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Con “Artemisia” sono molto aumentate le richieste di aiuto delle donne con disabilità vittime di violenza

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A Milano e nei Comuni dell’hinterland interessati da Artemisia, progetto di cui anche il nostro giornale si è più volte occupato, il numero di donne con disabilità vittime di violenza rivoltesi a un Centro Antiviolenza è aumentato del 43% tra il 2023 e il 2024, un dato nettamente superiore rispetto a quanto atteso dalle Associazioni che hanno promosso l’iniziativa, a testimoniare che sul territorio esiste un bisogno effettivo ed emergente, cui è stata data una prima risposta Artemisia Gentileschi, “Autoritratto come allegoria della Pittura” (particolare), (1638-39), Royal Collection Trust, Londra (Foto: Bridgeman/Aci). Alla pittrice secentesca si ispira il nome del progetto promosso in Lombardia

Nella città di Milano e nei Comuni dell’hinterland interessati da Artemisia, progetto di cui anche Superando si è in più occasioni occupato, il numero di donne con disabilità vittime di violenza rivoltesi a un Centro Antiviolenza è aumentato del 43% tra il 2023 e il 2024, un dato nettamente superiore rispetto a quanto atteso dalle Associazioni che hanno promosso l’iniziativa, a testimoniare che sul territorio esiste un bisogno effettivo ed emergente, cui è stata data una prima risposta.

Avviato il 3 dicembre 2022, il progetto Artemisia – acronimo che sta per le parole “Attraverso Reti Territoriali Emersione di Situazioni di Violenza”, ma che è stato anche così nominato in onore di Artemisia Gentileschi (nata nel 1593 e deceduta tra il 1652 e il 1656), la nota pittrice che subì una violenza sessuale a cui reagì facendo processare e condannare il colpevole – è stato promosso dalle Fondazioni Somaschi, ASPHI e Centro per la famiglia Card. Carlo Maria Martini, insieme alla LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e al CEAS (Centro Ambrosiano di Solidarietà).
Tra il 2023 e il 2024, i partner hanno organizzato attività di formazione e sensibilizzazione rivolte sia alle Reti Territoriali Antiviolenza di Milano, Melzo, Rho, Rozzano, San Donato Milanese, Legnano e Cinisello Balsamo – per migliorare le loro competenze sui temi relativi alla disabilità – sia alle Associazioni di persone con disabilità, per sensibilizzarle sulle questioni di genere.
«Tale attività – spiegano dalla LEDHA – ha avuto un impatto immediato, come riscontrato già nel 2024 dalle realtà che gestiscono i Centri Antiviolenza. Il numero di donne con disabilità vittime di violenza prese in carico dai Centri Antiviolenza stessi è passato dalle 41 del 2023 (su 691, pari al 5,9% del totale) alle 59 del 2024 (su 782, pari al 7,5% del totale). Ad esse vanno aggiunte altre 17 donne seguite dal Consultorio Familiare della Fondazione Centro per la famiglia Card. Carlo Maria Martini.

«Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto – commenta Laura Abet, avvocata e responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA – eravamo consapevoli del fatto che la violenza ai danni delle ragazze e delle donne con disabilità è un fenomeno invisibilizzato. Da qui la necessità di farlo emergere. Ebbene, questi numeri sono molto più alti di quanto ci aspettavamo, segno che il progetto risponde a un bisogno diffuso».

«L’aumento delle prese in carico delle donne con disabilità da parte dei Centri Antiviolenza – sottolineano ancora dalla LEDHA – è legato anche a un miglioramento dell’accessibilità di questi servizi. Troppo spesso, infatti, i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio presentano ostacoli che rendono difficile – se non impossibile – l’accesso alle donne con disabilità motoria. Per chi ha una disabilità cognitiva o sensoriale, invece, l’ostacolo principale è rappresentato dalla difficoltà ad accedere alle informazioni». È anche per questo motivo che con Artemisia sono state redatte delle Linee di indirizzo rivolte alle Associazioni e agli Enti che gestiscono Centri Antiviolenza e Case Rifugio, documento contenente indicazioni utili a rendere appunto accessibili e fruibili i servizi alle donne e ragazze con disabilità. Vi vengono fornite, ad esempio, indicazioni sugli accorgimenti da adottare per superare le barriere architettoniche e per garantire l’accesso alle informazioni, ai siti internet e ai canali di comunicazione tra le potenziali vittime e le operatrici del Centro Antiviolenza, ciò che consente a chi ha una disabilità sensoriale o cognitiva di utilizzarli in autonomia.
E infine, all’interno delle stesse Linee di indirizzo è stato inserito anche un questionario di autovalutazione, utilizzabile dalle operatrici dei singoli Centri Antiviolenza, per verificare l’accessibilità della struttura, registrando la presenza o meno di barriere architettoniche, segnaletica interna e bagni accessibili.
Uno strumento, quindi, che rappresenta un punto di partenza per valutare gli interventi necessari a migliorare l’accessibilità.

Da ricordare in conclusione che i risultati ottenuti nei due anni di attività di Artemisia saranno al centro del convegno denominato Nessuna esclusa, in programma il 20 maggio prossimo a Milano, presso Palazzo Marino. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@ledha.it.

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Il mare a misura di tutti con I Timonieri Sbandati

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Avvicinare le persone con disabilità al mondo della vela perché tutti e tutte possono salire a bordo: è da sempre il messaggio dell’Associazione I Timonieri Sbandati che quest’anno porterà il proprio progetto “Marina4All (M4A)” anche alla fiera “SeaTec” di Marina di Carrara, evento dedicato alla tecnologia, alla componentistica e al design nel settore nautico, in programma il 13 e 14 marzo prossimi

Avvicinare le persone con disabilità al mondo della vela perché tutti e tutte possono salire a bordo. È da sempre il messaggio dell’Associazione I Timonieri Sbandati che quest’anno porterà il proprio progetto Marina4All (M4A) anche alla fiera Seatec di Marina di Carrara, l’evento dedicato alla tecnologia, alla componentistica e al design nel settore nautico, in programma il 13 e 14 marzo prossimi. Marina4all è in sostanza una piattaforma galleggiante attrezzata per facilitare l’imbarco e lo sbarco di tutti i fruitori, persone con disabilità comprese.

Il velista con disabilità Marco Rossato percorre una piattaforma accessibile

Progetto nato nel 2023 con una collaborazione fra I Timonieri Sbandati e le Società INGEMAR e MADEIT4A, Marina4all sta definendo i nuovi parametri di comfort e accessibilità delle aree portuali e dei lidi marini. Si parla infatti di piattaforme fisse o galleggianti, pensate appunto per garantire comfort, sicurezza, accesso e facile transito sia alle persone con disabilità sia agli anziani, fino alle persone con limitazioni temporanee.

Le piattaforme Marina4all che saranno presentate quest’anno a Seatec, oltre a particolari accorgimenti tecnici, ai dislivelli minimi e all’attenzione agli spazi di manovra, sono predisposte per i sistemi di protezione e di sostegno ausiliari (sollevatori per persone e altri presìdi) e aiuto alla presa delle cime di ormeggio. Comprendono inoltre aree di sperimentazione dedicate alle persone con disabilità visiva, ossia percorsi tattili, cromaticità contrastanti e segnaletiche in Braille.

Il “timoniere sbandato” Marco Rossato sarà presente a Seatec il 13 e il 14 marzo, nell’area dedicata a Marina4All, che ospiterà una serie di incontri dedicati al tema dell’accessibilità, sostenibilità, ambiente e sicurezza in ambienti come porti e lidi marini. (C.C.)

Per ogni ulteriore informazione: info@itimonierisbandati.it.

