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«Forbes» propone i 100 nomi più influenti in tema di accessibilità

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La nota rivista statunitense «Forbes» ha pubblicato la Classifica delle 100 persone più influenti nel mondo nell’àmbito dei temi legati all’accessibilità per le persone con disabilità. Tra i tanti vi è anche Evert-Jan Hoogerwerf, responsabile del settore “Tecnologie per le autonomie e l’inclusione dell’AIAS di Bologna, e segretario generale della GAATO, organizzazione ombrello cui aderiscono le principali Associazioni che si occupano di tecnologie assistive del mondo Evert-Jan Hoogerwerf, olandese trapiantato da sempre in Italia, è stato incluso da «Forbes» tra le 100 persone più influenti nel mondo, nell’àmbito dei temi legati alla accessibilità per le persone con disabilità

«Forbes» è una nota rivista statunitense pubblicata bisettimanalmente e con oltre sei milioni di lettori negli Stati Uniti. Gli articoli di essa trattano di finanza, industria, investimenti e marketing, ma oltre a questo ha una particolare attenzione anche ad altre tematiche come le tecnologie, la comunicazione, le scienze e i risvolti legislativi a queste connesse.
In un lungo e articolato servizio, composto da 13 articoli, ha pubblicato nei giorni scorsi la Classifica delle 100 persone più influenti nel mondo nell’àmbito dei temi legati all’accessibilità per le persone con disabilità. Tra i tanti anche Evert-Jan Hoogerwerf, olandese da sempre trapiantato in Italia, responsabile del settore Tecnologie per le autonomie e l’inclusione dell’AIAS di Bologna, aderente alla Rete GLIC (Rete dei Centri di Consulenza su Ausili Tecnologici per le Disabilità), e soprattutto, ai fini della classifica di «Forbes», segretario generale della GAATO/Global Alliance of Assistive Technology Organizations, organizzazione ombrello cui aderiscono le principali Associazioni che si occupano di tecnologie assistive del mondo, fra cui AAATE, ISPO, RESNA, ATIA e altre, complessivamente con oltre 20.000 soci.

Il lungo e articolato servizio di «Forbes» suddivide i 100 nomi segnalati secondo alcuni àmbiti di intervento che determinano un panorama del tema accessibilità in parte diverso da quello che potremmo fare noi in Italia. Alcuni àmbiti, infatti, sono sovrapponibili (lavoro, sport, software accessibili, mobilità e trasporti, comunicazione, istruzione…), altri in parte o in toto più afferenti alla realtà americana e comunque agli orizzonti in tema di accessibilità in cui gli USA sono forse più avanti di noi; si pensi alla robotica come ausilio nelle operazioni relative al mangiare, alle attività legate alla finanza e al business, all’accesso ad arti come la musica o il cinema.

Nella classifica sono gli Stati Uniti a farla largamente da padroni, seguiti dal Canada. Tra le nazioni europee Svizzera, Islanda, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna. Due segnalazioni per il Kenya. Australia, Brasile e Giappone negli altri continenti a dimostrazione di uno sviluppo e di un interesse per le tecnologie assistive ancora a macchia di leopardo, come si può leggere nel recente Rapporto mondiale sulle tecnologie assistive edito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e di cui la Rete GLIC ha curato la traduzione italiana del Summary (disponibile a questo link). (Ufficio Stampa GLIC)

Per approfondire ulteriormente si può consultare a questo link l’articolato servizio della rivista «Forbes» su Accessibility 100. Suggeriamo anche la regolare consultazione della Rassegna stampa gratuita mensile su ausili e tecnologie curata dalla rete GLIC (a quest’altro link).
Torneremo entro breve a occuparci del servizio di ׂForbes», per dare visibilità a un’ulteriore segnalazione in esso presente.

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Fondazione Alfredo Catarsini 1899: luoghi di cultura sempre più inclusivi e arte sempre più accessibile

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Compie cinque anni la Fondazione Alfredo Catarsini 1899 di Viareggio (Lucca) e per celebrare l’anniversario, ha organizzato la mostra itinerante “Il Novecento di Catarsini. Dalla macchia alla macchina”, e dedicata all’artista da cui prende il nome, esposizione che partirà da Firenze, il 26 giugno, toccando poi altre città della Toscana, allo scopo di fare riscoprire, attraverso l’arte di Catarsini, il patrimonio artistico della Regione del Novecento. E il valore aggiunto di tale iniziativa risiede nell’accessibilità La copertina del catalogo della mostra dedicata ad Alfredo Catarsini

Nata il 29 giugno 2020, compie cinque anni la Fondazione Alfredo Catarsini 1899 di Viareggio (Lucca) e per celebrare l’anniversario, ha organizzato la mostra itinerante denominata Il Novecento di Catarsini. Dalla macchia alla macchina e dedicata all’artista viareggino da cui prende il nome, esposizione che partirà da Firenze, il 26 giugno, con l’inaugurazione nella sede della Giunta Regionale della Toscana (Palazzo Sacrati Strozzi, Piazza del Duomo, ore 16). Successivamente, per tutta l’estate, toccherà altre città della Toscana, allo scopo di fare riscoprire, attraverso l’arte di Catarsini, il patrimonio artistico della Regione del Novecento.

Il valore aggiunto di tale iniziativa risiede nell’accessibilità, come spiegano i promotori: «Questa esposizione presenta caratteristiche innovative per rendere i luoghi di cultura più inclusivi e l’arte sempre più accessibile. In tal senso, la metodica originale messa a punto dalla nostra Fondazione, rivolta in particolare alle persone con disabilità visiva, verrà applicata per la prima volta proprio in questa mostra e nel percorso di essa, svelando il tutto in anteprima in occasione dell’inaugurazione del 26 giugno, quando sarà possibile effettuare anche un’esercitazione “al buio”». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore, ampio approfondimento. Per altre informazioni: Marco Ferri (press@marcoferri.info).

