine del “Disability Pride Torino” dello scorso anno

«Anche quest’anno scenderemo in strada per farci vedere, sentire, riconoscere, per dire che le persone con disabilità esistono, resistono e rivendicano accessibilità, autodeterminazione, diritti e rispetto»: lo dicono i promotori del Disability Pride Torino, iniziativa che vivrà la sua terza edizione il 28 giugno prossimo.
La conferenza stampa di presentazione dell’evento è in programma per il primo pomeriggio del 20 giugno, presso la Sala delle Colonne del Palazzo Civico di Torino (Piazza Palazzo di Città, 1, ore 14.30). Vi interverranno esponenti del Coordinamento Disability Pride Torino e rappresentanti delle Istituzioni. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: disabilitypridetorino@gmail.com.

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Gli “Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo” delle Marche

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«Siamo certi che anche dalla nostra Regione arriveranno riflessioni importanti e utili alla costruzione di una società inclusiva, di pari diritti e opportunità»: lo dichiara il presidente dell’ANFFAS Marche Mario Sperandini, a proposito degli Stati Generali ANFFAS sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo” che per le Marche si terranno il 20 giugno a Macerata, presso l’Ateneo locale

Ultimo appuntamento con gli Stati Generali ANFFAS sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo, prima dell’Assemblea Nazionale dell’ANFFAS stessa (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), che si terrà nel prossimo mese di luglio e prima della pausa estiva: lo scenario questa volta sarà quello delle Marche, il 20 giugno a Macerata presso il Dipartimento di Scienze della Formazione (Polo Bertelli) dell’Università locale (Piazzale Bertelli, 1). Si tratterà di un appuntamento particolarmente sentito, dato che si terrà solo pochi giorni dopo la 18^ Conferenza Annuale degli Stati Parte della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, cui hanno preso parte a New York, come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine, sia una delegazione dell’ANFFAS Nazionale che una dell’ANFFAS Macerata.

«Siamo felici – dichiara Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS – di ritrovarci nelle Marche a poca distanza da un evento internazionale così importante. Questo appuntamento ci consentirà ancora una volta di avere un confronto aperto con il territorio che potrà essere sicuramente arricchito dall’esperienza internazionale che abbiamo avuto alle Nazioni Unite. Il nostro obiettivo rimane quello di creare un dialogo comune con tutti i soggetti a vario titolo coinvolti e rispondere così realmente e concretamente alle esigenze delle persone con disabilità e delle loro famiglie».
«Crediamo fermamente – aggiunge Mario Sperandini, presidente dell’ANFFAS Marche – che l’appuntamento nella nostra Regione potrà contribuire a definire ancora di più il quadro nazionale su cui da ormai oltre un anno l’ANFFAS sta lavorando e siamo certi che anche dalle Marche arriveranno riflessioni importanti e utili alla costruzione di una società inclusiva, di pari diritti e opportunità».

Organizzato dalla stessa ANFFAS Marche, in collaborazione con l’ANFFAS Nazionale, l’incontro del 20 giugno porterà quindi nuovi spunti, confronti e interlocuzioni tra istituzioni, amministrazioni e realtà del Terzo Settore della Regione coinvolta, in particolare sui temi concernenti le disabilità intellettive e i disturbi del neurosviluppo, con un focus sulle specificità del territorio, che anche in questa occasione sarà evidenziato dagli autorappresentanti regionali, in prima linea con le loro osservazioni, riflessioni e richieste, che permetteranno di capire realmente la condizione delle persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo nella Regione.
Moderati da Emanuela Bertini, direttore dell’ANFFAS Nazionale e con il contributo anche questa volta di Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità, i lavori saranno aperti dai citati Roberto Speziale e Mario Sperandini, insieme a Marco Scarponi, presidente dell’ANFFAS Macerata. Quindi, dopo l’intervento degli Autorappresentanti e i saluti istituzionali – è stata confermata in tal senso la partecipazione di Natascia Mattucci, prorettrice dell’Università di Macerata, con Delega per l’Area Benessere e Welfare -, ci sarà l’intervento online di Gianluca Busilacchi dell’Università di Macerata, direttore scientifico del Centro Regionale di Ricerca e Documentazione sulla Disabilità delle Marche, sul tema I servizi per la disabilità nella regione Marche: uno stato dell’arte, seguito dalla sessione sui Diritti delle persone con disabilita intellettive e disturbi del neurosviluppo. Quadro Generale, con la relazione di Alessia Maria Gatto, legale componente del Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale.
Nella seconda parte della giornata, infine, sono previsti due panel di dibattito, con un confronto tra le realtà ANFFAS delle Marche e un ulteriore confronto tra gli Enti del Terzo Settore e le Istituzioni.
Le conclusioni saranno affidate al presidente nazionale Speziale. (S.B.)

Sarà possibile partecipare all’incontro online su piattaforma Zoom oppure in presenza (previa iscrizione tramite questo link). Per ogni ulteriore informazione: comunicazione@anffas.net; anffasmarche@libero.it; nazionale@anffas.net.

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Stefania Pedroni è la prima presidente nazionale donna della UILDM

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«La rivoluzione scientifica in atto nell’àmbito delle malattie neuromuscolari ci impone di essere pronti ad accogliere i cambiamenti nella cura e a tutelare i nuovi diritti che nascono nella società del 2025»: lo ha dichiarato Stefania Pedroni, subito dopo essere stata eletta alla Presidenza Nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), prima donna a guidare l’Associazione nata nel 1961, succedendo a Marco Rasconi, che continuerà a fare parte della squadra dei consiglieri nazionali Stefania Pedroni, nuova presidente nazionale della UILDM

«La rivoluzione scientifica in atto nell’àmbito delle malattie neuromuscolari ci impone di essere pronti ad accogliere i cambiamenti nella cura e a tutelare i nuovi diritti che nascono nella società del 2025. È un lavoro che possiamo fare, come squadra della Direzione Nazionale, insieme alle nostre Sezioni e ai nostri soci. È importante esserci prima di tutto sul territorio, per continuare a dare risposte, partendo dai bisogni delle famiglie e offrendo prospettive concrete alle persone con disabilità; altra nostra priorità sarà continuare a partecipare ai tavoli di lavoro, in dialogo con le Istituzioni e con le altre realtà associative»: lo ha dichiarato Stefania Pedroni, subito dopo essere stata eletta alla Presidenza Nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), prima donna a guidare l’Associazione nata nel 1961, succedendo a Marco Rasconi, che continuerà comunque a fare parte della squadra dei consiglieri nazionali.
Al proprio fianco, quale vicepresidente nazionale, Pedroni avrà Antonella Vigna, mentre Michele Adamo è stato riconfermato nel ruolo di segretario nazionale, con Michela Grande nuova tesoriera nazionale. Oltre al citato Rasconi, gli altri consiglieri nazionali dell’Associazione sono Maurizio Conte, Simone Giangiacomi, Anna Mannara e Massimiliano Venturi, completando una squadra di lavoro che rimarrà in carica fino al 2028.

Nata a Vignola (Modena) nel 1976, Stefania Pedroni fa parte dal 2016 della Direzione Nazionale UILDM e dal 2017 al 2025 ha ricoperto il ruolo di vicepresidente nazionale, dopo che dal 2013 al 2016 era stata vicepresidente della UILDM di Modena.
Psicologa con specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, dal 2014 ha svolto la libera professione in studio privato a Zocca (Modena), proponendo colloqui individuali di valutazione, consulenza e supporto psicologico indirizzati ad adulti, adolescenti, bambini e genitori. Ha collaborato inoltre alla realizzazione e agli sviluppi di progetti per scuole ed enti.
Attualmente lavora come psicologa presso il Centro Clinico NeMO di Milano (NEuroMuscular Omnicentre), città in cui si è trasferita nel 2018.
Nel corso degli anni ha partecipato come relatrice/conduttrice a numerosi incontri formativi e ha perfezionato la propria formazione seguendo corsi, seminari, convegni, conferenze, workshop in tutta Italia. È appassionata di cinema, teatro, lettura.
Buon lavoro alla nuova Presidente anche dalla redazione di Superando. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: uildmcomunicazione@uildm.it.

