Accademia della Scherma, Ugualmente Artisti (danza e inclusione), TMA (Terapia Multisistemica in Acqua) (tuffi, giochi e divertimento), tiro con l’arco, Fraternità e Amicizia (calcetto e uno spettacolo di danza), ma anche canottaggio, canoa, basket e altro ancora: sarà tutto questo, il 15 giugno, Sport4All 2025, nuova edizione presso la Canottieri Milano (Alzaia Naviglio Grande, 160, Milano, ore 10-17) di un evento all’insegna dello sport, dell’inclusione e dell’amicizia, gratuito e aperto a tutte e tutti.
«Sport4All – spiegano i promotori – è pensato per creare uno spazio di incontro tra persone con e senza disabilità, attraverso attività sportive accessibili, coinvolgenti e guidate da istruttori esperti. L’obiettivo è quello di promuovere la partecipazione, l’autonomia e lo stare insieme, valorizzando ogni diversità». (S.B.)
L'articolo Torna a Milano “Sport4All”, all’insegna dello sport, dell’inclusione e dell’amicizia proviene da Superando.
Oggi, 13 giugno, ricorre la Giornata Internazionale dell’Albinismo, occasione propizia per presentare Occhi in Musica, progetto educativo che attraverso una serie di canzoni originali rivolte ai bambini, punta a favorire la cultura della prevenzione visiva fin dalla prima infanzia, e nel contempo si prefigge l’inclusione di bimbi – come appunto quelli con albinismo – che talvolta vengono discriminati per una loro caratteristica fisica.
Come ricorda Enrica Ferrazzi, ideatrice del progetto e co-fondatrice insieme a Elisa Raimondi della community social @occhideibimbi, i bambini albini sono un esempio perfetto di come una o più caratteristiche fisiche possano arrivare a far sentire un bambino “diverso”.
«Indossare una benda per curare l’occhio pigro, o un paio di occhiali da sole per rendere meno dolorosa una forte fotofobia potrebbe non sembrare un problema agli occhi degli adulti, ma può diventare una montagna da scalare per chi, come un bambino piccolo, è ancora alla scoperta di sé e del mondo. È normale provare disagio, imbarazzo, o la paura di sentirsi “diversi”. Da oggi per questi bambini, c’è uno strumento in più: la musica. Perché la musica è un linguaggio universale che parla direttamente al cuore».
OcchiDeiBimbi abbraccia virtualmente tutti i bambini albini del mondo, rendendo disponibile già da oggi su tutte le piattaforme il brano Zucchero filato, che racconta la quotidianità di un bambino dalla pelle chiara come la neve e dai capelli soffici come zucchero filato. Strofe che cantano la bellezza della diversità e la magia nascosta in ogni bimbo, indipendentemente dall’albinismo. Perché la musica è un linguaggio universale che parla direttamente al cuore.
«Occhi in Musica è un messaggio di accoglienza e speranza, che invita bambini, genitori e insegnanti a vedere con occhi nuovi la salute e la diversità», aggiunge Elisa Raimondi che, memore del disagio vissuto in prima persona da bambina (un’ambliopia riconosciuta tardivamente), ha dato vita due anni fa al progetto social I Bendagnez [se ne legga anche sulle pagine di Superando, N.d.R.], per supportare le famiglie con bambini che stanno affrontando il percorso, non sempre facile, del bendaggio oculare di un figlio.
La musica è anche uno strumento educativo straordinariamente efficace e può aiutare i bambini a interiorizzare messaggi complessi attraverso il ritmo e la ripetizione, apprendendo sin da piccoli comportamenti sani in modo naturale e spontaneo, specie ora che arriva l’estate: l’importanza di mangiare frutta e verdura, di idratarsi in maniera adeguata, di proteggere occhi e pelle dagli effetti nocivi dei raggi UV con occhiali con lenti di qualità e creme solari, di fare visite oculistiche periodiche, senza aver timore delle tante temute “goccine”, anche prima dell’approdo alla scuola primaria.
Nelle prossime settimane, dunque, arriveranno online nuove canzoni dedicate ai bambini dai 3 ai 10 anni, realizzate in collaborazione con Associazioni che si occupano di salute nell’infanzia. Un suono fresco, solare e tutto da ballare, perfetto per l’estate: atmosfere da vacanza, ritmi coinvolgenti e melodie pensate per piacere a tutti e tutte. (P.P.)
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Domani, 14 giugno e domenica 15, lo Stadio Nando Martellini di Roma ospiterà la seconda edizione del Festival dello Sport Inclusivo, evento nazionale promosso dall’Associazione Creattivi, con il sostegno di una vasta rete di altre Associazioni, Enti Sportivi e Istituzioni. Per l’intero fine settimana, dunque, persone con e senza disabilità scenderanno in campo insieme, condividendo attività, esperienze e valori.
La manifestazione – parte della Giornata Nazionale dello Sport, collegata alla celebrazione del Giubileo dello Sport — si aprirà nella mattinata di sabato 14, con l’avvio delle attività sportive e con il Foundation Day della Fondazione Decathlon, che riunirà tutti gli store della Capitale in un’unica iniziativa, la staffetta Side by Side, corsa simbolica non competitiva in cui le coppie, unite da una fascia, percorreranno insieme 400 metri. Si proseguirà quindi con una fitta programmazione di discipline accessibili, dimostrazioni, training session e laboratori. (S.B.)
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Si intitola Quale allegria, proprio come la celebre canzone del 1977 di Lucio Dalla, il documentario di Francesco Frisari che verrà presentato in anteprima assoluta il 14 giugno al Cinema Lumière di Bologna (Piazzetta Pasolini, 2/b, ore 18.15), in concorso per il 21° Biografilm Festival, rassegna cinematografica interamente dedicata alle biografie e ai racconti di vita in corso di svolgimento fino al 16 giugno nel capoluogo emiliano.