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Ad Alessandria c’è uno Sportello Antiviolenza dedicato alle donne con disabilità

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Il Centro Antiviolenza me.dea di Alessandria ha inaugurato uno Sportello Antiviolenza dedicato alle donne con disabilità, servizio realizzato nell’àmbito del progetto “Io sono unicA”, finanziato dalla Fondazione Time2. Tante le attività svolte nell’àmbito del progetto, tra cui interventi di accessibilità fisica e digitale, coinvolgimento di alcune Associazioni operanti nell’area della disabilità e formazione reciproca delle operatrici delle diverse realtà Una realizzazione grafica dedicata al progetto “Io sono unicA”

Poche settimane fa il Centro Antiviolenza me.dea di Alessandria ha inaugurato uno Sportello Antiviolenza dedicato alle donne con disabilità. Il nuovo servizio è stato realizzato nell’àmbito del progetto Io sono unicA, finanziato dalla Fondazione Time2. Quest’ultima aveva indetto il Bando Cambiamenti, al quale ha partecipato anche il Centro me.dea con il menzionato progetto, che è risultato ammesso al contributo. Dunque il valore complessivo di 30.000 euro è stato coperto dalla Fondazione per l’81%.
Il progetto Io sono unicA è stato realizzato nel 2024, e l’attivazione dello Sportello per le donne con disabilità è una delle sue attività conclusive.

«Il servizio è attivo il secondo martedì e il terzo giovedì di ogni mese, presso l’attuale sede di Alessandria del Centro Antiviolenza, in Via Palermo 33 – è scritto sul sito di me.dea –. Le donne possono contattare il servizio tramite il numero verde 800 098 981, il numero whatsapp 339 6378570 o la mail me.deacontroviolenza@gmail.com. Contattando lo Sportello è possibile fare la prima accoglienza e prendere appuntamento per avviare il percorso. In caso di necessità è a disposizione anche un’interprete LIS (Lingua dei Segni Italiana)».
La predisposizione dello Sportello ha richiesto anche interventi finalizzati all’accessibilità fisica della sede operativa e all’accessibilità digitale del sito del Centro (attraverso la creazione di un sottodominio costruito secondo le linee guida sull’accessibilità web WCAG 2.1).

Un ulteriore elemento qualificante dell’iniziativa è costituito dal fatto che, nel realizzarla, il Centro Antiviolenza ha potuto collaborare con diverse Associazioni operanti nell’area della disabilità: l’AIAS di Alessandria, ListenVerba, e l’UICI di Alessandria (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti). Si è trattato di uno scambio reciproco di saperi e competenze volto a creare una rete di supporto e sostegno alle donne don disabilità presenti sul territorio di Alessandria. È lo stesso Centro a riferire che «la prima parte del progetto ha previsto una formazione reciproca tra il Centro Antiviolenza e queste realtà. La formazione ha consentito alle operatrici me.dea di apprendere e riflettere su questioni relative alle diverse forme di discriminazione che vivono le donne con disabilità, ampliando il ragionamento alle situazioni dove è presente la violenza. Le stesse operatrici di me.dea hanno incontrato, in un secondo momento, le partner, per fornire loro alcuni strumenti utili al riconoscimento di possibili situazioni di violenza vissuta dalle donne».
La collaborazione con la menzionata Associazione Listen ha anche permesso al Centro me.dea di realizzare alcuni brevi video di promozione dello Sportello in LIS nei quali si racconta il progetto Io sono unicA, nonché le modalità di accesso allo Sportello dedicato. Tali video verranno presto pubblicati sui canali dell’Associazione.

La scelta di investire in uno Sportello di questo tipo è ben illustrata dalle parole di Linda Scali, coordinatrice del progetto Io sono unicA e operatrice del Centro Antiviolenza me.dea: «Abbiamo deciso di dedicare uno spazio alle donne con disabilità, che vivono situazioni di violenza, perché troppo spesso sono soggette a numerose discriminazioni che ostacolano il pieno raggiungimento della loro autodeterminazione e in questa disparità di potere si crea il terreno fertile alla base della violenza di genere. Invitiamo dunque tutte le donne che hanno necessità di confrontarsi sulle situazioni che vivono a contattarci e a chi lavora a vario titolo nel campo delle disabilità a promuovere questo servizio di sostegno, per poter fare rete contro la violenza di genere». Un invito che accogliamo ben volentieri, segnalando anche questo Sportello nel repertorio dei Servizi antiviolenza preparati ad accogliere donne con disabilità, presente all’interno del sito del Centro Informare un’h.

E chiudiamo questa nota con una riflessione proposta dallo stesso Centro Antiviolenza, per raccontare le motivazioni che hanno portato alla decisione di denominarsi me.dea: «Secondo il mito raccontato da Euripide, Medea è una donna potente, sapiente, pazza d’amore per Giasone, che per vendetta uccide i suoi figli. La scrittrice tedesca Christa Wolf ribalta la versione pervenuta da Euripide e riscrive il mito, descrivendo una donna, Medea appunto, forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che diventa il capro espiatorio per delitti commessi dalla società. Le uccideranno i figli e del loro delitto verrà accusata. Medea diventa me.dea per mettere la donna al centro del percorso e restituire positività, dignità e femminilità a una donna da tempo denigrata, umiliata, abusata». (Simona Lancioni)

Per maggiori informazioni: me.deacontroviolenza@gmail.com.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Quegli episodi di violenza sono il risultato di un sistema che necessita di un intervento urgente e radicale

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«Episodi di violenza nei confronti delle persone con disabilità – scrivono dall’UTIM – come quelli emersi di recente in Piemonte, non sono eccezioni, ma purtroppo il risultato di un sistema che necessita di un intervento urgente, radicale e coordinato a livello nazionale di tipo strutturale e organizzativo, oltreché culturale. Sono violenze che trovano terreno fertile soprattutto in un modello ormai superato: quello delle strutture residenziali di grandi dimensioni, di tipo segregante»

Esprimiamo profonda indignazione per i gravissimi episodi di maltrattamento, violenza fisica e psicologica perpetrati in una comunità della Val Pellice, a Luserna San Giovanni (Torino), ai danni di persone con disabilità intellettiva e autismo [se ne legga già sulle nostre pagine a questo e a questo link, N.d.R.]. Esprimiamo altresì vicinanza alle vittime di violenze e alle loro famiglie.
I fatti, come riportati dalla stampa e documentati da telecamere installate dai NAS, si uniscono purtroppo ad una lunga e documentata serie di abusi emersi negli anni in numerose strutture residenziali in tutto il territorio nazionale (si vedano ad esempio le rassegne periodiche dei fatti di cronaca segnalate su «Prospettive. I nostri diritti sanitari e sociali», già «Prospettive assistenziali»). Sarà la Magistratura ad accertare le responsabilità e i profili penali, ma i fatti emersi già impongono una presa di posizione.