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La riabilitazione respiratoria nel paziente neuromuscolare: dalla teoria alla pratica

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Fornire una panoramica completa sul coinvolgimento respiratorio nelle malattie neuromuscolari, con particolare riferimento alle distrofie muscolari: è il principale obiettivo del corso di formazione “La riabilitazione respiratoria nel paziente neuromuscolare: dalla teoria alla pratica, promosso per il 21 giugno a Cervia (Ravenna) dalla Commissione Medico-Scientifica della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) Riabilitazione respiratoria per una persona con patologia neuromuscolare

«Fornire una panoramica completa sul coinvolgimento respiratorio nelle malattie neuromuscolari, con particolare riferimento alle distrofie muscolari, evidenziando le specificità della fisiopatologia e le problematiche legate alla valutazione, al monitoraggio clinico e all’applicazione di tecniche e delle più recenti tecnologie nell’ambito della ventilazione meccanica e della disostruzione bronchiale»: viene presentato così il corso di formazione denominato La riabilitazione respiratoria nel paziente neuromuscolare: dalla teoria alla pratica, promosso per il 21 giugno presso la Casa del Volontariato, di Cervia (Ravenna) (Via Villafranca, 8b) dalla Commissione Medico-Scientifica della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
«L’iniziativa – viene spiegato ancora – punta anche a fornire una preparazione teorica e pratica in grado di creare un linguaggio comune tra medico e fisioterapista, a sostegno del lavoro in équipe multidisciplinare».

La giornata – rivolta a fisioterapisti, fisioterapisti respiratori, infermieri, medici chirurghi specialisti in Anestesia e Rianimazione, Malattie dell’Apparato Respiratorio, Medicina Fisica e Riabilitazione – sarà divisa in due parti, con quella teorica al mattino e quella pratica al pomeriggio, suddivisa in gruppi, che si occuperà in particolare dell’utilizzo di ausili e strumenti per la gestione respiratoria. Il tutto avvalendosi del patrocinio di AIFI (Associazione Italiana di Fisioterapia), ArIR (Associazione Riabilitatori dell’Insufficienza Respiratoria), SARNePI (Società di Anestesia e Rianimazione Neonatale Pediatrica Italiana), oltreché del riconoscimento della SIAARTI (Società Italiana Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva).

«Dopo gli appuntamenti da noi dedicati alla riabilitazione neuromotoria di Pordenone, Sassari e Torino nel biennio 2023-24 – afferma Stefania Pedroni, vicepresidente nazionale della UILDM -, la nostra Associazione arriverà a Cervia con il primo di una serie di corsi sulla presa in carico respiratoria, allo scopo di riuscire a stringere sempre più relazioni con i territori locali, per rispondere al meglio alle esigenze dei pazienti con distrofie muscolari e dei professionisti che vi operano. Con questi corsi di formazione intendiamo, inoltre, promuovere la diffusione tra pazienti e operatori sanitari delle Indicazioni per la presa in carico e la riabilitazione dei pazienti con distrofie neuromuscolari, due documenti redatti dalla nostra Associazione, per fornire raccomandazioni sulla gestione riabilitativa neuromotoria e respiratoria delle distrofie muscolari». (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del corso di formazione di Cervia. Per ogni altra informazione: uildmcomunicazione@uildm.it.

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Aspetti e aspettative della riforma della disabilità

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È liberamente fruibile online il dossier “Aspetti e aspettative della riforma della disabilità”, che fornisce una prima disamina di alcuni dei Decreti Legislativi emanati in attuazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità. Gli studi che vi vengono presentati «non sono un commentario breve all’articolato dei provvedimenti, quanto un’indagine sulle tensioni che lo animano», come precisa Ciro Tarantino, curatore, assieme a Massimiliano Verga, del lavoro Realizzazione grafica elaborata in occasione di un ciclo di incontri formativi proposti nel 2024 da Spazio DirSI – Disabilità in rete a Siena

È stato recentemente pubblicato sull’ultimo numero della rivista «Sociologia del diritto» (volume 52, numero 1, 2025) il dossier intitolato Aspetti e aspettative della riforma della disabilità, a cura di Ciro Tarantino, docente di Sociologia del Diritto presso il Dipartimento di Scienze Formative, Psicologiche e della Comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, e di Massimiliano Verga, docente di Sociologia dei Diritti Fondamentali presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca (il dossier completo è liberamente fruibile e scaricabile a questo link, mentre a quest’altro link sono disponibili, sempre in formato pdf, i singoli contributi).
Oltre ai menzionati curatori, hanno contribuito al lavoro anche Daniele Piccione, consigliere parlamentare del Senato, nonché docente del Dipartimento di Giurisprudenza, Studi Politici e Internazionali dell’Università di Parma, e Cecilia M. Marchisio, docente del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.

Ricordiamo che la Legge 227/21, ovvero la Legge Delega al Governo in materia di disabilità, ha portato all’emanazione di tre Decreti Legislativi attuativi: il Decreto Legislativo 222/23, recante Disposizioni in materia di riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità, il Decreto Legislativo 20/24, recante Istituzione dell’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, in attuazione della delega conferita al Governo, e il Decreto Legislativo 62/24, recante Definizione della con-dizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, mentre i diversi contributi del dossier si concentrano «sulle questioni nevralgiche della definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base e dell’accomodamento ragionevole (Verga), del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato (Tarantino, Marchisio) e del Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità (Piccione)», come precisa Tarantino nell’Introduzione.
«Gli studi che si presentano non sono un commentario breve all’articolato dei provvedimenti, quanto un’indagine sulle tensioni che lo animano», si legge ancora nell’Introduzione. «Questo dossier viene pubblicato mentre il processo legislativo non si è del tutto esaurito, dato che la legge di delegazione ha stabilito che entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di attuazione possano esser adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge e secondo le sue procedure. Per questo motivo, il dossier, più che un bilancio provvisorio della riforma, è il segmento di un sismogramma dell’imminente ordine giuridico della disabilità», segnala ancora Tarantino.

La riforma della disabilità suscita, comprensibilmente, un notevole interesse nelle stesse persone con disabilità e nelle loro famiglie. Il confronto pubblico, anche acceso, che ha preso avvio il 19 febbraio scorso, a seguito della notizia del rinvio di un anno, al 1° gennaio 2027, dell’attuazione del Decreto Legislativo 62/24, e in particolare del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato – notizia anticipata, dal medesimo Tarantino anche su queste stesse pagine –, a parere di chi scrive, ha messo in luce che proprio lo strumento del progetto di vita sia quello che le persone con disabilità considerano come il più immediatamente impattante sulla loro quotidianità (una sezione tematica dedicata a tale confronto è disponibile a questo link). Ed è verosimilmente questa la ragione per cui intorno ad esso si addensano le maggiori aspettative.
Il dossier, e nello specifico il contributo denominato Gli spiriti della legge. Sulle tensioni istituenti del decreto legislativo 62/2024 in tema di progetto personalizzato per le persone con disabilità: Uno studio di animismo giuridico (disponibile a questo link), elaborato congiuntamente da Tarantino e Marchisio, propone una lettura della disciplina del progetto di vita, come formulata nel Decreto Legislativo 62/24, che fa emergere la «compresenza di un’istanza disponibilista e di una tensione indisponibilista», una tensione, quest’ultima, che però si discosta dal paradigma delineato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Acquisire consapevolezza di questo dualismo è fondamentale perché, proprio in considerazione del fatto che l’iter legislativo della riforma non si è ancora concluso, è auspicabile che anche “dal basso” vengano promosse modifiche orientate ad incrementare l’aderenza della stessa riforma alla Convenzione ONU, ad esempio, ma non solo, sugli aspetti della prevenzione dell’istituzionalizzazione e della promozione della deistituzionalizzazione.