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Blindsight Project: assistenza a tutto  tondo per “contagiare” all’inclusione e alla democrazia

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«Da questa mia chiacchierata con Laura Raffaeli – scrive Savio Tanzi – ho capito che Blindsight Project, l’Associazione da lei fondata, merita prima di tutto un’attenzione a tutto tondo, perché a tutto tondo è l’azione che si prefigge nell’assistenza alle persone con disabilità sensoriale e lo fa con un approccio personalissimo, tutto da scoprire, con il fine ultimo di “contagiare” all’inclusione e alla democrazia» Laura Raffaeli e Simona Zanella, presidente e vicepresidente di Blindsight Project, con i rispettivi cani guida

Nei miei precedenti contributi per Superando, ho parlato di audiodescrizione filmica e ho intervistato figure importanti che ne hanno tracciato inevitabilmente il progresso, come la mia ex docente Laura Giordani, nonché dialoghista AIDAC (Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi) e audiodescrittrice, e Mario Loreti, che da fruitore delle audiodescrizioni ora è fonico e anche speaker di talento. Oggi voglio rendere conto di un’interessantissima chiacchierata che ho avuto il piacere di fare con un’altra grande personalità, anche lei penna affermata di Superando: si tratta di Laura Raffaeli, fondatrice dell’Associazione Blindsight Project.
Il sottoscritto, traduttore audiovisivo e audiodescrittore appassionato di cinema, inizialmente aveva pensato di intervistarla per parlare di audiodescrizione filmica e artistico-museale, due ausili rispetto ai quali Blindsight Project ha apportato un importante contributo. Ciò nonostante, più ascoltavo, più capivo che Blindsight Project merita prima di tutto un’attenzione a tutto tondo, perché a tutto tondo è l’azione che si prefigge nell’assistenza alle persone con disabilità sensoriale: lo fa con un approccio personalissimo, tutto da scoprire. Da anni, ad affiancarla nella sua attività di volontariato e associazione di categoria, c’è la vicepresidente Simona Zanella, anche lei cieca acquisita, responsabile dell’importante Campagna Nazionale per i Cani Guida.

Blindsight Project – mi racconta Laura Raffaeli – nasce nel 2006, pochi anni dopo un evento che le cambia la vita. In seguito a un incidente stradale, infatti, ha perso completamente il senso della vista e parzialmente quello dell’udito. Lei, che all’epoca non sapeva nulla della cecità, di com’è la vita di chi è cieco in Italia e di qual è il nostro contesto nazionale in materia di accessibilità, si ritrova a fare i conti con la sua nuova condizione. Capisce subito di non essere l’unica: lo stesso senso di smarrimento e abbandono a livello statale e sociale lo avvertivano anche gli altri. Da lì, l’idea di fondare l’Associazione, non solo con l’obiettivo di supportare le persone con disabilità sensoriale, per dar loro la forza di reagire, ma anche e soprattutto per informare e sensibilizzare le persone vedenti e udenti su cosa siano realmente le disabilità sensoriali, anche per combattere il cosiddetto “abilismo”, così tragicamente diffuso tra chi non ha disabilità. Per esempio, cosa fare, o non fare, quando si incontra un cane guida; come usare le giuste parole – rifuggendo dalle negazioni non vedente e non udente, abolite anche dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – o aprire quelle “porte blindate” che spesso impediscono a una persona con disabilità sensoriale di avere una vita sociale o ambire a ricoprire figure professionali di un certo livello.
Blindsight Project nasce quindi sì per assistere gli appartenenti a una determinata categoria sociale, ma ha anche come spirito motore quello di predisporre il mondo che ci circonda – e, ovviamente, chi lo abita – all’accoglienza e all’inclusione.

Negli anni, tutto è stato ideato e realizzato con il fine ultimo di assistere chi ha bisogno: in questo senso, un’altra importantissima attività della quale l’Associazione si fa carico è la gestione di un Ufficio Legale per ogni discriminazione subita, in particolar modo per le donne cieche o sorde vittime di violenza, perché non sempre queste vengono messe nelle condizioni di essere assistite in un contesto rispettoso delle proprie esigenze.
A tal proposito, da anni Blindsight Project ha ratificato il Manifesto delle Donne e delle Ragazze con disabilità del Forum Europero sulla Disabilità. Proprio per questo suo intento, Laura Raffaeli confessa di non aver emai avuto paura che qualcuno potesse “rubare” o “copiare” un’idea o un’attività realizzata presso Blindsight Project, perché il fine ultimo è sempre stato quello di “contagiare” all’inclusione e alla democrazia, diffondendo una mentalità e – diremmo oggi – normalizzando questa o quell’attività atta a includere tutti, non solo per il beneficio immediato di chi ne fruisce, ma anche per dimostrare agli scettici o ai pigri di cuore che farlo è possibile, che non si tratta di un’utopia, e che spesso non servono nemmeno molti fondi.

Tutto ciò è stato messo in campo con numerosi eventi che si sono succeduti negli anni e agendo in più settori della vita quotidiana: quello dell’assistenza sociale, della solidarietà, dell’istruzione, della formazione, della tutela dei diritti civili e dello sport, della ricerca sugli ausili informatici e di accessibilità a internet, dell’autonomia nella mobilità e del tempo libero, ponendosi come obiettivo ultimo la piena integrazione nel mondo cosiddetto “normodotato” – spettacolo, arte e cultura compresi. Infatti, sottolinea Laura Raffaeli, «rendere accessibili il cinema e le arti in generale non è una semplice azione volta all’intrattenimento: è soprattutto cultura e inclusione, perché è ciò di cui la persona con disabilità sensoriale percepisce maggiormente la mancanza, con gli inevitabili risvolti psicologici e sociali che ne conseguono, soprattutto tra i giovani».

Il logo di Blindsight Project

Quando poi le chiedo quali siano i traguardi di cui va più fiera in ambito di audiodescrizione filmica, Raffaeli non ha dubbi: ricorda con gioia la realizzazione del primo festival del cinema accessibile in Europa: il Rome Fiction Fest del 2009 – e a cui hanno fatto séguito dal 2010 anche numerose edizioni della Festa del Cinema di Roma. Inoltre, Blindsight Project portò per la prima volta in un festival  MovieReading – l’app italiana gratuita per audiodescrizioni e sottotitoli – e fu un altro successo. Da lì, i traguardi sono fioccati uno dopo l’altro: dal primo spettacolo teatrale italiano accessibile nel 2010, ma anche una raccolta firme per modificare la Legge sul cinema 220/16. A seguito di questo importante obiettivo, sono state depositate in Senato delle modifiche proposte insieme a poche altre Associazioni, successivamente approvate e inserite nella Legge. Tra le altre modifiche approvate, l’obbligo di rendere accessibile un’opera audiovisiva se realizzata con i fondi pubblici. A tal proposito, Blindsight Project lanciò anni fa anche delle proprie linee guida sull’audiodescrizione filmica.
Oggi, ammette Laura Raffaeli, «non mi batto più per la quantità, ma per la qualità delle audiodescrizioni, perché questo ausilio si sta diffondendo, ma spesso a discapito della qualità e della sensibilità verso i fruitori. Siamo pieni di audiodescrittori, ma pochi sono davvero formati».
Con rammarico, denuncia poi che «i contenuti audiodescritti risultano essere tuttavia molto pochi se paragonati all’offerta generale, e che in RAI le persone cieche italiane pagano come tutti, nonostante il canone sia obbligatorio per questa rete televisiva. Lo stesso accade in altre reti il cui abbonamento è facoltativo: a volte, qui, non esiste proprio accessibilità».

