Superando

Lo sterminio delle persone con disabilità: quel triste preludio dell’Olocausto

Tra i tanti crimini del regime nazista, l’“Aktion T4” si distingue per la crudeltà con cui le persone con disabilità furono private del diritto alla vita. Questo programma di sterminio portò all’eliminazione di oltre 270.000 persone, considerate dal regime nazista “vite indegne”, caratterizzandosi come un tragico preludio della “Shoah” di cui anticipò le metodologie. Ne parliamo con Silvia Cutrera, una delle maggiori studiose a livello nazionale di “Aktion T4” Il castello di Hartheim nei pressi di Linz, in Austria, ospedale psichiatrico che divenne un centro di sterminio di persone con disabilità, nell’àmbito del programma “Aktion T4”

Tra i tanti crimini perpetrati dal regime nazista, l’Aktion T4 si distingue per la crudeltà con cui le persone con disabilità furono private del diritto alla vita. Il nome di questo programma di sterminio trae origine dall’indirizzo di Berlino Tiergartenstrasse n. 4, dove il progetto, avviato nel 1939, segnò l’inizio di una serie di politiche che portarono alla disumanizzazione e all’eliminazione di centinaia di migliaia di vite umane (si parla di oltre 270.000 persone), considerate dal regime nazista “vite indegne”. Sebbene meno conosciuto rispetto alla Shoah, l’Aktion T4 ne anticipò le metodologie e ne condivise pienamente l’ideologia.
Ho incontrato nei giorni scorsi Silvia Cutrera, tra le maggiori studiose a livello nazionale del programma Aktion T4, con la quale, in occasione del Giorno della Memoria del 27 gennaio, siamo tornati su questa pagina drammatica della storia del XX secolo.
È importante parlarne, perché rappresenta il primo sterminio sistematico organizzato dal regime nazista su di un intero gruppo sociale: le persone con disabilità.

Nel 2015, su queste pagine, la nostra direttrice Stefania Delendati in un bell’articolo parlò di Aktion T4 come del “primo Olocausto”. Ti senti di concordare con questa definizione?
«Sì, possiamo definirlo assolutamente così, perché fu il primo esperimento di sterminio su base ideologica. Attraverso l’Aktion T4, infatti, il nazismo mise in atto il concetto di “vite indegne di essere vissute”. Fu un genocidio fisico e simbolico: le persone con disabilità vennero rappresentate come un peso per la società e private della loro dignità. Tecniche come le camere a gas e un’organizzazione burocratica pressoché maniacale, curata fin nei più piccoli dettagli, furono testate in questo contesto e poi perfezionate per la Shoah. In questo senso, l’Aktion T4 fu un banco di prova per la macchina genocida nazista».

Alla base dell’Aktion T4 vi furono teorie pseudoscientifiche come l’eugenetica. In che cosa hanno di più influenzato questo programma?
«L’Aktion T4 si fondava su teorie eugenetiche e sul darwinismo sociale. L’eugenetica, sviluppata nel XIX secolo, sosteneva la necessità di migliorare la “qualità genetica” della popolazione, promuovendo la riproduzione dei “migliori” e limitando quella dei “deboli”. Il darwinismo sociale, invece, proponeva che solo i più “adatti” dovessero sopravvivere, giustificando così l’eliminazione dei “non idonei”. Un testo cruciale fu Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens (“La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore”) dello psichiatra Alfred Hoche e del giurista Karl Binding, uscito nel 1920, con la teoria che alcune vite fossero prive di valore, sia per chi le viveva sia per la società. Queste idee furono integrate nell’ideologia nazista, con la collaborazione attiva di medici e scienziati».

Come reagì la società tedesca all’Aktion T4?
«La reazione fu complessa, benché prevalentemente passiva. Molti tedeschi, influenzati dalla propaganda, accettarono il programma, credendo alla narrazione che le persone con disabilità fossero un peso economico. Altri, invece, tra cui anche alcuni medici, si opposero: familiari delle vittime, inoltre, denunciarono le sparizioni, e figure religiose come il vescovo Clemens August von Galen condannarono pubblicamente il programma. La sua omelia del 1941 a Münster scosse la società e fu tra le ragioni che portarono Hitler a sospendere ufficialmente il programma. L’Aktion T4, tuttavia, continuò segretamente fino alla fine della guerra».

Quali erano i principali centri di sterminio?
«I centri erano sei. Tra i più noti si ricordano Grafeneck, Hartheim e Hadamar, tutti ospedali psichiatrici trasformati in luoghi di sterminio. Le vittime venivano uccise con gas, iniezioni letali o fame forzata. Questi luoghi non furono scelti a caso: erano isolati, lontani dai centri urbani, per nascondere le operazioni. Le tecniche sviluppate lì furono poi applicate nei campi di sterminio durante la Shoah».

Si è iniziato a parlare di Aktion T4 in tempi relativamente recenti. Quando secondo te si è manifestato un vero interesse da parte degli storici?
«Gli studiosi hanno cominciato ad approfondire il tema solo dagli Anni Sessanta. Durante i processi di Norimberga (1945-1946), alcuni dettagli del programma erano stati resi noti, soprattutto attraverso le testimonianze di medici e funzionari coinvolti, ma l’attenzione degli storici e dell’opinione pubblica si concentrò maggiormente sulla Shoah e sugli altri crimini di guerra nazisti. La ricerca sull’Aktion T4 è cresciuta con il tempo, grazie a studiosi come Henry Friedlander, che hanno dimostrato come questo programma abbia gettato le basi ideologiche e tecniche per il genocidio su larga scala. Negli ultimi decenni, l’interesse accademico e sociale è cresciuto notevolmente. Sono stati aperti memoriali e musei, come quello della Tiergartenstrasse 4 a Berlino, e sono stati pubblicati molti studi che indagano non solo i dettagli operativi del programma, ma anche le implicazioni etiche di esso e la memoria delle vittime. Questo riflette una maggiore consapevolezza storica e una volontà di rendere giustizia a una categoria di vittime che per lungo tempo era rimasta nell’ombra».

Da oltre vent’anni ormai, con i tuoi tanti incontri e conferenze parli e racconti dell’Aktion T4. Qual è la reazione più frequente che hai potuto notare?
«Molti rimangono scioccati. L’idea che medici e scienziati abbiano potuto collaborare a un programma tanto crudele mette in crisi la visione della medicina come disciplina etica. Altri, soprattutto nelle nuove generazioni, reagiscono con un profondo senso di responsabilità e si interrogano sul rischio che simili ideologie possano riemergere.
In un mondo dove temi come la selezione genetica e il valore della vita umana sono ancora dibattuti, la conoscenza dell’Aktion T4 invita a riflettere su come evitare che scelte apparentemente “scientifiche” possano essere usate per giustificare discriminazioni o violazioni dei diritti umani».

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La Regione Campania al Centro NeMO di Napoli, con le Associazioni di malattie neuromuscolari e neurodegenerative

Una delegazione di persone con malattie neurodegenerative e neuromuscolari, rappresentata dai Centri Clinici NeMO (NeuroMuscular Omnicentre), dall’AISLA, dalla UILDM e dall’Associazione Famiglie SMA, ha incontrato a Napoli i vertici della Regione Campania, guidati dal presidente Vincenzo De Luca, durante un incontro che ha messo in luce i significativi traguardi raggiunti dal Centro NeMO Napoli nei suoi primi quattro anni di attività Aniello Colasante, sul lettino dell’ambulatorio, circondato dallo staff del Centro NeMO Napoli, è l’ingegnere che ha riconquistato autonomia grazie al trattamento multidisciplinare presso il Centro stesso

Una delegazione di persone con patologie neurodegenerative e neuromuscolari, rappresentata dall’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), dalla UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e dall’Associazione Famiglie SMA, accompagnata da Marco Rasconi, presidente dei Centri Clinici NeMO (NeuroMuscular Omnicentre), ha incontrato a Napoli il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, insieme al direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli-Ospedale Monaldi, Anna Iervolino, e a Lucia Fortini, assessora della Regione Campania alla Scuola, alle Politiche Sociali e Giovanili della Regione Campania.
L’incontro ha avuto l’obiettivo di illustrare i risultati conseguiti dal Centro NeMO Napoli dell’Ospedale Monaldi, giunto al suo quinto anno di attività, e di condividere le prospettive future per il supporto alle famiglie campane nell’àmbito del Coordinamento Regionale delle Malattie Rare.

«Il nostro impegno quotidiano vuole garantire risposte di cura mirate al bisogno complesso della nostra comunità – ha dichiarato Marco Rasconi, presidente dei Centri NeMO –. Per questo è fondamentale il sodalizio con le Istituzioni che, come la Regione Campania, rendono concreto il valore della co-progettazione per il bene di tutti».
«Il Centro NeMO Napoli – ha osservato dal canto suo Anna Iervolino – è un punto di riferimento per i pazienti affetti da patologie neuromuscolari e neurodegenerative provenienti da tutta la Campania e dalle Regioni limitrofe. Con un’équipe di 49 professionisti e un’offerta di 26 posti letto, il Centro ha già preso in carico oltre 800 pazienti, con una media di 140 prime visite ogni anno. Adottiamo un approccio specialistico integrato nella gestione delle complicanze e, forti dell’expertise dell’Ospedale Monaldi, noto per la sua eccellenza clinica in campo cardiorespiratorio, lavoriamo per implementare il progetto».

Innovazione terapeutica e ricerca si combinano dunque in un modello integrato e multispecialistico, nel Centro dell’Ospedale Monaldi di Napoli, che è parte della rete nazionale di NeMO, offrendo un modello innovativo di collaborazione tra pubblico e privato sociale, all’insegna della co-progettazione e della co-programmazione, ciò che consente di rispondere alle esigenze complesse della comunità neuromuscolare.
L’impatto concreto sulla vita dei pazienti è testimoniato dalle numerose testimonianze di persone con disabilità e dei loro familiari che raccontano come NeMO Napoli abbia trasformato la loro qualità di vita. Una delle storie più toccanti è quella di Aniello Colasante, ingegnere settantenne di Napoli, affetto da miastenia grave refrattaria, la cui straordinaria ripresa ha catturato l’attenzione del web. Dopo quasi due anni di trattamenti intensivi e riabilitazione al Centro NeMO, infatti, Colasante ha riconquistato una parte significativa della sua autonomia, dimostrando quanto possa essere decisivo l’approccio multidisciplinare nella cura.

