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Dai Quartieri Spagnoli di Napoli una storia di autonomia e una vittoria contro la criminalità organizzata

13 Giugno 2025 - 6:24pm

Nei Quartieri Spagnoli di Napoli è stata inaugurata la “Casa Comune”, un co-housing destinato a persone con disabilità intellettive all’interno di una struttura abitativa che è un bene confiscato alla criminalità organizzata, il tutto nell’àmbito delle attività socioassistenziali promosse dalla Fondazione FOQUS e finalizzate appunto a promuovere le abilità personali, sociali e professionali di giovani in particolare con disturbo dello spettro autistico e sindrome di Down Un’immagine della giornata inaugurale della “Casa Comune”, avvenuta il 27 maggio scorso

In queste ultime settimane la vittoria dello scudetto per Napoli non è stata l’unico primato! Il 27 maggio scorso, infatti, nei Quartieri Spagnoli della città è stata inaugurata la Casa Comune, primo co-housing destinato a persone con disabilità cognitiva del Centro Argo, centro diurno non medicalizzato che dal 2016 lavora per bambini, giovani e adulti nello stesso quartiere della città.
La struttura abitativa ha la finalità di fare evolvere e ampliare le attività socioassistenziali promosse da dieci anni dalla Fondazione FOQUS, finalizzate a valorizzare i talenti di giovani con difficoltà cognitive, in particolare, nello spettro autistico e con la sindrome di Down, promuovendone le abilità personali, sociali e professionali.
Infatti, sui duecento metri quadrati dell’appartamento appena diventato co-housing, disposti su due piani con annessa una terrazza, sono stati creati spazi per promuovere percorsi di autonomia, occasione di socializzazione, formazione e lavoro.

Nell’immobile, che è un bene confiscato alla camorra e reso disponibile dal Comune di Napoli alla Fondazione FOQUS, si svolgeranno laboratori di cucina, di produzione e inscatolamento di tavolette di cioccolata (i giovani produrranno la Cioccolata dei Quartieri Spagnoli che sarà venduta come un gadget dolciario nei negozi e nei bar del quartiere), oltre a sperimentare forme di autonomia sociale e personale per prepararsi a vivere senza la famiglia, in contesti di vita che appartengono alla fase definita solitamente “Dopo di Noi”. In concreto, ciò significa fare la spesa, pulire e rassettare la casa, preparare i pasti, prendere confidenza con le attività di quartiere. La Casa Comune offre infatti ai suoi giovani ospiti con disabilità cognitiva l’opportunità di fare un’esperienza unica e molto importante: sperimentare cioè una vita autonoma e di socializzazione in àmbiti diversi da quelli della famiglia e del Centro che li accoglie, ma in una “loro” casa.
I posti letto a disposizione sono sedici, divisi in due diverse sedi, una ubicata nell’appartamento sequestrato alla criminalità organizzata, ora diventato luogo sociale; l’altra presso la sede della Fondazione stessa, nell’ex monastero oggi trasformato in un hub di servizi educativi, nuove imprese giovanili, attività culturali e produttive, che ospita ogni giorno migliaia di persone le quali vi arrivano per studiare, prendersi cura degli altri, apprendere e lavorare.

I giovani con disabilita cognitiva frequenteranno in due gruppi di otto ognuna delle due sedi della Casa Comune. All’inizio, per fare un’esperienza graduale, gli stessi ospiti vivranno nella struttura dal lunedì al giovedì, seguiti da personale qualificato, per valutarne gli step di autonomia dal contesto familiare; con il passare del tempo, poi, in prospettiva abiteranno in modo definitivo.
Durante i weekend la Casa Comune viene adibita a uso B&B sociale, occasioni in cui i giovani abitanti con disabilità cognitiva si trasformano dall’essere ospiti della casa a diventarne host, accogliendo cioè i turisti interessanti a conoscere la Napoli solidale, rassettando le camere e preparando le colazioni.

L’iniziativa si presenta anche come un’opera di riqualificazione. «La famiglia camorrista che abitava nell’appartamento, lo aveva vandalizzato – dichiara Renato Quaglia, direttore della Fondazione FOQUS – e per questo l’edificio si trovava in un grande stato di abbandono; è stato possibile ristrutturarlo grazie a imponenti lavori finanziati con una raccolta fondi promossa da Guber Banca (banca bresciana che ha istituito un conto corrente dedicato: chi aderiva a quel conto accettava di destinare parte degli interessi al progetto napoletano che la banca raddoppiava) ed è stato arredato grazie a Enel Cuore».
Di questa doppia valenza sociale è fiera l’Amministrazione Comunale di Napoli, considerandola sia come un’attenzione particolare ai cittadini più vulnerabili, sia come un recupero e, soprattutto, come il riutilizzo di un bene a scopo sociale.

Riassumendo, in conclusione, va detto che la realizzazione della Casa Comune è stata resa possibile grazie alla sinergia di varie realtà, quali la Fondazione FOQUS, l’Associazione Quartieri Spagnoli, il Consorzio Core ed Enel Cuore, con il finanziamento di Guber Banca e delComune di Napoli.

*Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Disabilità cognitiva e vita autonoma: una storia dai Quartieri Spagnoli che è anche una vittoria contro la camorra”, e viene qui ripreso, con diverso titolo e alcuni riadattamenti al differente contenitore, per gentile concessione.

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“Sconfinamento” in Liguria per i tandem della Polisportiva UICI di Torino

13 Giugno 2025 - 5:37pm

«Dopo vari tour estivi in Piemonte, che hanno portato il nostro affiatatissimo gruppo di atleti ad esplorare, tra il 2021 e il 2024, vari angoli della nostra Regione, è arrivato il momento di “sconfinare”, verso i paesaggi costieri»: lo dicono dalla Polisportiva UICI di Torino, presentando la nuova “sfida” che dal 14 al 17 giugno porterà cinque equipaggi – ciascuno dei quali composto da un pedalatore con disabilità visiva e da una guida vedente – a recarsi da Torino al mare della Liguria, pedalando in tandem Uno degli equipaggi tandem della Polisportiva UICI di Torino impegnato in una delle “sfide” degli anni scorsi

«Dopo vari tour estivi in Piemonte, che hanno portato il nostro affiatatissimo gruppo di atleti ad esplorare, tra il 2021 e il 2024, vari angoli della nostra Regione (dalle Langhe al Monferrato, senza trascurare il Canavese), è arrivato il momento di “sconfinare”, verso i paesaggi costieri»: lo dicono dalla Polisportiva UICI di Torino (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), presentando la nuova “sfida” che dal 14 al 17 giugno porterà cinque equipaggi – ciascuno dei quali composto da un pedalatore con disabilità visiva e da una guida vedente – a recarsi da Torino al mare della Liguria, pedalando in tandem, la bici a due posti simbolo dell’incontro tra persone vedenti e non, il tutto affrontando un percorso assai complesso, in quattro tappe che porterà fino alla Provincia di Savona, sfiorando i Comuni di Finale Ligure e Balestrino, per poi ripercorrere l’itinerario a ritroso, ma con alcune variazioni.
Saranno dunquue oltre 300 i chilometri complessivi, con passi appenninici caratterizzati da grandi dislivelli. «Una sfida impegnativa sul piano atletico – dicono quindi dalla Polisportiva dell’UICI di Torino -, ma capace di cementare ulteriormente i legami di amicizia e profonda collaborazione che da sempre caratterizzano il gruppo tandem. Nel corso di esperienze come queste, infatti, l’inclusione si fa concretezza quotidiana: le differenze tra chi vede e chi non vede vengono armonizzate in maniera così naturale che nessuno ci fa più caso».
Durante il percorso verranno toccati territori di grande pregio storico, culturale ed enogastronomico come le Langhe, che saranno protagoniste in due tappe intermedie, ma anche i Comuni marittimi del Savonese. E come per le esperienze degli anni precedenti, l’iniziativa sarà pertanto una sfida sportiva, ma anche un’occasione di scoperta, oltreché, come detto, una bella esperienza di condivisione. «I pranzi e i pernottamenti – sottolineano ancora i promotori – avverranno in strutture ricettive dei territori attraversati, scelte perché presìdi di un’economia “della lentezza”, fondata sull’accoglienza e sulla condivisione dei prodotti locali».

Detto che in un equipaggio tandem entrambi i ciclisti giocano un ruolo di primo piano, con la guida vedente che occupa il posto anteriore, imprimendo al mezzo la direzione, mentre il pedalatore cieco, seduto dietro, contribuisce con i movimenti del proprio corpo, con la forza e la velocità della pedalata, al buon andamento del veicolo, non resta che ricordare il dettaglio delle tappe previste nei prossimi giorni:
° Sabato 14 giugno: Torino-Belvedere Langhe (Cuneo), 90 chilometri (dislivello 800 metri).
° Domenica 15 giugno: Belvedere Langhe (Cuneo)-Balestrino (Savona). 82 chilometri (dislivello 1.200 metri).
° Lunedì 16 giugno: Balestrino (Savona)-Vergne, Barolo (Cuneo), 94 chilometri (dislivello 1.100 metri).
° Martedì 17 giugno: Vergne, Barolo (Cuneo)-Torino, 60 chilometri (dislivello 310 metri). (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa UICI Torino (Lorenzo Montanaro), ufficio.stampa@uictorino.it.

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La visione “incapacitante” nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno

13 Giugno 2025 - 5:09pm

Perché la norma che ha introdotto in Italia l’amministrazione di sostegno, pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone in situazioni di fragilità, si è trasformata in molti casi in una violazione dei diritti umani? Lo chiede Stefania Delendati a Maria Giulia Bernardini, docente dell’Università di Ferrara, secondo la quale «il problema è innanzitutto il fatto che la visione “incapacitante”, ancorata al paradigma medico-individualista della disabilità, è ancora molto diffusa»

Continuiamo ad approfondire il tema dell’amministrazione di sostegno, ospitando questa volta l’analisi e i commenti della professoressa Maria Giulia Bernardini, docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara. A lei che si occupa in particolare dei temi della capacità legale, della vulnerabilità, dell’intersezionalità, degli stereotipi e del diritto all’abitare, abbiamo chiesto la genesi di quella legge – la Legge 6 del 2004, com’è noto – pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone in situazioni di fragilità che però in numerosi casi si è trasformata in una violazione dei diritti umani.
Ebbene, per Bernardini «il problema è innanzitutto culturale: la visione “incapacitante”, ancorata al paradigma medico-individualista della disabilità, è ancora molto diffusa». Nelle stesse Facoltà di Giurisprudenza, le studentesse e gli studenti che svolgeranno professioni legate all’applicazione dell’amministrazione di sostegno, raramente incontrano il tema della disabilità e ancor più di rado vengono a conoscenza della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
La docente ci spiega il concetto di “capacità legale universale” e come si sono regolati gli altri Paesi europei ed extraeuropei in merito agli istituti di tutela. Riguardo poi alle modifiche necessarie alla normativa per limitare le vicende in cui la volontà della persona rimane inascoltata e si verificano atti di sostituzione e sovente veri e propri abusi di potere, suggerisce che «si potrebbe ad esempio intervenire sui poteri dell’amministratore, prevedendo la sostituzione come extrema ratio (e quindi imponendo anche un onere di motivazione quando vi si ricorra); sulla gratuità dell’incarico, in modo da recuperare il senso di questo istituto, che dovrebbe mantenere ferma la centralità della persona; e ancora, sulla pluralità di amministratori nominabili, in modo tale da ridurre il rischio di abuso; infine, sui controlli esercitabili dal giudice, nonché sulla scelta dell’amministratore da parte del beneficiario». «Va ripensato l’intero sistema di supporto – conclude – e sotto questo punto di vista, che il cambiamento spaventi (e quindi provochi resistenze) è comprensibile, chiaramente, però, la paura non può essere una ragione valida per non restituire alle persone con disabilità i diritti che finora sono stati loro negati».