L’audiodescrizione, tuttavia, non riguarda esclusivamente cinema o teatro, bensì anche i musei e tutta l’arte in generale. A tal proposito Blindsight Project è stata una pioniera dell’audiodescrizione artistico-museale e la stessa Raffaeli ha coniato il termine ADAM (AD artistico-museale), coerentemente a quanto si fa con l’abbreviazione AD per l’audiodescrizione.
Un po’ come nell’AD filmica, l’ADAM descrive alle persone cieche e ipovedenti: lo fa con dei tour virtuali audiodescritti e con un metodo unico, grazie ai quali chiunque può “vedere” le opere in autonomia, in qualsiasi momento e luogo, superando ostacoli di mobilità e barriere sensoriali. «La vera sfida – afferma la presidente di Blindsight Project – sta nel fatto che, a differenza dei vincoli di tempo posti dai dialoghi nell’AD filmica, nell’audiodescrizione artistico-museale si ha l’illusione di avere tanto tempo da riempire, ma non è così, anche perché c’è sempre la scadenza per la consegna al committente». Questo presuppone innanzitutto la conoscenza della disabilità per cui si va a realizzare un ausilio, ma anche l’adozione di specifiche linee guida che possono essere apprese presso Blindsight Project. In linea di massima, bisogna trovare l’equilibrio giusto tra la descrizione, l’informazione e il cenno storico, senza confondere il fruitore.

Proprio in seno all’AD artistico-museale, il progetto di cui Laura Raffaeli – mi conferma con entusiasmo – va più fiera è l’iniziativa Talking Italy© – L’Italia Parlante, che ha incominciato a “dare la voce” al vastissimo e prezioso patrimonio artistico di cui godiamo. E così, a partire da giugno 2022, ha reso accessibile l’intero Parco dei Mostri di Bomarzo, così come Villa d’Este e altri luoghi e musei. Ma non solo parchi, musei e ville storiche: anche mostre fotografiche. La più importante finora è stata Ballata sensuale, una mostra con foto dello storico Archivio Alinari e un video, entrambi resi accessibili, sul tema delle problematiche sessuali legate alle terapie oncologiche.
Tutta l’attività legata a questa iniziativa non serve solo all’obiettivo immediato di rendere accessibile l’arte e i patrimoni artistici, ma è servita anche per l’obiettivo più lungimirante di creare un metodo per descrivere, il “metodo Blindsight”, affinato e studiato negli anni soprattutto da chi non vede. Ci si è poi preoccupati di rendere tutto questo facilmente fruibile online, in primis da chi usa uno screenreader. Perché non basta fare bene un’audiodescrizione, è fondamentale che questa poi sia fruibile.

In conclusione, l’auspicio è che, anche grazie a organizzazioni come Blindsight Project, ogni aspetto della vita quotidiana – e quindi anche sociale e culturale – delle persone con disabilità sensoriale possa presto vedere colmato ogni scarto con quella dei propri amici e parenti cosiddetti “normodotati”. Inoltre, parlare di quant’è importante l’accessibilità alla cultura non fa altro che ribadirne il ruolo essenziale che riveste per ognuno di noi. Laura Raffaeli, nel descrivermi le conseguenze di tale inaccessibilità, mi dà la sensazione di una “botta al cuore” ricevuta ogni volta che ci si rende conto che non è stato possibile fruire di qualcosa allo stesso modo dei vedenti. Con questo mio articolo, quindi, non solo la ringrazio per avermi letteralmente “aperto un mondo”, ma cerco anche – con umiltà – di unirmi al coro di quanti rivendicano un miglioramento sociale sempre più rapido e pervasivo.

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San Marino, al “Festival della Magia” c’è Magica Gilly, illusionista con sindrome di Down

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Sarà un “magic show” in favore dell’inclusione e contro i pregiudizi: c’è un gran fermento per il ritorno del “Festival Internazionale della Magia” di San Marino, che si svolgerà dal 14 al 16 marzo. Madrina di questa edizione sarà “Magica Gilly”, vero nome Giliana Flore, illusionista con sindrome di Down

Sarà un “magic show” in favore dell’inclusione e contro i pregiudizi: c’è un gran fermento per il ritorno del Festival Internazionale della Magia di San Marino, giunto alla sua ventiseiesima edizione e che si svolgerà dal 14 al 16 marzo, presso il Palazzo dei Congressi Kursaal.

Oltre ai più grandi campioni del panorama internazionale, ci sarà sul palcoscenico la giovanissima Magica Gilly, vero nome Giliana Flore, la prima illusionista con sindrome di Down, che dopo avere incantato il pubblico spagnolo al festival Extremagia, ed essere nota alle platee di tutto il mondo, ma anche sui social, torna nella sua città per una performance speciale, con lo scopo di abbattere ogni barriera e far comprendere che non esistono differenze nella magia come nella vita e che anzi questa arte da lei amatissima può rivelarsi uno strumento chiave per contrastare il bullismo e favorire l’inclusione.

Ereditata la passione per la magia dal papà Mago Gabriel, direttore artistico della kermesse, la ventisettenne sarà madrina di questa edizione, patrocinata dalla Segreteria di Stato per il Turismo e quella di Istruzione e Cultura della Repubblica di San Marino.
Sul palco del prestigioso spazio culturale di oltre 800 posti, saliranno alcuni tra i più grandi artisti di fama mondiale per trasportare il pubblico in un viaggio fatto di mistero e suspense. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Federica Rinaudo (federicarinaudopress@libero.it).

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Donne con sclerosi multipla e disabilità: vittime invisibili della discriminazione multipla

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«Continueremo a lavorare con impegno affinché ogni donna con sclerosi multipla e in generale con disabilità possa vedere riconosciuti i propri diritti, promuovendo un cambiamento attraverso la consapevolezza, la rete di supporto e il coinvolgimento della società, per costruire un futuro in cui nessuna donna sia più discriminata o subisca violenza: lo dicono dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), alla vigilia della Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo Una realizzazione grafica elaborata a suo tempo dall’AISM per il proprio programma denominato “Cambia il finale”

«Essere donna – si legge in una nota diffusa dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), alla vigilia della Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo – può significare ancora oggi affrontare discriminazioni. Se a questo si aggiunge una disabilità, il rischio di essere vittime di ingiustizie si moltiplica. Le donne con sclerosi multipla e disabilità vivono quotidianamente una discriminazione multipla spesso non riconosciuta come tale e di cui si parla troppo poco. La mancanza di dati disaggregati su genere e disabilità rende inoltre difficile quantificare la portata del problema, lasciando molte vittime senza strumenti di tutela adeguati».

La stessa AISM cita poi una serie di dati, rifacendosi a quanto prodotto dall’ISTAT, ma anche al proprio Barometro della Sclerosi Multipla e Patologie Correlate del 2023 e alle indagini sul tema condotte negli anni scorsi dalla Federazione FISH cui la stessa AISM aderisce: «2.033 donne con disabilità si sono rivolte ai Centri Antiviolenza nel 2022 (ISTAT 2022); il 10% delle donne con disabilità subisce stupri o tentati stupri, più del doppio rispetto alle donne senza disabilità (FISH 2020); il 31,4% delle donne con limitazioni funzionali ha subìto violenza psicologica dal partner, rispetto al 25% delle donne senza disabilità (ISTAT 2022); il 64% delle donne con disabilità non ha autonomia economica in famiglia (ISTAT 2022); il 62,3% ha subìto almeno una forma di violenza, con una predominanza di violenza psicologica (51,4%), sessuale (34,6%), fisica (14,4%) ed economica (7,2%) (FISH 2020); nell’87% dei casi, la violenza è stata inflitta da una persona nota alla vittima: nel 40% dei casi un operatore sanitario, nel 60% il compagno o caregiver (FISH 2020)».
«Eppure – dicono dall’AISM -, molte donne con disabilità non denunciano. Vergogna, paura, isolamento e dipendenza economica impediscono loro di ribellarsi a una condizione di abuso. Inoltre, spesso non riconoscono nemmeno la violenza che subiscono come tale, aggravando il fenomeno (Relazione della Commissione Parlamentare sul Femminicidio e la Violenza di Genere)».