Questi episodi, a nostro avviso, non rappresentano solo eccezioni, ma purtroppo il risultato di un sistema che necessita di un intervento urgente, radicale e coordinato a livello nazionale di tipo strutturale e organizzativo, oltreché culturale.
Si tratta di violenze che trovano terreno fertile soprattutto in un modello ormai superato: quello delle strutture residenziali di grandi dimensioni, di tipo segregante, che depersonalizzano i bisogni delle persone e facilitano dinamiche di abuso.
La struttura di Luserna San Giovanni, ricordiamo, ospita ben 41 utenti, di cui almeno la metà non in grado di autodifendersi come risulterebbe dalle notizie di stampa. Per questo motivo chiediamo con forza alle Istituzioni competenti a livello sia nazionale sia regionale il superamento definitivo dei modelli istituzionalizzanti, promuovendo esclusivamente piccole comunità residenziali a carattere familiare, con un massimo di 8 posti letto e 1-2 posti per pronto intervento e tregua, integrate nel normale tessuto sociale, non accorpate tra loro (come invece lo è la struttura in oggetto), nonché l’abrogazione della norma che autorizza l’accreditamento di strutture di grandi dimensioni.

Chiediamo inoltre:
° la certificazione preventiva dell’idoneità del personale, mediante istituti specializzati, di tutti gli operatori che si trovano occupati in continuità con persone non autosufficienti e non in grado di difendersi autonomamente, al fine di impedire che soggetti con disturbi della personalità siano adibiti a funzioni che li pongono a contatto con utenti indifesi. La certificazione di idoneità andrebbe richiesta anche per chi è già operativo (prevedendo una revisione periodica), con la ricollocazione ad altre attività degli operatori ritenuti non più adeguati, tramite commissioni paritetiche con relativa tutela sindacale;
° la riqualificazione del personale impiegato nelle strutture residenziali, nella sua composizione e nella sua condizione. Si tratta spesso di personale numericamente sottodimensionato, composto prevalentemente da operatori socio-sanitari (OSS), con una presenza insufficiente di figure educative e riabilitative. A ciò si aggiungono condizioni lavorative gravose: turnazioni estenuanti, carichi eccessivi e, in genere, una retribuzione non commisurata alla complessità del ruolo svolto. Questa situazione determina non solo un abbassamento della qualità dell’assistenza, ma anche un maggiore rischio di stress lavoro-correlato, con ricadute negative sulla relazione con gli utenti;
° l’obbligo di installazione nelle strutture di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, al fine di prevenire e contrastare episodi di maltrattamento e abusi;
° il rinforzo degli organici e l’aumento della frequenza dei controlli da parte delle Commissioni di vigilanza delle ASL, preposte a verificare il rispetto degli standard strutturali e organizzativi delle strutture socio-sanitarie.

Nel cogliere l’occasione per ringraziare i NAS per il lavoro svolto nel portare alla luce e documentare questi terribili fatti, invitiamo dunque la Magistratura ad approfondire celermente la vicenda a tutela degli interessi e dei diritti delle persone con disabilità intellettiva e autismo, auspicando che nelle more gli operatori vengano sospesi dall’attività per la quale sono indagati.
Dal canto nostro valuteremo la possibilità di costituirci parte civile nel corso del procedimento giudiziario.

*L’UTIM è l’Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva (info@utim-odv.it).

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Finanziamenti adeguati a sostegno delle persone con disabilità nei bilanci dell’Unione Europea

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Finanziamenti adeguati alle persone con disabilità e alle loro organizzazioni rappresentative, impedendo poi che gli Stati impieghino i Fondi Europei per infrastrutture e progetti inaccessibili o contrari ai diritti umani. E una Garanzia per l’occupazione nel mercato del lavoro aperto. Sono alcune delle istanze esposte dal Forum Europeo sulla Disabilità a Roxana Mînzatu, vicepresidente esecutiva della Commissione Europea e commissaria per le Competenze, l’Istruzione, la Cultura, il Lavoro e i Diritti Sociali Roxana Mînzatu, vicepresidente esecutiva della Commissione Europea e commissaria per le Competenze, l’Istruzione, la Cultura, il Lavoro e i Diritti Sociali

«Ho comunicato chiaramente alla vicepresidente Mînzatu la necessità di sostenere le persone con disabilità e le nostre organizzazioni attraverso finanziamenti dedicati. Il lancio di una Garanzia UE per l’occupazione e le competenze con disabilità sarebbe certamente un chiaro esempio di come utilizzare il bilancio dell’Unione Europea in questo àmbito»: lo ha dichiarato Yannis Vardakastanis, presidente dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, che ha guidato una delegazione dell’EDF stesso, nel corso di un incontro con Roxana Mînzatu, vicepresidente esecutiva della Commissione Europea e commissaria per le Competenze, l’Istruzione, la Cultura, il Lavoro e i Diritti Sociali, che supervisiona anche il lavoro della commissaria per l’Uguaglianza Hadja Lahbib.

Come sottolineato da Vardakastanis, al centro dell’incontro vi è stata soprattutto la richiesta dell’EDF alla Commissione Europea di lanciare una  Garanzia UE per l’occupazione e le competenze con disabilità (Disability Employment and Skills Guarantee), sul modello di quanto già fatto con la Garanzia per i Giovani. Un’iniziativa, come avevamo riferito a suo tempo anche sulle nostre pagine, che renda disponibili opportunità nel mercato del lavoro aperto (non, quindi, in “laboratori protetti”), per persone con disabilità di qualsiasi età, il tutto senza pregiudicare l’idoneità delle persone stesse a continuare a ricevere assegni di invalidità e altri aiuti da parte del proprio Stato, fornendo altresì supporto per mettere in atto i necessari adeguamenti sul posto di lavoro.