Nel suo intervento, Anita Pallara, presidente dell’Associazione Famiglie SMA, ha dichiarato: «Le nuove terapie stanno ridisegnando la SMA (atrofia muscolare spinale), ma la vera sfida è una continuità di cura che risponda ai bisogni delle nuove generazioni, valorizzando ogni aspetto della persona».
Queste invece le parole di Pina Esposito, segretaria nazionale dell’AISLA: «L’evoluzione della presa in carico è fondamentale per garantire continuità assistenziale durante tutto il percorso di vita, supportando i pazienti nelle transizioni tra domicilio, ospedale e i vari livelli di cura».
Infine Salvatore Leonardo, presidente della UILDM di Arzano, ha concluso: «Sebbene non esista ancora una cura definitiva, un trattamento tempestivo e continuativo può raddoppiare le aspettative di vita, migliorando significativamente anche la qualità della stessa».

L’incontro con il presidente della Campania De Luca ha messo in luce, quindi, i significativi traguardi raggiunti dal Centro NeMO territoriale nei suoi primi quattro anni di attività, focalizzandosi in particolare sull’efficacia del modello integrato e multidisciplinare nel migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità.
Tra le prospettive future, l’obiettivo principale è quello di garantire la continuità del percorso di cura tra ospedale e territorio, mentre l’ascolto delle necessità dei pazienti continuerà a guidare le risposte del sistema sanitario campano, con NeMO Napoli impegnato a svolgere un ruolo sempre più centrale. (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: Stefania Pozzi (stefania.pozzi@centrocliniconemo.it).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con una serie di riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Riflessioni sulla vita indipendente (quella reale) e sul lavoro

«Credo che la vita indipendente – scrive tra l’altro Matteo Menozzi –, per essere reale, dovrebbe poggiare su più gambe stabili, a partire da un lavoro che sia il più soddisfacente possibile, che non porti discriminazioni e che sia retibuito in modo accettabile, per poterti far sentire incluso e poter badare a te stesso e alle tue spese anche senza pensione»

Ho letto in Superando i contributi di Liana Cappato (Cosa piace fare a una persona? Questa dev’essere la domanda!) e di Enrichetta Alimena (Lavoro e disabilità: una chimera anche per chi studia e ha un’alta formazione) e vorrei portare la mia esperienza da utente di un progetto di vita fatto con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
Ho 37 anni, sono di Parma, sono laureato in Relazioni Internazionali e mi sto laureando in Giornalismo; ho una rara malattia agli occhi che mi permette di vedere “come un cavallo”, e sono troppo poco cieco per prendere l’ ipovedenza. Riesco a lavorare bene con i computer e ho più di 3.000 ore di corsi di informatica alle spalle fatti tra il 2018 e il 2022. Adesso sto lavorando in una media azienda di Bologna in smart totale e mi sta piacendo; peccato che il contratto sia fino a giugno. Ho lavorato da informatico per l’ANFFAS, ma è stato uno stillicidio.

Credo che la vita indipendente dovrebbe in realtà poggiare su più gambe stabili, vale a dire:
° In primis un lavoro che ti dia il diritto, se lo mantieni per tanto tempo, ad essere appunto stabile e ad avere quindi più possibilità di sottoscrivere ad esempio un mutuo o di avere la possibilità di un contratto d’affitto, e magari anche di sottoscrivere un’assicurazione sulla vita e sugli infortuni come si dice anche nell’articolo 25 (Salute) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
° Un’integrazione che significhi poterti vedere con le stesse possibilità di sviluppo umano di una persona senza disabilità;
° La libertà di fare ciò che si vuole, ovviamente nei ranghi della legge, e parlo di sei liberta essenziali, che sono: la libertà di programmarsi la giornata e la serata; la libertà di rappresentarsi davanti alla legge; la libertà di impresa; la libertà di movimento; la libertà di rappresentare/essere rappresentato/a da chi si vuole; la libertà di vivere con chi e dove si vuole, come sostiene l’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione ONU e che a mio parere nei progetti di vita non viene rispettato.
Ebbene, siamo sicuri che i progetti di vita ti facciano avere tutte queste specifiche della vita indipendente? Per ovviare a problemi come il mio si ricorre ad agenti informatici o ad agenti facilitanti, ma siamo certi che per tutte le persone con un certo problema come il mio vadano bene gli stessi ausili? La risposta è no, perché non si fa una reale valutazione di impatto sullo stile di vita e la volontà di integrazione della persona con disabilità, e ritengo che non lo si farà realmente nemmeno con il Decreto Legislativo 62/24 [“Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”, N.d.R.].
Basandomi sulla mia esperienza, dico che per me quegli ausili non sono sufficienti, in quanto, non avendo la patente, ho problemi anche a spostarmi con mezzi pubblici, nel salire e scendere, perché non percependo bene la profondità, non vedo lo scalino del bus e rischio di cadere. Con dei pesi come le borse della spesa avrei poi più rischio ancora di cadere, scendendo dal bus, perché in un certo senso mi oscurano la visuale e quindi rischierei di farmi del male o di fare del male agli altri.
Mi si dice che ci sono Uber, i taxi o altri servizi, sì, è vero, ma costano, e non c’è nessuna forma di abbonamento o prezzo calmierato per le persone con disabilità, mentre gli altri servizi sono ad appanaggio delle persone che vivono in città e i servizi comunali sono solo per chi ha una disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3 della Legge 104/92, mentre io, essendo riferito all’articolo 3, comma 1, non posso usufruirne.
Questo è un vulnus per la libertà di movimento e la libertà di scegliere dove vivere; dovrei per forza vivere in città, per avere tutti i servizi e la libertà di movimento, e quindi niente libertà di scelta sul luogo in cui vivere!

Altra cosa, sempre parlando di progetto di vita, è la standardizzazione del progetto stesso, dove tu sei una pedina e vieni “incasellato” da terzi, con altre persone che non conosci o che anche conosci, ma senza avere nulla a che vedere con le loro problematiche patologie. Non riesci quindi ad essere umanamente coinvolto nel progetto, e magari, anziché farti integrare, ti fa sentire ancor più patologia che persona.
L’idea che ti fai del progetto dipende molto da come viene gestito e il mio è stato gestito assai male per vari motivi (incontri schedulati e avvenuti, però cancellati dalla memoria; progetti che dovevano essere cambiati nel tempo di cui dovevo ricevere effettiva comunicazione, ciò che però non è mai avvenuto; valutazioni basate su incontri mai avvenuti).

Ritornando al tema del lavoro, esso deve essere il più soddisfacente possibile e non portare a discriminazioni o, peggio ancora, a farti sentire segregato, perché lavori solo ed esclusivamente con la tua categoria di persone. Oltretutto il lavoro deve darti anche una paga accettabile, per poterti far sentire incluso e poter badare a te stesso e alle tue spese anche senza pensione.
Tra i problemi del collegamento tra domanda e offerta di lavoro, vi è che molte volte non ti fanno fare esperienza, cosicché se ti rivolgi al pubblico o al privato (LinkedIn o agenzie per il lavoro), più vai avanti con l’età, facendo poca esperienza, più sei penalizzato anche in fase di incentivazione che dà lo Stato per le aziende. In poche parole, se sei trentacinquenne o quarantenne senza esperienza, anche se hai molto background di studio e se sei senza aiuti contributivi per le aziende per assumerti, non vedi futuro, appunto perché non hai fatto esperienza.
In teoria ci dovrebbero essere fondi per l’autoimprenditorialità della persona con disabilità, ma in realtà la maggior parte dei soldi sono destinati allo sviluppo di cooperative o imprese sociali e per la persona con disabilità che vuol fare impresa è avvero difficile.

Liana Cappato, che su queste pagine ha scritto che l’idea che il figlio trascorra molte ore nella sua cameretta le dà i brividi, ha ragione, anche perché ho provato io stesso sulla ma pelle la sensazione di stare per ore, giorni, mesi nella mia cameretta senza un vero obiettivo, a vedere i tuoi amici “normodotati” riuscire nel lavoro e farsi pure una famiglia, mentre tu non ci riesci perché ti danno solo occasioni di corsi segreganti, dove puoi imparare qualcosa, ma che non ti servirà a nulla perché una volta fuori dal non ti si trova un lavoro inerente al corso, ti si dà magari una borsa lavoro. E ti può anche essere impedito di fare il servizio civile, da chi te l’ha proposto, perché stai facendo l’università; un servizio civile che ti sarebbe stato utile per far vedere la tua etica del lavoro e per fare un’esperienza significativa in un luogo che può essere non segregante.

Da persona con disabilità, devi abilitarti o riabilitarti, ma se questa riabilitazione dura a vita, lo spread di diversità si ingrandisce e non riuscirai mai a raggiungere i tuoi diritti, quello ad una vita integrata, con soldi tuoi, con cui toglierti i capricci e, chi lo può dire, raggiungere anche la sicurezza economica per farsi una famiglia.
Se c’è da vivere con routine giornalmente impostate e non ti puoi programmare le serate, perché devi rispettare certi orari e lavorare “segregati”, allora non è vita indipendente, ma un’imitazione posticcia di essa.

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Gli importi di pensioni e indennità per il 2025

Proponiamo un prospetto delle principali voci fissate dall’INPS, tramite l’Allegato 2 della Circolare n. 23 (28 gennaio 2025), relative agli aggiornamenti degli importi per il 2025 di pensioni, assegni e indennità erogati mensilmente agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordi e i relativi limiti reddituali previsti per alcune provvidenze economiche

Nell’Allegato 2 della Circolare n. 23, prodotta il 28 gennaio, l’INPS ha fissato gli aggiornamenti degli importi per il 2025 delle pensioni, degli assegni e delle indennità erogati mensilmente agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordi e i relativi limiti reddituali previsti per alcune provvidenze economiche.
Proponiamo qui di seguito un prospetto delle principali voci, comparate con quelle, definitive, relative al 2024.