Di fronte dunque a quella che viene giustamente ritenuta come una vera e propria emergenza, l’AISM ha fatto della lotta alla discriminazione una priorità della propria Agenda 2025, sviluppando progetti concreti per sostenere le donne con sclerosi multipla e disabilità. «La vera libertà per una donna con disabilità in uscita dalla violenza – dichiara a tal proposito Marcella Mazzoli, direttrice della Gestione Sviluppo Territoriale dell’Associazione – passa attraverso la consapevolezza: sapere di avere diritti, riconoscere le discriminazioni subite e disporre di strumenti concreti per superarle. E tuttavia il cambiamento richiede il coinvolgimento di tutta la società: è fondamentale, cioè, creare reti territoriali attive, garantire un flusso efficace di informazioni tra istituzioni, associazioni e servizi sociali e attuare protocolli d’intesa per tutelare concretamente le donne più vulnerabili. La nostra cultura sociale, infatti, tende ancora a nascondere le forme più sottili di discriminazione e violenza. Creare una rete di accoglienza vuol dire offrire alle donne strumenti e opportunità per cambiare il finale della loro storia».

«In un 8 marzo che non è solo una giornata di celebrazione – ricordano dall’AISM -, ma un’occasione per ribadire l’urgenza di un impegno concreto, torniamo ad affermare che senza dati chiari, senza una rete territoriale attiva e senza la collaborazione di tutte le forze coinvolte, le donne con sclerosi multipla continueranno a essere discriminate in famiglia, sul lavoro, nella società».
Per combattere concretamente la discriminazione multipla, l’Associazione ha promosso nel tempo una serie di progetti, vale a dire la Rete RED (Rete Empowerment Donne), rete di sole donne, con e senza sclerosi multipla, che opera nella rete di accoglienza dell’Associazione, per favorire l’emersione dei fenomeni di discriminazione e violenza che possono arrivare allo sportello; il progetto LED (Lavoro Empowerment Diritti), per promuove l’inclusione lavorativa delle donne con disabilità attraverso percorsi di autonomia, formazione e mentoring, accrescendone la consapevolezza e contrastando la discriminazione soprattutto nel mondo del lavoro; il programma Cambia il finale, che mira a contrastare la discriminazione e la violenza di genere attraverso formazione, informazione e collaborazione con i servizi territoriali, iniziativa già attiva in varie Regioni e che si sta espandendo in tutta Italia; il progetto IDEA (del quale, tra l’altro, uno dei prodotti è la citata rete RED), iniziativa che ha raccolto testimonianze e sviluppato strategie di empowerment per le donne con sclerosi multipla, ora applicate nei progetti attivi dell’Associazione.

«Continueremo a lavorare con impegno – concludono dall’AISM – affinché ogni donna con sclerosi multipla e in generale con disabilità possa vedere riconosciuti i propri diritti, promuovendo un cambiamento attraverso la consapevolezza, la rete di supporto e il coinvolgimento della società, per costruire un futuro in cui nessuna donna sia più discriminata o subisca violenza». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Sei organizzazioni non profit beneficiarie del “Fondo per la Comunità di Airbnb”

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L’”Airbnb Community Fund” sosterrà sei organizzazioni non profit in Italia nell’ambito dell’emancipazione economica, della sostenibilità ambientale e della lotta contro abusi e sfruttamento. Alla sua quarta edizione il Fondo distribuirà un totale di oltre 8 milioni e mezzo di dollari a più di 160 organizzazioni in oltre 30 Paesi

Sei organizzazioni non profit italiane sono state recentemente selezionate tra le beneficiarie dell’Airbnb Community Fund (“Fondo per la Comunità di Airbnb”), che quest’anno sosterrà oltre 160 organizzazioni in più di 30 Paesi su sei continenti.

Lanciato nel 2020, l’Airbnb Community Fund è un programma da 100 milioni di dollari pensato per sostenere direttamente le comunità locali. «Ogni anno, Airbnb dona a organizzazioni che supportano e rafforzano le comunità in tutto il mondo, includendo contributi realizzati in collaborazione con gli host locali in molte di queste realtà», sottolineano dalla nota piattaforma online nella quale i proprietari di immobili possono inserire i loro alloggi.
Come negli anni precedenti, gli host hanno contribuito ad assegnare la maggior parte delle sovvenzioni, proponendo e votando le organizzazioni cui destinare i fondi.
Le sovvenzioni dell’Airbnb Community Fund di quest’anno sono state destinate a organizzazioni impegnate in tre àmbiti precisi: emancipazione economicasostenibilità ambientale e lotta contro abusi e sfruttamento.

Le organizzazioni in Italia che riceveranno donazioni sono: La Grande Casa (Milano), che supporta donne, minori, giovani, migranti e persone vulnerabili, promuovendone l’integrazione sociale e professionale; la Cooperativa Sociale Vite Vere Down DADI (Padova), che fornisce servizi socio-educativi a persone con sindrome di Down e altre disabilità intellettive; la Cooperativa Sociale Incontro (Mandello del Lario, in provincia di Lecco), che supporta persone con disabilità fisiche o mentali nella ricerca di un impiego; la Fondazione Asilo Mariuccia (Milano), che sostiene donne con figli e minori non accompagnati, vittime di violenza; Giacimenti Urbani (Milano), che  promuove l’economia circolare, la riduzione degli sprechi di risorse, il consumo di energie rinnovabili e l’efficienza energetica; D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza (Roma), che gestisce una rete di case rifugio e centri antiviolenza e organizza iniziative e progetti di ricerca sulla violenza maschile nei confronti delle donne. (C.C.)

Per saperne di più sull’Airbnb Community Fund e sui beneficiari di quest’anno, accedere a questo link. Per ulteriori informazioni: Ester Procopio (procopio@compcom.it).

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In 5.000 piazze d’Italia fiori e impegno per la ricerca sulla sclerosi multipla

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In occasione della Giornata Internazionale della Donna, l’AISM torna a proporre una nuova edizione dell’ormai tradizionale iniziativa “Gardensia”, manifestazione solidale che il 7, l’8 e il 9 marzo colorerà 5.000 piazze d’Italia con gardenie e ortensie, a rappresentare il legame tra le donne e la lotta contro la sclerosi multipla

In Italia, la sclerosi multipla colpisce oltre 140.000 persone, ed è noto che la prevalenza è doppia nelle donne rispetto agli uomini. Per combatterla, l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), in occasione della Giornata Internazionale della Donna, tornerà a proporre una nuova edizione dell’ormai tradizionale iniziativa Gardensia, manifestazione solidale che il 7, l’8 e il 9 marzo colorerà 5.000 piazze del nostro Paese con gardenie e ortensie, a rappresentare il legame tra le donne e la lotta contro la sclerosi multipla.

«Ormai da due decenni – spiegano dall’AISM -, questa nostra manifestazione porta nelle piazze italiane fiori e impegno per la ricerca. Evolvendosi da Fiorincittà alla profumatissima Gardenia fino all’attuale Gardensia, il progetto ha consolidato il proprio ruolo nella sensibilizzazione sulla sclerosi multipla e nella raccolta fondi. Inviteremo quindi a scegliere una pianta e a contribuire in tal modo alla ricerca scientifica e al potenziamento dei servizi per le persone con sclerosi multipla e patologie correlate. Infatti, nonostante gli indubbi progressi della ricerca, le cause della malattia rimangono sconosciute e non esiste ancora una cura definitiva. Tuttavia, i risultati degli ultimi vent’anni hanno migliorato significativamente la qualità della vita delle persone con la malattia, grazie a terapie innovative e approcci integrati».