Più in generale, durante l’incontro si è discusso poi del bilancio dell’Unione Europea per il periodo 2028-2034 (quadro finanziario pluriennale), rispetto al quale la delegazione dell’EDF ha sottolineato che esso «debba sostenere adeguatamente le organizzazioni di persone con disabilità e le organizzazioni non governative che lavorano sul fronte dei diritti umani; che garantisca una forte politica di coesione, finanziando l’inclusione sociale delle persone con disabilità e infrastrutture accessibili; che mantenga le cosiddette “condizioni abilitanti”, imponendo alle autorità di gestione di non spendere soldi per infrastrutture o progetti inaccessibili o che siano contrari ai diritti umani delle persone con disabilità. Condizioni che devono essere ulteriormente rafforzate per garantire che i fondi dell’Unione Europea non finanzino ambienti di vita segreganti; che aumentino i sostegni economici per alloggi accessibili e a prezzi accessibili per le persone con disabilità».
«Come già espresso alla commissaria per l’Uguaglianza Lahbib – ricorda Vardakastanis -, abbiamo chiesto inoltre che la Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 venga aggiornata con nuove azioni ambiziose» (se ne legga già anche sulle nostre pagine).

«Ritengo questo incontro molto produttivo – ha commentato in conclusione la commissaria Mînzatu – con un’organizzazione come il Forum Europeo sulla Disabilità, che tutela i diritti di oltre 100 milioni di persone con disabilità, rappresentando più di 100 organizzazioni degli Statoi Menr5i dell’Unione. In particolare abbiamo convenuto pienamente sull’importanza del Fondo Sociale Europeo e sull’inclusione di esso nei bilanci futuri per attuare misure che aiutino le persone con disabilità a godere dei propri diritti, della propria autonomia e delle opportunità di lavorare in un mercato del lavoro che ha bisogno del talento e del contributo di ciascuna persona». (Stefano Borgato)

Per ulteriori informazioni: André Felix (Ufficio Comunicazione EDF), andre.felix@edf-feph.org (a cui scrivere in inglese).

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Si presenta il progetto “Scienza senza barriere”

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Verrà presentato nel corso di un incontro online del 26 giugno il progetto “Scienza senza barriere”, iniziativa finanziata da un Bando della Regione Emilia Romagna e promossa dalla Società G-LAB Impresa Sociale, che ha come obiettivo l’accessibilità delle attività didattiche nei laboratori scientifici dell’Opificio Golinelli di Bologna, per permettere a studenti e studentesse con disabilità visive, uditive, motorie, cognitive e neurodivergenza di fruire pienamente delle varie proposte

Nel pomeriggio del 26 giugno (ore 15), è in programma l’incontro online di presentazione del progetto Scienza senza barriere, iniziativa dedicata a insegnanti, dirigenti scolastici di scuola primaria e secondaria e a qualunque altra persona interessata.
Finanziata dal Bando della Regione Emilia Romagna per i Progetti di innovazione sociale e promossa dalla Società G-LAB Impresa Sociale, l’iniziativa ha come obiettivo l’accessibilità delle attività didattiche nei laboratori scientifici dell’Opificio Golinelli di Bologna, al fine di permettere a studenti e studentesse con disabilità visive, uditive, motorie, cognitive e neurodivergenza di fruire pienamente delle varie proposte.

Realizzato con la collaborazione di esperte ed esperti di tecnologie digitali per persone con disabilità, il progetto ha pertanto lo scopo di creare un ambiente di apprendimento inclusivo in cui la scienza sia per tutte e tutti: «Le modifiche progettate – spiegano infatti i promotori -, garantiscono l’accessibilità per chi ha esigenze specifiche, ma più in generale migliorano l’esperienza didattica e la comprensione di ogni partecipante».
Del tutto degne di nota anche le varie organizzazioni che sono partner di progetto, vale a dire l’Associazione La Girobussola, la Fondazione ASPHI, la Cooperativa Accaparlante, la Fondazione Gualandi A Favore Dei Sordi e il Dipartimento di Scienze dell’Educazione G.M. Bertin dell’Università di Bologna. (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del webinar del 26 giugno, per iscriversi al quale (gratuitamente) occorre fare riferimento a quest’altro link. Per ulteriori informazioni: Francesco Castellana (f.castellana@fondazionegolinelli.it).

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Non un semplice disservizio, ma una vera discriminazione

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Quaranta minuti di attesa dell’assistenza per persone a mobilità ridotta, ignorato e dimenticato da tutti, insieme agli anziani genitori, con l’urgenza fisiologica di recarsi in bagno, senza alcuna informazione né attenzione, nell’assoluto silenzio e disinteresse generale: è capitato a Dario Siciliano, garante dei diritti delle persone con disabilità di San Vito dei Normanni (Brindisi), che scrive: «Non è stato un semplice disservizio, ma una violazione di diritti e anche un’umiliazione»

La scorsa settimana, presso l’Aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo, ho vissuto un episodio che non esito a definire vergognoso. Mi trovavo infatti in partenza con il volo Ryanair FR8972 diretto a Brindisi. Come previsto dalle procedure, mi sono recato per tempo all’esterno dell’aeroporto per richiedere l’assistenza per persone a mobilità ridotta, utilizzando l’apposito totem, collocato davanti all’ultimo ingresso del piano partenze. Ero in sedia a rotelle, accompagnato da mio padre e mia madre, entrambi settantenni.
Ebbene, nonostante la mia chiamata e i successivi, ripetuti solleciti rivolti anche al personale che transitava lì davanti, nessuno si è presentato prima di ben 40 minuti. Quaranta minuti di attesa ignorati e dimenticati da tutti, con l’urgenza fisiologica di recarmi in bagno, senza alcuna informazione né attenzione, nell’assoluto silenzio e disinteresse generale.
Non si tratta di un semplice disservizio: questo è abbandono istituzionale, violazione di diritti, ed è un’umiliazione, quella che ho provato io.

Ricordo che l’articolo 3 della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) tutela le persone con disabilità da ogni forma di discriminazione diretta e indiretta, obbligando enti pubblici e soggetti privati a garantire parità di trattamento. La mancata assistenza tempestiva in un aeroporto non è soltanto un disservizio: è una discriminazione fondata sulla condizione personale, rilevante ai fini di legge.
Inoltre, il Regolamento (CE) n. 1107/2006 obbliga tutti gli aeroporti dell’Unione Europea a garantire gratuitamente e con tempestività i servizi di assistenza alle persone a mobilità ridotta. Non è quindi un favore, ma un diritto garantito. Quel giorno, davanti ai miei occhi, questo diritto è stato ignorato.