Prima dell’introduzione della Legge 6 del 2004, come ci si regolava quando una persona in condizione di fragilità aveva bisogno di essere tutelata mantenendo il proprio diritto di decidere in libertà per sé e per la sua vita?
«La sua è una domanda molto interessante, perché presuppone che ci si ponesse il problema di rispettare il diritto della persona di decidere per sé e per la sua vita. In realtà, si può dire che questo tema – e, con esso, la centralità della persona – sia stato preso pienamente in considerazione solo con l’introduzione dell’amministrazione di sostegno, dunque nel 2004. In origine, infatti, il Codice Civile (dove all’articolo 404 e seguenti troviamo disciplinate quelle che sono definite come “misure di protezione”) contemplava unicamente due strumenti: l’interdizione e l’inabilitazione. Queste misure, però, non avevano – e non hanno, dato che non sono state ancora abrogate – lo scopo di proteggere la persona e di valorizzare la sua volontà, ma il suo patrimonio, evitando il verificarsi di danni. Ad esempio, nel caso dell’interdizione (che è considerata l’antitesi dell’amministrazione di sostegno), in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, si inizia il procedimento che porta al relativo provvedimento del giudice. L’effetto di questo provvedimento è la perdita della capacità d’agire del beneficiario, che non può compiere né atti di ordinaria e straordinaria amministrazione (dove è possibile l’intervento del tutore), né atti personalissimi, come sposarsi o effettuare una donazione (in questo caso, è esclusa anche la possibilità che gli atti siano posti in essere dal tutore). C’è da dire che, in relazione all’interdizione, negli ultimi anni i giudici spesso hanno cercato di forzarne le maglie, troppo rigide. In questo modo, però, le soluzioni valgono caso per caso e non assumono carattere generale.
In merito all’inabilitazione, che comunque è ormai caduta in desuetudine, l’istituto ha presupposti che non possono essere più condivisi, come la circostanza che l’essere persone sorde o cieche legittimi il ricorso all’istituto, e dunque la limitazione della capacità d’agire».

Questo, dunque, è quanto accadeva prima. Poi, però, la Legge 6/04 ha evidenziato non poche difficoltà di applicazione, chiaroscuri nei quali si nascondono situazioni di abuso, sostituzione della volontà della persona, anziché accompagnamento e sostegno. Cosa si potrebbe fare, quindi, per migliorare lo strumento dell’amministrazione di sostegno che quella norma ci mette a disposizione?
«Il problema è innanzitutto culturale: la visione “incapacitante”, ancorata al paradigma medico-individualista della disabilità, è ancora molto diffusa. Ad esempio, se resto all’àmbito con il quale sono più direttamente in contatto, le studentesse e gli studenti di giurisprudenza – che svolgeranno alcune delle professioni di rilievo in relazione all’applicazione dell’amministrazione di sostegno – incontrano raramente il tema “disabilità” nel corso dei loro studi, e ancor più raramente vengono a conoscenza dell’esistenza della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e della “rivoluzione” che essa ha portato, anche in relazione al riconoscimento dei diritti e al loro esercizio. La presenza di esempi virtuosi, in controtendenza rispetto a questo quadro allarmante, non può fare perdere di vista un problema che ha ancora carattere sistematico. Se non cambia la cultura e non si acquista consapevolezza in merito al cambiamento di paradigma introdotto dalla Convenzione ONU, che impone di partire dalla presunzione di capacità della persona con disabilità, ogni modifica normativa rischia di restare unicamente sulla carta.
Premesso questo, sembra che sia giunto il momento di apportare alcune modifiche normative anche all’istituto dell’amministrazione di sostegno. Si potrebbe ad esempio intervenire sui poteri dell’amministratore, prevedendo la sostituzione come extrema ratio (e quindi imponendo anche un onere di motivazione quando vi si ricorra); sulla gratuità dell’incarico, in modo da recuperare il senso di questo istituto, che dovrebbe mantenere ferma la centralità della persona; sulla pluralità di amministratori nominabili, in modo tale da ridurre il rischio di abuso; sui controlli esercitabili dal giudice; sulla scelta dell’amministratore da parte del beneficiario».

In un’ottica di miglioramento e modifica dell’attuale normativa, come ci può venire in aiuto il diritto internazionale?
«Il punto di riferimento indiscusso è l’articolo 12 della citata Convenzione ONU, che disciplina la capacità legale universale. Dato che l’Italia ha ratificato la Convenzione [Legge 18/09, N.d.R.], che “entra” nel nostro ordinamento in una posizione superiore rispetto a quella della legge italiana, sussiste l’obbligo (finora disatteso) di modificare il quadro legislativo in modo da renderlo conforme rispetto a quanto stabilito nella Convenzione. L’articolo 12 fornisce, al riguardo, indicazioni incontrovertibili: è necessario partire dal presupposto che le persone con disabilità siano capaci e le misure adottate devono consentire alla persona l’esercizio della propria capacità d’agire. Al paragrafo 4, lo stesso articolo 12 individua anche alcuni elementi funzionali a rendere le misure in questione (che definirei “di supporto”, anziché “di protezione”, per sottolineare come siamo radicalmente lontani da una prospettiva paternalista) in linea con la Convenzione, come il rispetto della volontà e le preferenze della persona, la temporaneità, il controllo periodico, la proporzionalità.
Un altro strumento da tenere in considerazione è la Convenzione dell’Aia del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti incapaci, ma con due avvertenze: in primo luogo, questo strumento non è stato ratificato dall’Italia, quindi non ha vigore nel nostro ordinamento. Inoltre, già dalla scelta lessicale nel titolo si capisce come l’impostazione non sia pienamente in linea con il dettato della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che continua ad essere il “faro”. Proprio per questo, attualmente, è aperta la procedura relativa all’adozione di un regolamento dell’Unione Europea (che ha ratificato la Convenzione ONU nel 2010), relativo alle misure e alla cooperazione in materia di protezione degli adulti. Anche se chiaramente non si tratta di uno strumento di diritto internazionale, credo che valga la pena seguire gli sviluppi, per l’impatto che un tale regolamento può avere anche all’interno dell’ordinamento italiano».

Restando alla Convenzione ONU e alla cornice da essa disegnata, quali effetti normativi si sono avuti nei Paesi europei ed extraeuropei in merito agli istituti di tutela? Quali norme sono state emanate e quali, a suo parere, sono le più apprezzabili?
«Tra i primi Paesi a modificare il proprio quadro giuridico nella direzione richiesta dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, figura la Costa Rica, che ha proceduto in questa direzione nel 2016. Ci sono poi riforme più recenti, come quelle che hanno interessato i Paesi Latinoamericani (il Perù nel 2018, la Colombia nel 2019, l’Argentina nel 2022). Nell’Unione europea, la Bulgaria si è attivata nel 2019, la Spagna e l’Irlanda nel 2022, la Germania nel 2023.
Le riforme, per quanto diverse tra loro, partono da alcuni presupposti comuni, riconducibili appunto all’articolo 12 della Convenzione ONU: eguale riconoscimento di fronte alla legge, creazione di sistemi di supporto/sostegno al processo decisionale, e modifiche (in senso restrittivo) alla possibilità di dichiarare l’incapacità assoluta dell’individuo. In nessun caso, però, si è abolita completamente la possibilità di procedere alla sostituzione del beneficiario della misura, anche se questa ipotesi è prevista come extrema ratio, e dunque ha carattere residuale.
L’Irlanda è forse lo Stato che può essere considerato più all’avanguardia. Sul piano dei princìpi, ha riconosciuto il diritto di autodeterminazione delle persone con disabilità e accolto il principio del supporto. Ha individuato anche alcuni processi decisionali assistiti, ad intensità crescente, che trovano applicazione dopo l’effettuazione di un test funzionale (che può essere considerato compatibile con la Convenzione ONU, se non è applicato in modo discriminatorio). Ha inoltre previsto l’istituzione di un nuovo servizio pubblico di supporto, con compiti informativi, di regolamentazione e registrazione degli accordi di supporto decisionale, di supervisione e di monitoraggio. Infine, ha stabilito che debba sempre essere rispettata la capacità di scelta delle persone che si trovano all’interno delle strutture residenziali, e che le misure eventualmente adottate debbano rispettare la giurisprudenza del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».