Promossa sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e realizzata grazie all’impegno di oltre 14.000 volontari, Gardensia avrà quale volto rappresentativo l’attrice, scrittrice, conduttrice televisiva e ambasciatrice dell’AISM Chiara Francini e si avvarrà anche del numero solidale 45512, grazie al quale sostenere la realizzazione di un centro di eccellenza europeo per la neuroriabilitazione. (S.B.)

Per ogni ulteriore informazione: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Il Bando del Pio Istituto dei Sordi 2025

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È aperto fino al 30 aprile il nuovo bando del PIS (Pio Istituto dei Sordi), per finanziare progetti e iniziative utili a favorire l’inclusione e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità uditiva

È aperto fino al 30 aprile il Bando PIS 2025 promosso dalla Fondazione Pio Istituto dei Sordi di Milano, che sostiene progetti e iniziative volti a favorire l’inclusione sociale e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità uditiva.
Con una dotazione di 90.000 euro, il bando erogherà risorse economiche a progetti di piccola e media entità fino a un contributo massimo di 7.000 euro per singolo progetto.
L’opportunità è rivolta a organizzazioni senza scopo di lucro su tutto il territorio nazionale.
Per presentare una candidatura è necessario consultare le Linee guida 2025 – 2027 e registrare la propria organizzazione sulla piattaforma ROL. (C.C.)

Per ulteriori informazioni: info@pioistitutodeisordi.org.

 

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Un banco di prova per le autonomie delle persone con disabilità visive

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È stato inaugurato nel Centro di Riabilitazione Visiva di Fossano (Cuneo) un appartamento specificamente concepito, arredato e attrezzato per favorire le autonomie personali delle persone cieche e ipovedenti, una vera e propria nuova “casa” in cui gli utenti potranno fare pratica, scoprire soluzioni per essere più indipendenti e affrontare la vita quotidiana con maggiore consapevolezza e serenità La camera da letto dotata di videoingranditore, nella struttura inaugurata a Fossano

È stato inaugurato nei giorni scorsi, presso i locali del Centro di Riabilitazione Visiva di Fossano (Cuneo), uno dei cinque punti di riferimento del settore presenti in Piemonte, un appartamento specificamente concepito, arredato e attrezzato per favorire le autonomie personali delle persone cieche e ipovedenti, una vera e propria nuova “casa” in cui gli utenti potranno fare pratica, scoprire soluzioni per essere più indipendenti e affrontare la vita quotidiana con maggiore consapevolezza e serenità.

«L’iniziativa – spiegano dall’UICI Piemonte (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) – è nata grazie a un gioco di squadra che ha coinvolto, come attori principali, l’ASL Cuneo 1 e le Fondazioni Bancarie Cassa di Risparmio di Cuneo e Cassa di Risparmio di Fossano. Queste ultime hanno sostenuto finanziariamente la ristrutturazione degli ambienti e l’acquisto degli arredi. Inaugurata alla presenza delle autorità cittadine, dei numerosi contributori e di alcuni degli utenti che d’ora in poi la frequenteranno, la struttura risulta realmente essere un piccolo gioiello di razionalità e inclusione, se è vero che l’ambiente cucina, ad esempio, è stato equipaggiato con piastre a induzione e con tutta una serie di accorgimenti tattili, che consentono a chi non vede di destreggiarsi in sicurezza tra fornelli, pentole e cibi caldi. I mobili, poi, sono organizzati in modo da favorire quell’ordine mentale, indispensabile a chi, per trovare gli oggetti, non può contare sul colpo d’occhio. Nella camera da letto, infine, c’è anche una scrivania con un videoingranditore di nuova generazione, strumento che consente alle persone ipovedenti di leggere testi».

«Per il controllo di alcuni aspetti della casa – spiega Marco Rosso, tiflologo in servizio presso il Centro di Riabilitazione Visiva di Fossano – abbiamo scelto soluzioni domotiche, ma è anche possibile disattivare questi controlli tecnologici e usare sistemi più tradizionali. La casa, infatti, deve poter rispondere, contemporaneamente, a esigenze diverse».

L’appartamento sarà pertanto un banco di prova, che consentirà a persone singole e, aspetto molto importante, anche a piccoli gruppi, di sperimentare, in un contesto accogliente e sotto la supervisione di esperti, alcune strategie da adottare poi nelle proprie abitazioni. Per i più giovani, inoltre, potrà anche essere uno stimolo a distaccarsi progressivamente dalle famiglie d’origine per costruirsi una vita autonoma.
«Ovviamente – aggiunge Rosso – tutto questo non sostituisce gli interventi domiciliari, che restano fondamentali, ma rappresenta un’opportunità in più».

Da ricordare infine che i nuovi locali, aperti negli orari di attività del Centro di Fossano, saranno un punto di riferimento per le persone con disabilità visiva residenti in provincia di Cuneo, ma non solo: c’è infatti anche chi arriva da altri territori.

Per l’UICI, che concorre alla gestione del Centro fossanese, e che plaude all’iniziativa, erano presenti all’inaugurazione il presidente regionale Franco Lepore e la presidente provinciale della Sezione di Cuneo Nives Torta.
«Riteniamo – ha dichiarato Lepore – che questa soluzione sia un modello, un prezioso aiuto per la vita indipendente delle persone con disabilità visiva. Quanto realizzato testimonia, nei fatti, che un lavoro di rete, sostenuto con convinzione, motivazione e lungimiranza, può dare risultati di estremo valore».
«Questo luogo dà pieno significato alla parola inclusione – ha affermato dal canto suo Torta – cioè alla considerazione della persona nella sua interezza, con i limiti oggettivi, ma anche con tantissime potenzialità che vanno scoperte e valorizzate». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: comunicazione@uicpiemonte.it (Lorenzo Montanaro).

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Collocamento Disabili: cerchiamo almeno di conoscerlo meglio

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Non sappiamo quanti siano esattamente gli iscritti al Collocamento Disabili e non disporremo di dati certi fino a quando non avremo a disposizione una banca dati nazionale. Ma in ogni caso, pur con tutte le sue lacune e i suoi problemi, è questo sistema pubblico che hanno a disposizione le persone disoccupate con disabilità. Cerchiamo perciò di conoscerlo meglio, partendo da chi può iscriversi e come

Non sappiamo quanti siano gli iscritti al Collocamento Disabili e non disporremo di dati certi fino a quando non avremo a disposizione una banca dati nazionale, quella banca dati promessa con il Decreto Legislativo 151 del 2015 e mai realizzata. Quando come ANDEL abbiamo cercato di indagare dove fosse finita, ci è stato risposto che era ferma al Garante della Privacy, ma dopo che era stata sbloccata, si è persa nel “magazzino delle cose da fare”.
La verità però è un’altra, come si è potuto leggere in un documento delle Regioni del 12 gennaio 2022: «Osservazioni delle Regioni e Province Autonome in merito alla bozza di Linee guida sul collocamento mirato delle persone con disabilità – Le Regioni e le Province Autonome hanno esaminato la bozza di linee guida sul collocamento mirato […] trasmessa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ai fini di una prima valutazione […], si rileva come la materia intervenga su ambiti di competenza delle Regioni, sulle quali si è già consolidata un’attività normativa e amministrativa volta a regolamentare e gestire sul territorio le procedure per il collocamento delle persone con disabilità. […] Banca dati del collocamento mirato e integrazione dei sistemi informativi: […] si richiama in più punti il ruolo chiave giocato dai sistemi informativi, di importanza strategica non solo per la realizzazione della Banca dati del collocamento mirato – strumento ritenuto essenziale per una gestione efficace del collocamento mirato […] ma […] appare assolutamente impossibile da gestire senza poter contare su sistemi informativi tra loro dialoganti e interconnessi. […] Occorre, in primo luogo, capire la tempistica di realizzazione e le modalità di integrazione con i sistemi informativi regionali. In particolare, è necessario avere chiarimenti sul flusso dei dati della Banca Dati del collocamento mirato, al fine di comprendere come la banca dati acquisisca le informazioni previste nel documento. La necessità è che il sistema sia in cooperazione applicativa (tra i sistemi regionali e nazionali) al fine di evitare un doppio caricamento delle informazioni sul sistema regionale e, poi, successivamente su quello nazionale, con ulteriore aggravio delle attività degli operatori del collocamento mirato… [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».