Il documentario nasce dall’osservazione quotidiana, da parte del regista, dello zio Massimo, persona con una grave disabilità cognitiva, e recupera i fili di una propria suggestione infantile, quando era convinto che lo zio e Lucio Dalla fossero la stessa persona.
«Frisari – è stato scritto nella presentazione dell’opera – esplora nel documentario quell’impossibile somiglianza, che gli aveva permesso di comprendere e abbracciare la disabilità di Massimo, filmandone la vita di tutti i giorni: i tratti più complessi, interessanti e difficili di Massimo vengono illuminati, riletti e reimmaginati, nelle immagini e nel voice-over del regista che le accompagna, proprio attraverso Lucio Dalla, le sue intuizioni, le sue canzoni – concesse da Sony Music grazie alla collaborazione della Fondazione Lucio Dalla, che ha sostenuto il progetto – e il suo essere al contempo disperato e giocoso, uomo e bambino. Il risultato è una visione della disabilità e dell’arte di Dalla del tutto inedita, in cui anche le contraddizioni di un pensiero non lineare diventano una lente poetica sulla realtà, e raccontano due rivendicazioni diverse di una libertà sofferente e insieme totale». (S.B.)
L'articolo “Quale allegria”: quando il piccolo Francesco credeva che zio Massimo fosse Lucio Dalla proviene da Superando.
Come presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), ho ricevuto dal Congresso della Federazione stessa l’incarico di difenderne e diffonderne i valori statutari. E il principio che sostanzia ogni Federazione è quello della reciproca solidarietà, riassumibile nel celebre detto “uno per tutti e tutti per uno”.
A proposito di tale valore fondativo della nostra Federazione, desidero innanzitutto ringraziare Giovanni Marino, presidente dell’ANGSA, l’Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo aderente alla FISH, per avere manifestato pubblicamente in Superando la propria solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), che dal 10 giugno sta facendo lo sciopero della fame davanti al Ministero della Salute [se ne legga già ampiamente sulle nostre pagine, N.d.R.], perché è bloccato da un anno un Disegno di Legge in Senato, a causa della mancanza di una relazione tecnica che il Ministero della Salute avrebbe dovuto far pervenire alla Commissione Parlamentare di Palazzo Madama che sta discutendo quel Disegno di Legge. Quest’ultimo prevede il diritto all’inclusione sociale delle persone con epilessia, che sono attualmente emarginate, sia se clinicamente guarite dopo 10 anni dall’ultima crisi (ma non lo sono ancora a livello giuridico), sia se hanno una forma “farmaco-resistente” (e ancora non godono di interventi inclusivi).
Quello che mi permetto di sottolineare è che purtroppo spesso i diritti delle persone con disabilità sono ritardati o addirittura resi non esigibili proprio a causa di ritardi burocratici.
Esprimo quindi la mia solidarietà a Giovanni Battista Pesce per la sua lotta pacifica e coraggiosa e invito altre Associazioni aderenti alla FISH a seguire l’esempio del Presidente dell’ANGSA.
*Presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
L'articolo La mia solidarietà a Giovanni Battista Pesce proviene da Superando.
«L’empowerment delle persone con disabilità [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.] è un punto cruciale su cui riflettere e agire se davvero vogliamo arrivare ad avere società realmente inclusive, giuste e sostenibili a livello globale e questo perché solo le stesse persone con disabilità, protagoniste della loro vita, possono dirci cosa è meglio per loro e per migliorare il loro contesto di vita e automaticamente quello di tutti noi»: lo ha detto tra l’altro Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), al Palazzo delle Nazioni Unite di New York, davanti alla platea della 18^ Conferenza Annuale degli Stati Parte della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, di cui abbiamo già ampiamente riferito in altra parte del giornale, ed esattamente nell’àmbito della tavola rotonda sul tema Entrepreneurship and innovative finance, a support for empowering people with disabilities and enhancing social development policies (“Imprenditorialità e finanza innovativa, un sostegno per l’empowerment delle persone con disabilità e il rafforzamento delle politiche di sviluppo sociale”), ove appunto Speziale è intervenuto, oltreché in rappresentanza dell’ANFFAS, anche della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), della ministra per le Disabilità Locatelli e dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità.
«Oggi più che mai – ha aggiunto il Presidente dell’ANFFAS – abbiamo necessità di forme collaborative tra persone con disabilità, le loro organizzazioni maggiormente rappresentative e le amministrazioni pubbliche e gli Stati. Solo insieme, infatti, si possono abbattere stigmi e pregiudizi e garantire esigibilità e rispetto dei diritti».
«Per la nostra Associazione – sottolineano dall’ANFFAS – si è trattato di una partecipazione “storica” nella delegazione italiana all’ONU, che ha consacrato decenni di attività volte alla tutela e promozione dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie, un impegno costante nel tempo a tutti i livelli, con l’obiettivo di rendere realmente esigibili i diritti e di promuovere una nuova cultura della disabilità in linea con i princìpi e i paradigmi della Convenzione ONU». (S.B.)
A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: comunicazione@anffas.net.L'articolo Solo tutti insieme, Persone, Organizzazioni, Stati, si possono abbattere stigmi e pregiudizi proviene da Superando.