Forse a questo punto è il caso di spiegare ancor meglio il concetto di “capacità legale universale” e come esso si attui in merito ai diritti delle persone con disabilità.
«La “capacità legale universale”, prevista, come ampiamente detto in precedenza, dall’articolo 12 della Convenzione ONU, è la chiave di volta della Convenzione stessa, perché costituisce la base dell’eguale riconoscimento della soggettività e dei diritti umani delle persone con disabilità.
La formulazione di questo articolo è un po’ complessa ed è caratterizzata da alcuni aspetti tecnici, come la distinzione tra la capacità giuridica e quella di agire. Provando a sintetizzare, potremmo dire che il concetto di capacità legale universale si muove su diversi piani. In primo luogo, afferma a chiare lettere che la condizione di disabilità non può mai costituire una valida ragione per discriminare – in via diretta o indiretta – qualcuno né in relazione all’eguale riconoscimento della sua personalità giuridica (ossia come soggetto di diritto), né per quanto riguarda la titolarità della capacità legale e il suo esercizio. Insomma, non è ammessa nessuna presunzione relativa al fatto che, per il solo essere disabile, una persona non debba godere degli stessi diritti riconosciuti agli altri individui. Non è nemmeno possibile presumere che una persona con disabilità non sia pienamente capace: le eventuali limitazioni alla capacità andranno decise in relazione al caso singolo, e dovranno essere adeguatamente motivate, perché l’obiettivo è quello di conservare la più ampia capacità decisionale in capo alla persona. Certo, oggi nessuno immaginerebbe di affermare che le persone con disabilità non siano soggetti di diritto (ma la storia ci racconta altro, quindi riaffermarlo all’interno di una Convenzione che tutela i diritti umani non è superfluo). Al contrario, la capacità legale delle persone con disabilità è messa in discussione quasi quotidianamente.
In secondo luogo, in base al paragrafo 3 dell’articolo 12, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono tenuti a prendere tutte le misure che garantiscano alle persone con disabilità il pieno supporto nell’esercizio della propria capacità. Si tratta di accorgimenti di varia natura, formali o informali, che consentano alla persona di autodeterminarsi e di esercitare un controllo reale sulla propria vita. L’amministrazione di sostegno può essere ricompresa all’interno di questi strumenti di supporto: alla luce di quanto ho provato a ricostruire finora, è evidente che il compito dell’amministratore di sostegno dovrà essere quello di accompagnare (e non di sostituirsi) alla persona beneficiaria, e che il suo operato dovrà sempre essere diretto a valorizzare al maggior grado possibile la capacità di quest’ultima. Per questo è improprio considerarlo uno strumento di incapacitazione, come a volte si legge: grazie all’articolo 12 della Convenzione si cambia prospettiva, e il punto non è “incapacitare”, ossia limitare la capacità della persona, ma affiancare quest’ultima, assistendola nell’esercizio della sua capacità nel modo meno invasivo possibile. E infatti, come ho ricordato prima, il paragrafo 4 dell’articolo 12 fissa alcuni requisiti delle misure di supporto, sempre al fine di salvaguardare la persona, i suoi diritti e la sua volontà».

Nel saggio La capacità legale universale come requisito indefettibile della libertà. Notazioni teoriche in un’ottica di riforma lei afferma che «gli istituti giuridici che privino un individuo con disabilità dei propri diritti in ragione della sua asserita incapacità non possono in alcun modo essere considerati conformi al dettato normativo della Convenzione. Tra questi, devono essere inclusi gli istituti che negano ab origine, o comunque consentono, la completa privazione della capacità legale e, su tale base, quella della libertà personale o di scelta, a causa della sola presenza di un deficit, reale o percepito”. Riguardo alle persone con disabilità psicosociali, intellettive o cognitive, quali nozioni innovative introduce la Convenzione ONU?
«Come ho già ricordato, in base alla Convenzione ONU la condizione di disabilità non può essere una valida ragione per discriminare una persona. Questo richiede il superamento dell’idea che la disabilità determini l’incapacità dell’individuo e, al contrario, di considerare la disabilità come una delle (molte) specificità della persona, con un approccio che può essere definito “neutro”.
Tra le conseguenze più rilevanti di questa prospettiva c’è la necessità di tenere distinte la capacità legale (quella che consente di muoversi tra le maglie del diritto, ad esempio concludendo un contratto o effettuando scelte relative alla propria vita personale) e quella mentale, su cui ha insistito molto il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, in particolare nel General Comment n. 1. Ciò significa che ogni negazione della capacità legale stabilita in base all’asserita assenza di capacità mentale è contraria all’articolo 12 della Convenzione, così come lo è ogni diagnosi di incapacità che sia basata sullo status, sulla valutazione relativa alle conseguenze delle scelte effettuate, o di tipo funzionale.
Questa circostanza assume particolare rilievo per le persone con disabilità psicosociali, intellettive o cognitive, in relazione alle quali lo stigma associato alla “capacità mentale” è sempre stato particolarmente forte. Ai sensi della Convenzione ONU, non è ammesso in alcun modo che se ne presuma l’incapacità: anche nel loro caso, infatti, bisognerà partire da una presunzione di capacità e supportarle nell’esercizio della propria capacità legale, facendo riferimento ai criteri individuati dall’articolo 12».

Nel medesimo saggio lei parla di “atteggiamento difensivo” da parte degli Stati nell’implementazione dell’articolo 12 all’interno delle proprie normative. Per quali ragioni si è attuato questo “atteggiamento difensivo”? E riguardo all’Italia, quali sono le maggiori resistenze che si incontrano?
«L’atteggiamento difensivo di alcuni Stati si è tradotto innanzitutto nell’apposizione di riserve all’articolo 12, il che consente loro di non darvi attuazione, nonostante abbiano ratificato la Convenzione nel suo complesso; a questo riguardo, bisogna però notare che l’Italia non ha apposto riserve, dunque è vincolata all’attuazione di tutti gli articoli della Convenzione.
In altri casi, gli Stati hanno adottato dichiarazioni interpretative in relazione all’ammissibilità della sostituzione, per limitare l’impatto dell’articolo 12, o non hanno abrogato gli istituti in diretto contrasto con la Convenzione (nell’ordinamento italiano, l’interdizione e l’inabilitazione sono ancora vigenti) e hanno scelto una linea più “morbida”, riformando la disciplina legislativa solo parzialmente.
Credo che le ragioni per le quali si preferisce un approccio più “moderato” nell’applicazione della Convenzione, e in particolare dell’articolo 12, siano varie e che cambino nei diversi contesti politici e istituzionali. Di certo, si sconta anche un problema culturale: l’articolo 12, infatti, impone un cambio di prospettiva radicale e, fino a non molto tempo fa, impensabile. Oggi abbiamo fatto certamente molti passi in avanti nella restituzione dei diritti immotivatamente negati alle persone con disabilità, ma il cammino è ancora lungo, e anche il relativo lavoro culturale.
Per quanto riguarda l’Italia, nonostante la Convenzione sia entrata in vigore ormai da sedici anni, i princìpi di essa sono ancora in gran parte non conosciuti non solo nella società, ma anche tra gli “addetti ai lavori”, e questo fa sì che manchino molti strumenti per darvi piena attuazione, perché le questioni che stanno emergendo sono nuove. Prima si dava per scontata l’incapacità della persona con disabilità e si riteneva che questo stato di cose non potesse essere cambiato. Ora si comprende che quello che era considerato naturale in realtà è l’esito di una discriminazione sistemica: vediamo quotidianamente quanto sia difficile portare avanti moltissime lotte, compresa quella diretta a garantire la vita indipendente e la deistituzionalizzazione, proprio perché il modello medico-individualista della disabilità è ancora diffuso. Dal canto suo, la capacità legale universale impone di abbandonare il sistema binario capacità/incapacità, e quindi mina le fondamenta stesse del diritto per come lo conosciamo, aprendo numerosi profili di incertezza, anche alla luce del fatto che va ripensato l’intero sistema di supporto. Sotto questo punto di vista, che il cambiamento spaventi (e quindi provochi resistenze) è comprensibile. Chiaramente, però, la paura non può essere una ragione valida per non restituire alle persone con disabilità i diritti che finora sono stati loro negati».

*Maria Giulia Bernardini è docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara; Stefania Delendati è la direttrice responsabile di Superando.

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La FISH a fianco del Presidente dell’AICE, perché la sua è una battaglia di tutti

13 Giugno 2025 - 3:59pm

«Rivolgiamo un appello a tutte le Associazioni aderenti alla nostra Federazione: sosteniamo con determinazione e visibilità questa battaglia, che è la battaglia di tutti»: lo scrive tra l’altro il presidente della FISH Falabella, esprimendo a nome dell’intero movimento associativo che si riconosce nella propria Federazione, piena vicinanza al presidente dell’AICE Pesce, che ha avviato uno sciopero della fame contro i ritardi nell’approvazione di una legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia Il confronto con il Ministero della Salute e quello dell’Economia e delle Finanze, da parte di Giovanni Battista Pesce (qui a destra insieme al ministro della Salute Schillaci nel settembre dello scorso anno), è positivamente in corso, e tuttavia l’iter della legge auspicata è ancora fermo e il Presidente dell’AICE prosegue con la propria protesta

Come intero movimento associativo che si riconosce nella FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), desideriamo esprimere con convinzione la nostra profonda vicinanza e solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), impegnato dal 10 giugno in uno sciopero della fame davanti al Ministero della Salute [se ne legga già ampiamente sulle nostre pagine, N.d.R.]. Si tratta di un gesto estremo ma pacifico, che pone al centro dell’attenzione pubblica e politica una questione di civiltà e di giustizia troppo a lungo trascurata.
Il presidente Pesce ha scelto di mettere in gioco la propria salute per richiamare l’attenzione sul vergognoso stallo che da oltre un anno blocca in Senato un Disegno di Legge che mira a garantire piena inclusione sociale alle persone con epilessia. Questo blocco è dovuto all’assenza di una relazione tecnica che il Ministero della Salute avrebbe dovuto trasmettere alla competente Commissione Parlamentare, rendendo così impossibile il proseguimento dell’iter legislativo.
Tale immobilismo burocratico, che rischia di vanificare diritti fondamentali, non può essere ignorato. Le persone con epilessia, anche quando clinicamente guarite da anni, continuano ad essere discriminate a livello giuridico e sociale. E ancora più drammatica è la condizione di chi convive con le cosiddette forme “farmacoresistenti”, senza un adeguato riconoscimento e senza misure efficaci di inclusione.
La FISH ribadisce con forza che ogni ritardo o ostacolo nella piena attuazione dei diritti delle persone con disabilità rappresenta una violazione dei principi di uguaglianza, solidarietà e partecipazione attiva sanciti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Non possiamo tollerare che la burocrazia diventi una barriera più insidiosa delle stesse condizioni di salute.
Rivolgiamo quindi un appello a tutte le Associazioni aderenti alla nostra Federazione: uniamoci, facciamoci sentire, sosteniamo con determinazione e visibilità questa battaglia, che è la battaglia di tutti. Perché se è vero che “uno per tutti, tutti per uno” è il principio che ci guida, ora è il momento di dimostrarlo con i fatti.
La politica non può più permettersi di ignorare la voce delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni. Solo infatti ascoltando chi vive quotidianamente le difficoltà e le ingiustizie di un sistema ancora troppo distante, si potrà costruire un Paese realmente inclusivo e capace di rispondere ai bisogni reali di ogni cittadina e cittadino con disabilità.