Pertanto, visto che nulla è cambiato, non c’è da aspettarsi alcuna novità nei prossimi anni. A dimostrazione di ciò, la Regione Lombardia ha stanziato per lo Sviluppo del Sistema Informativo 4.646.406 di euro per l’anno 2025 (speriamo che, dopo anni che se ne parla, sia disponibile entro la fine dell’anno). Continueremo così a non avere dati quantitativi e qualitativi sugli iscritti al Collocamento Disabili!
Ora disponiamo dei dati raccolti dall’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) che risalgono al 2021, in era Covid, i quali, oltre ad essere datati, sono anche approssimativi e incompleti, in quanto alcune Province non hanno fornito i dati richiesti, e altre non curano l’aggiornamento annuale, riportando come regolarmente iscritti i collocati, deceduti, trasferiti in altre Province o all’estero.

Comunque sia, le Relazioni al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) riportano questi dati riguardanti appunto gli iscritti al Collocamento Disabili: 2011: 644.029; 2012: 728.326; 2013: 676.775; 2014: 741.546; 2015: 738.003; 2016: 557.662; 2017: 582.782; 2018: 733.708, 2019: 847.708; 2020: 794.937; 2021: 774.508.
Mancano anche i dati relativi all’anzianità di iscrizione, che da una verifica empirica possiamo affermare che oscilla dai 5 ai 25 anni per il 70% degli iscritti. Sappiamo inoltre che crescono i numeri degli studenti con disabilità e di chi ha ottenuto una certificazione di invalidità in età lavorativa: ne consegue che oggi la cifra dovrebbe superare il milione. Un futuro diverso riscontro sarebbe la dimostrazione concreta della disaffezione al sistema pubblico. Dopo di che non si capisce come mai non si ritorni all’antica modalità di rilevazione utilizzata dal primo istituto di ricerca (ISFOL), ossia alla raccolta in loco dei dati richiesti.
In ogni caso, comunque la si racconti, i disoccupati con disabilità hanno a disposizione questo sistema pubblico. Cerchiamo pertanto di conoscerlo meglio, partendo da chi può iscriversi.

L’articolo 1 della Legge 68/99 recita che: «1. La presente legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Essa si applica: a) alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile […]; b) alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento, accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti; c) alle persone non vedenti e sordomute di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 382 e successive modificazioni, e 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni; d) alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima alla ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra […]. 2. Agli effetti della presente legge si intendono per non vedenti coloro che sono colpiti da cecità assoluta o hanno un residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi, con eventuale correzione. Si intendono per sordomuti coloro che sono colpiti da sordità dalla nascita o prima dell’apprendimento della lingua parlata». 

Luogo d’iscrizione: bisogna iscriversi al Collocamento Disabili della Provincia di residenza.
Requisiti e documenti necessari: per iscriversi al Collocamento Disabili è necessario essere in età lavorativa (16 anni compiuti), essere disoccupati o inoccupati ed avere il verbale di invalidità, a cui deve essere allegata la relazione finale sulla valutazione delle capacità lavorative. Bisogna quindi presentarsi all’ufficio competente per territorio, muniti di documento di identità e del codice fiscale. A questo punto si viene registrati nell’elenco degli iscritti. Successivamente, in coerenza con le disposizioni regionali, si viene inseriti in un’apposita graduatoria.
La graduatoria: le singole Regioni hanno stabilito i criteri per la redazione della graduatoria. Fra i criteri sono previste: l’anzianità di iscrizione, il grado di invalidità, il carico familiare ecc.
I tempi di aggiornamento della graduatoria variano da Provincia a Provincia.
Utilità della graduatoria: viene utilizzata nei casi (rarissimi) in cui gli Enti Pubblici decidano di assumere lavoratori ricorrendo a una selezione pubblica (non al concorso). A questo si aggiungano i pochissimi avviamenti numerici effettuati dal Collocamento, nel momento in cui le aziende non rispettano gli obblighi di legge.
Perdita dell’iscrizione: innanzitutto si deve verificare se l’Ufficio Provinciale richiede la conferma dell’iscrizione annualmente. Dopo di che la perdita dell’iscrizione avviene per: perdita dello stato di disoccupazione: in caso di lavoro a tempo indeterminato o con una durata superiore a sei mesi e con un reddito superiore a 8.500 euro; perdita della percentuale di invalidità: nei casi di riesame presso le Commissioni Mediche, qualora l’invalidità scenda sotto il 46%; dichiarazione di incollocabilità: nel caso in cui la Commissione Medica certifichi l’incollocabilità al lavoro; superamento dei limiti di età: nel momento in cui si raggiungono i limiti dell’età lavorativa; richiesta personale: in qualsiasi momento si richieda la cancellazione; mancata risposta alle convocazioni: se più di una volta si rinuncia a una proposta di lavoro senza giustificato motivo.
Trasferimento d’ iscrizione: è possibile il trasferimento in altra Provincia tramite l’ufficio preposto. Se c’è un’urgenza, è consigliabile ritirare la propria pratica e consegnarla personalmente al nuovo Ufficio Provinciale.
Obbligatorietà dell’iscrizione: non esiste alcun obbligo di iscrizione, è una libera scelta della persona.
Cosa avviene dopo l’iscrizione: avvenuta l’ iscrizione, gli uffici dovrebbero demandare al Comitato Tecnico (organismo costituito da medici e tecnici dell’inserimento) il compito di attuare una valutazione del potenziale lavorativo e indicare le modalità di inserimento al lavoro.
Cosa chiedere: l’operatore dovrebbe dare le informazioni necessarie; in caso contrario è bene chiedere: quali possibilità ci sono di ricevere una proposta di lavoro e come avviene, come ci si deve attivare per cercarlo autonomamente e se si può sapere quali aziende devono assumere. Questo per non crearsi aspettative inutili, visto che nella realtà il Collocamento Mirato consta solo di un insieme di uffici burocratico-amministrativi per la gestione della Legge 68/99.

Concludendo, il sistema pubblico di collocamento non è certo “il gradino dove appoggiano i piedi le persone che chiedono aiuto”!

*Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco, oggi direttore generale dell’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) (marino.botta@andelagenzia.it).

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La Roadmap dell’Unione Europea sui diritti delle donne includa le donne con disabilità!

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«La Roadmap (“tabella di marcia”) dell’Unione Europea sui diritti delle donne deve includere esplicitamente le donne con disabilità», ad affermarlo è stato l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, in vista delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo. Il Comitato delle Donne dell’EDF stesso specifica: «Se la Roadmap deve condurci a un futuro inclusivo, noi dovremmo certamente esserci!»

«La Roadmap dell’Unione Europea sui diritti delle donne deve includere esplicitamente le donne con disabilità», ad affermarlo è stato l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, in una nota diffusa in vista delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna, che ricorre, com’è ben noto, l’8 marzo di ogni anno.
«Più di 1 donna su 4 nell’Unione Europea ha una disabilità – scrivono dal Forum – e i loro diritti e bisogni sono spesso esclusi da leggi e politiche, comprese quelle relative alla disabilità e/o all’uguaglianza di genere. Ciò accade nonostante le donne con disabilità vengano discriminate in modo sproporzionato e siano soggette a violenza e abusi».