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Eventi, spettacoli, attività sportive e laboratori multisensoriali dedicati a tutti e tutte, alle scuole e ai cittadini, per provare a mettersi “nei panni dell’altro” e favorire la conoscenza della disabilità visiva, oltre a promuovere l’accoglienza e l’inclusione, in particolar modo delle persone con deficit visivo: sono state questo, nel maggio scorso, le giornate vissute a Padova nell’àmbito della rassegna SensoriAbile, iniziativa resa possibile dall’unione di forze tra la Fondazione Robert Hollman, l’UICI di Padova (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), il Comune e l’Università di Padova e l’ANIOMAP (Associazione Nazionale Istruttori Orientamento Mobilità Autonomia Personale), il tutto in collaborazione con altre 25 realtà del territorio.
E all’interno della kermesse, vi è stato anche un evento davvero speciale, quale la partita di baseball per ciechi di serie A tra Bologna e Milano, giocata allo Stadio Plebiscito di Padova a cura della FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball) e grazie al Padova Baseball e al Rovigo Baseball e Softball.
«Il nutrito pubblico – spiegano i promotori SensoriAbile – ha potuto così apprezzare una gara di alto livello di uno sport ripensato per far giocare persone cieche e ipovedenti, dando loro la libertà di correre sul diamante. La gara si è conclusa 10-0 per il Bologna, una delle squadre più forti d’Italia, prima in classifica, pronta alla Coppa Italia nell’estate e formata da vari giocatori della Nazionale Italiana, in preparazione per i Campionati Europei. Ma al di là dello stesso risultato agonistico, ci preme sottolineare l’atmosfera davvero particolare di una disciplina in cui i giocatori recepiscono i segnali sonori, lo scampanellio della pallina, il battere delle mazze e il picchiettare dei tecnici sulle basi».
Il baseball per ciechi si sta affermando anche nel Veneto, pur mancando ancora una squadra di Padova e una rappresentativa regionale. Possono praticarlo sia giocatori ciechi che ipovedenti, giacché tutti, indistintamente, giocano con una benda sugli occhi. La FIBS ha introdotto ufficialmente questa disciplina nel 1997, anche se si giocava già in forma amatoriale a partire dal 1994. Da allora il Campionato comprende una stagione regolare, una Coppa Italia e un torneo di fine stagione. (S.B.)
L'articolo La bella atmosfera del baseball per ciechi tra le tante iniziative di “SensoriAbile” a Padova proviene da Superando.
Nel 2017 la voce dell’irlandese Michael ha iniziato a rallentare. «All’inizio lo trovavo curioso, persino divertente. Pensavo facesse parte dell’invecchiamento». Poi però, dopo una vita di sport nel combattimento corpo a corpo, nota che non riesce più ad appoggiare il palmo sinistro a terra nei piegamenti. «Pensai che si trattasse di un tendine stirato. Ho semplicemente continuato a farli sulle nocche». Poi il suo viso è cambiato. La bocca si è incurvata in una smorfia perenne. «Ancora una volta, ho pensato fosse l’età. Mi sentivo in forma. Continuavo ad allenarmi, insegnavo, facevo ricerca». Eppure, la voce rallentava sempre più. I medici non trovavano nulla. «Fu un’amica a suggerirmi di vedere un neurologo. A fine 2019 parlavo ormai come il Papa alla fine della sua vita. Mi mandarono alla Salpêtrière, a Parigi. La diagnosi arrivò all’inizio del 2020: SLA (sclerosi laterale amiotrofica)».
Il medico gli prescrisse riluzolo e toco, che prende ancora oggi che ha 79 anni. Poi arrivò il Covid. Il mondo si fermò. «Mi trasferii nell’appartamento della mia compagna Marie. Abbiamo danzato, giocato a scacchi e backgammon, discusso, letto, fatto l’amore, e imparato davvero a conoscerci. Abbiamo attraversato il lockdown insieme, come una piccola isola umana in un oceano silenzioso. Fu in quel periodo che accettai la mia nuova identità di persona con SLA. Dopo la pandemia, acquistammo una casa vicino a Bordeaux, con un piano terra adatto a una futura vita in sedia a rotelle e un giardino con alberi di mele e una piscina».
Non riuscendo a entrare in programmi di ricerca, Michael si è chiesto cosa potesse fare per contribuire alla ricerca. È nata così un’idea a tratti folle: percorrere in bicicletta il Danubio, dalla Foresta Nera al Mar Nero, per raccogliere fondi per la ricerca. «E così feci. Un ciclista silenzioso. Partii nell’autunno del 2021. Mi ruppi una caviglia a est di Budapest, passai l’inverno a guarire, e conclusi il viaggio nella primavera del 2022».
A quel punto camminare era diventato difficile, ma non impossibile. «Marie mi raggiunse a Istanbul, e insieme ci rifugiammo su un’isola greca senza turisti, a goderci la calma».
Ma non finisce qui: «Quell’autunno volai in Australia per visitare il mio vecchio amico Peter Hewlett, un talentuoso suonatore di cornamusa. Decisi di percorrere in bicicletta la Flinders Highway, un tratto selvaggio della costa sud-australiana, mentre Peter mi seguiva in auto. Dormivamo in tenda o in piccole pensioni. Cadevo spesso, e potevo rialzarmi solo se c’era un gradino. I venti forti e il paesaggio duro rendevano tutto più incerto. Un giorno, spinto dal vento trasversale, dovetti fermarmi a Smokey Bay. Una notte, uscendo da una baracca per urinare, caddi sui sassi. Rimasi lì, steso sotto un cielo stellato incredibile, il fiato spezzato ma senza ferite. Dopo venti minuti strisciando, riuscii a rialzarmi. Poi mi voltai, urinai nel vento, e fissai in silenzio la Croce del Sud».
Michael oggi si è trasferito a Firenze, dove vive sua figlia Oona, che vive con la sua ex moglie. Con la progressione della malattia è stato preso in carico e seguito costantemente dai professionisti del team SLA di Neurologia di Careggi.