Pensione ciechi civili assoluti (non ricoverati)
2025: 363,37 (limite di reddito: 19.772,50) – 2024: 360,48 (limite di reddito: 19.461,12)

Pensione ciechi civili assoluti (ricoverati)
2025: 336,00 (limite di reddito: 19.772,50) – 2024: 333,33 (limite di reddito: 19.461,12)

Pensione ciechi civili parziali (ricoverati e non)
2025: 336,00 (limite di reddito: 19.772,50) – 2024: 333,33 (limite di reddito: 19.461,12)

Pensione invalidi civili totali
2025: 336,00 (limite di reddito: 19.772,50) – 2024: 333,33 (limite di reddito: 19.461,12)

Pensione sordi
2025: 336,00 (limite di reddito: 19.772,50) – 2024: 333,33 (limite di reddito: 19.461,12)

Assegno mensile invalidi civili parziali (74-99%)
2025: 336,00 (limite di reddito: 5.771,35) – 2024: 333,33 (limite di reddito: 5.725,46)

Indennità mensile frequenza minori
2025: 336,00 (limite di reddito: 5.771,35) – 2024: 333,33 (limite di reddito: 5.725,46)

Indennità accompagnamento ciechi civili assoluti
2025: 1.022,44 (limite di reddito: nessuno) – 2024: 978,50 (limite di reddito: nessuno)

Indennità accompagnamento invalidi civili totali
2025: 542,02 (limite di reddito: nessuno) – 2024: 531,76 (limite di reddito: nessuno)

Indennità comunicazione sordi
2025: 267,83 (limite di reddito: nessuno) – 2024: 263,19 (limite di reddito: nessuno)

Assegno a vita ipovedenti gravi (decimisti)
2025: 249,38 (limite di reddito: 9.506,10) – 2024: 247,40 (limite di reddito: 9.356,39)

Indennità speciale ciechi ventesimisti
2025: 229,30 (limite di reddito: nessuno) – 2024: 221,20 (limite di reddito: nessuno)

Lavoratori con drepanocitosi o talassemia major
2025: 603,40 (limite di reddito: nessuno) – 2024: 598,61 (limite di reddito: nessuno)

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Gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, figure fondamentali per l’inclusione scolastica

«Il riconoscimento della figura professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, fondamentale per l’inclusione scolastica, con una definizione chiara del ruolo, delle competenze e della formazione necessaria»: lo chiede la Federazione FISH nella Memoria presentata alle Commissioni del Senato che stanno esaminando il Testo Unificato recante “Modifiche al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, in materia di promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità” Un’assistente per l’autonomia e la comunicazione insieme a un bimbo con disabilità visiva

«Le figure professionali degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione sono essenziali all’interno del sistema educativo nazionale, ma nonostante ciò, occorre evidenziare che l’attuale sistema non garantisce la prestazione di un servizio con eguali standard qualitativi e quantitativi uniformemente su tutto il territorio nazionale, nonché una continuità nella prestazione, essendo quest’ultima condizionata in gran parte dalle risorse degli Enti Locali»: è quanto si legge nella Memoria presentata dalla FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), su richiesta delle Commissioni Riunite 7ª (Cultura e Patrimonio Culturale, Istruzione Pubblica) e 10ª (Affari Sociali, Sanità, Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale) del Senato, nell’àmbito dell’esame del Testo Unificato AS 236, AS 793, AS 1141* (Modifiche al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, in materia di promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità).

Tra le principali proposte avanzate dalla FISH nella Memoria (disponibile integralmente a questo link), vi è dunque, come si legge in una nota della Federazione, «il riconoscimento della figura professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, con una definizione chiara del ruolo, delle competenze e della formazione necessaria. Sottolineiamo inoltre la necessità di uniformare a livello nazionale i criteri per l’accesso a questa professione, garantendo un’adeguata qualificazione e il rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in linea con quanto previsto dall’articolo 117 della Costituzione. Chiediamo infine con forza, nel testo in esame al Senato, l’eliminazione della clausola che limita l’erogazione dei servizi “nei limiti delle risorse disponibili”. La recente Sentenza 9323/24 del Consiglio di Stato ha ribadito infatti che i diritti degli studenti con disabilità non possono essere subordinati a vincoli di bilancio e quindi anche l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione deve essere garantita come diritto incomprimibile [a questo link vi è un nostro recente commento sulla Sentenza 9323/24 del Consiglio di Stato, N.d.R.]».

In altra parte della Memoria, la FISH propone anche l’introduzione di specifiche aree di specializzazione per gli assistenti, «includendo competenze per il supporto a studenti con disabilità visiva, sordi oralisti e con disabilità intellettive o del neurosviluppo», oltre alla richiesta di stabilizzazione contrattuale per gli assistenti che abbiano maturato anni di esperienza nel settore, «evitando così la precarizzazione di figure fondamentali per l’inclusione scolastica».

«Un’istruzione davvero inclusiva – commenta Vincenzo Falabella, presidente della FISH e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) – passa attraverso l’effettiva applicazione dei diritti riconosciuti dalle leggi e dalle convenzioni internazionali. Ci auguriamo quindi che il Senato accolga le nostre proposte, che mirano a colmare le attuali lacune e a garantire un sistema scolastico realmente equo e accessibile per tutti gli studenti e le studentesse con disabilità». (S.B.)

*Il Disegno di Legge AS 236 reca “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, concernenti l’introduzione del profilo professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione nei ruoli del personale scolastico”; il Disegno di Legge AS 793 reca: “Istituzione del profilo professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità”; il Disegno di Legge AS 1141 reca: “Modifiche all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, in materia di inclusione scolastica”.

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Apriti Museo!

Il corso per operatori museali, organizzato dalla Fondazione Centro Culturale Valdese e giunto alla seconda edizione, viene tenuto da professioniste del settore educativo e museale che condivideranno «le proprie pratiche, i propri dubbi e desideri nel campo dell’accessibilità comunicativa, per attuare una vera e propria “tras-formazione” dei contesti museali»

Rendere fruibile a tutte le persone, indipendentemente dalle loro condizioni, la bellezza del nostro patrimonio culturale: partirà a marzo la seconda edizione di Apriti Museo! Corso di tras-formazione dedicato ai musei che desiderano confrontarsi sul tema dell’accessibilità comunicativa, fisica e sensoriale dei patrimoni culturali, in maniera diretta, pratica e interdisciplinare. Ad organizzarlo la Fondazione Centro Culturale Valdese, in collaborazione con il Servizio di CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) del BUM Centro Autismo della Diaconia Valdese Valli.

La locandina della seconda edizione del corso “Apriti museo!”

Il corso per operatrici e operatori museali si svolgerà a Torre Pellice (Torino), dal 24 al 26 marzo, e sarà quest’anno duplice: un livello base, per chi si affaccerà per la prima volta al tema dell’accessibilità comunicativa; e un livello avanzato, per chi vorrà approfondire conoscenze già acquisite.
L’intento del corso è di proseguire nella condivisione e nella diffusione dei risultati raggiunti finora in un progetto decennale in cui le metodologie della CAA sono state studiate, sperimentate e applicate alle attività del Museo valdese, diventando parte fondante dei servizi educativi.
Durante questi anni, infatti, si sono sperimentate modalità e materiali differenti, ora tutti a disposizione dei pubblici del Museo. Questo impegno costante ha portato al riconoscimento di “Museo Altamente Comunicativo”, e anche alla pubblicazione del libro Apriti Museo. Esperienze, teorie e pratiche dell’accessibilità comunicativa per patrimoni culturali. Vol. 2, corredato dal “Quaderno degli esercizi”.

«Mettere a disposizione del territorio le competenze che abbiamo maturato grazie al nostro Servizio di CAA ci permette di portare avanti ciò in cui crediamo fermamente: il diritto alla partecipazione e alla fruizione da parte di tutti e tutte delle opportunità e delle bellezze che il patrimonio culturale offre. L’esperienza del primo corso per operatori museali condotto lo scorso anno, raccontato anche in un video (a questo link) è stata preziosa per crescere nella consapevolezza che il confronto e il dialogo sono punti fondamentali per trovare insieme modalità per promuovere una società sempre più sensibile e pronta alla convivenza delle diversità. Intendiamo quest’anno, con la proposta di due nuove occasioni di formazione e di incontro, continuare nel percorso di creazione di legami e reti che rendano sempre più solida questa possibilità», ha affermato Loretta Costantino, responsabile del BUM Centro Autismo della Diaconia Valdese Valli. (C.C.)

Le persone interessate possono mandare la propria candidatura entro il 7 marzo, compilando il form presente a questo link. Per ulteriori informazioni: Nicoletta Favout (il.barba@fondazionevaldese.org).

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Scuole paritarie e persone con disabilità

Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e di conseguenza sono tenute ad accogliere chiunque richieda di iscriversi, accettandone il progetto educativo, compresi gli alunni/alunne e gli studenti/studentesse con disabilità: lo spiega bene, fornendo anche ulteriori utili informazioni, volte ad evitare discriminazioni, un documento elaborato dal Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della Federazione LEDHA

In queste settimane decine di migliaia di studenti, che con quest’anno scolastico concluderanno la quinta elementare o la terza media, insieme alle loro famiglie sono alle prese con un’importante fase di passaggio: entro il 10 febbraio, infatti, dovranno scegliere l’istituto in cui frequentare il prossimo ciclo scolastico.
Per questo motivo il nostro Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi [della Federazione LEDHA, N.d.R.] ritiene importante ricordare alle famiglie di bambini/bambine e ragazzi/ragazze con disabilità che l’articolo 34 della Costituzione e l’articolo 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dallo Stato Italiano con la Legge 18/09, riconoscono il diritto all’istruzione e all’inclusione scolastica di tutti gli alunni e le alunne, gli studenti e le studentesse con disabilità e che garantire questi diritti ed evitare qualsiasi forma di discriminazione è compito di tutte le scuole.
«La normativa scolastica in materia di inclusione è infatti di generale applicazione, senza alcuna distinzione tra le scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado, tenute, quindi, a garantire i medesimi standard qualitativi delle scuole pubbliche», come si legge in un parere redatto dal nostro Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, che si concentra proprio sulle scuole paritarie.

Tale documento (disponibile integralmente a questo link) ricorda che questi istituti scolastici sono tenuti ad accogliere le iscrizioni degli alunni e delle alunne con disabilità, oltre che a garantire tutti gli strumenti previsti dalla legge per permettere la loro piena inclusione senza alcun onere ulteriore a carico dei loro familiari.
Le legali del Centro Antidiscriminazione precisano inoltre che un’eventuale richiesta da parte di una scuola paritaria alla famiglia di farsi carico (totalmente o anche solo in parte) del costo dell’insegnante di sostegno non solo è illegittima, ma anche discriminatoria. In questo caso, infatti, si sarebbe in presenza di una discriminazione diretta ai sensi della Legge 67/06 che all’articolo 2 afferma: «Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in una situazione analoga».
Il parere del Centro Antidiscriminazione precisa inoltre, come anticipato, che «la mancata assegnazione di insegnante di sostegno così come subordinare l’iscrizione alla stipula di un accordo a parziale o totale copertura del costo dell’insegnante di sostegno è illegittima nonché discriminatoria». In base a quanto previsto dalla normativa, infatti, le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e di conseguenza sono tenute ad accogliere chiunque richieda di iscriversi «accettandone il progetto educativo, compresi gli alunni e gli studenti con disabilità».