Nelle Linee Guida Politiche per la Commissione Europea 2024-2029, la presidente della Commissione stessa Ursula von der Leyen ha annunciato una nuova Roadmap (“tabella di marcia”) per i diritti delle donne, che sarà presentata il prossimo 8 marzo e che farà parte della Lettera di missione alla commissaria per l’Uguaglianza Hadja Lahbib.
Il Comitato delle Donne dell’EDF ha accolto con favore l’iniziativa, perché, «considerata la situazione dei diritti delle donne in Europa, sembra che non stiamo andando da nessuna parte, quindi abbiamo bisogno di una Roadmap e se quest’ultima deve condurci a un futuro inclusivo, noi dovremmo esserci».

In occasione di un incontro svoltosi il 21 e 22 febbraio scorsi, lo stesso Comitato delle Donne dell’EDF ha chiesto dunque alla citata commissaria europea per l’Uguaglianza Lahbib e ai servizi competenti della Commissione Europea di garantire che la Roadmap includa esplicitamente le donne con disabilità e nello specifico ha chiesto azioni immediate per promuovere i diritti delle donne con disabilità, quali, ad esempio:
°Proporre azioni per vietare e porre fine alla sterilizzazione forzata delle donne con disabilità e per garantire un recepimento e un’attuazione “ambiziosi” della Direttiva Europea sulla lotta alla violenza contro le donne del 2024 e della Convenzione di Istanbul (la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica).
°Stabilire azioni concrete e mirate per ridurre il livello di povertà in cui versano le donne con disabilità, anche attraverso misure per la parità di occupazione e retribuzione e garantendo che l’importo delle indennità legate alla condizione di disabilità ricevute dalle donne e dalle ragazze con disabilità venga mantenuto indipendentemente dalla situazione occupazionale o dalle risorse finanziarie dei loro partner e delle loro famiglie.
°Garantire il finanziamento di organizzazioni e progetti che sostengono l’emancipazione, la leadership e i diritti delle donne e delle ragazze con disabilità.
°Assicurare un’inclusione e una leadership significative nei processi decisionali a livello locale, nazionale ed europeo, anche potenziando le misure di accessibilità per la partecipazione delle donne e delle ragazze con disabilità a tutte le questioni e investendo appunto sulla loro leadership.
°Garantire una maggiore visibilità e consapevolezza di e per le donne e le ragazze con disabilità: i loro diritti, infatti, dovrebbero essere integrati e visibili nel lavoro dell’Unione Europea e in tutta Europa.

«È essenziale – concludono dal Forum – che le esigenze e le richieste delle donne con disabilità siano integrate nell’elaborazione delle politiche dell’Unione Europea e la Roadmap proposta è uno strumento essenziale per garantirlo. Le donne con disabilità, infatti, non possono più essere lasciate indietro e attraverso questa dichiarazione, desideriamo far sentire la nostra voce! Ci aspettiamo quindi di essere visibili nella Roadmap dell’Unione Europea sui diritti delle donne! Perché il nostro coinvolgimento è essenziale per garantire politiche efficaci seguendo il motto del nostro movimento: Niente su di Noi senza di Noi». (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Comunicazione dell’EDF (André Felix), andre.felix@edf-feph.org (scrivere in inglese).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con alcune modifiche dovute al diverso contenitore – per gentile concessione.

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L’accessibilità non è un lusso: decostruire l’abilismo nei nostri spazi

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Una denuncia lucida e impietosa di come l’abilismo sia inscritto nella progettazione degli spazi e delle strutture sociali, il tutto lontano da un’idea rassicurante che l’accessibilità sia solo una questione tecnica: il libro di Ilaria Crippi “Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo” smaschera le giustificazioni che rendono l’esclusione delle persone con disabilità un fatto accettabile e normalizzato

Una denuncia lucida e impietosa di come l’abilismo sia inscritto nella progettazione degli spazi e delle strutture sociali. Lontano da un’idea rassicurante che l’accessibilità sia solo una questione tecnica, Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo (Tamu Edizioni, 2024) di Ilaria Crippi è uno di quei libri capaci di smascherare le giustificazioni che rendono l’esclusione delle persone con disabilità un fatto accettabile e normalizzato [se ne legga già anche sulle nostre pagine, a questo e a questo link, N.d.R.]. Crippi ci costringe a interrogarci su chi abbia il diritto di attraversare liberamente gli spazi e su chi invece venga sistematicamente escluso, mettendo in discussione le priorità e i compromessi che la nostra società accetta senza troppi scandali.

Nata a Ferrara, classe 1988, Ilaria Crippi è un’attivista con disabilità che da anni e con grande energia si occupa di accessibilità, diritti delle persone con disabilità e giustizia sociale. Con una formazione come disability manager e progettista sociale, ha approfondito i Disability Studies e la ricerca emancipatoria, intrecciando prospettive sociologiche e giuridiche. Attraverso il suo lavoro, integra le tematiche legate alla disabilità con quelle del genere e dell’orientamento sessuale, offrendo una visione intersezionale che arricchisce il dibattito sull’inclusione. Questo suo bel saggio rappresenta una riflessione acuta sulla natura culturale e politica dell’accessibilità, sfidando l’idea comune che essa riguardi solo l’eliminazione di barriere fisiche o architettoniche e non piuttosto una più ampia struttura culturale che privilegia i corpi considerati “abili”. Gli spazi infatti, secondo l’autrice, non sono neutri: sono costruiti per corpi normativi, escludendo e marginalizzando chi si discosta da questa norma. La sua analisi si sofferma sulle radici culturali dell’abilismo, mostrando come la progettazione degli spazi, delle relazioni sociali e delle pratiche quotidiane perpetui discriminazioni sottili ma pervasive.
Le chiedo quali siano a suo avviso le barriere culturali più difficili da superare quando si parla di accessibilità. «Il problema di fondo – mi risponde – è che l’esclusione delle persone con disabilità è normalizzata. Significa che non genera scandalo pensare che esse abbiano un accesso limitato all’ambiente: la consideriamo una naturale conseguenza dell’avere un corpo-mente lontano dagli standard di normalità. E invece in molti casi l’esclusione deriva da barriere nell’ambiente che potrebbero essere rimosse».
«Quando si segnala un problema di accessibilità – prosegue – la risposta immediata non è una ricerca di soluzioni, ma piuttosto una giustificazione dell’esistente: la barriera c’è perché è troppo costoso rimuoverla, perché quel palazzo è antico, perché non ci sono abbastanza persone con disabilità da giustificare il cambiamento. Questi discorsi ci ingannano, fanno apparire l’esclusione come inevitabile e razionale, nascondendo quanto invece derivi da precise scelte e priorità che diamo per scontate. Ad esempio diamo per scontato che i costi legati all’accessibilità siano un di più da sostenere se e quando è possibile; non li vediamo come una parte del costo standard, ineliminabile e da prevedere quando si decide di utilizzare un certo edificio o di realizzare un evento».

Domando poi a Crippi quali responsabilità, a suo avviso, dovrebbero assumersi le Istituzioni e i professionisti della progettazione per garantire un reale cambiamento. «Il punto centrale – mi risponde subito – è smettere di vedere l’inaccessibilità come qualcosa di tollerabile. Ad oggi, l’accessibilità sembra sempre sacrificabile… ed è, infatti, sacrificata in caso di conflitti con altre priorità, siano esse tecniche, estetiche, politiche. Di conseguenza, oggi un progettista che non tiene conto dell’accessibilità non viene visto come uno che ha fatto qualcosa di estremamente grave, di inaccettabile per la sua professione. Dobbiamo iniziare a pensare che creare barriere è come progettare un ponte che poi crolla, e mettere a punto tutti i passaggi della filiera, per impedire o almeno limitare al massimo la possibilità di errori: formazione obbligatoria dei progettisti, presenza di esperti di accessibilità in ogni comune e raccordo costante con le associazioni, organismi di controllo e sanzioni applicate su chi progetta ed esegue lavori in modo errato».