L’AISLA di Firenze (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) è entrata in contatto con la famiglia ancor prima del suo trasferimento in Italia, supportando la figlia con ascolto e fornendo una valida guida su tutto il percorso burocratico da affrontare. A Michael è stato offerto un percorso di fisioterapia, varie consulenze specialistiche e sostegno psicologico. Grazie alla collaborazione del suo medico curante, è stato preso in carico anche dal team di cure palliative domiciliari della FILE (Fondazione Italiana di Leniterapia), che ha lo scopo di prendersi cura delle persone con malattie croniche in fase avanzata o terminale, sia di tipo oncologico che non oncologico, orientando e coinvolgendo attivamente il paziente e la famiglia in un progetto di assistenza personalizzato.
Secondo le necessità cliniche di ciascuno, FILE organizza settimanalmente accessi domiciliari di medico, infermieri e operatori socio sanitari, per l’assistenza alla persona e fornisce un supporto telefonico per le urgenze cliniche.
Proprio sul tema della SLA si concentrerà il convegno La traiettoria di cura della persona con sclerosi laterale amiotrofica, in programma il 13 giugno a Firenze (Careggi, Aula Magna, Nic, padiglione 3), organizzato da FILE e AISLA e patrocinato dalla Regione Toscana, dall’AUSL Toscana Centro, dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi e dall’Università di Firenze. Un convegno che si rivolge a tutte le professioni sanitarie, ma che intende anche approfondire la malattia attraverso il contributo di numerosi esperti e da numerosi punti di vista: pneumologico, neurologico, psicologico. Dal sospetto clinico di SLA fino all’approccio comportamentale da tenere col paziente, dalla presa in carico ai percorsi ospedalieri, l’evento intende dunque offrire una panoramica completa sul tema. (Agenzia Galli Torrini)
A questo link è disponibile il programma completo del convegno del 13 giugno. Per ulteriori informazioni: file@gallitorrini.com.L'articolo Storia di Michael, che oggi vive a Firenze, dove è in programma un convegno sulla SLA proviene da Superando.
La comunità ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo) esprime convinta vicinanza e forte solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia) impegnato da due giorni in uno sciopero della fame davanti alla sede del Dicastero della Salute [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.], una forma di protesta estrema contro gli inaccettabili ritardi e rimandi nell’approvazione di una legge per dare piena cittadinanza e tutela a 550.000 persone con epilessia e alle loro famiglie.
Più del 30% delle persone con epilessia versa in situazione di farmacoresistenza, assume cioè i medicinali, ma manifesta anche le crisi. Il presidente dell’AICE chiede una legge che riconosca un primo accesso e adeguate misure inclusive, per uscire dalla malsana clandestinità imposta a questa “malattia sociale”, come riconosciuta dalla nostra normativa.
L’iter della legge è bloccato da un anno perché manca una Relazione Tecnica. Come genitori comprendiamo profondamente le ragioni del presidente dell’AICE Pesce, per avere spesso subìto a nostra volta la sordità e la lentezza delle Istituzioni e la troppa accondiscendenza e ascolto a chi riteneva la disabilità connessa allo spettro autistico “di serie b”.
*Presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo).
L'articolo Solidarietà al Presidente dell’AICE dalle famiglie di persone con autismo proviene da Superando.
Appare decisamente grave quanto si legge in un articolo pubblicato nei giorni scorsi dal «Fatto Quotidiano», a firma di Renato La Cara, che riprendendo le segnalazioni di varie persone con disabilità, spiega come da quest’anno in Veneto spettino all’utente le varie spese legate alla manutenzione e alle riparazioni delle carrozzine a motore elettrico, pensando segnatamente alle batterie, al joystick e al motore stesso delle carrozzine.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, per altro, come da successivo aggiornamento curato sempre da La Cara, la Regione Veneto e l’assessora alla Sanità Manuela Lanzarin hanno diffuso una nota in cui dichiarano di avere applicato le norme entrate in vigore da pochi mesi: «L’entrata in vigore del Nomenclatore Allegato 5 al DPCM 12/2017 – si legge in tale nota -, avvenuta il 30 dicembre 2024 con l’approvazione delle Tariffe dell’Elenco 1, ha determinato la revoca dell’efficacia del DM n. 332/1999 su tutto il territorio nazionale. Il nuovo Nomenclatore (Allegato 5 – DPCM 12/2017) non prevede più i codici relativi alle riparazioni e sostituzioni per gli ausili rientranti nel codice ISO 12.23 (carrozzine a motore elettrico). La Regione del Veneto ha recepito la normativa nazionale attraverso la DGR n. 1587 del 30 dicembre 2024 e le Aziende Sanitarie ne hanno dato informazione agli assistiti. Nell’ottica di una presa in carico completa dei pazienti con disabilità, la Regione del Veneto si sta attivando per affrontare questa problematica e definire un percorso regionale che includa anche queste prestazioni essenziali».
A quanto pare, tuttavia, Associazioni e attivisti, come viene ancora riportato nell’articolo del «Fatto Quotidiano», negano di essere stati informati dalle Aziende Sanitarie.
Seguiremo naturalmente gli sviluppi di tale questione, chiedendoci anche, però, come stiano le cose nelle altre Regioni del nostro Paese. (S.B.)
L'articolo Batterie e riparazioni delle carrozzine a motore elettrico: pagano gli utenti? proviene da Superando.