La circostanza che all’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità sia demandato il compito di «promuovere l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone con disabilità, in condizione di eguaglianza con gli altri cittadini, anche impedendo che esse siano vittima di segregazione» (articolo 4, comma 1, lettera c del Decreto Legislativo 20/24), compito che va inteso anche nel senso di prescrizione tesa a favorire la deistituzionalizzazione – come efficacemente approfondito, tra le altre cose, nel contributo denominato Profilo costituzionale del Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità, proposto da Piccione (disponibile a questo link) –, a parere di chi scrive, non sana il dualismo riscontrato da Tarantino e Marchisio nella disciplina del progetto di vita, giacché non è auspicabile che le persone con disabilità si ritrovino a dover attendere una pronuncia del Garante per non dover andare a vivere in una struttura residenziale contro la propria volontà, in ragione del fatto che il Decreto Legislativo 62/24, nel disciplinare il progetto di vita, ha lasciato la “porta socchiusa” all’istituzionalizzazione.
È certamente apprezzabile che all’Autorità Garante sia affidato anche questo compito, ma è legittimo attendersi, e rivendicare, che in materia di promozione della deistituzionalizzazione vi sia coerenza tra i diversi decreti legislativi citati, nonché tra questi e la Convenzione ONU.

Procedendo nella lettura, balza agli occhi come il tema dell’incoerenza – intesa sia come ambiguità, che come contraddittorietà – ricorra anche nel contributo di Verga, denominato Le parole della disabilità e la “valutazione di base”. Luci ed ombre delle novità introdotte dal decreto 62/2024 (disponibile a questo link). Non potendosi riassumere in questo contesto l’articolata riflessione proposta, ci si limita a segnalare che le incoerenze riguardano tanto gli aspetti linguistici che di contenuto. Segnaliamo, a titolo esemplificativo, un’incoerenza relativa al contenuto.
Affrontando il tema della “valutazione di base”, come disciplinata dal Decreto Legislativo 62/24, e in particolare l’affidamento, in via esclusiva, all’INPS, della gestione di tutto il procedimento di detta valutazione, Verga da un lato esprime apprezzamento. Scrive infatti: «È sicuramente lodevole l’unificazione delle procedure valutative in luogo dei differenti “percorsi” attualmente previsti». Ma dall’altro lato solleva perplessità sul fatto che agli oneri economici dell’ampliamento dell’organico, sia medico, sia amministrativo, imposto dall’accentramento della gestione in questione, si provveda «mediante una “corrispondente riduzione del Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità di cui all’articolo 1, comma 178, della legge 30 dicembre 2021, n. 234”. Considerando che quest’ultimo, dal 2023, ammonta a 350 milioni di euro annui e che gli oneri derivanti dal suddetto art. 9 [del Decreto Legislativo 62/24, N.d.R.] (più altri oneri contemplati nel decreto disabilità, anche questi coperti finanziariamente alla stregua dell’art. 9) ammontano ad oltre 270 milioni di euro, pare piuttosto evidente che in larghissima misura il Fondo servirà per coprire le spese della “nuova” macchina organizzativa e gestionale, e non per rispondere ai bisogni delle persone con disabilità. Un aspetto che si ritiene superfluo commentare ulteriormente».

Insomma, come si può intuire anche da queste succinte considerazioni, gli spunti di riflessione offerti dal dossier sono molteplici. Per tale ragione, ne suggeriamo senz’altro una lettura attenta.

I grassetti nelle citazioni testuali sono di intervento redazionale.

*Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) nel cui sito il presente contributo è già apparso e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Apre a Rimini “Spiaggia Libera Tutti”

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Da oggi, 16 giugno, e fino all’8 settembre, nel cuore balneare di Rimini, si può accedere al servizio “Spiaggia Libera Tutti”, pensato per chi ama il mare e desidera viverlo senza barriere, con una gamma di servizi gratuiti pensati per garantire un’esperienza piacevole e inclusiva e una particolare attenzione alle persone con disabilità motorie, sensoriali o cognitive

Da oggi, 16 giugno, e fino all’8 settembre, nel cuore balneare di Rimini, all’ombra della Ruota Panoramica, si può accedere a una spiaggia libera davvero aperta a tutti e tutte, pensata per chi ama il mare e desidera viverlo senza barriere, offrendo una gamma di servizi gratuiti pensati per garantire un’esperienza piacevole e inclusiva.

«Questo servizio – spiegano dal Comune di Rimini – si chiama Spiaggia Libera Tutti ed è uno spazio curato e inclusivo, un progetto innovativo e pensato per garantire l’accesso al mare a tutte le persone, con particolare attenzione a chi ha disabilità motorie, sensoriali o cognitive, dove vivere la spiaggia sentendosi accolti e accolte. Vi sono infatti ampie passerelle che arrivano fino all’acqua, sedici gazebo prenotabili su pedane che offrono riparo dal sole, docce calde, servizi igienici accessibili e sedie da mare per facilitare l’ingresso in acqua; il tutto unitamente a personale formato e sempre disponibile». (S.B.)

A questo link è disponibile un ulteriore testo di approfondimento sul servizio Spiaggia Libera Tutti di Rimini. Per altre informazioni: turismoufficiostampa@comune.rimini.it.

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Quali esami di maturità per gli studenti e le studentesse con disabilità?

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«Per gli studenti e le studentesse con disabilità che si preparano a sostenere gli esami di maturità – scrive Salvatore Nocera -, si pone da tempo un problema, nel caso in cui si avvalgano del cosiddetto “PEI semplificato” (Piano Educativo Individualizzato), basato cioè su “prove equipollenti”. Ma una recente Circolare del Ministero, anziché semplificare le cose, le ha ulteriormente complicate. Vediamo perché»

Siamo in tempo di esami e per gli studenti e le studentesse con disabilità che si preparano a sostenere quelli di maturità, si pone da tempo un problema, nel caso in cui si avvalgano di un PEI (Piano Educativo Individualizzato) «con prove riconducibili a quelle ufficiali», come è scritto nell’articolo 20 del Decreto Legislativo 62/17, ossia il cosiddetto “PEI semplificato” o “per obiettivi minimi”. Tali prove sono quelle “equipollenti” di cui all’articolo 16, comma 3 della Legge 104/92.

Il concetto di prove equipollenti era stato ben chiarito nell’articolo 6, comma 1 del DPR 323/98, ma tale norma è stata improvvidamente – e forse inavvertitamente – abrogata. Essa precisava infatti che le prove equipollenti potessero differire da quelle ufficiali per le modalità di svolgimento (ad esempio prove scritte invece che orali e viceversa; questionari a scelta multipla con risposta “Sì” o “No”), oppure nei contenuti (ad esempio riduzione del numero di esercizi, oppure problema o tema diverso da quello dei compagni). Veniva però posta una condizione legale decisiva e cioè che tramite tali prove lo studente e la studentessa dimostrasse di avere acquisito apprendimenti idonei al conseguimento del titolo di studio, cioè promozione da un anno all’altro di scuola superiore e diploma agli esami di maturità. Questo evitava situazioni incresciose che invece si verificano dopo l’abrogazione del citato DPR 323/98, in caso di interpretazioni divergenti sul concetto odierno di “prove equipollenti”, tra il Presidente di Commissione e taluni Commissari. Infatti, la formulazione attuale è quella di «prove riconducibili a quelle ufficiali», contenuta nel menzionato articolo 20 del Decreto legislativo 62/17 e nelle Linee Guida allegate ai nuovi modelli di PEI con il Decreto Interministeriale 182/20, integrato dal Decreto Ministeriale 153/23. È quindi accaduto spesso che il Presidente di Commissione abbia ritenuto che le prove predisposte per gli studenti con disabilità non siano “riconducibili a quelle ufficiali” e ne abbia preteso il cambiamento, anche quando queste erano corrispondenti a quelle svolte sempre durante tutti gli anni di scuola superiore e, che per l’ultimo anno, vengono allegate all’apposita relazione specifica da presentare entro il 15 maggio.