*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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Torna a Milano “Sport4All”, all’insegna dello sport, dell’inclusione e dell’amicizia

13 Giugno 2025 - 1:51pm

Uno spazio di incontro tra persone con e senza disabilità, gratuito e aperto a tutte e tutti, che si articolerà su varie attività sportive accessibili, coinvolgenti e guidate da istruttori esperti: sarà questo, il 15 giugno, “Sport4All 2025”, nuova edizione presso la Canottieri Milano di un evento all’insegna dello sport, dell’inclusione e dell’amicizia

Accademia della Scherma, Ugualmente Artisti (danza e inclusione), TMA (Terapia Multisistemica in Acqua) (tuffi, giochi e divertimento), tiro con l’arco, Fraternità e Amicizia (calcetto e uno spettacolo di danza), ma anche canottaggio, canoa, basket e altro ancora: sarà tutto questo, il 15 giugno, Sport4All 2025, nuova edizione presso la Canottieri Milano (Alzaia Naviglio Grande, 160, Milano, ore 10-17) di un evento all’insegna dello sport, dell’inclusione e dell’amicizia, gratuito e aperto a tutte e tutti.
«Sport4All – spiegano i promotori – è pensato per creare uno spazio di incontro tra persone con e senza disabilità, attraverso attività sportive accessibili, coinvolgenti e guidate da istruttori esperti. L’obiettivo è quello di promuovere la partecipazione, l’autonomia e lo stare insieme, valorizzando ogni diversità». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ampio approfondimento sull’iniziativa. Per altre informazioni: Donata Minorati (donata.minorati@canottierimilano.it).

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Canzoncine per trasformare la cura degli occhi in un’esperienza positiva

13 Giugno 2025 - 1:19pm

In occasione della Giornata Internazionale dell’Albinismo di oggi, 13 giugno, viene presentato “Occhi in Musica”, progetto educativo che attraverso una serie di canzoni originali rivolte ai bambini, punta a favorire la cultura della prevenzione visiva fin dalla prima infanzia, e al tempo stesso si prefigge l’inclusione di bimbi – come appunto quelli con albinismo – che talvolta vengono discriminati per una loro caratteristica fisica

Oggi, 13 giugno, ricorre la Giornata Internazionale dell’Albinismo, occasione propizia per presentare Occhi in Musica, progetto educativo che attraverso una serie di canzoni originali rivolte ai bambini, punta a favorire la cultura della prevenzione visiva fin dalla prima infanzia, e nel contempo si prefigge l’inclusione di bimbi – come appunto quelli con albinismo – che talvolta vengono discriminati per una loro caratteristica fisica.
Come ricorda Enrica Ferrazzi, ideatrice del progetto e co-fondatrice insieme a Elisa Raimondi della community social @occhideibimbi, i bambini albini sono un esempio perfetto di come una o più caratteristiche fisiche possano arrivare a far sentire un bambino “diverso”.
«Indossare una benda per curare l’occhio pigro, o un paio di occhiali da sole per rendere meno dolorosa una forte fotofobia potrebbe non sembrare un problema agli occhi degli adulti, ma può diventare una montagna da scalare per chi, come un bambino piccolo, è ancora alla scoperta di sé e del mondo. È normale provare disagio, imbarazzo, o la paura di sentirsi “diversi”. Da oggi per questi bambini, c’è uno strumento in più: la musica. Perché la musica è un linguaggio universale che parla direttamente al cuore».

OcchiDeiBimbi abbraccia virtualmente tutti i bambini albini del mondo, rendendo disponibile già da oggi su tutte le piattaforme il brano Zucchero filato, che racconta la quotidianità di un bambino dalla pelle chiara come la neve e dai capelli soffici come zucchero filato. Strofe che cantano la bellezza della diversità e la magia nascosta in ogni bimbo, indipendentemente dall’albinismo. Perché la musica è un linguaggio universale che parla direttamente al cuore.
«Occhi in Musica è un messaggio di accoglienza e speranza, che invita bambini, genitori e insegnanti a vedere con occhi nuovi la salute e la diversità», aggiunge Elisa Raimondi che, memore del disagio vissuto in prima persona da bambina (un’ambliopia riconosciuta tardivamente), ha dato vita due anni fa al progetto social I Bendagnez [se ne legga anche sulle pagine di Superando, N.d.R.], per supportare le famiglie con bambini che stanno affrontando il percorso, non sempre facile, del bendaggio oculare di un figlio.

La musica è anche uno strumento educativo straordinariamente efficace e può aiutare i bambini a interiorizzare messaggi complessi attraverso il ritmo e la ripetizione, apprendendo sin da piccoli comportamenti sani in modo naturale e spontaneo, specie ora che arriva l’estate: l’importanza di mangiare frutta e verdura, di idratarsi in maniera adeguata, di proteggere occhi e pelle dagli effetti nocivi dei raggi UV con occhiali con lenti di qualità e creme solari, di fare visite oculistiche periodiche, senza aver timore delle tante temute “goccine”, anche prima dell’approdo alla scuola primaria.

Nelle prossime settimane, dunque, arriveranno online nuove canzoni dedicate ai bambini dai 3 ai 10 anni, realizzate in collaborazione con Associazioni che si occupano di salute nell’infanzia. Un suono fresco, solare e tutto da ballare, perfetto per l’estate: atmosfere da vacanza, ritmi coinvolgenti e melodie pensate per piacere a tutti e tutte. (P.P.)

È possibile scoprire tutte le canzoni attraverso questo link. Per ulteriori informazioni: Paola Piovesana (paolapiovesana@piovesanacomunicazione.com).
Segnaliamo anche due recenti testi da noi pubblicati, sul tema dell’albinismo: Gli albini non sono più fenomeni da baraccone, ma quali sono le nuove sfide? di Roberta Tetto (a questo link) e Una mamma di vecchia generazione, ovvero L’albinismo dalla parte del genitore di Laura Bonanni (a questo link).

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Persone con e senza disabilità pronte a fare tanto sport insieme

13 Giugno 2025 - 12:54pm

Il 14 e il 15 giugno lo Stadio Nando Martellini di Roma ospiterà la seconda edizione del “Festival dello Sport Inclusivo”, evento nazionale promosso dall’Associazione Creattivi, con il sostegno di una vasta rete di altre Associazioni, Enti Sportivi e Istituzioni. Per l’intero fine settimana, dunque, persone con e senza disabilità scenderanno in campo insieme, condividendo attività, esperienze e valori

Domani, 14 giugno e domenica 15, lo Stadio Nando Martellini di Roma ospiterà la seconda edizione del Festival dello Sport Inclusivo, evento nazionale promosso dall’Associazione Creattivi, con il sostegno di una vasta rete di altre Associazioni, Enti Sportivi e Istituzioni. Per l’intero fine settimana, dunque, persone con e senza disabilità scenderanno in campo insieme, condividendo attività, esperienze e valori.
La manifestazione – parte della Giornata Nazionale dello Sport, collegata alla celebrazione del Giubileo dello Sport — si aprirà nella mattinata di sabato 14, con l’avvio delle attività sportive e con il Foundation Day della Fondazione Decathlon, che riunirà tutti gli store della Capitale in un’unica iniziativa, la staffetta Side by Side, corsa simbolica non competitiva in cui le coppie, unite da una fascia, percorreranno insieme 400 metri. Si proseguirà quindi con una fitta programmazione di discipline accessibili, dimostrazioni, training session e laboratori. (S.B.)

A questo link tutti gli approfondimenti e il programma completo. Per altre informazioni: ufficiostampa@festivaldellosportinclusivo.it.

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“Quale allegria”: quando il piccolo Francesco credeva che zio Massimo fosse Lucio Dalla

13 Giugno 2025 - 12:29pm

Si intitola “Quale allegria”, proprio come la celebre canzone di Lucio Dalla, il documentario di Francesco Frisari che verrà presentato in anteprima il 14 giugno a Bologna, in concorso per il 21° Biografilm Festival, opera che nasce dall’osservazione quotidiana, da parte del regista, dello zio Massimo, persona con una grave disabilità cognitiva, e recupera i fili di una propria suggestione infantile, quando Frisari era convinto che lo zio e Lucio Dalla fossero la stessa persona La bella immagina della locandina di “Quale allegria”

Si intitola Quale allegria, proprio come la celebre canzone del 1977 di Lucio Dalla, il documentario di Francesco Frisari che verrà presentato in anteprima assoluta il 14 giugno al Cinema Lumière di Bologna (Piazzetta Pasolini, 2/b, ore 18.15), in concorso per il 21° Biografilm Festival, rassegna cinematografica interamente dedicata alle biografie e ai racconti di vita in corso di svolgimento fino al 16 giugno nel capoluogo emiliano.

Il documentario nasce dall’osservazione quotidiana, da parte del regista, dello zio Massimo, persona con una grave disabilità cognitiva, e recupera i fili di una propria suggestione infantile, quando era convinto che lo zio e Lucio Dalla fossero la stessa persona.
«Frisari – è stato scritto nella presentazione dell’opera – esplora nel documentario quell’impossibile somiglianza, che gli aveva permesso di comprendere e abbracciare la disabilità di Massimo, filmandone la vita di tutti i giorni: i tratti più complessi, interessanti e difficili di Massimo vengono illuminati, riletti e reimmaginati, nelle immagini e nel voice-over del regista che le accompagna, proprio attraverso Lucio Dalla, le sue intuizioni, le sue canzoni – concesse da Sony Music grazie alla collaborazione della Fondazione Lucio Dalla, che ha sostenuto il progetto – e il suo essere al contempo disperato e giocoso, uomo e bambino. Il risultato è una visione della disabilità e dell’arte di Dalla del tutto inedita, in cui anche le contraddizioni di un pensiero non lineare diventano una lente poetica sulla realtà, e raccontano due rivendicazioni diverse di una libertà sofferente e insieme totale». (S.B.)

A questo link è disponibile la cartella stampa completa sull’iniziativa, con la locandina, il pressbook e alcune immagini. Per ogni ulteriore informazione: press@lucianaapicella.it (Luciana Apicella).

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La mia solidarietà a Giovanni Battista Pesce

13 Giugno 2025 - 12:08pm

«Come presidente del Comitato dei Garanti della Federazione FISH – scrive Salvatore Nocera – esprimo la mia solidarietà al presidente dell’AICE Pesce, in sciopero della fame davanti al Ministero della Salute, per la sua lotta pacifica e coraggiosa di protesta contro i ritardi nell’approvazione di una legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia. Sottolineo anche che purtroppo spesso i diritti delle persone con disabilità sono ritardati o addirittura resi non esigibili proprio a causa di ritardi burocratici» Il presidente dell’AICE Pesce davanti al Ministero della Salute, dove ha avviato dal 10 giugno uno sciopero della fame

Come presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), ho ricevuto dal Congresso della Federazione stessa l’incarico di difenderne e diffonderne i valori statutari. E il principio che sostanzia ogni Federazione è quello della reciproca solidarietà, riassumibile nel celebre detto “uno per tutti e tutti per uno”.
A proposito di tale valore fondativo della nostra Federazione, desidero innanzitutto ringraziare Giovanni Marino, presidente dell’ANGSA, l’Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo aderente alla FISH, per avere manifestato pubblicamente in Superando la propria solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), che dal 10 giugno sta facendo lo sciopero della fame davanti al Ministero della Salute [se ne legga già ampiamente sulle nostre pagine, N.d.R.], perché è bloccato da un anno un Disegno di Legge in Senato, a causa della mancanza di una relazione tecnica che il Ministero della Salute avrebbe dovuto far pervenire alla Commissione Parlamentare di Palazzo Madama che sta discutendo quel Disegno di Legge. Quest’ultimo prevede il diritto all’inclusione sociale delle persone con epilessia, che sono attualmente emarginate, sia se clinicamente guarite dopo 10 anni dall’ultima crisi (ma non lo sono ancora a livello giuridico), sia se hanno una forma “farmaco-resistente” (e ancora non godono di interventi inclusivi).
Quello che mi permetto di sottolineare è che purtroppo spesso i diritti delle persone con disabilità sono ritardati o addirittura resi non esigibili proprio a causa di ritardi burocratici.
Esprimo quindi la mia solidarietà a Giovanni Battista Pesce per la sua lotta pacifica e coraggiosa e invito altre Associazioni aderenti alla FISH a seguire l’esempio del Presidente dell’ANGSA.

*Presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Solo tutti insieme, Persone, Organizzazioni, Stati, si possono abbattere stigmi e pregiudizi

13 Giugno 2025 - 11:41am

«Oggi più che mai abbiamo necessità di forme collaborative tra persone con disabilità, le loro organizzazioni maggiormente rappresentative e le amministrazioni pubbliche e gli Stati. Solo insieme, infatti, si possono abbattere stigmi e pregiudizi e garantire esigibilità e rispetto dei diritti»: lo ha detto tra l’altro il presidente dell’ANFFAS Speziale, intervenuto al Palazzo delle Nazioni Unite di New York, davanti alla platea della 18^ Conferenza Annuale degli Stati Parte della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità Il presidente dell’ANFFAS Roberto Speziale davanti al Palazzo delle Nazioni Unite di New York

«L’empowerment delle persone con disabilità [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.] è un punto cruciale su cui riflettere e agire se davvero vogliamo arrivare ad avere società realmente inclusive, giuste e sostenibili a livello globale e questo perché solo le stesse persone con disabilità, protagoniste della loro vita, possono dirci cosa è meglio per loro e per migliorare il loro contesto di vita e automaticamente quello di tutti noi»: lo ha detto tra l’altro Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), al Palazzo delle Nazioni Unite di New York, davanti alla platea della 18^ Conferenza Annuale degli Stati Parte della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, di cui abbiamo già ampiamente riferito in altra parte del giornale, ed esattamente nell’àmbito della tavola rotonda sul tema Entrepreneurship and innovative finance, a support for empowering people with disabilities and enhancing social development policies (“Imprenditorialità e finanza innovativa, un sostegno per l’empowerment delle persone con disabilità e il rafforzamento delle politiche di sviluppo sociale”), ove appunto Speziale è intervenuto, oltreché in rappresentanza dell’ANFFAS, anche della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), della ministra per le Disabilità Locatelli e dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità.
«Oggi più che mai – ha aggiunto il Presidente dell’ANFFAS – abbiamo necessità di forme collaborative tra persone con disabilità, le loro organizzazioni maggiormente rappresentative e le amministrazioni pubbliche e gli Stati. Solo insieme, infatti, si possono abbattere stigmi e pregiudizi e garantire esigibilità e rispetto dei diritti».

«Per la nostra Associazione – sottolineano dall’ANFFAS – si è trattato di una partecipazione “storica” nella delegazione italiana all’ONU, che ha consacrato decenni di attività volte alla tutela e promozione dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie, un impegno costante nel tempo a tutti i livelli, con l’obiettivo di rendere realmente esigibili i diritti e di promuovere una nuova cultura della disabilità in linea con i princìpi e i paradigmi della Convenzione ONU». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: comunicazione@anffas.net.

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La bella atmosfera del baseball per ciechi tra le tante iniziative di “SensoriAbile” a Padova

12 Giugno 2025 - 6:27pm

Vi è stato anche un evento sportivo davvero speciale, quale la partita di baseball per ciechi di serie A tra Bologna e Milano, all’interno della rassegna “SensoriAbile”, che si è articolata a Padova tra eventi, spettacoli, attività sportive e laboratori multisensoriali dedicati a tutti e tutte, alle scuole e ai cittadini, per provare a mettersi “nei panni dell’altro” e favorire la conoscenza della disabilità visiva, oltre a promuovere l’accoglienza e l’inclusione, in particolar modo delle persone con deficit visivo Recupero palla in una partita di baseball per ciechi

Eventi, spettacoli, attività sportive e laboratori multisensoriali dedicati a tutti e tutte, alle scuole e ai cittadini, per provare a mettersi “nei panni dell’altro” e favorire la conoscenza della disabilità visiva, oltre a promuovere l’accoglienza e l’inclusione, in particolar modo delle persone con deficit visivo: sono state questo, nel maggio scorso, le giornate vissute a Padova nell’àmbito della rassegna SensoriAbile, iniziativa resa possibile dall’unione di forze tra la Fondazione Robert Hollman, l’UICI di Padova (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), il Comune e l’Università di Padova e l’ANIOMAP (Associazione Nazionale Istruttori Orientamento Mobilità Autonomia Personale), il tutto in collaborazione  con altre 25 realtà del territorio.

E all’interno della kermesse, vi è stato anche un evento davvero speciale, quale la partita di baseball per ciechi di serie A tra Bologna e Milano, giocata allo Stadio Plebiscito di Padova a cura della FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball) e grazie al Padova Baseball e al Rovigo Baseball e Softball.
«Il nutrito pubblico – spiegano i promotori SensoriAbile – ha potuto così apprezzare una gara di alto livello di uno sport ripensato per far giocare persone cieche e ipovedenti, dando loro la libertà di correre sul diamante. La gara si è conclusa 10-0 per il Bologna, una delle squadre più forti d’Italia, prima in classifica, pronta alla Coppa Italia nell’estate e formata da vari giocatori della Nazionale Italiana, in preparazione per i Campionati Europei. Ma al di là dello stesso risultato agonistico, ci preme sottolineare l’atmosfera davvero particolare di una disciplina in cui i giocatori recepiscono i segnali sonori, lo scampanellio della pallina, il battere delle mazze e il picchiettare dei tecnici sulle basi».

Il baseball per ciechi si sta affermando anche nel Veneto, pur mancando ancora una squadra di Padova e una rappresentativa regionale. Possono praticarlo sia giocatori ciechi che ipovedenti, giacché tutti, indistintamente, giocano con una benda sugli occhi. La FIBS ha introdotto ufficialmente questa disciplina nel 1997, anche se si giocava già in forma amatoriale a partire dal 1994. Da allora il Campionato comprende una stagione regolare, una Coppa Italia e un torneo di fine stagione. (S.B.)

Per ogni informazione e approfondimento su SensoriAbile e anche sul baseball per ciechi: ufficiostampa@sensoriabile.org.

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Storia di Michael, che oggi vive a Firenze, dove è in programma un convegno sulla SLA

12 Giugno 2025 - 5:50pm

L’irlandese Michael ha la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e oggi vive a Firenze, dopo anni passati a pedalare in Europa e anche in Australia, per contribuire alla ricerca sulla sua malattia. La storia di Michael, che è seguito dall’AISLA di Firenze, è un’ottima presentazione per il convegno “La traiettoria di cura della persona con sclerosi laterale amiotrofica”, in programma domani, 13 giugno, nel capoluogo toscano, organizzato dalla Fondazione FILE e dalla stessa AISLA di Firenze

Nel 2017 la voce dell’irlandese Michael ha iniziato a rallentare. «All’inizio lo trovavo curioso, persino divertente. Pensavo facesse parte dell’invecchiamento». Poi però, dopo una vita di sport nel combattimento corpo a corpo, nota che non riesce più ad appoggiare il palmo sinistro a terra nei piegamenti. «Pensai che si trattasse di un tendine stirato. Ho semplicemente continuato a farli sulle nocche». Poi il suo viso è cambiato. La bocca si è incurvata in una smorfia perenne. «Ancora una volta, ho pensato fosse l’età. Mi sentivo in forma. Continuavo ad allenarmi, insegnavo, facevo ricerca». Eppure, la voce rallentava sempre più. I medici non trovavano nulla. «Fu un’amica a suggerirmi di vedere un neurologo. A fine 2019 parlavo ormai come il Papa alla fine della sua vita. Mi mandarono alla Salpêtrière, a Parigi. La diagnosi arrivò all’inizio del 2020: SLA (sclerosi laterale amiotrofica)».
Il medico gli prescrisse riluzolo e toco, che prende ancora oggi che ha 79 anni. Poi arrivò il Covid. Il mondo si fermò. «Mi trasferii nell’appartamento della mia compagna Marie. Abbiamo danzato, giocato a scacchi e backgammon, discusso, letto, fatto l’amore, e imparato davvero a conoscerci. Abbiamo attraversato il lockdown insieme, come una piccola isola umana in un oceano silenzioso. Fu in quel periodo che accettai la mia nuova identità di persona con SLA. Dopo la pandemia, acquistammo una casa vicino a Bordeaux, con un piano terra adatto a una futura vita in sedia a rotelle e un giardino con alberi di mele e una piscina».

Non riuscendo a entrare in programmi di ricerca, Michael si è chiesto cosa potesse fare per contribuire alla ricerca. È nata così un’idea a tratti folle: percorrere in bicicletta il Danubio, dalla Foresta Nera al Mar Nero, per raccogliere fondi per la ricerca. «E così feci. Un ciclista silenzioso. Partii nell’autunno del 2021. Mi ruppi una caviglia a est di Budapest, passai l’inverno a guarire, e conclusi il viaggio nella primavera del 2022».
A quel punto camminare era diventato difficile, ma non impossibile. «Marie mi raggiunse a Istanbul, e insieme ci rifugiammo su un’isola greca senza turisti, a goderci la calma».
Ma non finisce qui: «Quell’autunno volai in Australia per visitare il mio vecchio amico Peter Hewlett, un talentuoso suonatore di cornamusa. Decisi di percorrere in bicicletta la Flinders Highway, un tratto selvaggio della costa sud-australiana, mentre Peter mi seguiva in auto. Dormivamo in tenda o in piccole pensioni. Cadevo spesso, e potevo rialzarmi solo se c’era un gradino. I venti forti e il paesaggio duro rendevano tutto più incerto. Un giorno, spinto dal vento trasversale, dovetti fermarmi a Smokey Bay. Una notte, uscendo da una baracca per urinare, caddi sui sassi. Rimasi lì, steso sotto un cielo stellato incredibile, il fiato spezzato ma senza ferite. Dopo venti minuti strisciando, riuscii a rialzarmi. Poi mi voltai, urinai nel vento, e fissai in silenzio la Croce del Sud».