Carcere e disabilità sono mondi solo in apparenza lontani: in realtà hanno molto da dirsi. Ed entrambi, seppure con le ovvie differenze, sperimentano stereotipi, isolamento, difficoltà nell’essere visti e riconosciuti. È nato da questa consapevolezza il progetto Creatività inclusiva, realizzato dall’UICI di Torino (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), con il contributo della Fondazione CRT, iniziativa che ha reso possibile l’incontro tra un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e un gruppo di donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. Questi capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda molto particolare, che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti (la passerella è stata adattata con accorgimenti tattili per facilitare la mobilità autonoma), sia le detenute stesse. Le protagoniste, dunque, hanno seguito il lavoro per intero, dalla sartoria alla passerella. Gli abiti saranno poi venduti in un’asta benefica, il cui ricavato andrà a sostegno degli Enti coinvolti (tutte realtà del Terzo Settore).
Un progetto di tale complessità è stato possibile solo grazie a un grande lavoro di rete. Oltre infatti all’UICI di Torino, alla casa circondariale Lorusso e Cutugno e alla Fondazione CRT, che ha sostenuto l’iniziativa nell’àmbito del bando Tempo per una vita migliore, tante altre sono state le realtà coinvolte: la Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri, che coordina il progetto LEI (Lavoro, Emancipazione Inclusione), volto a favorire la crescita sociale e lavorativa fuori e dentro il carcere (un progetto cui afferiscono anche molte altre delle realtà coinvolte); l’Associazione EssereUmani, che all’interno del carcere organizza il laboratorio sociale e professionale Arione; la Cooperativa Patchanka, che gestisce la sartoria Il Gelso, con due unità di produzione, una all’esterno e una all’interno del carcere; il laboratorio orafo Forma e materia della Città di Torino, dove lavorano persone con disabilità psicofisiche e i cui monili sono stati indossati durante la sfilata; l’Associazione Mana che, attraverso il progetto Riflessi. Percorsi per rifiorire, propone laboratori di make up therapy rivolti a donne con disabilità vittime di violenza e che, per la sfilata, si è occupata del trucco degli indossatori e delle indossatrici.
Un’immagine della sfilata di moda nel teatro della casa circondariale Lorusso e Cutugno di TorinoPrezioso anche il coinvolgimento dell’Università di Torino, i cui allievi dei corsi in Servizio Sociale ed Educazione Professionale sono stati parte integrante dell’iniziativa.
Un ruolo insostituibile, infine, spetta alla stilista Aythya, progettista di moda che fonde pittura su seta e design, trasformando i capi in dipinti indossabili, cui si aggiungono – per questa esperienza – sensazioni tattili e profumi.
Altrettanto complessa è stata l’organizzazione del progetto. I mesi di marzo, aprile e maggio sono stati dedicati al lavoro sartoriale. Alcuni elementi degli abiti sono stati realizzati all’interno del carcere, dalle detenute che frequentano il citato laboratorio Arione e dalle donne con disabilità visiva, a loro volta portatrici di un’esperienza maturata in un progetto di cucito. Per gli elementi che invece hanno richiesto attrezzature e professionalità più specifiche, è entrata in gioco la sartoria Il Gelso.
Il 5 giugno, quindi, in occasione della sfilata conclusiva nel teatro della casa circondariale, dopo che detenute e persone con disabilità visiva hanno mostrato gli abiti in passerella, si è tenuto un talk, coordinato dal professor Paolo Bianchini dell’Università di Torino), con tutti i diretti protagonisti (indossatrici, indossatori e sarte), insieme a esponenti delle Istituzioni, sostenitori e attori coinvolti.
«I detenuti e le detenute vivono una separazione fisica, spesso lacerante, dal resto del mondo. Nel caso delle persone con disabilità, l’isolamento è meno marcato e forse meno evidente, ma permangono barriere e pregiudizi difficili da sradicare. Ecco perché questi due mondi, in apparenza lontani, hanno in realtà alcuni aspetti in comune – fanno notare, per l’UICI di Torino il presidente Gianni Laiolo e l’ideatrice del progetto Alessia Dall’Antonia –. Ma, al di là dei ruoli e delle categorie, esistono solo le persone. È stato bello e, per certi versi, commovente, notare come, fin dall’inizio del progetto, le donne detenute e le donne con disabilità visiva siano riuscite a interagire, con grande naturalezza, condividendo non solo il lavoro manuale, ma anche domande, riflessioni e aspetti delle loro vite. Facciamo tesoro di questa esperienza, per molti versi inedita, perché è un seme da custodire e far crescere». (L.M.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa UICI di Torino (Lorenzo Montanaro), ufficio.stampa@uictorino.it.L'articolo Donne detenute e donne con disabilità interagiscono, creano abiti e sfilano insieme proviene da Superando.
La storia intensa e coraggiosa del Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), che ha trasformato Bolzano in un centro di eccellenza per il teatro inclusivo è stata recentemente raccontata, come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine, nel libro Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt 2013-2023. Dieci anni straordinariamente normali, un volume decisamente degno di attenzione. Del libro stesso e di molto altro abbiamo parlato con Antonio Viganò, fondatore e direttore della Ribalta.
Il Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt ha sempre rivendicato il diritto di essere “parte del teatro” e non “un teatro a parte”. In quale modo questa visione si è evoluta nel corso dei dieci anni raccontati nel libro?
«Qualcosa lentamente è cambiato. Quando oggi parliamo di “teatro sociale” o di “teatro handicap” o di “teatro inclusivo”, il sostantivo è sempre più spesso la parola teatro e questo ci aiuta per definire che l’attività creativa, con tutti i linguaggi e/o le forme possibili che il teatro ci dà, appartiene a tutti e non solo a talune categorie. Si distingue meglio ciò che appartiene all’atto teatrale che si carica su di sé la responsabilità etica e politica di un’estetica, di un linguaggio, una forma, una consapevolezza di essere “attori”, che si trasformano e che trasformano. La visione delle diversità in scena, la visione delle infinite sproporzioni e asimmetrie fisiche e mentali, una volta suscitava soltanto pietismo e bastava; oggi, quando fatto con serietà, il teatro è capace di evocare i segreti e i misteri originali che ha sempre custodito in sé.