Le legali del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi restano per altro a disposizione delle famiglie di alunni e studenti con disabilità (antidiscriminazione@ledha.it) per ulteriori chiarimenti.

*La LEDHA è la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità è la componente lombarda della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Un’informazione chiara e corretta sulla disabilità tramite un mezzo innovativo

Con il nuovo progetto denominato “SAI in Chatbot”, l’ANFFAS intende mettere a disposizione di cittadini e cittadine la propria lunga esperienza in àmbito di informazione e formazione sui temi della disabilità, tramite un mezzo diretto e innovativo

«Sin dal 2004 abbiamo costantemente messo in campo azioni volte alla diffusione di informazioni, notizie e aggiornamenti chiari e corretti sui temi della disabilità, rispondendo ad innumerevoli quesiti posti direttamente dalla cittadinanza. Dopo l’inizio, con l’istituzione di un numero verde, queste attività sono continuate con SAI ANFFAS In Rete, Servizio SAI (Sportello Accoglienza e Informazione) che ha visto la nascita di sportelli informativi territoriali, con la realizzazione di una specifica collana di “guide operative tematiche”, affrontando i principali diritti e agevolazioni esistenti, consultabili anche online e con costanti aggiornamenti, insieme a tante altre iniziative, condotte tramite incontri online, progetti ecc. Ora vogliamo mettere a disposizione questa nostra lunga esperienza, sviluppando ulteriori modalità di accesso all’informazione chiara, corretta e completa, in modo diretto e innovativo, ossia attraverso un chatbot dedicato, rendendo in questo modo i supporti maggiormente accessibili e i riscontri ai cittadini interessati immediati e mirati».
Così dall’ANFFAS Nazionale (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e del Neurosviluppo) viene presentato il nuovo progetto di informazione e formazione denominato SAI in Chatbot, sostenuto finanziariamente da Unicredit.

Un chatbot, lo ricordiamo, è un software che simula ed elabora le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. Nello specifico della nuova progettualità avviata dall’ANFFAS, vi sarà un assistente digitale che interpreterà ed elaborerà le richieste di informazione e che, attraverso i contenuti delle guide e della Banca dati SAI dell’Associazione, fornirà risposte tempestive e pertinenti. A chiudere il cerchio, un’intensa attività di aggiornamento da realizzare con delle pillole info-formative su ogni singolo tema descritto nelle guide.
«L’obiettivo di SAI in Chatbot – aggiungono dall’ANFFAS – è raggiungere e promuovere nella massima misura possibile l’empowerment, ovvero quel processo di azione sociale attraverso il quale le persone e l’intera comunità potranno orientarsi nei provvedimenti e nelle procedure, in modo tale da garantire una piena e agevole “fruibilità” dei diritti discendenti dalle normative nazionali e regionali». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: comunicazione@anffas.net.

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Sempre più realtà editoriali scelgono l’accessibilità

«L’accessibilità è diventata una priorità per un numero crescente di editori italiani e a guidare il cambiamento è anche l’entrata in vigore della Direttiva Europea sull’Accessibilità, prevista per il 28 giugno prossimo, ma non solo»: lo dicono dalla Fondazione LIA (Libri Italiani Accessibili), registrando con soddisfazione come da questo 2025 il numero di realtà editoriali che abbiano deciso di diventarne soci sia cresciuto sostanzialmente

«L’accessibilità è diventata una priorità per un numero crescente di editori italiani e a guidare il cambiamento è anche l’entrata in vigore della Direttiva Europea sull’Accessibilità (European Accessibility Act), prevista per il 28 giugno prossimo il cui obiettivo è garantire che i prodotti e i servizi siano fruibili da parte di tutti e tutte, comprese le persone con disabilità, ciò che sta appunto portando a una trasformazione significativa nell’industria editoriale, coinvolgendo tutti gli attori della filiera (editori, librerie e biblioteche online, soluzioni di lettura, siti web e piattaforme)»: lo dicono dalla Fondazione LIA (Libri Italiani Accessibili), impegnata da oltre dieci anni per promuovere e supportare la creazione di un ecosistema editoriale accessibile a tutti e tutte, che registra con soddisfazione come da questo 2025 il numero di realtà editoriali che abbiano deciso di diventare soci della Fondazione sia cresciuto sostanzialmente, se è vero che ad essa hanno aderito Codice Edizioni, Ediciclo Editore, Editori Laterza, Il Portico Editoriale, Rubbettino e l’aggregatore Casalini Libri, quest’ultimo uno dei principali fornitori di pubblicazioni a biblioteche e istituzioni di tutto il mondo.

«Il nostro catalogo – sottolineano da LIA – cresce dunque sempre più, con i libri digitali di 82 marchi editoriali. E vi trovano spazio non soltanto titoli di narrativa, ma anche saggistica di cultura e manualistica universitaria, per un’offerta editoriale ricca e variegata, comprendente romanzi, gialli, narrativa per bambini, testi di divulgazione, di studio e di aggiornamento professionale, e che spazia dalle materie umanistiche a quelle scientifiche, a quelle di àmbito religioso o di viaggio. Va detto inoltre che anche i testi più complessi – con schemi, grafici, tabelle, formule matematiche ecc. –, quando sono realizzati secondo gli standard internazionali di accessibilità e, quindi, navigabili e fruibili dagli utenti che utilizzano tecnologie assistive, risultano essere un prodotto di qualità migliore per tutti i lettori, perché permettono la personalizzazione per le diverse esigenze di lettura».

«La Direttiva Europea sull’Accessibilità – concludono dalla Fondazione – dà sicuramente una spinta a questo cambiamento, con gli editori italiani che si mostrano in prima linea per l’accessibilità, ma il loro impegno è anche un importante riconoscimento del diritto di tutti alla lettura, che aumenta l’offerta disponibile nel mercato a un pubblico sempre più ampio e diversificato. Non è un caso che tra i nuovi soci vi siano anche piccole e medie imprese che scelgono la strada dell’inclusività, pur non essendo vincolate al rispetto degli obblighi imposti dalla normativa. Infatti, secondo l’indagine del progetto APACE (ottobre 2024) [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.], circa il 30% delle microimprese editoriali italiane che pubblicano e-book ha già titoli accessibili nei propri cataloghi. Si tratta, oltre che di una scelta strategica, di una scelta importante di valore e di responsabilità sociale». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Denise Nobili (denise.nobili@fondazionelia.org).

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Contro quei percorsi abbreviati di specializzazione per il sostegno

«Incompatibilità formativa, disparità di trattamento, sovraffollamento delle graduatorie: sono i motivi – scrivono dal Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati – per cui torniamo ad esprimere profonda preoccupazione e forte dissenso rispetto all’iniziativa che prevede l’attivazione di percorsi abbreviati di specializzazione per il sostegno, noti come “percorsi INDIRE”»

Torniamo ad esprimere profonda preoccupazione e forte dissenso rispetto all’iniziativa del Governo che prevede l’attivazione di percorsi abbreviati di specializzazione per il sostegno, noti come “percorsi INDIRE” [l’INDIRE è l’Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa, N.d.R.].
Questi percorsi, destinati ai docenti con tre anni di servizio sul sostegno senza titolo di specializzazione e a coloro che abbiano conseguito il titolo all’estero e accettino di rinunciare a contenziosi giurisdizionali, prevedono l’acquisizione di soli 30 CFU (Crediti Formativi Universitari), una riduzione significativa rispetto al tradizionale percorso TFA (Tirocini di Formazione Attiva), che richiede 60 CFU, un minimo di otto mesi di formazione in presenza, esami e tirocinio pratico.

La disparità tra i percorsi di formazione solleva diverse problematiche:
° Incompatibilità formativa: il percorso abbreviato rischia di compromettere la qualità della preparazione richiesta per affrontare le delicate sfide dell’insegnamento di sostegno, che necessita di competenze specifiche in didattica inclusiva, conoscenze sulle diverse tipologie di disabilità e padronanza di metodologie avanzate.
° Disparità di trattamento: l’introduzione di percorsi semplificati crea una disuguaglianza tra i docenti che hanno seguito un iter formativo completo e coloro che accederanno a questa nuova modalità agevolata. Una disparità denunciata attraverso molti incontri con politici dell’opposizione e interrogazioni parlamentari, per ultima quella presentata dalla deputata Elisabetta Piccolotti.
° Sovraffollamento delle graduatorie: l’accesso facilitato ai percorsi INDIRE aggraverà ulteriormente la già critica saturazione delle graduatorie per il sostegno, come evidenziato dai bollettini di nomina per supplenze annuali in numerose Province italiane, in particolare per le classi di concorso ADSS (scuola secondaria di secondo grado) e ADMM (scuola secondaria di primo grado).

Attualmente è in corso l’undicesimo ciclo del TFA Sostegno, che garantirà la specializzazione di circa 29.000 docenti, con la previsione di un successivo dodicesimo ciclo. Questi percorsi, già consolidati, permettono ai docenti triennalisti di accedere con facilitazioni senza compromettere l’equità e la qualità della formazione.
Denunciamo quindi con forza l’attivazione di percorsi semplificati, chiedendo al Governo di garantire percorsi formativi rigorosi e omogenei per tutti i docenti, nell’interesse degli alunni e alunne con disabilità, delle loro famiglie e della qualità del sistema scolastico inclusivo. 

*collettivodocentispecializzati@gmail.com.

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Autismo: quella sconcertante Sentenza del TAR del Lazio

«Una recente Sentenza del TAR del Lazio – scrive Carlo Hanau – ha ritenuto inammissibile il ricorso di alcune organizzazioni, che chiedevano l’annullamento della nuova Linea Guida dell’Istituto Superiore di Sanità “Raccomandazioni della Linea Guida per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico – Ottobre 2023”. Quella Sentenza, però, è illegittima perché carente dei requisiti di legge, e i ricorrenti si sono appellati al Consiglio di Stato»

Il 26 settembre dello scorso anno il TAR del Lazio (Tribunale Amministrativo Regionale, Sezione Terza Quater) ha pubblicato la Sentenza 16719/24 (Sentenza in forma semplificata, come da articolo 60 del Codice di Procedura Amministrativa, emessa a distanza di 7 mesi dall’udienza camerale!), con la quale ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto dall’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale), dal Tribunale della Salute, dall’AGSAS (Associazione Genitori Soggetti Autistici Solidali), dall’Associazione L’Aliante e da chi scrive [Carlo Hanau] per l’annullamento della nuova Linea Guida dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), denominata Raccomandazioni della Linea Guida per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico – Ottobre 2023, pubblicata sul sito dell’ISS (a questo link) il 9 ottobre 2023.