Michael oggi si è trasferito a Firenze, dove vive sua figlia Oona, che vive con la sua ex moglie. Con la progressione della malattia è stato preso in carico e seguito costantemente dai professionisti del team SLA di Neurologia di Careggi.
L’AISLA di Firenze (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) è entrata in contatto con la famiglia ancor prima del suo trasferimento in Italia, supportando la figlia con ascolto e fornendo una valida guida su tutto il percorso burocratico da affrontare. A Michael è stato offerto un percorso di fisioterapia, varie consulenze specialistiche e sostegno psicologico. Grazie alla collaborazione del suo medico curante, è stato preso in carico anche dal team di cure palliative domiciliari della FILE (Fondazione Italiana di Leniterapia), che ha lo scopo di prendersi cura delle persone con malattie croniche in fase avanzata o terminale, sia di tipo oncologico che non oncologico, orientando e coinvolgendo attivamente il paziente e la famiglia in un progetto di assistenza personalizzato.
Secondo le necessità cliniche di ciascuno, FILE organizza settimanalmente accessi domiciliari di medico, infermieri e operatori socio sanitari, per l’assistenza alla persona e fornisce un supporto telefonico per le urgenze cliniche.

Proprio sul tema della SLA si concentrerà il convegno La traiettoria di cura della persona con sclerosi laterale amiotrofica, in programma il 13 giugno a Firenze (Careggi, Aula Magna, Nic, padiglione 3), organizzato da FILE e AISLA e patrocinato dalla Regione Toscana, dall’AUSL Toscana Centro, dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi e dall’Università di Firenze. Un convegno che si rivolge a tutte le professioni sanitarie, ma che intende anche approfondire la malattia attraverso il contributo di numerosi esperti e da numerosi punti di vista: pneumologico, neurologico, psicologico. Dal sospetto clinico di SLA fino all’approccio comportamentale da tenere col paziente, dalla presa in carico ai percorsi ospedalieri, l’evento intende dunque offrire una panoramica completa sul tema. (Agenzia Galli Torrini)

A questo link è disponibile il programma completo del convegno del 13 giugno. Per ulteriori informazioni: file@gallitorrini.com.

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Solidarietà al Presidente dell’AICE dalle famiglie di persone con autismo

12 Giugno 2025 - 5:03pm

«La comunità ANGSA – scrive il presidente di tale Associazione Giovanni Marino – esprime convinta vicinanza e forte solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE, impegnato in uno sciopero della fame davanti al Ministero della Salute, per protestare contro gli inaccettabili ritardi e rimandi nell’approvazione di una legge che dia piena cittadinanza a 550.000 persone con epilessia e alle loro famiglie. Come genitori di persone con autismo, abbiamo spesso subìto a nostra volta la sordità e la lentezza delle Istituzioni» La discussione in Senato per la Legge sull’epilessia attende da un anno una relazione tecnica dal Ministero della Salute e un parere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze

La comunità ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo) esprime convinta vicinanza e forte solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia) impegnato da due giorni in uno sciopero della fame davanti alla sede del Dicastero della Salute [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.], una forma di protesta estrema contro gli inaccettabili ritardi e rimandi nell’approvazione di una legge per dare piena cittadinanza e tutela a 550.000 persone con epilessia e alle loro famiglie.
Più del 30% delle persone con epilessia versa in situazione di farmacoresistenza, assume cioè i medicinali, ma manifesta anche le crisi. Il presidente dell’AICE chiede una legge che riconosca un primo accesso e adeguate misure inclusive, per uscire dalla malsana clandestinità imposta a questa “malattia sociale”, come riconosciuta dalla nostra normativa.
L’iter della legge è bloccato da un anno perché manca una Relazione Tecnica. Come genitori comprendiamo profondamente le ragioni del presidente dell’AICE Pesce, per avere spesso subìto a nostra volta la sordità e la lentezza delle Istituzioni e la troppa accondiscendenza e ascolto a chi riteneva la disabilità connessa allo spettro autistico “di serie b”.

*Presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo).

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Batterie e riparazioni delle carrozzine a motore elettrico: pagano gli utenti?

12 Giugno 2025 - 4:41pm

Secondo quanto segnalato da varie persone con disabilità e confermato anche dall’Ente Regionale, da quest’anno, in Veneto, spettano all’utente le varie spese legate alla manutenzione e alle riparazioni delle carrozzine a motore elettrico (batterie, joystick, motore). L’Ente Regionale stesso dice di «volersi attivare per definire un percorso regionale che includa anche queste prestazioni essenziali», ma cosa sta accadendo nelle altre Regioni? Batterie per carrozzina a motore elettrico

Appare decisamente grave quanto si legge in un articolo pubblicato nei giorni scorsi dal «Fatto Quotidiano», a firma di Renato La Cara, che riprendendo le segnalazioni di varie persone con disabilità, spiega come da quest’anno in Veneto spettino all’utente le varie spese legate alla manutenzione e alle riparazioni delle carrozzine a motore elettrico, pensando segnatamente alle batterie, al joystick e al motore stesso delle carrozzine.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, per altro, come da successivo aggiornamento curato sempre da La Cara, la Regione Veneto e l’assessora alla Sanità Manuela Lanzarin hanno diffuso una nota in cui dichiarano di avere applicato le norme entrate in vigore da pochi mesi: «L’entrata in vigore del Nomenclatore Allegato 5 al DPCM 12/2017 – si legge in tale nota -, avvenuta il 30 dicembre 2024 con l’approvazione delle Tariffe dell’Elenco 1, ha determinato la revoca dell’efficacia del DM n. 332/1999 su tutto il territorio nazionale. Il nuovo Nomenclatore (Allegato 5 – DPCM 12/2017) non prevede più i codici relativi alle riparazioni e sostituzioni per gli ausili rientranti nel codice ISO 12.23 (carrozzine a motore elettrico). La Regione del Veneto ha recepito la normativa nazionale attraverso la DGR n. 1587 del 30 dicembre 2024 e le Aziende Sanitarie ne hanno dato informazione agli assistiti. Nell’ottica di una presa in carico completa dei pazienti con disabilità, la Regione del Veneto si sta attivando per affrontare questa problematica e definire un percorso regionale che includa anche queste prestazioni essenziali».
A quanto pare, tuttavia, Associazioni e attivisti, come viene ancora riportato nell’articolo del «Fatto Quotidiano», negano di essere stati informati dalle Aziende Sanitarie.

Seguiremo naturalmente gli sviluppi di tale questione, chiedendoci anche, però, come stiano le cose nelle altre Regioni del nostro Paese. (S.B.)

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Donne detenute e donne con disabilità interagiscono, creano abiti e sfilano insieme

12 Giugno 2025 - 2:02pm

Realizzato dall’UICI di Torino, il progetto “Creatività inclusiva” ha fatto incontrare un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e alcune donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. I capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti, sia le detenute stesse  Foto di gruppo per le persone coinvolte nel progetto “Creatività inclusiva”

Carcere e disabilità sono mondi solo in apparenza lontani: in realtà hanno molto da dirsi. Ed entrambi, seppure con le ovvie differenze, sperimentano stereotipi, isolamento, difficoltà nell’essere visti e riconosciuti. È nato da questa consapevolezza il progetto Creatività inclusiva, realizzato dall’UICI di Torino (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), con il contributo della Fondazione CRT, iniziativa che ha reso possibile l’incontro tra un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e un gruppo di donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. Questi capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda molto particolare, che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti (la passerella è stata adattata con accorgimenti tattili per facilitare la mobilità autonoma), sia le detenute stesse. Le protagoniste, dunque, hanno seguito il lavoro per intero, dalla sartoria alla passerella. Gli abiti saranno poi venduti in un’asta benefica, il cui ricavato andrà a sostegno degli Enti coinvolti (tutte realtà del Terzo Settore).

Un progetto di tale complessità è stato possibile solo grazie a un grande lavoro di rete. Oltre infatti all’UICI di Torino, alla casa circondariale Lorusso e Cutugno e alla Fondazione CRT, che ha sostenuto l’iniziativa nell’àmbito del bando Tempo per una vita migliore, tante altre sono state le realtà coinvolte: la Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri, che coordina il progetto LEI (Lavoro, Emancipazione Inclusione), volto a favorire la crescita sociale e lavorativa fuori e dentro il carcere (un progetto cui afferiscono anche molte altre delle realtà coinvolte); l’Associazione EssereUmani, che all’interno del carcere organizza il laboratorio sociale e professionale Arione; la Cooperativa Patchanka, che gestisce la sartoria Il Gelso, con due unità di produzione, una all’esterno e una all’interno del carcere; il laboratorio orafo Forma e materia della Città di Torino, dove lavorano persone con disabilità psicofisiche e i cui monili sono stati indossati durante la sfilata; l’Associazione Mana che, attraverso il progetto Riflessi. Percorsi per rifiorire, propone laboratori di make up therapy rivolti a donne con disabilità vittime di violenza e che, per la sfilata, si è occupata del trucco degli indossatori e delle indossatrici.

Un’immagine della sfilata di moda nel teatro della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino

Prezioso anche il coinvolgimento dell’Università di Torino, i cui allievi dei corsi in Servizio Sociale ed Educazione Professionale sono stati parte integrante dell’iniziativa.
Un ruolo insostituibile, infine, spetta alla stilista Aythya, progettista di moda che fonde pittura su seta e design, trasformando i capi in dipinti indossabili, cui si aggiungono – per questa esperienza – sensazioni tattili e profumi.

Altrettanto complessa è stata l’organizzazione del progetto. I mesi di marzo, aprile e maggio sono stati dedicati al lavoro sartoriale. Alcuni elementi degli abiti sono stati realizzati all’interno del carcere, dalle detenute che frequentano il citato laboratorio Arione e dalle donne con disabilità visiva, a loro volta portatrici di un’esperienza maturata in un progetto di cucito. Per gli elementi che invece hanno richiesto attrezzature e professionalità più specifiche, è entrata in gioco la sartoria Il Gelso.
Il 5 giugno, quindi, in occasione della sfilata conclusiva nel teatro della casa circondariale, dopo che detenute e persone con disabilità visiva hanno mostrato gli abiti in passerella, si è tenuto un talk, coordinato dal professor Paolo Bianchini dell’Università di Torino), con tutti i diretti protagonisti (indossatrici, indossatori e sarte), insieme a esponenti delle Istituzioni, sostenitori e attori coinvolti.

«I detenuti e le detenute vivono una separazione fisica, spesso lacerante, dal resto del mondo. Nel caso delle persone con disabilità, l’isolamento è meno marcato e forse meno evidente, ma permangono barriere e pregiudizi difficili da sradicare. Ecco perché questi due mondi, in apparenza lontani, hanno in realtà alcuni aspetti in comune – fanno notare, per l’UICI di Torino il presidente Gianni Laiolo e l’ideatrice del progetto Alessia Dall’Antonia –. Ma, al di là dei ruoli e delle categorie, esistono solo le persone. È stato bello e, per certi versi, commovente, notare come, fin dall’inizio del progetto, le donne detenute e le donne con disabilità visiva siano riuscite a interagire, con grande naturalezza, condividendo non solo il lavoro manuale, ma anche domande, riflessioni e aspetti delle loro vite. Facciamo tesoro di questa esperienza, per molti versi inedita, perché è un seme da custodire e far crescere». (L.M.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa UICI di Torino (Lorenzo Montanaro), ufficio.stampa@uictorino.it.