Poi c’è chi invece appartiene a quello che è un atto importante e necessario di liberazione personale, esperienza privata di consapevolezza e coscienza di sé, scoperta delle emozioni e sentimenti. Chi vuole dare senso al teatro ha bisogno che tutti questi elementi – estetica, consapevolezza, coscienza scoperta e presenza – si fondano insieme».
Rivendicate la volontà di essere un soggetto culturalmente utile e non utile socialmente: è un’affermazione che mira anche a contrastare il cosiddetto “politicamente corretto” come forma di edulcorazione dei rapporti sociali o c’è dell’altro?
«È la volontà di ribadire che il nostro diventare e/o essere socialmente utili avviene e si materializza nel momento in cui il nostro essere un soggetto culturale, una compagnia di teatro d’arte, modifica tutti i paradigmi, sconfigge le ingiustizie, i pregiudizi, i giudizi affrettati, le paure e gli stereotipi di chi crede che essere una persona in situazione di disagio e handicap fisico e psichico non possa essere qualcos’altro che non la sua patologia. Il buonismo fa danni profondi e ingessa le persone nella loro condizione. Una “tirannia della normalità”, come l’ha chiamata Julia Kristeva».
L’approccio artistico della compagnia non è né terapeutico né pedagogico, ma mira a cogliere il mistero e la diversità delle esperienze umane. Come questa prospettiva ha influenzato le scelte drammaturgiche e gli spettacoli prodotti, tenendo conto che i vostri spettacoli attingono alle fonti più diverse (fiabe, tragedie di Shakespeare, opere di Pirandello, letteratura ottocentesca)? In altre parole, come scegliete i testi e cosa vi guida in questa scelta?
«Lavoriamo sui temi che – provenienti da fonte diverse, opere e testi drammatici, romanzi, anche solo piccole suggestioni poetiche – ci cadono addosso o forse, più sinceramente, mi cadono addosso. Ho attori e attrici di qualità, consapevoli del peso e del senso delle parole che dicono sul palco, pienamente coscienti e padroni delle emozioni che provano. Questo mi permette di buttare in sala prove suggestioni, azioni, momenti di dialogo e approfondimento e vedere, dalle risposte che ricevo da loro stessi, cosa scaturisce. Ognuno è un narratore della propria vita, della propria esperienza e filtra le mie proposte dentro questo sentire, dentro questo essere. Ci sono parole, nei grandi testi, che nei corpi e nelle parole dei miei attori risuonano profondamente, prendono un senso più grande: “Vogliamo dimostrarvi che si nasce alla vita in tanti modi e in tante forme” (Pirandello), recitato da un mio attore che porta sul corpo lo stigma di una diversità rimanda questi versi a nuovi significati».
Il volume che recentemente ha ripercorso il percorso del vostro teatro lo ha fatto attraverso analisi e testimonianze. Ma ci sono anche aspetti del lavoro della compagnia che sono rimasti fuori dalla narrazione del libro?
«Tante cose, forse troppe. Solo nella poesia di Paola Guerra si può intravedere l’amore per il lavoro, l’accanimento per trovare una lingua teatrale che ci corrisponda, le gioie e le felicità di quando ci sentiamo dire “Incredibile, nessuno avrebbe mai immaginato tanta bellezza e tanta professionalità, qualità attoriale!”. È tutto fatto sempre lontano da ogni forma di narcisismo personale. Solo per una scommessa con noi stessi di essere capaci di trasformare sguardi e pensieri.
Il teatro, così come la danza, è un linguaggio che comunica, in mille forme diverse, l’idea di bellezza: ma cos’è per voi – e per noi – la bellezza? Ci piace usare spesso un pensiero del filosofo coreano Byung-chul Han dove la bellezza non è intesa come stupore, ma come spiazzamento, quasi doloroso, perché interroga. La bellezza che si nutre di quella ferita che è generatrice di arte».
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A seguito dell’approvazione della Legge 150/24 (Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati), il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato l’Ordinanza sulla valutazione degli alunni per l’anno scolastico 2024/25 n. 3 del gennaio di quest’anno e la Circolare n. 2867, sempre in gennaio, in cui si recepiscono le novità introdotte da tale Legge.
Quest’ultima ha introdotto l’obbligo della valutazione per gli alunni di scuola primaria con «6 giudizi sintetici» che sostituiscono i voti (“Ottimo”, “Distinto”, “Buono”, “Discreto”, “Sufficiente”, “Non sufficiente”). In tal senso il Ministro ha mantenuto la promessa che avrebbe eliminato tutti i giudizi inferiori a 5, perché inutilmente screditanti; infatti il giudizio sintetico più basso è non sufficiente, onnicomprensivo.
Ovviamente, accanto ad ogni giudizio sintetico dev’essere formulato un “descrittore” che è la griglia di valutazione e la motivazione del giudizio sintetico stesso; per maggiore chiarezza, è possibile, ma non obbligatorio, indicare pure gli obiettivi di apprendimento il cui livello di raggiungimento per ogni singola disciplina chiarisce ulteriormente il significato del giudizio sintetico e la motivazione di esso: la Circolare fornisce alcuni esempi molto chiari a tal proposito.