La formulazione abrogata del DPR 323/98 evitava anche un altro problema che invece oggi talora si presenta e cioè che la Commissione ritenga di formulare le prove prima dell’apertura delle buste ministeriali, per non fare attendere troppo lo studente/studentessa con disabilità dopo l’apertura delle buste stesse, per dover predisporre le prove “corrispondenti a quelle ministeriali”. Infatti, la previsione del citato articolo 6, comma 1 dell’abrogato DPR 323/98, sul fatto che le prove potessero differenziarsi da quelle ufficiali anche per i contenuti, consentivano alle Commissioni di predisporle il giorno precedente alle prove scritte, tenendo come condizione irrinunciabile che esse dovessero, se superate, consentire il conseguimento del diploma e quindi essere per apprendimenti almeno intorno alla sufficienza. In assenza della norma abrogata, questa autonomia tecnico-professionale è dubbia, dal momento che molti Presidenti di Commissione pretendono che prima della predisposizione vi sia l’apertura delle buste ministeriali con forti attese da parte degli studenti e delle studuentesse con disabilità.

A seguito di tutto quanto detto, le Associazioni impegnate per i diritti delle persone con disabilità chiedono da tempo al Ministero di ripristinare l’abrogato articolo 6, comma 1 del DPR 323/98 abrogato e il 12 giugno scorso il Ministero stesso ha ritenuto di accogliere questa pressante richiesta, emanando tuttavia una Circolare che riprende solo le parti meno importanti di quella norma, omettendo proprie quelle chiarissime del citato articolo 6 e sostituendole con circonlocuzioni che invece di agevolare, aggraveranno le difficoltà interpretative e quindi il diritto alle prove equipollenti degli studenti.
A questo punto non si comprende perché il Ministero, di fronte ad una richiesta semplicissima, abbia voluto dare una risposta assolutamente insoddisfacente, che complica ulteriormente le cose.
Ormai a pochi giorni dall’inizio degli esami è difficile sperare che il Ministero torni sui suoi passi e faccia pervenire ai Presidenti delle Commissioni una circolare telegrafica che si limiti a riprodurre l’articolo 6, comma 1 del DPR 323/98. Questo, però, farebbe tirare un grandissimo sospiro di sollievo agli studenti/studentesse con disabilità e ai componenti le Commissioni.

*Il presente contributo è già apparso in «La Tecnica della Scuola», con il titolo “Esame di maturità 2025: quali prove per gli alunni con disabilità?” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore e con altro tiolo, per gentile concessione.

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Perché sono necessarie una serie di modifiche alla Legge sull’amministrazione di sostegno

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«Una serie di correzioni alla Legge che ha introdotto l’amministrazione di sostegno – scrive Salvatore Nocera – sono necessarie e alcune di quelle contenute in una Proposta di Legge di iniziativa popolare sono pienamente condivisibili. Sarebbe pertanto opportuno che quella Proposta di Legge raggiungere le 50.000 firme necessarie, per poter essere presentata e anche migliorata, durante l’eventuale discussione parlamentare»

Ho letto e riletto in Superando, con crescente interesse, attenzione e passione, l’importante incontro della direttrice responsabile di Superando Stefania Delendati con la professoressa Maria Giulia Bernardini, ordinaria di Diritto all’Università di Ferrara [“La visione ‘incapacitante” nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno”, N.d.R.].
Il servizio riguardava il tema delle modifiche alla normativa italiana sull’amministratore di sostegno, conseguenti ad un invito rivolto al nostro Paese dal Comitato delle Nazioni Unite sull’attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, con riguardo all’articolo 12 della stessa (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge), concernente il rispetto massimo da garantire alla libertà di espressione della volontà delle persone con disabilità; tale invito non è ancora stato pienamente recepito dall’Italia, a causa, come dice la professoressa Bernardini, di una cultura “incapacitante”, conseguenza di una visione ancora medica della disabilità. Ciò fa sì che l’amministratore che la stessa legge definisce “di sostegno” alla manifestazione di volontà della persona con disabilità si traduca in talune fattispecie, per legge, in un “rappresentante” della stessa e quindi in qualcuno che sostituisce la propria volontà a quella della persona con disabilità.
Questa sostituzione ha determinato talora casi abnormi di conflitto tra le due volontà, con prevalenza di quella dell’amministratore di sostegno, casi che hanno prodotto addirittura situazioni di gravi sofferenze morali all’“amministrato”, di cui si è pure occupata la cronaca  e dei quali Superando ha dato notizia grazie agli articoli di Simona Lancioni. Quest’ultima sta pure sostenendo una campagna di sensibilizzazione per la sottoscrizione anche online, con scadenza il 30 giugno prossimo, di una Proposta di Legge di iniziativa popolare su modifiche alla Legge 6/04 che ha introdotto appunto l’amministratore di sostegno.
È anche a seguito di ciò che Superando ha pubblicato un’ampia intervista con il professor Paolo Cendon, che è stato l’ispiratore della Legge 6/04 – indubbiamente un miglioramento rispetto alla situazione precedente legata all’interdizione – il quale però non ritiene necessarie modifiche, ritenendo “casi-limite” quelli in cui l’amministratore di sostegno si sostituisce all’amministrato. Come direbbe la professoressa Bernardini, egli ha ancora una visione “paternalistica”, ritenendo che la nostra legge sia nata per tutelare le persone “non in grado di provvedere ai propri interessi”.
Giustamente egli afferma che la precedente terminologia del Codice Civile era ben peggiore e cioè “persone incapaci”; a proposito di tale termine, però, la professoressa Bernardini osserva che ormai la concezione dell’articolo 12 della Convenzione ONU è diametralmente opposta anche a quella della stessa legge sull’amministratore di sostegno. In altre parole, l’Italia continua a “presumere” che talune persone con disabilità siano “incapaci” di esprimere totalmente la propria volontà, mentre l’articolo 12 della Convenzione ha ormai capovolto questa “presunzione”, avendo stabilito che tutte le persone con disabilità siano “capaci” di esprimere, sia pure nei modi estremi, la loro volontà . Ecco perché l’Italia sarebbe inadempiente rispetto all’invito del Comitato ONU e quindi all’articolo 12 della Convenzione.

Tempo addietro la FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) si è occupata di questi problemi, in un incontro promosso insieme all’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo.) e al Consiglio Nazionale del Notariato. Dopo quell’incontro, però, il tema, assai importante, non è stato più ripreso, mentre ha fatto capolino la citata Proposta di Legge di iniziativa popolare, che, lo ricordiamo, si può sottoscrivere accedendo a questo link.
Il tema, per noi persone con disabilità, è certamente di notevole importanza, come si evidenzia anche dalla ripetuta attenzione dedicata ad esso da Superando. Certo, passare dalla concezione di “presunzione di incapacità” a quella di “presunzione di capacità” è un bel salto innanzitutto di carattere psico-socio-culturale e quindi giuridico.
Invero suppongo che sino ad ora ci abbiano condizionato quelli che il professor Cendon chiama “casi-limite”. Ricordo ad esempio dalla giurisprudenza il caso di una persona coinvolta in un gravissimo incidente stradale che deve essere sottoposta ad un intervento chirurgico quanto mai urgente. La normativa pretende il previo “consenso informato” del paziente che però non è assolutamente in grado di esprimerlo; si è dunque ricorso frequentemente, come in casi simili a questo, alla nomina di un amministratore di sostegno che, in realtà, sostituisce (non sostiene) la volontà del paziente, consentendo così l’intervento che salva la vita.
Un altro esempio può riguardare il caso di una persona con problemi intellettivi molto gravi la quale, essendo ad esempio diabetica, pretende di voler mangiare continuamente grando quantità di dolci; in tal caso l’amministratore di sostegno deve negare la volontà dell’amministrato nel suo primario interesse di salute.
Ma a parte i “casi limite”, sembra ormai necessario un maggiore rispetto della volontà dell’amministrato, specie alla luce delle numerose situazioni riportare anche da Superando. Come dice la professoressa Bernardini, ciò può avvenire ad esempio avvalendosi di una persona che conosca molto bene le abitudini e i desideri dell’interessato dell’”amministrato. In tal senso, oggi l’articolo 22 del Decreto Legislativo 62/24 ha introdotto la figura del “facilitatore”. La professoressa suggerisce pure che, di fronte al rischio di interventi autoritari dell’amministratore di sostegno, sarebbe opportuna “una pluralità di amministratori”. Ciò potrebbe avvenire, a mio avviso, con la previsione della nomina di un “pro-amministratore di sostegno”, come avviene ancora con la nomina del “protutore” e sugli eventuali conflitti di opinioni tra i due amministratori, dovrebbe intervenire il giudice tutelare.