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La bellezza che spiazza del Teatro la Ribalta

12 Giugno 2025 - 1:31pm

È stata recentemente raccontata anche in un libro la storia intensa e coraggiosa del Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), che ha trasformato Bolzano in un centro di eccellenza per il teatro inclusivo. Ne abbiamo parlato con il fondatore e direttore della compagnia Antonio Viganò Una scena di “Superabile”, rappresentazione portata in scena ormai da alcuni anni dal Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt di Bolzano

La storia intensa e coraggiosa del Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), che ha trasformato Bolzano in un centro di eccellenza per il teatro inclusivo è stata recentemente raccontata, come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine, nel libro Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt 2013-2023. Dieci anni straordinariamente normali, un volume decisamente degno di attenzione. Del libro stesso e di molto altro abbiamo parlato con Antonio Viganò, fondatore e direttore della Ribalta.

Il Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt ha sempre rivendicato il diritto di essere “parte del teatro” e non “un teatro a parte”. In quale modo questa visione si è evoluta nel corso dei dieci anni raccontati nel libro?
«Qualcosa lentamente è cambiato. Quando oggi parliamo di “teatro sociale” o di “teatro handicap” o di “teatro inclusivo”, il sostantivo è sempre più spesso la parola teatro e questo ci aiuta per definire che l’attività creativa, con tutti i linguaggi e/o le forme possibili che il teatro ci dà, appartiene a tutti e non solo a talune categorie. Si distingue meglio ciò che appartiene all’atto teatrale che si carica su di sé la responsabilità etica e politica di un’estetica, di un linguaggio, una forma, una consapevolezza di essere “attori”, che si trasformano e che trasformano. La visione delle diversità in scena, la visione delle infinite sproporzioni e asimmetrie fisiche e mentali, una volta suscitava soltanto pietismo e bastava; oggi, quando fatto con serietà, il teatro è capace di evocare i segreti e i misteri originali che ha sempre custodito in sé.
Poi c’è chi invece appartiene a quello che è un atto importante e necessario di liberazione personale, esperienza privata di consapevolezza e coscienza di sé, scoperta delle emozioni e sentimenti. Chi vuole dare senso al teatro ha bisogno che tutti questi elementi – estetica, consapevolezza, coscienza scoperta e presenza – si fondano insieme».

Rivendicate la volontà di essere un soggetto culturalmente utile e non utile socialmente: è un’affermazione che mira anche a contrastare il cosiddetto “politicamente corretto” come forma di edulcorazione dei rapporti sociali o c’è dell’altro?
«È la volontà di ribadire che il nostro diventare e/o essere socialmente utili avviene e si materializza nel momento in cui il nostro essere un soggetto culturale, una compagnia di teatro d’arte, modifica tutti i paradigmi, sconfigge le ingiustizie, i pregiudizi, i giudizi affrettati, le paure e gli stereotipi di chi crede che essere una persona in situazione di disagio e handicap fisico e psichico non possa essere qualcos’altro che non la sua patologia. Il buonismo fa danni profondi e ingessa le persone nella loro condizione. Una “tirannia della normalità”, come l’ha chiamata Julia Kristeva».

L’approccio artistico della compagnia non è né terapeutico né pedagogico, ma mira a cogliere il mistero e la diversità delle esperienze umane. Come questa prospettiva ha influenzato le scelte drammaturgiche e gli spettacoli prodotti, tenendo conto che i vostri spettacoli attingono alle fonti più diverse (fiabe, tragedie di Shakespeare, opere di Pirandello, letteratura ottocentesca)? In altre parole, come scegliete i testi e cosa vi guida in questa scelta?
«Lavoriamo sui temi che – provenienti da fonte diverse, opere e testi drammatici, romanzi, anche solo piccole suggestioni poetiche – ci cadono addosso o forse, più sinceramente, mi cadono addosso. Ho attori e attrici di qualità, consapevoli del peso e del senso delle parole che dicono sul palco, pienamente coscienti e padroni delle emozioni che provano. Questo mi permette di buttare in sala prove suggestioni, azioni, momenti di dialogo e approfondimento e vedere, dalle risposte che ricevo da loro stessi, cosa scaturisce. Ognuno è un narratore della propria vita, della propria esperienza e filtra le mie proposte dentro questo sentire, dentro questo essere. Ci sono parole, nei grandi testi, che nei corpi e nelle parole dei miei attori risuonano profondamente, prendono un senso più grande: “Vogliamo dimostrarvi che si nasce alla vita in tanti modi e in tante forme” (Pirandello), recitato da un mio attore che porta sul corpo lo stigma di una diversità rimanda questi versi a nuovi significati».

Il volume che recentemente ha ripercorso il percorso del vostro teatro lo ha fatto attraverso analisi e testimonianze. Ma ci sono anche aspetti del lavoro della compagnia che sono rimasti fuori dalla narrazione del libro?
«Tante cose, forse troppe. Solo nella poesia di Paola Guerra si può intravedere l’amore per il lavoro, l’accanimento per trovare una lingua teatrale che ci corrisponda, le gioie e le felicità di quando ci sentiamo dire “Incredibile, nessuno avrebbe mai immaginato tanta bellezza e tanta professionalità, qualità attoriale!”. È tutto fatto sempre lontano da ogni forma di narcisismo personale. Solo per una scommessa con noi stessi di essere capaci di trasformare sguardi e pensieri.
Il teatro, così come la danza, è un linguaggio che comunica, in mille forme diverse, l’idea di bellezza: ma cos’è per voi – e per noi – la bellezza? Ci piace usare spesso un pensiero del filosofo coreano Byung-chul Han dove la bellezza non è intesa come stupore, ma come spiazzamento, quasi doloroso, perché interroga. La bellezza che si nutre di quella ferita che è generatrice di arte».

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Le novità sulla valutazione degli alunni con e senza disabilità

12 Giugno 2025 - 12:39pm

Nel gennaio scorso, a seguito dell’approvazione della Legge 150/24 (“Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati”), il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato un’Ordinanza e una Circolare, con le quali sono state recepite le novità introdotte da tale Legge in tema di valutazione degli alunni e delle alunne. Vediamo di cosa si tratta

A seguito dell’approvazione della Legge 150/24 (Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati), il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato l’Ordinanza sulla valutazione degli alunni per l’anno scolastico 2024/25 n. 3 del gennaio di quest’anno e la Circolare n. 2867, sempre in gennaio, in cui si recepiscono le novità introdotte da tale Legge.
Quest’ultima ha introdotto l’obbligo della valutazione per gli alunni di scuola primaria con «6 giudizi sintetici» che sostituiscono i voti (“Ottimo”, “Distinto”, “Buono”, “Discreto”, “Sufficiente”, “Non sufficiente”). In tal senso il Ministro ha mantenuto la promessa che avrebbe eliminato tutti i giudizi inferiori a 5, perché inutilmente screditanti; infatti il giudizio sintetico più basso è non sufficiente, onnicomprensivo.
Ovviamente, accanto ad ogni giudizio sintetico dev’essere formulato un “descrittore” che è la griglia di valutazione e la motivazione del giudizio sintetico stesso; per maggiore chiarezza, è possibile, ma non obbligatorio, indicare pure gli obiettivi di apprendimento il cui livello di raggiungimento per ogni singola disciplina chiarisce ulteriormente il significato del giudizio sintetico e la motivazione di esso: la Circolare fornisce alcuni esempi molto chiari a tal proposito.

Per gli alunni con disabilità e DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) un’apposita norma, l’articolo 4 della suddetta Ordinanza n. 3, stabilisce che la valutazione venga effettuata sulla base del rispettivo PEI o PDP [Piano Educativo Individualizzato e Piano Didattico Personalizzato, N.d.R.], ciò in base al principio di personalizzazione chiaramente espresso, per gli alunni con disabilità, dall’articolo 16, comma 2 della Legge 104/92, secondo il quale il PEI dev’essere formulato guardando alle «effettive capacità» dell’alunno, e quindi non agli obiettivi fissati per tutta la classe; inoltre, il comma 1 dello stesso articolo 16 stabilisce che sia legittima «la riduzione parziale» dei contenuti di talune discipline che possono essere sostituiti da «attività integrative». Si badi bene, però, che non è consentito escludere lo studio e quindi la valutazione anche di una sola disciplina, poiché, in tal caso, l’alunno otterrà sì l’ammissione alla classe successiva sino alla terza media e agli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione, non potendo però conseguire il diploma, come stabilito dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 62/17, ma ricevendo solo un “attestato”. Egli, invece, dev’essere promosso alla classe successiva e ha diritto al diploma, se raggiunge «gli obiettivi del suo PEI», anche ovviamente qualora essi non corrispondano a quelli stabiliti dalle Indicazioni nazionali e dal PTOF di istituto (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) per tutti gli alunni, purché dimostri «dei progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti».

Di qui, pertanto, vi sono due operazioni necessarie da compiersi da parte dei docenti della classe: 1) Effettuare dei test di ingresso all’inizio dell’anno scolastico per rilevare i «livelli iniziali degli apprendimenti», valutando l’eventuale miglioramento durante l’anno scolastico; 2) Individuare bene gli obiettivi del PEI, calibrati «sulla base delle effettive capacità». A tal proposito giunge opportuna la previsione dell’Ordinanza n. 3/25, “facoltativa” per tutti, ma obbligatoria per l’alunno con disabilità, di indicare, nel documento di valutazione, oltre al descrittore del giudizio sintetico, pure «gli obiettivi specifici» fissati nel suo PEI.

Quanto alla valutazione del comportamento, la Legge 150/24 citata ha introdotto anche per la scuola secondaria di primo grado la penalizzazione sul profitto degli alunni che conseguono un giudizio negativo inferiore a 6, consistente nella bocciatura.

Infine, l’Ordinanza e la Circolare citate precisano che, dato il ritardo di emanazione di tali atti, solo per quest’anno la valutazione finale non può effettuarsi sulle valutazioni di tutto l’anno scolastico, ma solo sulla base dell’ultimo periodo valutativo fissato da ciascuna scuola, sia esso il trimestre o il quadrimestre.