Il TAR del Lazio, chiamato a pronunciarsi su ben otto articolati motivi di impugnazione, ha incredibilmente omesso di analizzarli e ha dichiarato inammissibile il ricorso, utilizzando un inaccettabile “copia e incolla” integrale di ben 275 righe (!!!) e nulla più, tratto dal Parere espresso nell’“Adunanza di Sezione del 7/12/2022” del Consiglio di Stato (Sezione Prima del 17/1/2023), sul ricorso presentato da un diverso gruppo di ricorrenti avverso le prime quattro raccomandazioni pubblicate dall’ISS il 25 febbraio 2021 che concernevano una materia molto più limitata: i farmaci antipsicotici.
Incredibilmente, dunque, il TAR del Lazio ha omesso di analizzare quegli otto motivi di impugnazione, partendo dall’erronea assunzione che entrambi i ricorsi fossero avverso lo stesso documento, cosa impossibile perché le raccomandazioni del 2021 erano solo quattro (per un totale di 75 pagine), mentre la nuova citata Linea Guida del 2023 conta 253 pagine per 27 raccomandazioni e una indicazione di buona pratica clinica.
Senza nemmeno leggere il ricorso, i giudici amministrativi, tratti in inganno dallo stesso titolo utilizzato dall’ISS, hanno teorizzato l’equivalenza: stesso titolo del documento = stessi motivi di impugnazione! Probabilmente questo abbaglio è stato favorito dal fatto che il sito dell’ISS, nonostante sia per legge la fonte ufficiale delle linee guida sanitarie, cancella scorrettamente le precedenti versioni dei documenti, impedendo di prenderne visione e di procedere alla comparazione.

Contro questa Sentenza del TAR del Lazio, che potremmo definire “abnorme”, ma che è sicuramente illegittima perché carente dei requisiti di legge, i medesimi ricorrenti hanno proposto appello al Consiglio di Stato, auspicando che i giudici di esso entrino nel merito del ricorso, annullando la nuova Linea Guida per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico che, a giudizio degli appellanti, ha sostituito e annullato irregolarmente, senza alcun motivo scientifico e ben oltre il mandato del Governo, la precedente Linea Guida n. 21 del 2011, confermata tale e quale nel 2015, non essendoci state innovazioni in materia.

L’auspicato annullamento della nuova Linea Guida andrebbe a cancellare due delle irregolarità denunciate pubblicamente dagli appellanti, ossia:
° le raccomandazioni sui farmaci antipsicotici (chiamati artatamente con un termine inusuale nelle trattazioni mediche D2 bloccanti) che possono essere somministrati off-label ai bambini anche se non presentano patologie psichiatriche concomitanti;
° aver dichiarato che tutte le terapie psicoeducative sono egualmente prive di prove di efficacia, senza una scala di preferenza, con la conseguenza che essendo tutte sullo stesso piano molto basso (floor effect), vengono tutte raccomandate senza distinzione.

Confidando dunque nel buon esito dell’appello, i ricorrenti si augurano che oltre ai giudici, anche la comunità scientifica si pronunci sulle aberrazioni introdotte dalla nuova Linea Guida dei bambini e adolescenti che sono in contrasto con la letteratura internazionale e persino con la più recente Linea Guida degli adulti dello stesso ISS, il cui ultimo aggiornamento è del 23 dicembre scorso.

*In nome e per conto degli appellanti di cui si parla nel presente testo. Carlo Hanau, già docente di Economia e Programmazione Sanitaria all’Università di Modena e Reggio Emilia, è presidente dell’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale), hanau.carlo@gmail.com.

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Un’attrice con disabilità in scena per “Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute”

Il noto spettacolo teatrale di Marco Paolini “Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute”, centrato sul programma “Aktion T4” di sterminio delle persone con disabilità da parte della Germania nazista, è stato riadattato e portato in scena anche da Renato Sarti e sul palco con lui c’era Barbara Apuzzo, attrice con una disabilità fisica, che con i suoi interventi fa da controcanto al monologo di Sarti Barbara Apuzzo e Renato Sarti

«Ausmerzen ha un suono dolce e un’origine popolare. È una parola di pastori, sa di terra, ne senti l’odore. Ha un suono dolce ma significa qualcosa di duro, che va fatto a marzo. Prima della transumanza, gli agnelli, le pecore che non reggono la marcia, vanno soppressi».
Si apre con queste parole Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute scritto dal regista e attore Marco Paolini [se ne legga la nostra presentazione, pubblicata a suo tempo, N.d.R.]. Una lucida e profonda riflessione sull’eugenetica che prende il via dalla Belle Époque, a fine Ottocento, e si conclude tragicamente fra gli Anni Trenta e Quaranta del Novecento, quando nella Germania nazista venne messo in atto Aktion T4, il programma di sterminio delle persone con disabilità considerate “improduttive”. Furono circa 275.000 le persone uccisa dal regime nazista perché considerate un costo, un peso. Vite, appunto, indegne di essere vissute.

Lo spettacolo Ausmerzen è stato portato in scena anche da Renato Sarti, regista milanese e anima del Teatro della Cooperativa, nel quartiere Niguarda di Milano, che ha riadattato il testo di Paolini.
Ci sono, quindi, alcune differenze: lo spettacolo portato in scena da Sarti, infatti, è un po’ più corto e sul palco con lui c’è Barbara Apuzzo, attrice con una disabilità fisica che, con i suoi interventi, fa da controcanto al monologo di Sarti.
«Il mio personaggio – spiega lei stessa – non era previsto nella scrittura originale. In questa versione, che abbiamo portato in scena la prima volta in occasione del centenario della nascita di Franco Basaglia, il mio personaggio è quello di un’allieva che rompe le scatole al maestro, con battute pungenti. Ausmerzen è uno spettacolo molto duro e il mio personaggio permette anche di strappare un sorriso, sebbene amaro».

Che emozione è stata per lei mettere in scena uno spettacolo teatrale che porta in scena la storia dello sterminio delle persone con disabilità?
«Mi sono sentita al servizio di una memoria storica che è importante tramandare. Perché il rischio che queste tragedie, queste discriminazioni tornino a ripetersi c’è ancora. Quello che è successo ottant’anni fa, purtroppo, può succedere ancora, anche se con forme diverse. Bisogna fare attenzione ai genocidi che sono stati commessi in passato e a quelli ancora in corso. Penso, ad esempio, ai migranti che ogni giorno perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa».

Prima di iniziare a lavorare a questo spettacolo conosceva la storia del programma Aktion T4?
«Avevo visto lo spettacolo di Marco Paolini, ma no, non la conoscevo in profondità. Cosa che invece ho fatto quando ho iniziato a lavorare sul testo, ad approfondirlo e a studiarlo».

Che impatto ha avuto su di lei?
«All’inizio ho pianto molto. Quello che è successo in Germania in quegli anni avrebbe potuto succedere a me e a mia madre, che era nata con problemi fisici. Poi ho provato tantissima rabbia, non solo a livello emozionale. Sempre più spesso mi ritrovo a pensare che l’uomo sia la creatura più crudele che esiste al mondo».

Come reagisce il pubblico allo spettacolo?
«Quando sono in scena guardo molto le persone davanti a me, ogni volta c’è uno scambio, non si è mai soli. Credo che la mia presenza sul palco sia una testimonianza forte dell’impatto che ha avuto Aktion T4, e anche un personaggio che permette di alleggerire, come dicevo prima, provando a strappare un sorriso».

In un’epoca sempre più digitale, il teatro può ancora essere uno strumento per far conoscere pagine di storia come questa?
«Sì, certamente. Il teatro non solo può farlo, ma dovrebbe fare molto di più: c’è un grande bisogno di spettacoli che parlino di attualità, sensibilizzando il pubblico sui temi più diversi, aiutando le persone a riflettere. E se posso, c’è un’altra cosa che mi piacerebbe».

Che cosa?
«Renato Sarti mi ha fatto un grande regalo portandomi in scena. Ma se mi guardo attorno vedo che gli attori con disabilità non salgono spesso sui palchi dei teatri. Io vorrei vedere sempre più spesso in scena attori professionali con disabilità; è un qualcosa che può aiutare le persone a sognare a dirsi: “Ma allora è possibile!”. Da giovanissima non pensavo fosse possibile fare quello che faccio oggi, ma non avevo nessuno davanti a me con cui potermi confrontare».

Il presente servizio è già apparso in “Persone con disabilità.it” e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Sull’Olocausto delle persone con disabilità durante il regime nazista e la seconda guerra mondiale e sul programma Aktion T4, suggeriamo senz’altro la lettura sulle nostre pagine dell’approfondimento di Stefania Delendati intitolato Quel primo Olocausto (a questo link).

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Campania: trovare soluzioni concrete al problema delle nuove tariffe sanitarie

In Campania la sanità privata accreditata chiede un incontro urgente per trovare “soluzioni concrete” al problema delle nuove tariffe, in molti casi insufficienti a coprire la spesa delle prestazioni erogate ai cittadini. In caso di assenza di una convocazione le Associazioni di categoria hanno annunciato che si autoconvocheranno il 30 gennaio presso la Regione Campania La realizzazione grafica curata dall’ANFFAS Campania per la richiesta di incontro alla propria Regione

In Campania la sanità privata, che eroga prestazioni ai cittadini e alle cittadine in regime di accreditamento, chiede un incontro urgente per trovare “soluzioni concrete” al problema delle nuove tariffe, in molti casi insufficienti a coprire la spesa delle prestazioni.
Del resto, la convocazione di un incontro entro la fine di questo mese di gennaio, con tutti i rappresentanti delle Associazioni di Categoria delle Macroaree Riabilitativa e Sociosanitaria – finalizzato alla disamina conclusiva per l’aggiornamento delle tariffe riabilitative e sociosanitarie – era un impegno che si era già assunto l’assessore al Bilancio e al Finanziamento del Servizio Sanitario Regionale, Ettore Cinque, al termine del tavolo dello scorso 9 dicembre.

In assenza di una convocazione, le Associazioni (l’elenco completo è disponibile a questo link) hanno annunciato che si autoconvocheranno il 30 gennaio presso la Regione Campania. Sono le Associazioni di categoria che rappresentano le strutture territoriali della sanità privata, che erogano prestazioni riabilitative e sociosanitarie in regime di accreditamento, contribuendo a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ai cittadini campani, a sollecitare ancora una volta un incontro (con una nota inviata lo scorso 16 gennaio) all’assessore regionale Ettore Cinque, al direttore generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Servizio Sanitario Regionale Antonio Postiglione e, per conoscenza, al presidente della Regione Vincenzo De Luca.