Per gli alunni con disabilità e DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) un’apposita norma, l’articolo 4 della suddetta Ordinanza n. 3, stabilisce che la valutazione venga effettuata sulla base del rispettivo PEI o PDP [Piano Educativo Individualizzato e Piano Didattico Personalizzato, N.d.R.], ciò in base al principio di personalizzazione chiaramente espresso, per gli alunni con disabilità, dall’articolo 16, comma 2 della Legge 104/92, secondo il quale il PEI dev’essere formulato guardando alle «effettive capacità» dell’alunno, e quindi non agli obiettivi fissati per tutta la classe; inoltre, il comma 1 dello stesso articolo 16 stabilisce che sia legittima «la riduzione parziale» dei contenuti di talune discipline che possono essere sostituiti da «attività integrative». Si badi bene, però, che non è consentito escludere lo studio e quindi la valutazione anche di una sola disciplina, poiché, in tal caso, l’alunno otterrà sì l’ammissione alla classe successiva sino alla terza media e agli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione, non potendo però conseguire il diploma, come stabilito dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 62/17, ma ricevendo solo un “attestato”. Egli, invece, dev’essere promosso alla classe successiva e ha diritto al diploma, se raggiunge «gli obiettivi del suo PEI», anche ovviamente qualora essi non corrispondano a quelli stabiliti dalle Indicazioni nazionali e dal PTOF di istituto (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) per tutti gli alunni, purché dimostri «dei progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti».
Di qui, pertanto, vi sono due operazioni necessarie da compiersi da parte dei docenti della classe: 1) Effettuare dei test di ingresso all’inizio dell’anno scolastico per rilevare i «livelli iniziali degli apprendimenti», valutando l’eventuale miglioramento durante l’anno scolastico; 2) Individuare bene gli obiettivi del PEI, calibrati «sulla base delle effettive capacità». A tal proposito giunge opportuna la previsione dell’Ordinanza n. 3/25, “facoltativa” per tutti, ma obbligatoria per l’alunno con disabilità, di indicare, nel documento di valutazione, oltre al descrittore del giudizio sintetico, pure «gli obiettivi specifici» fissati nel suo PEI.
Quanto alla valutazione del comportamento, la Legge 150/24 citata ha introdotto anche per la scuola secondaria di primo grado la penalizzazione sul profitto degli alunni che conseguono un giudizio negativo inferiore a 6, consistente nella bocciatura.
Infine, l’Ordinanza e la Circolare citate precisano che, dato il ritardo di emanazione di tali atti, solo per quest’anno la valutazione finale non può effettuarsi sulle valutazioni di tutto l’anno scolastico, ma solo sulla base dell’ultimo periodo valutativo fissato da ciascuna scuola, sia esso il trimestre o il quadrimestre.
Essendo proprio adesso in corso gli scrutini e gli esami degli alunni di scuola primaria, sembra opportuno fare qualche breve riflessione su tale nuova normativa. Quanto all’ultima disposizione citata, è però da ritenere, come espressamente previsto dalla norma, che il giudizio inferiore a sei circa la condotta degli alunni delle scuole secondarie di primo grado debba riguardare pure comportamenti molto negativi svolti anche durante il primo quadrimestre, a differenza della valutazione finale del profitto che, solo per quest’anno, si baserà esclusivamente sui risultati rilevati durante il secondo periodo dell’anno scolastico.
E a proposito della sanzione disciplinare della bocciatura per gli studenti delle scuole superiori – e ora pure per gli alunni delle scuole primarie – conseguente a comportamenti gravemente scorretti, mi permetto di osservare che la ritengo una pena eccessiva, che può alterare i risultati degli apprendimenti e che potrebbe in taluni casi avere pure effetti distorsivi.
Infatti la cosiddetta “generazione Z”, cioè i giovani nati negli ultimi vent’anni, è costituita da adolescenti fortemente esposti a sollecitazioni che stanno disturbando la loro normale crescita emotiva, affettiva e razionale. L’esposizione ai social fin dalla più tenera età, ad esempio, sta producendo molti effetti psicologici mai verificatisi prima, con conseguenze negative sulla crescita della loro personalità. Mai come oggi, infatti, le cronache segnalano casi di adolescenti aggressivi o, al contrario, chiusi in sé e in casa. Pertanto una bocciatura potrebbe indurre l’adolescente a non tornare a scuola per ripetere, rendendolo uno dei tanti giovani che né studiano né lavorano, ossia i più esposti al rischio di divenire asociali e preda della malavita. E quindi, invece della bocciatura, che talora potrebbe assurdamene riguardare adolescenti con buoni risultati di profitto scolastico, sarebbe stato e sarebbe più opportuno pensare ad altri tipi di mezzi correttivi.
Ad esempio, mentre gli alunni continuano a frequentare la classe successiva, si potrebbe coinvolgerli, al pomeriggio, in attività sociali con cooperative o altri Enti del Terzo Settore che insegnano l’italiano ai giovani stranieri, o che si occupano di mense per i poveri o ancora di altre attività di promozione sociale. Forse queste attività obbligatorie, più della ripetenza, potrebbero aiutare questi adolescenti a divenire più rispettosi degli altri e quindi pure di sé.
*Il presente approfondimento è già apparso in «La Tecnica della Scuola», con il titolo “Valutazione alunni primaria: tornano i giudizi sintetici, il “nodo” del comportamento” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore e con altro tiolo, per gentile concessione.