Essendo proprio adesso in corso gli scrutini e gli esami degli alunni di scuola primaria, sembra opportuno fare qualche breve riflessione su tale nuova normativa. Quanto all’ultima disposizione citata, è però da ritenere, come espressamente previsto dalla norma, che il giudizio inferiore a sei circa la condotta degli alunni delle scuole secondarie di primo grado debba riguardare pure comportamenti molto negativi svolti anche durante il primo quadrimestre, a differenza della valutazione finale del profitto che, solo per quest’anno, si baserà esclusivamente sui risultati rilevati durante il secondo periodo dell’anno scolastico.
E a proposito della sanzione disciplinare della bocciatura per gli studenti delle scuole superiori – e ora pure per gli alunni delle scuole primarie – conseguente a comportamenti gravemente scorretti, mi permetto di osservare che la ritengo una pena eccessiva, che può alterare i risultati degli apprendimenti e che potrebbe in taluni casi avere pure effetti distorsivi.
Infatti la cosiddetta “generazione Z”, cioè i giovani nati negli ultimi vent’anni, è costituita da adolescenti fortemente esposti a sollecitazioni che stanno disturbando la loro normale crescita emotiva, affettiva e razionale. L’esposizione ai social fin dalla più tenera età, ad esempio, sta producendo molti effetti psicologici mai verificatisi prima, con conseguenze negative sulla crescita della loro personalità. Mai come oggi, infatti, le cronache segnalano casi di adolescenti aggressivi o, al contrario, chiusi in sé e in casa. Pertanto una bocciatura potrebbe indurre l’adolescente a non tornare a scuola per ripetere, rendendolo uno dei tanti giovani che né studiano né lavorano, ossia i più esposti al rischio di divenire asociali e preda della malavita. E quindi, invece della bocciatura, che talora potrebbe assurdamene riguardare adolescenti con buoni risultati di profitto scolastico, sarebbe stato e sarebbe più opportuno pensare ad altri tipi di mezzi correttivi.
Ad esempio, mentre gli alunni continuano a frequentare la classe successiva, si potrebbe coinvolgerli, al pomeriggio, in attività sociali con cooperative o altri Enti del Terzo Settore che insegnano l’italiano ai giovani stranieri, o che si occupano di mense per i poveri o ancora di altre attività di promozione sociale. Forse queste attività obbligatorie, più della ripetenza, potrebbero aiutare questi adolescenti a divenire più rispettosi degli altri e quindi pure di sé.

*Il presente approfondimento è già apparso in «La Tecnica della Scuola», con il titolo “Valutazione alunni primaria: tornano i giudizi sintetici, il “nodo” del comportamento” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore e con altro tiolo, per gentile concessione.

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La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera

12 Giugno 2025 - 11:58am

«La crescente complessità che la Pedagogia Speciale ha dovuto affrontare nel corso degli anni richiede uno sguardo transdisciplinare, mettendo in dialogo modi differenti di leggere e costruire la realtà dell’inclusione»: partirà da questo assunto il Convegno Nazionale 2025 della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), denominato “La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera. L’inclusione nel dialogo transdisciplinare, tra sentieri e sconfinamenti”, in programma il 13 e 14 giugno presso l’Università di Udine

«Nel corso degli anni, la Pedagogia Speciale è stata chiamata ad affrontare sfide e bisogni educativi di crescente complessità, soprattutto in virtù del superamento dei confini rappresentati dalla più classica e codificata definizione di disabilità. Una complessità che richiede necessariamente uno sguardo transdisciplinare, mettendo in dialogo modi differenti di leggere e costruire la realtà dell’inclusione, abitando quei territori di confine che possono dar luogo a sconfinamenti e spaesamenti epistemologici, ma che possono al contempo essere forieri di incontri e di sentieri condivisi. Obiettivo di questo incontro, quindi, è favorire una riflessione sulla vocazione transdisciplinare della Pedagogia Speciale e su come sia possibile costruire percorsi inclusivi, favorendo appunto il dialogo e lo sconfinamento tra differenti prospettive disciplinari».
Viene presentato così il Convegno Nazionale 2025 della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), denominato La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera. L’inclusione nel dialogo transdisciplinare, tra sentieri e sconfinamenti, in programma domani, 13 giugno e sabato 14 presso l’Università di Udine e in collaborazione con la stessa, avvalendosi anche del patrocinio della CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità). (S.B.)

Ringraziamo CERPA Italia per la segnalazione.

A questo link è disponibile il programma completo del convegno. Per ogni ulteriore informazione: sipes.udine@uniud.it.

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Continua in Toscana la protesta delle persone con disabilità per la Vita Indipendente

12 Giugno 2025 - 11:24am

Dopo il presidio di protesta del 5 maggio a Firenze, non avendo ricevuto dalla Presidenza della Regione Toscana alcun riscontro alle proprie richieste, l’AVI Toscana ne ha indetto un altro per il 16 giugno, sempre a Firenze, per risolvere i diversi problemi riscontrati nell’applicazione della nuova disciplina regionale di accesso ai contributi per la Vita Indipendente. L’Associazione invita tutte le persone con e senza disabilità a partecipare all’iniziativa, «per sostenere questa battaglia di civiltà» Alcune delle persone con e senza disabilità che il 5 maggio scorso a Firenze hanno partecipato al presidio di protesta promosso dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana) sotto la pioggia, davanti al palazzo della Presidenza della Regione Toscana

Per difendere il loro diritto alla Vita Indipendente, intesa come assistenza personale autogestita, le persone con disabilità della Toscana sono scese in piazza tante volte. L’ultima lo scorso 5 maggio, sollecitate dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), a Firenze, nonostante l’allerta meteo arancione e la presenza di due file di Carabinieri schierati davanti al palazzo della Presidenza della Regione per impedire che le persone intervenute al presidio potessero entrare a ripararsi dalla pioggia (ne abbiamo riferito anche su queste pagine). In quell’occasione, nel primo pomeriggio, dopo diverse ore sotto la pioggia, due esponenti dell’AVI Toscana erano stati ricevuti da Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, e da Serena Spinelli, assessora regionale alle Politiche Sociali. La delegazione aveva così potuto esporre le ragioni della protesta e anche le proprie osservazioni sulla Proposta di Legge Regionale sulla Vita indipendente, elaborate da Raffaello Belli, e liberamente fruibili a questo link.

Dunque, le persone con disabilità attendevano un riscontro circa la disponibilità della Regione Toscana ad accogliere le richieste avanzate, ma non avendo ricevuto dalla Dirigenza alcuna comunicazione in merito, l’AVI Toscana ha deciso di indire un ulteriore presidio di protesta, ancora una volta a Firenze, davanti al palazzo delle Presidenza della Regione Toscana (Piazza Duomo, 10), per il pomeriggio del 16 giugno prossimo (dalle 14.30), allo scopo di sollecitare il presidente Giani a risolvere i problemi illustrati nell’incontro del 5 maggio.

Per l’AVI Toscana, attualmente, i problemi più urgenti da risolvere sono i seguenti:
1. Erogazione del contributo assegnato entro il giorno 25 del mese di riferimento.
2. Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale di ogni singola persona con disabilità.
3. Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale in base al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e a quanto stabilito dall’INPS.
4. Rendicontazione almeno trimestrale, concedendo almeno quindici giorni per la consegna della stessa.
5. Eliminazione delle differenze di trattamento fra le varie zone della Toscana.

Anche in questa occasione dall’organizzazione raccomandano di portare l’ombrello, questa volta per ripararsi anche dal sole. «Si sollecita la presenza a tale presidio di quante più persone con disabilità possibile e di tutte le persone senza disabilità che vorranno e potranno sostenere questa battaglia di civiltà»: è l’appello dell’AVI Toscana. (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: avitoscana@avitoscana.org.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, insieme all’immagine utilizzata, per gentile concessione.

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“Fammi una domanda”: un mazzo di carte per liberarsi dai pregiudizi

11 Giugno 2025 - 6:22pm

Ben 435 studenti e studentesse, con e senza disabilità, di tre istituti secondari di secondo grado di Milano sono stati coinvolti nel progetto “Patti di Amicizia Lunga”, realizzato da CBM Italia, per favorire l’inclusione sociale di ragazzi e ragazze con disabilità, proponendo occasioni di socializzazione e formazione. Ne è nato tra l’altro “Fammi una domanda. Un gioco senza etichette“, basato su un mazzo di carte, corrispondenti a 45 domande emerse durante i laboratori, «per liberarsi dal pregiudizio e dalle etichette» Una delle carte del mazzo di “Fammi uuna domanda. Un gioco senza etichette”

Favorire l’inclusione sociale di ragazzi e ragazze con disabilità, proponendo all’interno della scuola occasioni di socializzazione e formazione, per promuovere la partecipazione attiva e guardare con fiducia alla vita adulta: come avevamo scritto nel marzo scorso, presentando l’iniziativa, era stato questo l’obiettivo per cui era nato il progetto Patti di Amicizia Lunga, realizzato a Milano da CBM Italia, la nota organizzazione internazionale impegnata nella salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità in Italia e nel mondo, con il contributo della Fondazione di Comunità Milano.

Dall’inizio del progetto, dunque, sono stati coinvolti ben 435 studenti e studentesse, con e senza disabilità, di tre istituti secondari di secondo grado del capoluogo lombardo (Istituto Galilei-Luxemburg, Istituto Besta, Istituto Oriani Mazzini), in diversi laboratori dedicati ad adottare comportamenti inclusivi, migliorando così la qualità di vita dentro e fuori la classe.
I primi incontri sono stati utili alle esperte di CBM Italia per raccontare in cosa consista la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e l’approccio di essa basato sui diritti umani, oltre all’utilizzo di un linguaggio inclusivo e rispettoso. Sono seguiti quindi momenti di riflessione e scrittura sulle relazioni, sul futuro, sull’esclusione, e ancora, racconti e confronti.

Uno dei laboratori del progetto “Patti di Amicizia Lunga”

Da tutto ciò, i ragazzi e le ragazze hanno inventato il gioco denominato Fammi una domanda. Un gioco senza etichette, basato su un mazzo di carte, che corrispondono a 45 domande emerse durante i laboratori, domande che facilitano il confronto, la conoscenza e la comprensione dell’altro. Eccone alcune qui di seguito:
°Com’è far parte di un gruppo?
°In cosa ti senti diverso dalle persone che ti circondano?
°Quando mi guardi, cosa vedi?
°In questo momento della tua vita, se l’esclusione fosse una persona, chi sarebbe?
°Quando ti senti escluso, è sempre colpa degli altri o anche tua?
°Cosa faresti se il gruppo ti chiedesse di escludere qualcuno?

Un gioco educativo, dunque, creato per facilitare il dialogo, cambiare punto di vista e rispettare le diversità. Come spiegano le istruzioni del gioco stesso, «per liberarsi dal pregiudizio e dalle etichette, per scoprire cosa abbiamo in comune. Il gioco non ha regole e non prevede vincitori, ma richiede una certa dose di coraggio». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: caterina.argiro@leacrobate.it (Caterina Argirò).

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