È inconcepibile che nel 2025 un cittadino con disabilità venga trattato come un ostacolo logistico, lasciato ad aspettare per quaranta minuti in una condizione di evidente disagio, mentre il personale aeroportuale passava davanti con indifferenza. Non si può tollerare che i diritti delle persone con disabilità spesso continuino a dipendere dalla fortuna del momento o dalla sensibilità del singolo operatore. La dignità non è negoziabile.

Mi auguro pertanto che a questa segnalazione seguano risposte concrete e non comunicati di circostanza. Il nostro Paese, e la Sicilia in particolare, non possono permettersi di ignorare chi è più fragile.

*Garante dei diritti delle persone con disabilità di San Vito dei Normanni (Brindisi).

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A Orbetello una piccola, ma solida goccia per un futuro migliore delle persone con disabilità

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È nata a Orbetello (Grosseto), al fianco dell’Associazione di Promozione Sociale Oltre lo sguardo, la Fondazione La Casa di Mario, nuovo tassello voluto da Elena Improta, presidente di Oltre lo sguardo e promotrice del progetto di co-housing “La Casa di Mario”, per la costruzione di un futuro migliore per le persone con disabilità e i loro familiari. «Si tratta – come sottolinea la stessa Improta – di un contenitore solido, progettato per sviluppare buone pratiche e modelli residenziali adeguati per il “Dopo di Noi”» Anche l’attore e regista Paolo Ruffini (seduto al centro) ha visitato a suo tempo “La Casa di Mario”

È nata il 16 giugno scorso a Orbetello (Grosseto), al fianco dell’Associazione di Promozione Sociale Oltre lo sguardo, la Fondazione La Casa di Mario, nuovo tassello voluto da Elena Improta, per la costruzione di un futuro migliore per le persone con disabilità e i loro familiari. «La Fondazione – dichiara Improta, presidente di Oltre lo sguardo e promotrice del progetto di co-housing La Casa di Mario – rappresenta una piccola goccia in un mare di solitudine e battaglie per rivendicare diritti fondamentali. È un contenitore solido, progettato per sviluppare buone pratiche e modelli residenziali adeguati per il “Dopo di Noi”, volto ad affrontare con maggiore forza contrattuale le istituzioni e le politiche che riguardano queste tematiche».

La nuova Fondazione, come si legge nello Statuto, «esercita in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale tramite l’attuazione di iniziative di tutela, assistenza e cura, materiale e morale, delle persone con disabilità». In particolare, nell’àmbito delle attività di interesse generale, essa si propone «di promuovere il soddisfacimento dei diritti dei cittadini in condizione di vulnerabilità, e in particolare di operare al servizio delle persone con disabilità, in aiuto alle loro famiglie, intervenendo al fianco di queste e stimolandone la partecipazione attiva, al fine di garantire la tutela e il soddisfacimento delle necessità di vita, individuale e sociale, dei loro familiari, valorizzando di questi potenzialità ed attitudini attraverso l’uso delle autonomie personali, difendendone i diritti e favorendone il processo di integrazione e inclusione sociale e sanitaria nella collettività, anche nel contesto della normativa del “Dopo di Noi”». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa.elena.improta@gmail.com.

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La Nazionale Paralimpica di calcio balilla ai Mondiali in Spagna

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Dopo la vittoria ai Mondiali di Nantes nel 2022, la Nazionale Italiana Paralimpica di Calcio Balilla è da oggi, 23 giugno, e fino al 29 giugno a Saragozza in Spagna, per prendere parte alla nuova edizione dei Campionati del Mondo ITSF, con la volontà di provare a confermarsi ai vertici Ben volentieri pubblichiamo l’immagine della Nazionale Paralimpica di calcio balilla che nel 2022 vinse i Mondiali di Nantes in Francia, quale buon auspicio per la nuova edizione della manifestazione, che si disputa in questi giorni in Spagna

Dopo la vittoria ai Mondiali di Nantes nel 2022, la Nazionale Italiana Paralimpica di Calcio Balilla è da oggi, 23 giugno, e fino al 29 giugno a Saragozza in Spagna, per prendere parte alla nuova edizione dei Campionati del Mondo ITSF, con la volontà di provare a confermarsi ai vertici.
«La nostra Nazionale – ha dichiarato Francesco Bonanno, presidente della FPICB (Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla) e recentemente nominato vicepresidente dell’ITSF (International Table Soccer Federation), come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine – è la massima espressione del calcio balilla paralimpico tricolore, formata dai migliori atleti provenienti da tutta Italia. Abbiamo un gruppo affiatato, unito da passione, impegno e spirito di squadra. Indossare la maglia azzurra, per ciascuno di loro, non è solo motivo d’orgoglio, ma una responsabilità da vivere con il massimo impegno e dedizione».

A guidare la squadra in Spagna vi sono Giovanni Braconi (coach), Francesca Aragona (coach femminile) e Michele Nasti (allenatore), che coordinano la preparazione degli atleti, con il supporto del team manager Luca Bruno, della fisioterapista Teresa Franco e del preparatore atletico Mirko Ferri.
Gli atleti e le atlete sono: Angelita Alves, Maria Luigia Civili, Vito Loris Bonaldo, Corrado Montecaggi, Daniele Riga, Paolo De Florio, Domenico Smario, Francesco Bonanno, Luigi Iannone, Francesco Perin, Giacomo Paolo Rossi, Roberto Silvestro, Francesco Valente e Gianluca Vuodo.
«Ognuno di loro – aggiunge Bonanno – sarà portavoce non solo della massima espressione di tecnica e talento, ma proverà a dimostrare quanto lo sport sia un linguaggio universale, capace di unire, ispirare e abbattere ogni barriera. Il nostro movimento è in crescita, come dimostrano anche i risultati più recenti, e abbiamo creato un gruppo unito che si è allenato con determinazione e concentrazione. Siamo pronti a scendere in campo per vivere ancora una volta forti emozioni». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio stampa FPICB (ufficiostampa@fpicb.it).

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Sarebbe davvero innovativo se le parrocchie divenissero “chiese in uscita alla ricerca di persone con disabilità”!