«Un’altra questione chiave – sottolinea ancora – è mettersi d’accordo su cosa intendiamo per accessibilità. La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità chiarisce che l’accesso deve essere garantito «su base di eguaglianza con gli altri»: questo è un cambio di approccio rispetto alle norme sull’accessibilità abitualmente tenute come riferimento dai progettisti. Il punto non è offrire alle persone con disabilità un angolino dove possono arrivare, possibilmente senza disturbare troppo, ma garantire loro un’esperienza di pari qualità: senza complicazioni aggiuntive per ottenere un posto a un concerto, senza attese sotto la pioggia finché non si trova la rampa mobile, senza dover chiedere aiuto ad altri per comprare un biglietto del treno, perché la app non è accessibile. Accessibilità non è “farci arrivare lì in qualche modo purché sia”, ma farci avere un’esperienza altrettanto facile, snella e piacevole di quella degli altri, almeno per ciò che dipende dalle caratteristiche ambientali».

Provando per un istante a immaginare una società pienamente accessibile, chiedo a Crippi quali cambiamenti concreti auspicherebbe. «In una società pienamente inclusiva – dice -, l’accessibilità non sarebbe un’aggiunta facoltativa, ma un principio di base della progettazione di spazi e servizi. Non sarebbe accettabile svolgere un’attività aperta al pubblico in un posto non accessibile, così come non sarebbe accettabile aprire un ristorante o un museo in un edificio senza il tetto o l’elettricità. Studiare l’accessibilità sarebbe obbligatorio per architetti e ingegneri, ma anche per web-designer, programmatori, organizzatori di eventi, personale sanitario eccetera. E soprattutto, le persone con disabilità non verrebbero più viste come “eccezioni” da gestire tramite soluzioni speciali, ma come soggetti che potrebbero attraversare uno spazio al pari di chiunque altro. Come persone saremmo, insomma, previste».

Ilaria Crippi, tuttavia, ci invita a ripensare non solo le strutture fisiche, ma anche i modelli culturali che definiscono chi è incluso e chi no. Un aspetto cruciale del libro, infatti, è l’approccio intersezionale, con cui esplora come la discriminazione per disabilità si intrecci con altre forme di oppressione, come quelle basate sul genere e sull’orientamento sessuale. L’Autrice analizza come questi intrecci possano amplificare le difficoltà, ma anche offrire una prospettiva unica e creativa per immaginare spazi più inclusivi e pratiche più giuste. Si tratta di un approccio che rende il libro non solo una denuncia delle disuguaglianze esistenti, ma anche una proposta di trasformazione culturale profonda.
Il saggio si rivolge a un pubblico ampio: professionisti come architetti, designer e progettisti, ma anche attivisti, persone con disabilità e chiunque sia impegnato nel campo della giustizia sociale. Crippi vi utilizza un linguaggio diretto e coinvolgente, capace di alternare analisi teoriche a esempi concreti, rendendo il testo accessibile e stimolante anche per chi si avvicina a questi temi per la prima volta. La sua narrazione non si limita soltanto a denunciare l’abilismo, ma propone strumenti critici per riconoscerlo e superarlo, invitando a immaginare un mondo in cui gli spazi siano pensati per tutti, senza gerarchie implicite tra i corpi.
Lo spazio non è neutro è quindi un’opera importante che spinge a riconsiderare le fondamenta culturali della nostra società, evidenziando quanto sia necessario un cambiamento radicale per costruire una realtà veramente inclusiva.

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La Fondazione Telethon in prima linea per lo sviluppo di nuove cure

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Solo per il 5% delle oltre 7.000 Malattie Rare oggi conosciute è disponibile una terapia. Oltre 10 i progetti terapeutici che compongono la linea di sviluppo della Fondazione Telethon che, in occasione della recente Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio, ha voluto ricordare il proprio impegno nel cercare di trovare nuove cure grazie alla ricerca “More than you can imagine”, ovvero “Più di quanto tu possa immaginare”: è stato questo il messaggio lanciato a livello internazionale, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare 2025

Trovare nuove cure per le malattie genetiche rare grazie alla ricerca scientifica è l’impegno quotidiano della Fondazione Telethon, che in occasione della recente Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio (Rare Disease Day) ha fatto il punto sui suoi principali progetti terapeutici portati avanti.
Come sottolinea UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, ad oggi esiste una terapia solo per il 5% delle oltre 7.000 patologie rare conosciute e la ricerca scientifica rappresenta lo strumento principale per far aumentare le opportunità di cura. «Il nostro impegno è da sempre rivolto a trasformare la ricerca, realizzata grazie alle donazioni, in soluzioni effettivamente disponibili ai pazienti. Oggi il nostro contributo all’obiettivo comune di allargare l’accesso alla cura per questa comunità è concreto; una filiera che dalla ricerca di base arriva sino alla produzione e distribuzione di terapie»: lo ha dichiarato Ilaria Villa, direttore generale della Fondazione Telethon.

La stessa Fondazione Telethon è infatti da molti anni impegnata a trasformare in terapie fruibili i risultati della ricerca, in particolare quella condotta nei propri centri: l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-TIGET) di Milano e l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli.
«Ne è un esempio concreto – viene sottolineato – la prima terapia genica ex vivo approvata al mondo, quella per la rara immunodeficienza genetica ADA-SCID, frutto della ricerca dell’SR-TIGET di Milano. Di questa terapia, dal 2023, la nostra Fondazione è anche responsabile per la produzione e la distribuzione, posizionandosi come la prima charity al mondo ad essersi assunta l’impegno di garantire concretamente l’accesso ai pazienti. La stessa determinazione caratterizza il percorso anche di un’altra rara malattia genetica del sistema immunitario, la sindrome di Wiskott-Aldrich, per la quale l’SR-TIGET ha messo a punto una terapia genica: in questo caso ci siamo fatti carico anche del percorso regolatorio per portare il farmaco all’approvazione, sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti».
Sono questi due esempi che fanno parte della visione più ampia della Fondazione: sviluppare cioè una linea (pipeline) di prodotti, includendo diverse strategie terapeutiche, dalla terapia genica all’editing genetico, fino al riposizionamento di farmaci già disponibili per indicazioni attualmente orfane.
Quella pipeline comprende terapie già approvate e disponibili, come quella già citata per l’ADA-SCID e quella per la leucodistrofia metacromatica, gravissima malattia metabolica che colpisce il sistema nervoso già nell’infanzia: in questo caso, grazie a una partnership tra la Fondazione e l’Ospedale San Raffaele con un’azienda farmaceutica, questa terapia è arrivata sul mercato sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti. Ma poiché essa è efficace se somministrata prima dell’esordio della malattia, è fondamentale che quanto prima venga esteso a tutti i neonati lo screening neonatale, che al momento attuale, in Italia, è disponibile soltanto in Toscana e in Lombardia grazie a due studi pilota.

Sempre grazie all’alleanza con partner esterni, è anche in corso la sperimentazione di due terapie geniche messe a punto dai ricercatori del TIGEM e dell’SR-TIGET, rispettivamente per una rara forma di cecità associata a sordità, la sindrome di Usher 1B, e la mucopolisaccaridosi di tipo 1H, grave malattia metabolica che colpisce diversi organi.
La Fondazione, infine, è in procinto di avviare studi clinici per valutare nei pazienti nuove strategie terapeutiche messe a punto dai ricercatori dei propri istituti, tra cui una terapia genica per una rara forma di osteopetrosi e un approccio terapeutico basato sull’editing genetico per una rara immunodeficienza, la sindrome da iper IgM. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Chiara Longhi (chiara.longhi@havaspr.com).

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