Dunque delle correzioni alla Legge 6/04 vanno introdotte. La menzionata Proposta di Legge di iniziativa popolare ne propone un certo numero; alcune mi sembrano massimaliste, ma altre sono pienamente condivisibili. Pertanto, sarebbe opportuno raggiungere le 50.000 firme necessarie, sottoscrivendola al link che ricordo ancora, perché possa essere presentata e poi, durante la discussione parlamentare, fare introdurre modifiche che smussino le proposte eccessive e introducendo altre proposte migliorative.
Cosa ne pensano le Associazioni aderenti alla FISH?

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Dai Quartieri Spagnoli di Napoli una storia di autonomia e una vittoria contro la criminalità organizzata

Superando -

Nei Quartieri Spagnoli di Napoli è stata inaugurata la Casa Comune”, un co-housing destinato a persone con disabilità intellettive all’interno di una struttura abitativa che è un bene confiscato alla criminalità organizzata, il tutto nell’àmbito delle attività socioassistenziali promosse dalla Fondazione FOQUS e finalizzate appunto a promuovere le abilità personali, sociali e professionali di giovani in particolare con disturbo dello spettro autistico e sindrome di Down Un’immagine della giornata inaugurale della “Casa Comune”, avvenuta il 27 maggio scorso

In queste ultime settimane la vittoria dello scudetto per Napoli non è stata l’unico primato! Il 27 maggio scorso, infatti, nei Quartieri Spagnoli della città è stata inaugurata la Casa Comune, primo co-housing destinato a persone con disabilità cognitiva del Centro Argo, centro diurno non medicalizzato che dal 2016 lavora per bambini, giovani e adulti nello stesso quartiere della città.
La struttura abitativa ha la finalità di fare evolvere e ampliare le attività socioassistenziali promosse da dieci anni dalla Fondazione FOQUS, finalizzate a valorizzare i talenti di giovani con difficoltà cognitive, in particolare, nello spettro autistico e con la sindrome di Down, promuovendone le abilità personali, sociali e professionali.
Infatti, sui duecento metri quadrati dell’appartamento appena diventato co-housing, disposti su due piani con annessa una terrazza, sono stati creati spazi per promuovere percorsi di autonomia, occasione di socializzazione, formazione e lavoro.

Nell’immobile, che è un bene confiscato alla camorra e reso disponibile dal Comune di Napoli alla Fondazione FOQUS, si svolgeranno laboratori di cucina, di produzione e inscatolamento di tavolette di cioccolata (i giovani produrranno la Cioccolata dei Quartieri Spagnoli che sarà venduta come un gadget dolciario nei negozi e nei bar del quartiere), oltre a sperimentare forme di autonomia sociale e personale per prepararsi a vivere senza la famiglia, in contesti di vita che appartengono alla fase definita solitamente “Dopo di Noi”. In concreto, ciò significa fare la spesa, pulire e rassettare la casa, preparare i pasti, prendere confidenza con le attività di quartiere. La Casa Comune offre infatti ai suoi giovani ospiti con disabilità cognitiva l’opportunità di fare un’esperienza unica e molto importante: sperimentare cioè una vita autonoma e di socializzazione in àmbiti diversi da quelli della famiglia e del Centro che li accoglie, ma in una “loro” casa.
I posti letto a disposizione sono sedici, divisi in due diverse sedi, una ubicata nell’appartamento sequestrato alla criminalità organizzata, ora diventato luogo sociale; l’altra presso la sede della Fondazione stessa, nell’ex monastero oggi trasformato in un hub di servizi educativi, nuove imprese giovanili, attività culturali e produttive, che ospita ogni giorno migliaia di persone le quali vi arrivano per studiare, prendersi cura degli altri, apprendere e lavorare.

I giovani con disabilita cognitiva frequenteranno in due gruppi di otto ognuna delle due sedi della Casa Comune. All’inizio, per fare un’esperienza graduale, gli stessi ospiti vivranno nella struttura dal lunedì al giovedì, seguiti da personale qualificato, per valutarne gli step di autonomia dal contesto familiare; con il passare del tempo, poi, in prospettiva abiteranno in modo definitivo.
Durante i weekend la Casa Comune viene adibita a uso B&B sociale, occasioni in cui i giovani abitanti con disabilità cognitiva si trasformano dall’essere ospiti della casa a diventarne host, accogliendo cioè i turisti interessanti a conoscere la Napoli solidale, rassettando le camere e preparando le colazioni.

L’iniziativa si presenta anche come un’opera di riqualificazione. «La famiglia camorrista che abitava nell’appartamento, lo aveva vandalizzato – dichiara Renato Quaglia, direttore della Fondazione FOQUS – e per questo l’edificio si trovava in un grande stato di abbandono; è stato possibile ristrutturarlo grazie a imponenti lavori finanziati con una raccolta fondi promossa da Guber Banca (banca bresciana che ha istituito un conto corrente dedicato: chi aderiva a quel conto accettava di destinare parte degli interessi al progetto napoletano che la banca raddoppiava) ed è stato arredato grazie a Enel Cuore».
Di questa doppia valenza sociale è fiera l’Amministrazione Comunale di Napoli, considerandola sia come un’attenzione particolare ai cittadini più vulnerabili, sia come un recupero e, soprattutto, come il riutilizzo di un bene a scopo sociale.

Riassumendo, in conclusione, va detto che la realizzazione della Casa Comune è stata resa possibile grazie alla sinergia di varie realtà, quali la Fondazione FOQUS, l’Associazione Quartieri Spagnoli, il Consorzio Core ed Enel Cuore, con il finanziamento di Guber Banca e delComune di Napoli.

*Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Disabilità cognitiva e vita autonoma: una storia dai Quartieri Spagnoli che è anche una vittoria contro la camorra”, e viene qui ripreso, con diverso titolo e alcuni riadattamenti al differente contenitore, per gentile concessione.

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“Sconfinamento” in Liguria per i tandem della Polisportiva UICI di Torino

Superando -

«Dopo vari tour estivi in Piemonte, che hanno portato il nostro affiatatissimo gruppo di atleti ad esplorare, tra il 2021 e il 2024, vari angoli della nostra Regione, è arrivato il momento di “sconfinare”, verso i paesaggi costieri»: lo dicono dalla Polisportiva UICI di Torino, presentando la nuova “sfida” che dal 14 al 17 giugno porterà cinque equipaggi – ciascuno dei quali composto da un pedalatore con disabilità visiva e da una guida vedente – a recarsi da Torino al mare della Liguria, pedalando in tandem Uno degli equipaggi tandem della Polisportiva UICI di Torino impegnato in una delle “sfide” degli anni scorsi

«Dopo vari tour estivi in Piemonte, che hanno portato il nostro affiatatissimo gruppo di atleti ad esplorare, tra il 2021 e il 2024, vari angoli della nostra Regione (dalle Langhe al Monferrato, senza trascurare il Canavese), è arrivato il momento di “sconfinare”, verso i paesaggi costieri»: lo dicono dalla Polisportiva UICI di Torino (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), presentando la nuova “sfida” che dal 14 al 17 giugno porterà cinque equipaggi – ciascuno dei quali composto da un pedalatore con disabilità visiva e da una guida vedente – a recarsi da Torino al mare della Liguria, pedalando in tandem, la bici a due posti simbolo dell’incontro tra persone vedenti e non, il tutto affrontando un percorso assai complesso, in quattro tappe che porterà fino alla Provincia di Savona, sfiorando i Comuni di Finale Ligure e Balestrino, per poi ripercorrere l’itinerario a ritroso, ma con alcune variazioni.
Saranno dunquue oltre 300 i chilometri complessivi, con passi appenninici caratterizzati da grandi dislivelli. «Una sfida impegnativa sul piano atletico – dicono quindi dalla Polisportiva dell’UICI di Torino -, ma capace di cementare ulteriormente i legami di amicizia e profonda collaborazione che da sempre caratterizzano il gruppo tandem. Nel corso di esperienze come queste, infatti, l’inclusione si fa concretezza quotidiana: le differenze tra chi vede e chi non vede vengono armonizzate in maniera così naturale che nessuno ci fa più caso».
Durante il percorso verranno toccati territori di grande pregio storico, culturale ed enogastronomico come le Langhe, che saranno protagoniste in due tappe intermedie, ma anche i Comuni marittimi del Savonese. E come per le esperienze degli anni precedenti, l’iniziativa sarà pertanto una sfida sportiva, ma anche un’occasione di scoperta, oltreché, come detto, una bella esperienza di condivisione. «I pranzi e i pernottamenti – sottolineano ancora i promotori – avverranno in strutture ricettive dei territori attraversati, scelte perché presìdi di un’economia “della lentezza”, fondata sull’accoglienza e sulla condivisione dei prodotti locali».