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«Ho letto con grande interesse – scrive Salvatore Nocera – l’articolo di Alberto Fontana pubblicato da Superando, sulla piena presa di coscienza culturale, teologica e pastorale da parte della gerarchia ecclesiale, della visione nuova delle persone con disabilità, non più oggetto, ma soggetto attivo nella Chiesa Cattolica. Voglio dunque sperare che vi siano sempre più organismi ecclesiali e persone credenti che si convertano definitivamente a questa nuova cultura inclusiva»

Ho letto con grande interesse, da cattolico impegnato, l’articolo di Alberto Fontana pubblicato nei giorni scorsi da Superando, sulla piena presa di coscienza culturale, teologica e pastorale da parte della gerarchia ecclesiale, della visione nuova delle persone con disabilità, non più oggetto, ma soggetto attivo nella Chiesa Cattolica [“La forza del limite ossia La disabilità come mistero e rivelazione”, N.d.R.]. Fontana parte dal Concilio Ecumenico Vaticano II, attraversa gli innovativi interventi dei vari pontefici, per concludere con delle puntuali citazioni bibliche. Non sto a riassumere l’articolo per non far perdere ad esso l’afflato di vera innovazione culturale, invitando altresì invito alla sua lettura e rilettura, mentre manderò il testo anche a suor Veronica Donatello, responsabile della Pastorale sulla Disabilità della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), perché venga diffuso in tutti i nostri ambienti ecclesiali. Qui vorrei soffermarmi su due spunti offerti dall’articolo.

Verso la fine del testo si fa riferimento al libro “Us” not “Them”. Disability and Catholic Theology and Social Teaching (“Noi”, non “loro”. Disabilità, teologia e dottrina sociale cattolica), del gesuita australiano docente di Diritto Canonico Justin Glyn che, partendo dal versetto biblico «Dio ha creato l’uomo a Sua immagine», svolge la tesi teologica secondo la quale, Dio, perfettissimo, non ha creato uomini imperfetti come le persone con disabilità, poiché anch’esse sono appunto a “Sua immagine”, accomunate a Dio Cristo crocifisso salvatore del mondo. Alberto Fontana e Giovanni Merlo, con la Federazione lombarda LEDHA, hanno organizzato a suo tempo uno specifico convegno, su questo libro, tradotto in italiano e da essi curato con il titolo significativo A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità (La Vita Felice, 2022) dal quale è nato anche un blog.
Ebbene, la tesi teologica sviluppata da Glyn supera la precedente visione pastorale delle persone con disabilità come oggetto di compassione, perché sofferenti. Ora, infatti, non sono solo le sofferenze che le assimilano al figlio di Dio, ma sono a Sua immagine come redentore, tramite la crocifissione, e quindi come soggetti attivi.

In un mio precedente intervento su queste stesse pagine [“La Chiesa non si governa coi piedi, ma con la testa”, N.d.R.], mi ero permesso di aggiungere che la fede cristiana crede in Gesù morto e risorto e quindi , per una piena identificazione all’immagine di Dio, sarebbe opportuno citare pure il Vangelo di Matteo al capo 25 (versetti 31-47), brano in cui viene presentato Gesù che giudica nel giudizio universale e distingue i buoni dai cattivi in base a come avranno agito nei confronti delle persone bisognose di solidarietà, quali gli assetati, gli affamati, i bisognosi di tutto. Egli, crocifisso e risorto, dice «tutto quello che avrete fatto ai più piccoli di questi “miei fratelli” lo avrete fatto a me». Qui dunque è Cristo risorto che invita noi tutti a «far risorgere dalla morte morale» anche le persone con disabilità tramite la solidarietà “includente”.
Questa mi sembra un’immagine teologicamente più completa e che contemporaneamente invita le persone senza disabilità ad essere accoglienti verso quelle con disabilità e ad includerle in modo tale da essere e sentirsi veri soggetti tra soggetti. Purtroppo quel mio articolo era uscito appena dopo l’improvvisa scomparsa di Papa Francesco e allora la conclusione e il titolo dello stesso hanno in parte oscurato il contenuto primario del mio collegamento del tema di fondo dell’articolo alla citazione del Vangelo di Matteo, che comunque torno a sottoporre alla discussione critica degli esperti.

Ma il brano di Alberto Fontana che mi intriga moltissimo è questo, verso la fine del suo contributo: «Riconoscere tra le pieghe dei documenti del Magistero una crescente responsabilità pastorale sul tema della disabilità è senza dubbio edificante. È segno di una Chiesa che si lascia interrogare, che si apre al mistero della fragilità umana e ne custodisce la dignità come fondamento della propria missione evangelizzatrice. Tuttavia, la sfida che oggi interpella la comunità cristiana è quella di trasformare questa consapevolezza in cultura condivisa».
Questo passaggio dalla consapevolezza della gerarchia pontificia a «cultura condivisa da tutta la comunità ecclesiale», composta da sacerdoti, catechisti, operatori pastorali e da laici, educatori, docenti, assistenti all’inserimento lavorativo, imprenditori, amministratori nazionali e locali, sanitari, politici a tutti i livelli, è un compito difficilissimo, come evidenzia il passaggio di Fontana, ma è essenziale, perché è questa condivisione culturale che può fare “incarnare” in opere concrete quella nuova visione teologica.
Conosco Associazioni che si stanno adoperando in tal senso e penso alla Comunità Papa Giovanni XXIII, alla Comunità di Capodarco, fondata da don Franco Monterubbianesi, recentemente scomparso, alla Comunità di Sant’Egidio, all’Agesci, a Comunione e Liberazione, al MAC (Movimento Apostolico Ciechi), che addirittura ha istituito un premio per le parrocchie inclusive [Il “Premio Don Giovanni Brugnani – Parrocchie inclusive”, N.d.R.]”.Ce ne sono sicuramente altre e sarebbe interessante una ricognizione per individuarne il massimo numero possibile, affinché potessero operare insieme a quelle d’ispirazione laica per una sempre maggiore e migliore cultura inclusiva di soggetti attivi con disabilità anche nella società civile.
Quello che però ancora noto assai poco è la presenza nelle nostre parrocchie di persone con disabilità nelle attività liturgiche, di diaconia e di vita parrocchiale. Ad esempio, in alcune chiese talune persone cieche vengono invitate a leggere in Braille alcune letture della Messa, mentre alcune persone sorde segnanti vengono invitate a predicare tramite l’interprete gestuale; e ancora, alcune persone con disabilità intellettiva distribuiscono la comunione durante la messa o fanno parte dei complessini che suonano durante alcune messe; infine, alcune persone con disabilità fisiche collaborano per sbrigare al telefono pratiche di casi che si presentano alla Caritas.