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«Nel corso degli anni, la Pedagogia Speciale è stata chiamata ad affrontare sfide e bisogni educativi di crescente complessità, soprattutto in virtù del superamento dei confini rappresentati dalla più classica e codificata definizione di disabilità. Una complessità che richiede necessariamente uno sguardo transdisciplinare, mettendo in dialogo modi differenti di leggere e costruire la realtà dell’inclusione, abitando quei territori di confine che possono dar luogo a sconfinamenti e spaesamenti epistemologici, ma che possono al contempo essere forieri di incontri e di sentieri condivisi. Obiettivo di questo incontro, quindi, è favorire una riflessione sulla vocazione transdisciplinare della Pedagogia Speciale e su come sia possibile costruire percorsi inclusivi, favorendo appunto il dialogo e lo sconfinamento tra differenti prospettive disciplinari».
Viene presentato così il Convegno Nazionale 2025 della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), denominato La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera. L’inclusione nel dialogo transdisciplinare, tra sentieri e sconfinamenti, in programma domani, 13 giugno e sabato 14 presso l’Università di Udine e in collaborazione con la stessa, avvalendosi anche del patrocinio della CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità). (S.B.)
Ringraziamo CERPA Italia per la segnalazione.
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Per difendere il loro diritto alla Vita Indipendente, intesa come assistenza personale autogestita, le persone con disabilità della Toscana sono scese in piazza tante volte. L’ultima lo scorso 5 maggio, sollecitate dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), a Firenze, nonostante l’allerta meteo arancione e la presenza di due file di Carabinieri schierati davanti al palazzo della Presidenza della Regione per impedire che le persone intervenute al presidio potessero entrare a ripararsi dalla pioggia (ne abbiamo riferito anche su queste pagine). In quell’occasione, nel primo pomeriggio, dopo diverse ore sotto la pioggia, due esponenti dell’AVI Toscana erano stati ricevuti da Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, e da Serena Spinelli, assessora regionale alle Politiche Sociali. La delegazione aveva così potuto esporre le ragioni della protesta e anche le proprie osservazioni sulla Proposta di Legge Regionale sulla Vita indipendente, elaborate da Raffaello Belli, e liberamente fruibili a questo link.
Dunque, le persone con disabilità attendevano un riscontro circa la disponibilità della Regione Toscana ad accogliere le richieste avanzate, ma non avendo ricevuto dalla Dirigenza alcuna comunicazione in merito, l’AVI Toscana ha deciso di indire un ulteriore presidio di protesta, ancora una volta a Firenze, davanti al palazzo delle Presidenza della Regione Toscana (Piazza Duomo, 10), per il pomeriggio del 16 giugno prossimo (dalle 14.30), allo scopo di sollecitare il presidente Giani a risolvere i problemi illustrati nell’incontro del 5 maggio.
Per l’AVI Toscana, attualmente, i problemi più urgenti da risolvere sono i seguenti:
1. Erogazione del contributo assegnato entro il giorno 25 del mese di riferimento.
2. Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale di ogni singola persona con disabilità.
3. Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale in base al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e a quanto stabilito dall’INPS.
4. Rendicontazione almeno trimestrale, concedendo almeno quindici giorni per la consegna della stessa.
5. Eliminazione delle differenze di trattamento fra le varie zone della Toscana.
Anche in questa occasione dall’organizzazione raccomandano di portare l’ombrello, questa volta per ripararsi anche dal sole. «Si sollecita la presenza a tale presidio di quante più persone con disabilità possibile e di tutte le persone senza disabilità che vorranno e potranno sostenere questa battaglia di civiltà»: è l’appello dell’AVI Toscana. (Simona Lancioni)
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Favorire l’inclusione sociale di ragazzi e ragazze con disabilità, proponendo all’interno della scuola occasioni di socializzazione e formazione, per promuovere la partecipazione attiva e guardare con fiducia alla vita adulta: come avevamo scritto nel marzo scorso, presentando l’iniziativa, era stato questo l’obiettivo per cui era nato il progetto Patti di Amicizia Lunga, realizzato a Milano da CBM Italia, la nota organizzazione internazionale impegnata nella salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità in Italia e nel mondo, con il contributo della Fondazione di Comunità Milano.
Dall’inizio del progetto, dunque, sono stati coinvolti ben 435 studenti e studentesse, con e senza disabilità, di tre istituti secondari di secondo grado del capoluogo lombardo (Istituto Galilei-Luxemburg, Istituto Besta, Istituto Oriani Mazzini), in diversi laboratori dedicati ad adottare comportamenti inclusivi, migliorando così la qualità di vita dentro e fuori la classe.
I primi incontri sono stati utili alle esperte di CBM Italia per raccontare in cosa consista la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e l’approccio di essa basato sui diritti umani, oltre all’utilizzo di un linguaggio inclusivo e rispettoso. Sono seguiti quindi momenti di riflessione e scrittura sulle relazioni, sul futuro, sull’esclusione, e ancora, racconti e confronti.
Da tutto ciò, i ragazzi e le ragazze hanno inventato il gioco denominato Fammi una domanda. Un gioco senza etichette, basato su un mazzo di carte, che corrispondono a 45 domande emerse durante i laboratori, domande che facilitano il confronto, la conoscenza e la comprensione dell’altro. Eccone alcune qui di seguito:
°Com’è far parte di un gruppo?
°In cosa ti senti diverso dalle persone che ti circondano?
°Quando mi guardi, cosa vedi?
°In questo momento della tua vita, se l’esclusione fosse una persona, chi sarebbe?
°Quando ti senti escluso, è sempre colpa degli altri o anche tua?
°Cosa faresti se il gruppo ti chiedesse di escludere qualcuno?
Un gioco educativo, dunque, creato per facilitare il dialogo, cambiare punto di vista e rispettare le diversità. Come spiegano le istruzioni del gioco stesso, «per liberarsi dal pregiudizio e dalle etichette, per scoprire cosa abbiamo in comune. Il gioco non ha regole e non prevede vincitori, ma richiede una certa dose di coraggio». (S.B.)
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