Detto che in un equipaggio tandem entrambi i ciclisti giocano un ruolo di primo piano, con la guida vedente che occupa il posto anteriore, imprimendo al mezzo la direzione, mentre il pedalatore cieco, seduto dietro, contribuisce con i movimenti del proprio corpo, con la forza e la velocità della pedalata, al buon andamento del veicolo, non resta che ricordare il dettaglio delle tappe previste nei prossimi giorni:
° Sabato 14 giugno: Torino-Belvedere Langhe (Cuneo), 90 chilometri (dislivello 800 metri).
° Domenica 15 giugno: Belvedere Langhe (Cuneo)-Balestrino (Savona). 82 chilometri (dislivello 1.200 metri).
° Lunedì 16 giugno: Balestrino (Savona)-Vergne, Barolo (Cuneo), 94 chilometri (dislivello 1.100 metri).
° Martedì 17 giugno: Vergne, Barolo (Cuneo)-Torino, 60 chilometri (dislivello 310 metri). (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa UICI Torino (Lorenzo Montanaro), ufficio.stampa@uictorino.it.

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La visione “incapacitante” nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno

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Perché la norma che ha introdotto in Italia l’amministrazione di sostegno, pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone in situazioni di fragilità, si è trasformata in molti casi in una violazione dei diritti umani? Lo chiede Stefania Delendati a Maria Giulia Bernardini, docente dell’Università di Ferrara, secondo la quale «il problema è innanzitutto il fatto che la visione “incapacitante”, ancorata al paradigma medico-individualista della disabilità, è ancora molto diffusa»

Continuiamo ad approfondire il tema dell’amministrazione di sostegno, ospitando questa volta l’analisi e i commenti della professoressa Maria Giulia Bernardini, docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara. A lei che si occupa in particolare dei temi della capacità legale, della vulnerabilità, dell’intersezionalità, degli stereotipi e del diritto all’abitare, abbiamo chiesto la genesi di quella legge – la Legge 6 del 2004, com’è noto – pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone in situazioni di fragilità che però in numerosi casi si è trasformata in una violazione dei diritti umani.
Ebbene, per Bernardini «il problema è innanzitutto culturale: la visione “incapacitante”, ancorata al paradigma medico-individualista della disabilità, è ancora molto diffusa». Nelle stesse Facoltà di Giurisprudenza, le studentesse e gli studenti che svolgeranno professioni legate all’applicazione dell’amministrazione di sostegno, raramente incontrano il tema della disabilità e ancor più di rado vengono a conoscenza della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
La docente ci spiega il concetto di “capacità legale universale” e come si sono regolati gli altri Paesi europei ed extraeuropei in merito agli istituti di tutela. Riguardo poi alle modifiche necessarie alla normativa per limitare le vicende in cui la volontà della persona rimane inascoltata e si verificano atti di sostituzione e sovente veri e propri abusi di potere, suggerisce che «si potrebbe ad esempio intervenire sui poteri dell’amministratore, prevedendo la sostituzione come extrema ratio (e quindi imponendo anche un onere di motivazione quando vi si ricorra); sulla gratuità dell’incarico, in modo da recuperare il senso di questo istituto, che dovrebbe mantenere ferma la centralità della persona; e ancora, sulla pluralità di amministratori nominabili, in modo tale da ridurre il rischio di abuso; infine, sui controlli esercitabili dal giudice, nonché sulla scelta dell’amministratore da parte del beneficiario». «Va ripensato l’intero sistema di supporto – conclude – e sotto questo punto di vista, che il cambiamento spaventi (e quindi provochi resistenze) è comprensibile, chiaramente, però, la paura non può essere una ragione valida per non restituire alle persone con disabilità i diritti che finora sono stati loro negati».

Prima dell’introduzione della Legge 6 del 2004, come ci si regolava quando una persona in condizione di fragilità aveva bisogno di essere tutelata mantenendo il proprio diritto di decidere in libertà per sé e per la sua vita?
«La sua è una domanda molto interessante, perché presuppone che ci si ponesse il problema di rispettare il diritto della persona di decidere per sé e per la sua vita. In realtà, si può dire che questo tema – e, con esso, la centralità della persona – sia stato preso pienamente in considerazione solo con l’introduzione dell’amministrazione di sostegno, dunque nel 2004. In origine, infatti, il Codice Civile (dove all’articolo 404 e seguenti troviamo disciplinate quelle che sono definite come “misure di protezione”) contemplava unicamente due strumenti: l’interdizione e l’inabilitazione. Queste misure, però, non avevano – e non hanno, dato che non sono state ancora abrogate – lo scopo di proteggere la persona e di valorizzare la sua volontà, ma il suo patrimonio, evitando il verificarsi di danni. Ad esempio, nel caso dell’interdizione (che è considerata l’antitesi dell’amministrazione di sostegno), in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, si inizia il procedimento che porta al relativo provvedimento del giudice. L’effetto di questo provvedimento è la perdita della capacità d’agire del beneficiario, che non può compiere né atti di ordinaria e straordinaria amministrazione (dove è possibile l’intervento del tutore), né atti personalissimi, come sposarsi o effettuare una donazione (in questo caso, è esclusa anche la possibilità che gli atti siano posti in essere dal tutore). C’è da dire che, in relazione all’interdizione, negli ultimi anni i giudici spesso hanno cercato di forzarne le maglie, troppo rigide. In questo modo, però, le soluzioni valgono caso per caso e non assumono carattere generale.
In merito all’inabilitazione, che comunque è ormai caduta in desuetudine, l’istituto ha presupposti che non possono essere più condivisi, come la circostanza che l’essere persone sorde o cieche legittimi il ricorso all’istituto, e dunque la limitazione della capacità d’agire».

Questo, dunque, è quanto accadeva prima. Poi, però, la Legge 6/04 ha evidenziato non poche difficoltà di applicazione, chiaroscuri nei quali si nascondono situazioni di abuso, sostituzione della volontà della persona, anziché accompagnamento e sostegno. Cosa si potrebbe fare, quindi, per migliorare lo strumento dell’amministrazione di sostegno che quella norma ci mette a disposizione?
«Il problema è innanzitutto culturale: la visione “incapacitante”, ancorata al paradigma medico-individualista della disabilità, è ancora molto diffusa. Ad esempio, se resto all’àmbito con il quale sono più direttamente in contatto, le studentesse e gli studenti di giurisprudenza – che svolgeranno alcune delle professioni di rilievo in relazione all’applicazione dell’amministrazione di sostegno – incontrano raramente il tema “disabilità” nel corso dei loro studi, e ancor più raramente vengono a conoscenza dell’esistenza della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e della “rivoluzione” che essa ha portato, anche in relazione al riconoscimento dei diritti e al loro esercizio. La presenza di esempi virtuosi, in controtendenza rispetto a questo quadro allarmante, non può fare perdere di vista un problema che ha ancora carattere sistematico. Se non cambia la cultura e non si acquista consapevolezza in merito al cambiamento di paradigma introdotto dalla Convenzione ONU, che impone di partire dalla presunzione di capacità della persona con disabilità, ogni modifica normativa rischia di restare unicamente sulla carta.
Premesso questo, sembra che sia giunto il momento di apportare alcune modifiche normative anche all’istituto dell’amministrazione di sostegno. Si potrebbe ad esempio intervenire sui poteri dell’amministratore, prevedendo la sostituzione come extrema ratio (e quindi imponendo anche un onere di motivazione quando vi si ricorra); sulla gratuità dell’incarico, in modo da recuperare il senso di questo istituto, che dovrebbe mantenere ferma la centralità della persona; sulla pluralità di amministratori nominabili, in modo tale da ridurre il rischio di abuso; sui controlli esercitabili dal giudice; sulla scelta dell’amministratore da parte del beneficiario».