Le scuole cattoliche si stanno sempre più aprendo all’inclusione scolastica anche di alunni «con bisogno di sostegni elevati o molto elevati»; lo si fa di meno presso il mondo imprenditoriale di ispirazione cristiana e ancor meno in quello delle strutture residenziali, che fanno fatica culturale e operativa ad accettare la nuova cultura delle piccole comunità di accoglienza, del co-housing e della vita indipendente, come vuole anche il recente Decreto Legislativo 62/24.
Sarebbe innovativo se, alla luce del magistero di Papa Francesco, anche le parrocchie divenissero “chiese in uscita alla ricerca di persone con disabilità”, per includerle e farle uscire dal loro troppo frequente isolamento. Sarebbe possibile alle associazioni e ai gruppi di volontariato organizzare la ricerca di tali persone, per offrire di accompagnarle a frequentare attività parrocchiali o per sbrigare qualche loro pratica o per recarsi a qualche loro visita medica?
E comunque nell’Anno Giubilare che vuole i credenti “pellegrini di speranza”, voglio sperare che vi siano sempre più organismi ecclesiali e persone credenti che si convertano definitivamente a questa nuova cultura inclusiva auspicata dall’articolo di Alberto Fontana, di cui mi auguro la massima diffusione possibile.

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È tempo che i centri estivi diventino realmente per tutti e tutte

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È tempo che enti, amministrazioni e operatori del Terzo Settore si facciano carico delle loro rispettive responsabilità, affinché i centri estivi siano davvero per tutti e tutte. Non basta infatti “accettare” i bambini e le bambine con disabilità: occorre includerli con strumenti adeguati e rispetto

Tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze con disabilità hanno diritto a partecipare ai centri estivi su base di eguaglianza con gli altri, come previsto dall’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport) della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dallo Stato italiano con la Legge 18/09. Questo diritto implica che gli enti gestori dei centri estivi debbano attivarsi per garantire ai minori con disabilità l’assistenza di supporto necessaria, senza demandare questo compito alla famiglia. La responsabilità primaria è quindi dell’ente che organizza il servizio, il quale deve prevedere – se necessario – figure educative e di assistenza, assicurando che nessun minore venga escluso o limitato nella partecipazione, qualunque sia la motivazione.
Nel caso poi di bisogni di sostegno più intensi, non è lecito rifiutare l’iscrizione o limitare la frequenza dichiarandosi “non in grado” di garantire l’assistenza. Al contrario, è dovere dell’ente adottare accomodamenti ragionevoli e misure appropriate per assicurare l’accesso paritario, senza discriminazioni.

Va inoltre ricordato che la sola presenza di una disabilità non implica automaticamente la necessità di assistenza: la valutazione, infatti, dev’essere fatta caso per caso, in relazione alle reali caratteristiche e alle necessità del bambino/bambina o ragazzo/ragazza.
In questo quadro, i Comuni hanno un ruolo cruciale: in un’ottica di presa in carico globale, devono sostenere la famiglia, predisporre il Progetto Individuale (ai sensi dell’articolo 14 della Legge 328/00) e coinvolgere le realtà necessarie alla sua attuazione. Tuttavia, è l’ente gestore del centro estivo a rispondere direttamente della qualità del servizio e dell’eventuale discriminazione, che può configurare una violazione della Legge 67/06.

Al nostro Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi [della LEDHA-Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità] arrivano ogni estate segnalazioni di esclusioni, iscrizioni rifiutate o mancata attivazione del servizio di assistenza. «Tuttavia – sottolinea Laura Abet, coordinatrice del Centro, i casi ufficiali sono pochi, troppo pochi rispetto alla diffusione del fenomeno. La sensazione, purtroppo confermata sul campo, è che molte famiglie rinuncino a far valere i propri diritti, perché già gravate da una gestione complessa, faticosa e spesso solitaria della disabilità».
Inoltre, quando le legali del nostro Centro Antidiscriminazione segnalano alle famiglie che la responsabilità ricade sull’ente gestore, alcune decidono di desistere. «Entrare in conflitto con chi dovrebbe offrire un servizio educativo e di sollievo – sottolinea Abet – può sembrare infatti un ulteriore peso da sostenere. E così, i diritti restano sulla carta».

È tempo che enti, amministrazioni e operatori del Terzo Settore si facciano carico di questa responsabilità, affinché i centri estivi siano davvero per tutti e tutte. Non basta “accettare” i bambini e le bambine con disabilità: occorre includerli con strumenti adeguati e rispetto.

*La LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) è la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare la scheda legale I Centri estivi e il divieto di discriminazione dei bambini e ragazzi con disabilità. Per ogni altra informazione: ufficiostampa@ledha.it.

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“Cecità e Sordità tra ricerca, educazione, tecnologia”: come mettere insieme saperi e teste diverse

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Mettere insieme saperi e teste diverse, per rispondere ai reali bisogni degli attori della vita di cura: forse è stata proprio questa la principale valenza del convegno di Roma “Cecità e Sordità tra ricerca, educazione, tecnologia”, rivolto a oculisti, audiologi, educatori e, in generale, a chi fosse interessato a comprendere le disabilità sensoriali, per rendere efficace la comunicazione e personalizzata la cura delle persone sorde e cieche “Disabilità sensoriali”

Come segnalato anche su queste pagine, si è tenuto il 20 e 21 giugno a Roma, presso il Dipartimento Organi di Senso del Policlinico Umberto I-Università La Sapienza, il convegno Cecità e Sordità tra ricerca, educazione, tecnologia, rivolto a oculisti, audiologi, educatori e, in generale, a chi fosse interessato a comprendere le disabilità sensoriali, per rendere efficace la comunicazione e personalizzata la cura delle persone sorde e cieche.
Il programma delle due giornate si presentava intensissimo, con relatori appartenenti a campi diversi, dall’area clinica di numerosi Atenei italiani a quella filosofica, dalla pedagogia alle neuroscienze, dagli specialisti della riabilitazione agli esperti delle tecnologie assistive, dai responsabili dei progetti sociali a liberi professionisti, da icone della tiflologia a giovani pedagogisti impegnati nella ricerca o sul piano concreto delle attività sportive. E forse è stata proprio questa la principale valenza dell’incontro, caratteristica ormai rara in questi eventi: mettere insieme saperi e teste diverse, per rispondere ai reali bisogni degli attori della vita di cura.