Se dovesse registrarsi l’assenza di una convocazione in tempi utili, le associazioni – come annunciato in una nota congiunta – si autoconvocheranno giovedì 30 gennaio alle ore 11 presso gli Uffici Regionali della Direzione Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Servizio Sanitario Regionale (Centro Direzionale di Napoli, Isola C3, piano 6º), «avendo cura di informare di detta autoconvocazione le altre Associazioni partecipanti al tavolo regionale di confronto sulla tematica tariffaria dei setting prestazionali del comparto riabilitativo e sociosanitario e che non risultano tra le sottoscrittrici del documento inoltrato lo scorso 16 gennaio con la formale richiesta di un tavolo tecnico per l’aggiornamento delle tariffe riabilitative e sociosanitarie». (C.C.)

Per ulteriori informazioni Ciro Oliviero (oliviero.ciro.rn@gmail.com).

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Come viene considerato l’insegnante di sostegno? Una ricerca

Come viene considerato e percepito l’insegnante di sostegno in ogni ordine e grado? A questa domanda vuole dare una risposta la ricerca in corso da parte di due studenti del corso TFA Sostegno presso il Link Campus University di Roma

Come viene considerato e percepito l’insegnante di sostegno in ogni ordine e grado scolastico? A questa domanda complessa e di grande attualità vuole dare una risposta la ricerca in corso di due studenti del Corso TFA Sostegno Nono Ciclo ordinario presso il Link Campus University di Roma.
La ricerca si svolge attraverso la compilazione di alcune domande a risposta chiusa caricate su Google moduli e garantiscono l’anonimato dei compilatori. Possono essere svolte sia da persone che lavorano nel settore scolastico che no, al fine di avere un quadro generale di come tale professione sia percepita e considerata in Italia dalla popolazione.
«Tale ricerca non vuole essere una rilevazione sull’operato del docente di sostegno, ma si pone come uno strumento avente la finalità di rilevare la condizione lavorativa e le considerazioni sulla figura del docente di sostegno per ogni grado e ordine scolastico da parte di ogni cittadino/a o studente/essa. È pertanto richiesto di rispondere alle domande nel modo più veritiero possibile, in quanto non esistono risposte giuste o sbagliate», sottolineano gli autori, Nicola Di Battista e Vito Ferrara.
Per partecipare alla ricerca basta cliccare, entro il 30 aprile, a questo link. (C.C.)

Per ulteriori informazioni: Nicola Di Battista (ricercatfanv@gmail.com).

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Victoria: «Dalla guerra in Ucraina a Montecatone, un ponte di speranza e riabilitazione»

La testimonianza di Victoria, una giovane psicologa ucraina, raccolta da Vittorio, un paziente dell’Istituto Riabilitativo Montecatone di Imola: «Un progetto di cooperazione internazionale che unisce competenze riabilitative e supporto psicologico» Il giovane paziente di Montecatone Vittorio e la psicologa ucraina Victoria

Vittorio, 27 anni, è uno dei pazienti dell’Istituto Riabilitativo Montecatone, la nota struttura di Imola (Bologna) impegnata nella riabilitazione di persone mielolese o con grave cerebrolesione acquisita: durante il suo ricovero, ha raccolto una testimonianza particolare, quella di Victoria, una giovane psicologa ucraina in visita a Montecatone.
Alcune settimane fa, quest’ultimo ha portato a termine un’importante collaborazione con la Fondazione Soleterre di Milano, l’Ospedale Clinico Cittadino n. 4 del Consiglio Comunale di Dnipro in Ucraina, e la Prima Unione Medica Territoriale di Lviv (Leopoli), sempre in Ucraina, al fine di «rafforzare la capacità degli ospedali ucraini di rispondere alle emergenze legate al conflitto in corso». Questo accordo, sancito da un memorandum d’intesa, come avevamo riferito anche sulle nostre pagine qualche mese fa, si inserisce nell’ambito del progetto di Rafforzamento della capacità degli ospedali di Lviv, Kyiv e Dnipro di rispondere, gestire e trattare le emergenze complesse legate alle vittime di ordigni esplosivi, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).

In questo contesto, dunque, uno dei pazienti di Montecatone, Vittorio Da Mosto, 27 anni, ricoverato a seguito di un incidente occorsogli lo scorso anno, ha conosciuto, come detto, Victoria, il cui percorso, dice, è tanto straordinario quanto toccante. Vi proponiamo in sintesi la testimonianza.

«La storia di Victoria – spiega Vittorio -, segnata dalla guerra e dalla volontà di dare un senso e una seconda vita alla sofferenza altrui, si intreccia con quella di chi, come me, sta dando un nuovo significato alla propria esistenza, dopo avere subìto una mielolesione. La guerra, mi ha detto, aveva già iniziato a devastare il suo Paese nel 2014, ma essendo troppo giovane, non era riuscita a capire le dimensioni di quell’evento fino a otto anni dopo, quando il mondo cambiò. A un certo punto i telegiornali cominciarono a parlare di numerose vittime e “noi non sapevamo più se avremmo avuto ancora un Paese”. Mi ha raccontato ancora Victoria che, insieme a molte altre persone nel suo Paese, si è trovata nella necessità di riconfigurare un’esistenza, per offrire il suo contributo a chi, come i soldati, lottano ogni giorno per affrontare i traumi della guerra. Un’impresa non facile a prescindere ma resa ancor più impegnativa, se possibile, dal fatto che l’ospedale di riferimento cura e tratta, essendo uno dei nosocomi più vicini alla linea del fronte, anche i civili che arrivano dalle zone più calde».

«Prima – le parole di Victoria – immaginavo di diventare una business woman, poi ho deciso di studiare psicologia… Una persona che conoscevo mi ha parlato di un corso sul PTSD (Post Trauma Stress Disorders) e ho capito che avrei dovuto farlo, volevo essere utile».
Fondamentale, nella vita di Victoria, è stato l’incontro con un soldato di ritorno dal fronte. Un uomo che, come molti altri, portava con sé non solo le cicatrici fisiche della guerra, ma anche quelle invisibili. «Era arrabbiato, depresso… In quell’incontro ho capito che era quello il mio posto. Non potevo dare supporto al fronte, ma volevo comunque dare una mano a chi stava lottando per il mio paese». Da qui l’ispirazione a costruire interventi e attività per stabilizzare le persone della guerra dopo i traumi cui erano stati esposti, per aiutarli a ritrovare un po’ di serenità.

A Montecatone Victoria ha potuto constatare l’importanza non solo della riabilitazione fisica, ma anche delle relazioni, delle attività ricreative e del supporto psicologico. «Qui – ha sottolineato – mi sono accorta di come l’aspetto umano faccia la differenza. Non è solo una questione di fisioterapia, è un luogo dove c’è amore, c’è ascolto, c’è il desiderio di rinascita».
Victoria ha anche detto a Vittorio di come durante la propria permanenza abbia potuto vedere come gli operatori e i pazienti si sostengono a vicenda, di come l’atmosfera a Montecatone vada oltre la semplice cura fisica. «Le psicologhe – ha concluso – insieme alle attività culturali ricreative, in particolare, hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare le persone a vivere una seconda vita che non si riduce più alla sopravvivenza, ma che permette di guardare al futuro con nuove prospettive». (C.C. e S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa dell’Istituto Riabilitativo Montecatone (Massimo Boni), massimo.boni@montecatone.com.

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Nuovo Osservatorio per l’Inclusione Scolastica: la composizione della Consulta delle Associazioni

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha prodotto il Decreto riguardante la composizione della Consulta delle Associazioni nel nuovo Osservatorio Permanente per l’Inclusione Scolastica, della quale fanno parte le Federazioni FISH e FAND, oltre a numerose altre Associazioni. I Presidenti delle stesse FISH e FAND sono anche membri effettivi del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio, che è atteso da tanto lavoro, alla luce delle numerose novità normative di questi ultimi anni

Come avevamo segnalato già qualche tempo fa, nel mese  di settembre dello scorso anno, il Ministero dell’Istruzione e del Merito aveva emanato il Decreto n. 185, concernente la ricostituzione dell’Osservatorio Permanente per l’Inclusione Scolastica, che aveva ormai cessato di funzionare per normali termini di decadenza.
Tale organismo, va ricordato, si compone di un Comitato Tecnico-Scientifico, che ha i compiti principali di consulenza e pareri al Governo, e della Consulta delle Associazioni, che ha maggiormente compiti di dialogo e interlocuzione per fornire proposte al Comitato-Tecnico Scientifico. Uniche differenze, rispetto al Decreto del 2017 che aveva istituito il precedente Osservatorio, sono da una parte la possibilità di invitare a partecipare alle riunioni del Comitato Tecnico-Scientifico l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e il Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, istituito col Decreto Legislativo 20/24, dall’altra la possibilità di riunioni a distanza, norma frutto dell’esperienza maturata durante il periodo della pandemia.

Ebbene, nei giorni scorsi, ed esattamente il 16 gennaio, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha prodotto il Decreto riguardante la composizione della Consulta delle Associazioni nel nuovo Osservatorio, della quale fanno parte le Federazioni FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità), oltre a numerose altre Associazioni (a questo link l’elenco completo), tra cui l’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), l’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), l’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), l’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo), la FIADDA (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie) e la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), anch’esse aderenti alla FISH.
I Presidenti della stessa FISH e della FAND, inoltre, sono membri effettivi del Comitato Tecnico-Scientifico.

Come sottolineato da Salvatore Nocera sulle nostre pagine già in più di un’occasione, è davvero tanto il lavoro che attende il nuovo Osservatorio, alla luce delle numerose novità normative di questi ultimi anni, a partire dalla concreta attuazione dei princìpi sull’inclusione stabiliti dal Decreto Legislativo 66/17. (S.B.)

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Diventare adulti con la distrofia muscolare di Duchenne: un questionario

L’Associazione Parent Project collabora con l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano ad un progetto riguardante la transizione dall’età pediatrica all’età adulta nelle persone con distrofia muscolare di Duchenne, allo scopo di identificare cosa facilita e cosa ostacola questa fase, attraverso l’opinione dei pazienti stessi, dei genitori e dei caregiver. Per fornire il proprio contributo, è sufficiente compilare un agile questionario online

L’Associazione Parent Project sta collaborando con l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano alla realizzazione di un progetto sul tema della transizione dall’età pediatrica all’età adulta nelle persone con distrofia muscolare di Duchenne, allo scopo di identificare cosa facilita e cosa ostacola questa fase, attraverso l’opinione di tutte le persone coinvolte nel percorso, vale a dire pazienti, genitori o caregiver.
Per fornire dunque il proprio contributo al buon esito di tale progetto, sarà sufficiente compilare un agile questionario online (disponibile a questo link) e seguire le indicazioni che indirizzeranno al questionario specifico dedicato ai genitori/caregiver o a quello formulato per le persone con Duchenne tra i 15 e 25 anni (nel di minorenni, vanno compilati i documenti di consenso sia da parte dei genitori che dei pazienti stessi). (S.B.)