In un’ottica di miglioramento e modifica dell’attuale normativa, come ci può venire in aiuto il diritto internazionale?
«Il punto di riferimento indiscusso è l’articolo 12 della citata Convenzione ONU, che disciplina la capacità legale universale. Dato che l’Italia ha ratificato la Convenzione [Legge 18/09, N.d.R.], che “entra” nel nostro ordinamento in una posizione superiore rispetto a quella della legge italiana, sussiste l’obbligo (finora disatteso) di modificare il quadro legislativo in modo da renderlo conforme rispetto a quanto stabilito nella Convenzione. L’articolo 12 fornisce, al riguardo, indicazioni incontrovertibili: è necessario partire dal presupposto che le persone con disabilità siano capaci e le misure adottate devono consentire alla persona l’esercizio della propria capacità d’agire. Al paragrafo 4, lo stesso articolo 12 individua anche alcuni elementi funzionali a rendere le misure in questione (che definirei “di supporto”, anziché “di protezione”, per sottolineare come siamo radicalmente lontani da una prospettiva paternalista) in linea con la Convenzione, come il rispetto della volontà e le preferenze della persona, la temporaneità, il controllo periodico, la proporzionalità.
Un altro strumento da tenere in considerazione è la Convenzione dell’Aia del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti incapaci, ma con due avvertenze: in primo luogo, questo strumento non è stato ratificato dall’Italia, quindi non ha vigore nel nostro ordinamento. Inoltre, già dalla scelta lessicale nel titolo si capisce come l’impostazione non sia pienamente in linea con il dettato della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che continua ad essere il “faro”. Proprio per questo, attualmente, è aperta la procedura relativa all’adozione di un regolamento dell’Unione Europea (che ha ratificato la Convenzione ONU nel 2010), relativo alle misure e alla cooperazione in materia di protezione degli adulti. Anche se chiaramente non si tratta di uno strumento di diritto internazionale, credo che valga la pena seguire gli sviluppi, per l’impatto che un tale regolamento può avere anche all’interno dell’ordinamento italiano».

Restando alla Convenzione ONU e alla cornice da essa disegnata, quali effetti normativi si sono avuti nei Paesi europei ed extraeuropei in merito agli istituti di tutela? Quali norme sono state emanate e quali, a suo parere, sono le più apprezzabili?
«Tra i primi Paesi a modificare il proprio quadro giuridico nella direzione richiesta dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, figura la Costa Rica, che ha proceduto in questa direzione nel 2016. Ci sono poi riforme più recenti, come quelle che hanno interessato i Paesi Latinoamericani (il Perù nel 2018, la Colombia nel 2019, l’Argentina nel 2022). Nell’Unione europea, la Bulgaria si è attivata nel 2019, la Spagna e l’Irlanda nel 2022, la Germania nel 2023.
Le riforme, per quanto diverse tra loro, partono da alcuni presupposti comuni, riconducibili appunto all’articolo 12 della Convenzione ONU: eguale riconoscimento di fronte alla legge, creazione di sistemi di supporto/sostegno al processo decisionale, e modifiche (in senso restrittivo) alla possibilità di dichiarare l’incapacità assoluta dell’individuo. In nessun caso, però, si è abolita completamente la possibilità di procedere alla sostituzione del beneficiario della misura, anche se questa ipotesi è prevista come extrema ratio, e dunque ha carattere residuale.
L’Irlanda è forse lo Stato che può essere considerato più all’avanguardia. Sul piano dei princìpi, ha riconosciuto il diritto di autodeterminazione delle persone con disabilità e accolto il principio del supporto. Ha individuato anche alcuni processi decisionali assistiti, ad intensità crescente, che trovano applicazione dopo l’effettuazione di un test funzionale (che può essere considerato compatibile con la Convenzione ONU, se non è applicato in modo discriminatorio). Ha inoltre previsto l’istituzione di un nuovo servizio pubblico di supporto, con compiti informativi, di regolamentazione e registrazione degli accordi di supporto decisionale, di supervisione e di monitoraggio. Infine, ha stabilito che debba sempre essere rispettata la capacità di scelta delle persone che si trovano all’interno delle strutture residenziali, e che le misure eventualmente adottate debbano rispettare la giurisprudenza del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».

Forse a questo punto è il caso di spiegare ancor meglio il concetto di “capacità legale universale” e come esso si attui in merito ai diritti delle persone con disabilità.
«La “capacità legale universale”, prevista, come ampiamente detto in precedenza, dall’articolo 12 della Convenzione ONU, è la chiave di volta della Convenzione stessa, perché costituisce la base dell’eguale riconoscimento della soggettività e dei diritti umani delle persone con disabilità.
La formulazione di questo articolo è un po’ complessa ed è caratterizzata da alcuni aspetti tecnici, come la distinzione tra la capacità giuridica e quella di agire. Provando a sintetizzare, potremmo dire che il concetto di capacità legale universale si muove su diversi piani. In primo luogo, afferma a chiare lettere che la condizione di disabilità non può mai costituire una valida ragione per discriminare – in via diretta o indiretta – qualcuno né in relazione all’eguale riconoscimento della sua personalità giuridica (ossia come soggetto di diritto), né per quanto riguarda la titolarità della capacità legale e il suo esercizio. Insomma, non è ammessa nessuna presunzione relativa al fatto che, per il solo essere disabile, una persona non debba godere degli stessi diritti riconosciuti agli altri individui. Non è nemmeno possibile presumere che una persona con disabilità non sia pienamente capace: le eventuali limitazioni alla capacità andranno decise in relazione al caso singolo, e dovranno essere adeguatamente motivate, perché l’obiettivo è quello di conservare la più ampia capacità decisionale in capo alla persona. Certo, oggi nessuno immaginerebbe di affermare che le persone con disabilità non siano soggetti di diritto (ma la storia ci racconta altro, quindi riaffermarlo all’interno di una Convenzione che tutela i diritti umani non è superfluo). Al contrario, la capacità legale delle persone con disabilità è messa in discussione quasi quotidianamente.
In secondo luogo, in base al paragrafo 3 dell’articolo 12, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono tenuti a prendere tutte le misure che garantiscano alle persone con disabilità il pieno supporto nell’esercizio della propria capacità. Si tratta di accorgimenti di varia natura, formali o informali, che consentano alla persona di autodeterminarsi e di esercitare un controllo reale sulla propria vita. L’amministrazione di sostegno può essere ricompresa all’interno di questi strumenti di supporto: alla luce di quanto ho provato a ricostruire finora, è evidente che il compito dell’amministratore di sostegno dovrà essere quello di accompagnare (e non di sostituirsi) alla persona beneficiaria, e che il suo operato dovrà sempre essere diretto a valorizzare al maggior grado possibile la capacità di quest’ultima. Per questo è improprio considerarlo uno strumento di incapacitazione, come a volte si legge: grazie all’articolo 12 della Convenzione si cambia prospettiva, e il punto non è “incapacitare”, ossia limitare la capacità della persona, ma affiancare quest’ultima, assistendola nell’esercizio della sua capacità nel modo meno invasivo possibile. E infatti, come ho ricordato prima, il paragrafo 4 dell’articolo 12 fissa alcuni requisiti delle misure di supporto, sempre al fine di salvaguardare la persona, i suoi diritti e la sua volontà».