Il convegno è stato organizzato dall’Associazione Suoni e Immagini per vivere la cui presidente è l’instancabile Ersilia Bosco, psicologa clinica e psicoterapeuta. Il clima sereno, i linguaggi “piani” dei relatori hanno offerto i percorsi che la ricerca, la medicina, la psicologia e la pedagogia hanno fatto nell’àmbito di due settori estremamente complessi, quali la cecità e la sordità, portati su un binario che attraversando mondi diversi, ha permesso di evidenziare la necessità di conoscerli e approfondirli entrambi, senza dare nulla per scontato né sul piano clinico né su quello pedagogico educativo.
Spesso, troppo spesso, infatti, e anche in àmbiti istituzionali, si dà per scontato che chi ne sa di disabilità sensoriale sia esperto in tutti i campi in cui questa si presenta, e che chi ha fatto un “buon corso di formazione”, magari biennale o con numerosi Crediti Formativi Universitari (CFU) specifici, sappia tutto ciò che è necessario sapere. Non è così. La formazione, soprattutto per ciò che concerne tutti i “mestieri” di cura, non può e non deve essere una tantum, magari a monte, valida per tutta la vita.

Questa full immersion, dunque, è riuscita a dare risposte molteplici, spunti di riflessione, indicazioni di percorsi possibili ad una platea molto variegata: studenti, dottorandi, esperti, assistenti, docenti specializzati e non. Un plauso va a tutti, alla dottoressa Bosco, che ha immaginato il percorso e individuato “gli esperti”, ai relatori perché, consapevoli che l’ampia platea era caratterizzata da bisogni di apprendimento molto diversi, hanno adottato snellezza e accessibilità nel linguaggio, utilizzando tuttavia scientificità e divulgabilità delle “informazioni”, nonché a tutti i presenti che, nonostante i tempi di marcia “teutonici”, hanno prestato orecchie attente a soddisfare un proprio bisogno.
Un grazie va anche allo scultore Felice Tagliaferri, che ci ha offerto la possibilità di “toccare dal vero” alcune sue opere e a Francesco Paparozzi e ai suoi raffinati acquarelli.

Lo stare in presenza, il vivere insieme questo tipo di esperienze formative non è sostituibile, a mio parere, da nessuna videoconferenza. Fa parte di quell’aspetto emotivo profondamente umano che, nonostante gli individualismi sempre più diffusi, connota ogni progresso umano.
Mi auguro, in conclusione, che gli atti del convegno siano pubblicati a breve e possano suggerire ulteriori iniziative.

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Ultimo appuntamento accessibile per questa stagione del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale

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Ultimo appuntamento di questa stagione (25, 27 e 29 giugno, 1°, 3 e 5 luglio), presso il prato verde allestito al Teatro Carignano di Torino, con il percorso ideato dal Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, per consentire anche alle persone con disabilità sensoriale di assistere agli spettacoli mediante nuove tecnologie e materiali di approfondimento. In scena “Pene d’amor perdute”, leggera e divertente commedia di Shakespeare, per la regia di Jurij Ferrini Jurij Ferrini, regista di “Pene d’amor perdute” (foto di Luigi De Palma)

Ultimo appuntamento di questa stagione per il percorso da noi regolarmente seguito, ideato già da alcuni anni dal Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale e sviluppato in collaborazione con il partner tecnologico PANTHEA e con l’Associazione +Cultura Accessibile, per consentire anche alle persone con disabilità visiva e sensoriale di assistere agli spettacoli mediante nuove tecnologie e materiali di approfondimento.
Accadrà con le recite del 25, 27 e 29 giugno e del 1°, 3 e 5 luglio, riguardanti la leggera e divertente commedia di William Shakespeare denominata Pene d’amor perdute, diretta da Jurij Ferrini e inserita nell’àmbito della rassegna estiva Prato inglese, iniziativa dedicata ai grandi classici shakespeariani, portati in scena in un’atmosfera più informale e insolita, sull’ormai caratteristico prato verde allestito al Teatro Carignano di Torino.

Le rappresentazioni, dunque, nelle date sopraindicate saranno corredate da sovratitoli in italiano e in italiano semplificato con descrizione dei suoni, attraverso l’uso di dispositivi forniti direttamente dal Teatro, ovvero smart-glasses (occhiali smart) o smartphone. All’inizio di ogni recita, inoltre, è prevista la trasmissione in sala di una breve audiointroduzione e verrà resa disponibile l’audiodescrizione in cuffia per tutta la durata dello spettacolo, fruibile attraverso smartphone sempre messi a disposizione dal teatro.
E ancora, nel pomeriggio del 3 luglio (ore 18), è previsto l’ormai tradizionale appuntamento gratuito con il tour descrittivo e tattile sul palcoscenico (previa prenotazione, entro il 2 luglio, scrivendo a accessibilita@teatrostabiletorino.it).
Da ricordare, poi, che in una specifica sezione del sito internet del Teatro Stabile (a questo link), predisposta per la lettura da parte di applicazioni screen reader e con un plug-in facilitante, oltreché sulla app del Teatro stesso, sono disponibili alcuni materiali consultabili prima della fruizione dello spettacolo, ossia un video di approfondimento con audio, sottotitoli in italiano e in LIS (Lingua dei Segni Italiana) e la scheda di sala accessibile.
Da segnalare anche che le persone con disabilità avranno diritto al biglietto ridotto e, in caso di necessità, l’accompagnatore potrà entrare gratuitamente.

Sarà questo, come detto, l’ultimo appuntamento accessibile di questa stagione, ma è già tempo di pensare alla prossima, che ne avrà altri otto, da ottobre 2025 a giugno 2026, titoli che verranno resi noti quanto prima dai promotori.  (S.B.)

A questo link è disponibile un approfondimento sullo spettacolo Pene d’amor perdute. Per ogni ulteriore informazione: accessibilita@teatrostabiletorino.it.

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