Ricordiamo ancora il link al quale è disponibile il questionario online, Per ogni ulteriore informazione: scienza@parentproject.it.

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Le modifiche al Codice della Strada e le persone con disabilità

Assunzione di farmaci ricompresi nella categoria delle sostanze psicotrope, sosta gratuita per i titolari di contrassegno, attraversamento pedonale da parte di persone con disabilità visiva e alcuni Decreti Delegati: tutte le parti delle modifiche al Codice della Strada che comportano conseguenze per le persone con disabilità e le loro famiglie, in un approfondimento curato dal il Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale di cui suggeriamo senz’altro la consultazione Con le modifiche al Codice della Strada, sono state tra l’altro anche inasprite le sanzioni previste per la sosta e la fermata negli spazi riservati ai veicoli per persone con disabilità

Nelle ultime settimane abbiamo già avuto modo di occuparci in più occasioni della Legge 177/24 di modifica del Codice della Strada e lo abbiamo fatto a proposito dei cambiamenti apportati all’articolo 187 che, come sottolineato dall’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia) e dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), nel chiedere esplicitamente uno specifico emendamento, rischiano di creare gravi problemi alle persone con disabilità le cui patologie richiedano di assumere determinati farmaci ricompresi nella categoria delle sostanze psicotrope.
Di questo, ma anche di tutte le altre parti che con le modifiche al Codice della Strada implicano conseguenze per le persone con disabilità e le loro famiglie, si è occupato il Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), elaborando un ampio approfondimento di cui suggeriamo senz’altro la consultazione (a questo link).

Partendo proprio dal punto di cui si è detto inizialmente, l’ANFFAS ricorda, come già avevamo segnalato sulle nostre pagine, il recente intervento, a livello di organi d’informazione, del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. «E tuttavia – scrivono dall’Associazione – al fine di evitare errate interpretazioni, si rende assolutamente necessario che le affermazioni del Ministro vengano riportate su un preciso atto normativo o su una circolare esplicativa. Nelle more consigliamo a chiunque si trovi ad assumere terapie farmacologiche come sopra descritte, a verificare con il proprio medico se le terapie assunte possano comportare eventuali alterazioni e, in caso negativo, a portare sempre con sé la relativa prescrizione».

Altro punto trattato dall’ANFFAS è quello riguardante la gratuità della sosta da parte delle persone con disabilità titolari di contrassegno, tema su cui è intervenuta una modifica dell’articolo 188 (comma 3-bis) del Codice della Strada. Ora dunque, «a differenza di quanto previsto precedentemente, fermo restando il diritto a sostare negli stalli ad esse riservati, possono parcheggiare gratuitamente ovunque, senza dover più procedere alla verifica dell’indisponibilità degli stalli loro riservati».
La Legge 177/24, inoltre, ha anche inasprito le sanzioni previste per le fattispecie di sosta e fermata negli spazi riservati ai veicoli per persone con disabilità.

E ancora, sono state previste nuove misure per facilitare l’attraversamento pedonale da parte delle persone con disabilità visiva. Se infatti l’articolo 41, comma 5, primo periodo del Codice della Strada prevedeva genericamente che «gli attraversamenti pedonali semaforizzati possano essere dotati di segnalazioni acustiche per non vedenti», tale formulazione è stata sostituita prevedendo che «gli attraversamenti pedonali semaforizzati possano essere dotati di segnalazioni acustiche di indicazione dello stato di accensione delle luci, nonché di guide tattili a pavimento idonee all’individuazione dei pali di sostegno delle lanterne semaforiche».

Oltre agli aspetti di cui si è detto, infine, l’ANFFAS evidenzia «un elemento di assoluta rilevanza al quale le Federazioni e le Associazioni di rappresentanza e lo stesso Ministero per le Disabilità dovranno porre attenzione», vale a dire che «l’articolo 35 della Legge 177/24 prevede che il Governo, nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi ed introducendo le necessarie disposizioni di carattere transitorio, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (ossia a decorrere dal 14 dicembre 2024), uno o più Decreti Legislativi recanti disposizioni per rivedere e riordinare la legislazione vigente concernente la disciplina della motorizzazione e della circolazione stradale». E tra i princìpi e i criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi nell’emanazione di tali Decreti Legislativi, ne rientrano anche alcuni riguardanti direttamente le persone con disabilità. Per questo, secondo l’ANFFAS, «ci dovrà essere massima attenzione nel monitorare e partecipare a tale iter legislativo».
Si tratta, nello specifico, «dell’armonizzazione delle disposizioni del Codice con la disciplina in materia di disabilità e revisione della disciplina della circolazione delle macchine per uso di persone con disabilità, tenuto conto dell’evoluzione delle norme tecniche di settore, nell’ottica di rimuovere gli ostacoli alla libertà di circolazione stradale degli utenti della strada con disabilità promuovendo, nel contempo, la massima tutela dei medesimi». Si fa poi riferimento «alla revisione della disciplina generale delle modalità di sosta dei veicoli adibiti al servizio di persone con disabilità ovvero di donne in stato di gravidanza o di genitori con bambini di età inferiore a due anni anche finalizzata alla riserva di adeguate aree dedicate». E infine «del riordino e semplificazione della disciplina relativa alla conferma di validità della patente di guida per conducenti con disabilità, diabetici e persone con patologie neurologiche». (S.B.)

Ricordiamo ancora il link al quale è disponibile l’approfondimento curato dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale di cui suggeriamo certamente la consultazione.

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“Italia e Inclusione: la persona al centro”: la tappa di Jeddah per il tour della Amerigo Vespucci

In occasione della tappa di Jeddah (Gedda) in Arabia Saudita, del tour mondiale della nave Amerigo Vespucci, la ministra per le Disabilità Locatelli interverrà il 29 gennaio all’evento “Italia e Inclusione: la persona al centro” al cui panel parteciperanno tra gli altri anche i Presidenti delle Federazioni FISH e FAND La ministra per le Disabilità Locatelli a bordo della Amerigo Vespucci, insieme al comandante Giuseppe Lai

In occasione della tappa di Jeddah (Gedda) in Arabia Saudita, del tour mondiale della nave Amerigo Vespucci, che ha visto il celebre veliero della Marina Militare partire nel 2023, con la conclusione prevista nel prossimo mese di giugno, la ministra per le Disabilità Locatelli interverrà il 29 gennaio all’evento denominato Italia e Inclusione: la persona al centro al cui panel, moderato da Serafino Corti, coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, interverranno Carlo Baldocci, ambasciatore d’Italia a Riad; Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa; Vincenzo Falabella, presidente della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro); Nazaro Pagano, presidente della FAND (Federazione Italiana delle Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità).
Parteciperanno inoltre, per la Cooperativa spezzina Luna Blu, il presidente Alberto Brunetti e Pietro Benelli; Davide Zubani, presidente dell’Associazione Si può fare; Katia Mignogna (presidente), Cristian Vida (amministratore), Marco Calderone e Gabriella Tavasani per la Cooperativa friulana Arte e Libro; Matteo Parsani, professore associato di Matematica presso l’Università KAUST di Jeddah; Andrea Stella, presidente della Fondazione Lo Spirito di Stella e ideatore dell’omonimo catamarano accessibile che sta effettuando il tour mondiale insieme all’Amerigo Vespucci.

«Abbiamo inserito il tema dell’inclusione e della disabilità tra gli argomenti trattati nel corso delle tappe che l’Amerigo Vespucci sta facendo intorno al mondo – ha spiegato Locatelli -, e lavoreremo con impegno per migliorare lo scambio delle buone pratiche tra i Paesi, il mondo del Terzo Settore e il mondo privato, certi che l’Italia possa portare all’attenzione un modello in grado di mettere al centro la persona e di valorizzarne i talenti e le competenze». (S.B.)

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A proposito di istituzionalizzazione e di “violenza addizionale”

Prendendo spunto da un recente caso di cronaca accaduto in una casa di riposo a Latera (Viterbo), dove alcune persone anziane hanno subito maltrattamenti e si è verificato un episodio di violenza sessuale ai danni di una delle ospiti, Simona Lancione propone una riflessione sulla prevenzione dell’istituzionalizzazione, che è essa stessa una forma di violenza, e delle altre forme di violenza che si possono concretizzare all’interno di strutture che ospitano persone anziane e/o con disabilità (Fonte: Pexels)

Anziani legati, insultati e senza cibo. Le frasi choc degli infermieri di una RSA nel viterbese, titolava così, il 22 gennaio scorso, l’Agenzia AGI (il testo, a firma di Edoardo Izzo, è fruibile a questo link), e si tratta solo dell’ultimo di una serie infinita di vicende che mostrano l’orrore che l’istituzionalizzazione è capace di produrre.
Nel testo si parla di maltrattamenti e di un episodio di violenza sessuale ai danni di una ospite all’interno di una casa di riposo per persone anziane a Latera, in provincia di Viterbo, mentre ulteriori elementi – situazioni di malnutrizione, somministrazione di farmaci ansiolitici e frequenti episodi di contenzione fisica – sono al vaglio degli inquirenti. «L’indagine, iniziata nella primavera del 2024, è partita dalle confidenze di alcuni ex operatori della struttura, i quali si sono rivolti alla stazione [dei] carabinieri di Capodimonte raccontando una serie di abusi perpetrati ai danni degli anziani a opera di loro colleghi – riferisce Izzo –. Sotto il coordinamento del procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma, e con la direzione del PM, Flavio Serracchiani, sono state installate telecamere all’interno della struttura e disposte intercettazioni ambientali. Dagli accertamenti, spiega una nota delle Forze dell’Ordine, è emerso “un quadro allarmante, preoccupante, pericoloso, contrassegnato da una gestione inumana dell’anziano, soggetto notoriamente vulnerabile, esposto ad attacchi gravemente lesivi del suo equilibrio psicofisico, già compromesso dall’età e dal naturale decadimento fisico e cognitivo”» (la formattazione riportata nel testo non corrisponde a quella originale).
La vicenda ha portato a disporre tre ordinanze di custodia cautelare in carcere e tre ordinanze di sospensione dall’esercizio delle funzioni per sei operatori socio-sanitari della struttura accusati di maltrattamenti e violenza sessuale.