Nel saggio La capacità legale universale come requisito indefettibile della libertà. Notazioni teoriche in un’ottica di riforma lei afferma che «gli istituti giuridici che privino un individuo con disabilità dei propri diritti in ragione della sua asserita incapacità non possono in alcun modo essere considerati conformi al dettato normativo della Convenzione. Tra questi, devono essere inclusi gli istituti che negano ab origine, o comunque consentono, la completa privazione della capacità legale e, su tale base, quella della libertà personale o di scelta, a causa della sola presenza di un deficit, reale o percepito”. Riguardo alle persone con disabilità psicosociali, intellettive o cognitive, quali nozioni innovative introduce la Convenzione ONU?
«Come ho già ricordato, in base alla Convenzione ONU la condizione di disabilità non può essere una valida ragione per discriminare una persona. Questo richiede il superamento dell’idea che la disabilità determini l’incapacità dell’individuo e, al contrario, di considerare la disabilità come una delle (molte) specificità della persona, con un approccio che può essere definito “neutro”.
Tra le conseguenze più rilevanti di questa prospettiva c’è la necessità di tenere distinte la capacità legale (quella che consente di muoversi tra le maglie del diritto, ad esempio concludendo un contratto o effettuando scelte relative alla propria vita personale) e quella mentale, su cui ha insistito molto il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, in particolare nel General Comment n. 1. Ciò significa che ogni negazione della capacità legale stabilita in base all’asserita assenza di capacità mentale è contraria all’articolo 12 della Convenzione, così come lo è ogni diagnosi di incapacità che sia basata sullo status, sulla valutazione relativa alle conseguenze delle scelte effettuate, o di tipo funzionale.
Questa circostanza assume particolare rilievo per le persone con disabilità psicosociali, intellettive o cognitive, in relazione alle quali lo stigma associato alla “capacità mentale” è sempre stato particolarmente forte. Ai sensi della Convenzione ONU, non è ammesso in alcun modo che se ne presuma l’incapacità: anche nel loro caso, infatti, bisognerà partire da una presunzione di capacità e supportarle nell’esercizio della propria capacità legale, facendo riferimento ai criteri individuati dall’articolo 12».

Nel medesimo saggio lei parla di “atteggiamento difensivo” da parte degli Stati nell’implementazione dell’articolo 12 all’interno delle proprie normative. Per quali ragioni si è attuato questo “atteggiamento difensivo”? E riguardo all’Italia, quali sono le maggiori resistenze che si incontrano?
«L’atteggiamento difensivo di alcuni Stati si è tradotto innanzitutto nell’apposizione di riserve all’articolo 12, il che consente loro di non darvi attuazione, nonostante abbiano ratificato la Convenzione nel suo complesso; a questo riguardo, bisogna però notare che l’Italia non ha apposto riserve, dunque è vincolata all’attuazione di tutti gli articoli della Convenzione.
In altri casi, gli Stati hanno adottato dichiarazioni interpretative in relazione all’ammissibilità della sostituzione, per limitare l’impatto dell’articolo 12, o non hanno abrogato gli istituti in diretto contrasto con la Convenzione (nell’ordinamento italiano, l’interdizione e l’inabilitazione sono ancora vigenti) e hanno scelto una linea più “morbida”, riformando la disciplina legislativa solo parzialmente.
Credo che le ragioni per le quali si preferisce un approccio più “moderato” nell’applicazione della Convenzione, e in particolare dell’articolo 12, siano varie e che cambino nei diversi contesti politici e istituzionali. Di certo, si sconta anche un problema culturale: l’articolo 12, infatti, impone un cambio di prospettiva radicale e, fino a non molto tempo fa, impensabile. Oggi abbiamo fatto certamente molti passi in avanti nella restituzione dei diritti immotivatamente negati alle persone con disabilità, ma il cammino è ancora lungo, e anche il relativo lavoro culturale.
Per quanto riguarda l’Italia, nonostante la Convenzione sia entrata in vigore ormai da sedici anni, i princìpi di essa sono ancora in gran parte non conosciuti non solo nella società, ma anche tra gli “addetti ai lavori”, e questo fa sì che manchino molti strumenti per darvi piena attuazione, perché le questioni che stanno emergendo sono nuove. Prima si dava per scontata l’incapacità della persona con disabilità e si riteneva che questo stato di cose non potesse essere cambiato. Ora si comprende che quello che era considerato naturale in realtà è l’esito di una discriminazione sistemica: vediamo quotidianamente quanto sia difficile portare avanti moltissime lotte, compresa quella diretta a garantire la vita indipendente e la deistituzionalizzazione, proprio perché il modello medico-individualista della disabilità è ancora diffuso. Dal canto suo, la capacità legale universale impone di abbandonare il sistema binario capacità/incapacità, e quindi mina le fondamenta stesse del diritto per come lo conosciamo, aprendo numerosi profili di incertezza, anche alla luce del fatto che va ripensato l’intero sistema di supporto. Sotto questo punto di vista, che il cambiamento spaventi (e quindi provochi resistenze) è comprensibile. Chiaramente, però, la paura non può essere una ragione valida per non restituire alle persone con disabilità i diritti che finora sono stati loro negati».

*Maria Giulia Bernardini è docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara; Stefania Delendati è la direttrice responsabile di Superando.

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La FISH a fianco del Presidente dell’AICE, perché la sua è una battaglia di tutti

Superando -

«Rivolgiamo un appello a tutte le Associazioni aderenti alla nostra Federazione: sosteniamo con determinazione e visibilità questa battaglia, che è la battaglia di tutti»: lo scrive tra l’altro il presidente della FISH Falabella, esprimendo a nome dell’intero movimento associativo che si riconosce nella propria Federazione, piena vicinanza al presidente dell’AICE Pesce, che ha avviato uno sciopero della fame contro i ritardi nell’approvazione di una legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia Il confronto con il Ministero della Salute e quello dell’Economia e delle Finanze, da parte di Giovanni Battista Pesce (qui a destra insieme al ministro della Salute Schillaci nel settembre dello scorso anno), è positivamente in corso, e tuttavia l’iter della legge auspicata è ancora fermo e il Presidente dell’AICE prosegue con la propria protesta

Come intero movimento associativo che si riconosce nella FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), desideriamo esprimere con convinzione la nostra profonda vicinanza e solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), impegnato dal 10 giugno in uno sciopero della fame davanti al Ministero della Salute [se ne legga già ampiamente sulle nostre pagine, N.d.R.]. Si tratta di un gesto estremo ma pacifico, che pone al centro dell’attenzione pubblica e politica una questione di civiltà e di giustizia troppo a lungo trascurata.
Il presidente Pesce ha scelto di mettere in gioco la propria salute per richiamare l’attenzione sul vergognoso stallo che da oltre un anno blocca in Senato un Disegno di Legge che mira a garantire piena inclusione sociale alle persone con epilessia. Questo blocco è dovuto all’assenza di una relazione tecnica che il Ministero della Salute avrebbe dovuto trasmettere alla competente Commissione Parlamentare, rendendo così impossibile il proseguimento dell’iter legislativo.
Tale immobilismo burocratico, che rischia di vanificare diritti fondamentali, non può essere ignorato. Le persone con epilessia, anche quando clinicamente guarite da anni, continuano ad essere discriminate a livello giuridico e sociale. E ancora più drammatica è la condizione di chi convive con le cosiddette forme “farmacoresistenti”, senza un adeguato riconoscimento e senza misure efficaci di inclusione.
La FISH ribadisce con forza che ogni ritardo o ostacolo nella piena attuazione dei diritti delle persone con disabilità rappresenta una violazione dei principi di uguaglianza, solidarietà e partecipazione attiva sanciti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Non possiamo tollerare che la burocrazia diventi una barriera più insidiosa delle stesse condizioni di salute.
Rivolgiamo quindi un appello a tutte le Associazioni aderenti alla nostra Federazione: uniamoci, facciamoci sentire, sosteniamo con determinazione e visibilità questa battaglia, che è la battaglia di tutti. Perché se è vero che “uno per tutti, tutti per uno” è il principio che ci guida, ora è il momento di dimostrarlo con i fatti.
La politica non può più permettersi di ignorare la voce delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni. Solo infatti ascoltando chi vive quotidianamente le difficoltà e le ingiustizie di un sistema ancora troppo distante, si potrà costruire un Paese realmente inclusivo e capace di rispondere ai bisogni reali di ogni cittadina e cittadino con disabilità.

*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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