Le dinamiche illustrate sono tristemente simili a quelle che si riscontrano in altre vicende che la cronaca ci restituisce con una certa frequenza, pertanto, più che soffermarsi sui dettagli di questa bruttissima storia, potrebbe risultare utile riflettere sulla prevenzione dell’istituzionalizzazione e delle altre forme di violenza che si possono concretizzare all’interno delle strutture che ospitano persone anziane e/o con disabilità.
L’istituzionalizzazione, con le sue modalità segreganti, costituisce di per sé una forma di violenza nei confronti delle persone con disabilità di qualunque età. Essa è incompatibile con il complesso delle norme nazionali e internazionali del diritto antidiscriminatorio, al cui interno figura anche, tra le altre, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/09). Che si tratti di una forma di violenza lo ha ribadito, nel settembre 2022, anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organo preposto a monitorare l’applicazione della Convenzione, nelle sue Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza” (disponibili, in lingua italiana, a questo link; a tal proposito si segnala anche l’approfondimento pubblicato su queste stesse pagine).
Dunque la prima risposta da mettere in campo, oltre a quella di predisporre un piano di deistituzionalizzazione per le persone che attualmente vivono in istituti variamente denominati, dovrebbe essere quella di vietare che ulteriori persone vengano istituzionalizzate. In merito a quest’ultimo aspetto va rilevato che, sebbene l’Italia stia predisponendo misure atte a tale scopo – si pensi, ad esempio, alle disposizioni sull’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato previste dal Decreto Legislativo 62/24 –, il nostro welfare ha ancora un’impostazione prevalentemente familistica e quando, per diversi motivi, la famiglia o il/la caregiver non ci sono o non sono (più) in grado di prestare assistenza alla persona che ne ha necessità, la risposta pubblica continua ad essere segregante.
È quanto emerge anche da una recente intervista rilasciata da Ciro Tarantino, professore di Sociologia del Diritto presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nonché curatore dell’opera collettiva Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione (il Mulino, 2024, liberamente fruibile online a questo link, mentre a quest’altro link è disponibile una sua presentazione).
In Che cosa giustifica ancora il “soggiorno obbligato” delle persone con disabilità? –  questo il titolo dell’intervista curata da Carmela Cioffi per il presente giornale (disponibile a questo link), Tarantino, tra le altre cose, fa riferimento ad alcune «ambiguità che il Decreto Legislativo 62/2024 lascia proprio in tema di libertà personale e di prevenzione e contrasto dell’istituzionalizzazione», ed aggiunge un’ulteriore considerazione: «Il problema è che non mi pare che il mondo dell’associazionismo – nel suo complesso e con le dovute eccezioni – in questo momento dimostri una specifica sensibilità per queste tematiche. Mi sembra, piuttosto, che siamo in un momento in cui il tema viene silenziosamente rimosso dall’agenda politica, senza la forza e il coraggio di esplicitare le ragioni di questo accantonamento subdolo».

Se dunque in Italia si fa ancora ricorso all’istituzionalizzazione, oltre a chiedere all’associazionismo e alle Istituzioni che il tema venga urgentemente reinserito nell’agenda politica, si pone anche il problema di prevenire le forme di violenza addizionale, quelle che vanno a sommarsi alla segregazione e che sono state riscontrate anche nella casa di riposo di Latera.
Alcuni degli elementi che rendono possibili queste violenze addizionali sono rappresentati dal fatto che talvolta alle persone ospitate nelle strutture non è data la possibilità di comunicare con l’esterno, e che, davanti agli episodi di violenza, gli operatori o le operatrici tendono ad essere conniventi. Non è un caso che anche l’indagine di Latera abbia presso avvio dalle «confidenze di alcuni ex operatori», la qual cosa sembra indicare che finché hanno lavorato nella struttura costoro non hanno intrapreso azioni di contrasto alla violenza (sia nel senso di intervenire personalmente, sia nel senso di rivolgersi alle Forze dell’Ordine).
Dunque, per rimuovere questi ostacoli, sarebbe opportuno che, oltre all’attività di vigilanza attribuita all’Autorità Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità, recentemente istituita, venisse disposto a livello normativo che non possano essere limitati o impediti alla persona con disabilità ospitata in una struttura il diritto di ricevere visite negli orari stabiliti, né le comunicazioni con l’esterno, né le verifiche da parte di Associazioni di persone con disabilità o comunque impegnate nella promozione e tutela dei diritti umani. Mentre per contrastare gli atteggiamenti di connivenza sarebbe opportuno prevedere interventi formativi obbligatori rivolti a tutto il personale di dette strutture sui temi della prevenzione e del contrasto alla violenza, con particolare attenzione al genere (ciò perché tutta la letteratura scientifica disponibile mostra che le donne sono più esposte alla violenza rispetto agli uomini).

C’è poi un ulteriore aspetto degno di attenzione. Poiché questi episodi di violenza addizionale non di rado vengono documentati attraverso la disposizione di intercettazioni ambientali e l’installazione di telecamere all’interno delle strutture (come abbiamo visto anche nel caso in esame), vi è chi ritiene che tali dotazioni debbano essere disposte in modo permanente a scopo preventivo.
In merito a questo aspetto possiamo osservare che mentre disporre tali misure in presenza di elementi oggettivi che configurano indizi di reato rientra nell’àmbito di uno Stato di diritto, la possibilità di disporle anche in assenza di indizi di reato si configurerebbe come un intervento arbitrario. Detto in modo più chiaro, a parere di chi scrive, questa proposta presenta delle criticità sia sotto un profilo giuridico, sia su un versante che potremmo definire di razionalità rispetto allo scopo.
Poiché il tema è molto ampio, in questo spazio evidenziamo brevemente solo alcuni aspetti che appaiono più rilevanti.
Sotto il profilo giuridico, disporre intercettazioni ambientali e sistemi di videosorveglianza permanenti esproprierebbe la persona con disabilità ospitata in una struttura della possibilità di decidere in autonomia se vuole o meno limitare o rinunciare alla propria privacy, la qual cosa contrasta con il principio di autodeterminazione, che costituisce uno dei pilastri portanti della citata Convenzione ONU, e con l’articolo 22 (Rispetto della vita privata) della stessa.
Va poi osservato che se la misura non è stata scelta dalla stessa persona con disabilità che vi è sottoposta, ma è stata introdotta attraverso un automatismo che agisce anche in assenza di indizi di reato, si sta operando con modalità sostitutive della persona, adottando un atteggiamento paternalistico verso la stessa, la qual cosa è vietata dall’articolo 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della Convenzione ONU.
A ciò si aggiunga che la misura proposta allo scopo di sorvegliare il personale delle strutture avrebbe un impatto sproporzionato sulla persona che vi risiede, giacché il personale dovrebbe rinunciare alla propria privacy “solo” nel contesto lavorativo (ma non al di fuori di esso), mentre la persona con disabilità vi dovrebbe rinunciare in modo continuativo (giorno e notte).
Possiamo inoltre supporre che ulteriori osservazioni potrebbero essere fatte anche sotto il profilo della tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, ma è difficile comprendere in che termini tali aspetti siano stati trattati.

E tuttavia, prima di chiederci se questa proposta sia compatibile con le norme del nostro ordinamento giuridico, forse dovremmo chiederci se essa sia razionale rispetto allo scopo, ossia se sia idonea a raggiungere l’obiettivo di prevenire la violenza addizionale. Le domande sono: siamo sicuri/e che trattare con diffidenza anche gli operatori e le operatrici che non hanno mai agito violenza aiuti a prevenirla, e che da tale atteggiamento non possa invece scaturire un clima di sospetto e risentimento generalizzato con ricadute deleterie sulla qualità del lavoro, e dunque sull’assistenza prestata persone ospitate nelle strutture? Non sarebbe più razionale rispetto allo scopo intervenire con percorsi educativi volti a coinvolgere il personale in attività di contrasto alla violenza?
Le vicende di cronaca relative ad episodi di violenza come quelli riferiti dall’AGI suscitano nell’opinione pubblica emozioni di dolore, tristezza, paura e rabbia. Contrariamente a quanto molti pensano, se queste emozioni sono vissute con consapevolezza non possono considerarsi “negative” poiché assolvono alla funzione di spingere le persone all’attivazione. Soprattutto la rabbia, che solitamente scaturisce dalla percezione di una situazione di ingiustizia, è un grado di sprigionare una forte energia. Il problema è che questa energia andrebbe canalizzata perché se indirizzata indistintamente verso chiunque rivesta un determinato ruolo o possieda una determinata caratteristica (ad esempio, tutto il personale di qualunque struttura, nel caso della vicenda citata in questo testo, ma anche tutti gli uomini, nei casi di femminicidio), ciò non solo non aiuterebbe a prevenire la violenza, ma, criminalizzando un intero gruppo di soggetti, finirebbe per creare conflitti anche dove potrebbero esserci alleanze.
Le reazioni lucide e responsabili di Gino ed Elena Cecchettin, rispettivamente padre e sorella di Giulia Cecchettin, al barbaro femminicidio di quest’ultima, avvenuto nel Padovano l’11 novembre 2023, quando Giulia aveva solo 22 anni, per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, mostrano in modo esemplare come, anche davanti a vicende di violenza particolarmente efferata, le energie emotive possano essere orientate verso la non-violenza.
Non si tratta, ovviamente, di essere tolleranti – ci mancherebbe –: se ricorrono i presupposti, le autorità inquirenti devono avere le mani libere per agire celermente con tutti gli strumenti a disposizione, e chi commette crimini così ripugnanti va adeguatamente punito. Dobbiamo anzi batterci con più convinzione perché quando le persone ospitate nelle strutture riferiscono episodi di violenza vengano disposte tutte le verifiche del caso. Lo sottolineiamo perché abbiamo seguito una vicenda in cui una donna con disabilità psicosociale ha dichiarato di aver subìto violenze sessuali da parte di due altri ospiti delle strutture in cui ha soggiornato, ma le sue dichiarazioni sono state completamente ignorate: si tratta di un fatto gravissimo. Ma posto questo, chiunque abbia avuto modo di occuparsi di contrasto alla violenza [da oltre dieci anni il Centro Informare un’h, di cui l’Autrice del presente contributo è responsabile, è particolarmente attivo nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità: a tal proposito si veda l’apposita sezione tematica, N.d.R.], può confermare che il primo e più efficace strumento di prevenzione è l’intervento educativo finalizzato all’accrescimento della conoscenza e della consapevolezza del fenomeno, nonché alla costruzione di contesti di fiducia e relazioni autentiche. 

*Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo di riflessione è già apparso e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, insieme alla medesima immagine ivi utilizzata, per gentile concessione.

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