Concorso pubblico, per titoli ed esami, per 1.435 posti per l’accesso all’Area dei funzionari e dell’elevata qualificazione per la Calabria – AVVISO N. 7.
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«Il volontariato è innanzitutto una pratica di solidarietà, ma, per chi ne fa esperienza, è anche un luogo di formazione, crescita personale e apprendimento costante. I volontari percepiscono di essere agenti di cambiamento e ritengono che la loro attività abbia un impatto rilevante sia sulla realtà circostante che su se stessi»: sono questi alcuni degli aspetti che emergono dall’indagine denominata NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dalla Caritas Italiana, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre.
Lo studio verrà illustrato e discusso nella mattinata del 28 aprile (ore 9.30), presso l’Aula Volpi dell’Università di Roma Tre (Via del Castro Pretorio, 20, Roma), evento che potrà essere seguito in diretta streaming nel canale YouTube del Forum del Terzo Settore.
Dopo i saluti istituzionali, a presentare la ricerca saranno i curatori di essa Paolo di Rienzo e Giovanni Serra dell’Università Roma Tre, con un intervento della ricercatrice Sabrina Stoppiello dell’ISTAT.
Seguirà una sessione dedicata all’approfondimento di alcune delle competenze chiave per il volontariato, con interventi di Franco Lorenzoni, maestro e scrittore, Donatella Turri di Caritas Italiana e Maruan Oussaifi, vicepresidente dell’ANOLF (Associazione Nazionale Oltre le Frontiere).
Concluderà l’incontro una riflessione sulle prospettive per il Paese, con la partecipazione, tra gli altri, di Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore e don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana.
A moderare l’evento sarà Luca Liverani, giornalista di «Avvenire». (S.B.)
L'articolo Volontariato e competenze per una nuova cittadinanza proviene da Superando.
Ringrazio, insieme alla dottoressa Lancioni, il professor Paolo Cendon per avere accettato di rilasciare un’ampia intervista a Superando, nonostante i suoi numerosi impegni [la si legga a questo link, N.d.R.].
Prendo atto delle sue risposte, a partire dalla prima, che egli reputa riportare dati non corretti. Invero, si potrebbe forse dire che essa era incompleta, perché, come giustamente fa osservare, l’introduzione dell’amministratore di sostegno nel Codice Civile è stata attuata come mezzo di tutela delle persone in situazione di fragilità, ovviamente, però, cercando di ridurre al minimo la loro libertà di compiere atti giuridici. Il professore riconosce tuttavia, in modo quasi didattico, che i casi in cui opera l’amministrazione di sostegno possono dividersi in tre gruppi: un terzo dei casi in cui le cose vanno bene, un terzo in cui vanno così e così, e un terzo in cui vanno male. Ora, trattandosi di circa 400.000 persone attualmente sottoposte ad amministrazione di sostegno, ci troviamo in presenza di oltre 100.000 persone cui l’amministrazione di sostegno va male e altrettante in cui va così e così.
Ecco, la nostra richiesta al professor Cendon era di valutare la Proposta di Legge dell’Associazione Diritti alla Follia, per cercare di evitare questi più di 200.000 casi in cui le cose vanno in parte così e così e in parte male. Personalmente mi rendo conto che la formulazione delle norme della Proposta di Legge è troppo drastica, quando propone ad esempio che in nessun caso l’amministratore di sostegno possa agire contro la volontà dell’interessato o che un amministratore non possa seguire più di due o tre casi, o ancora che in nessun caso la nomina dell’amministratore stesso avvenga da parte di un giudice singolo, ma da un collegio di almeno tre magistrati.
Data questa formulazione, il professore osserva giustamente che non sempre si può rispettare la volontà dell’interessato, quando questa va contro il suo interesse, e propone degli esempi presi dalla realtà, come i casi in cui l’amministrato non voglia pagare le bollette della luce o del gas, fatto che porterebbe al taglio di tali servizi per insolvenza, o quelli di persone anoressiche che non vogliano assumere cibi, fatto che li porterebbe alla morte. In queste situazioni, a mio avviso, non c’è dubbio che la volontà dell’interessato non possa essere rispettata.
Però, di fronte a numerosi casi di cronaca anche giudiziaria, in cui la magistratura ha riconosciuto che l’amministratore di sostegno doveva essere condannato o per comportamento colposo o doloso, e comunque per quel terzo di casi in cui lo stesso professor Cendon riconosce che le cose vanno assai male, quale soluzione proporre egli non lo dice, mentre era proprio ciò che speravamo di sentire da lui, data la sua grande competenza ed esperienza. Così, egli ha opportunamente risposto al problema delle troppe nomine attribuite allo stesso amministratore, che rendono la cura degli amministrati di qualità scadente o negativa, e quindi, vista la carenza di persone disponibili, alla luce della complessità, dell’onerosità psicologica e della quantità di tempo che l’amministrazione comporta per chi accetta di assumerla, egli propone un ricorso al volontariato. E tuttavia, ripeto, per il problema dei casi che «vanno così e così» e soprattutto per quelli che vanno male, io mi auguro che egli voglia in seguito fornire dei suggerimenti non solo utili ma necessari.
Mi chiedo, ad esempio, se non sarebbe possibile la nomina di un “pro-amministratore di sostegno”, come il Codice prevede già per la nomina del “protutore” il quale controlla l’attività dell’amministratore di sostegno, osserva gli effetti prodotti non solo e non tanto sulla situazione patrimoniale dell’amministrato, ma soprattutto su quella esistenziale della serenità di vita dello stesso. Mi rendo conto che anche qui si pone il problema della scarsità di persone disponibili già come amministratori di sostegno, ma se è vero che il Codice non ha avuto difficoltà a recepire l’istituto del protutore, non dovrebbe rifiutare l’introduzione della figura del “pro-amministratore di sostegno”.
In conclusione, il professor Cendon giudica illusoria e sostanzialmente “fuori dal mondo reale” la Proposta di Legge di Diritti alla Follia. Io personalmente, pur ritenendola troppo drastica, come detto, ne condivido però i princìpi ispiratori di talune soluzioni proposte. Pertanto, non solo l’ho già sottoscritta, ma invito tutti a sottoscriverla anche online sul sito di Diritti alla Follia. E ciò perché, in sede di dibattito parlamentare, molte “rigidità” assolute potrebbero essere smussate, e probabilmente potrebbe essere introdotta anche qualche risposta alla domanda di tutela dell’amministrato da parte di certi comportamenti scorretti dell’amministratore.
L'articolo Amministrazione di sostegno: come evitare che le cose vadano “così e cosi” o decisamente male? proviene da Superando.
Un’iniziativa dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sull’inclusione delle persone con disabilità prevede 8 tirocini esclusivamente riservati a candidati o candidate con disabilità. Questi tirocini, retribuiti e della durata di 3-6 mesi, offrono anche la copertura delle spese di viaggio per i candidati/candidate provenienti da Paesi non rappresentati o sottorappresentati.
Per proporre la propria candidatura ci si deve dichiarare come persone con disabilità e soddisfare i criteri specificati in ciascun profilo. È possibile richiedere accomodamenti ragionevoli al momento della candidatura. Per prendere visione dei profili richiesti c’è una sezione dedicata sul sito dell’ILO.
La scadenza per fare domanda è il 30 aprile 2025.
L’ILO, agenzia specializzata delle Nazioni Unite, promuove la giustizia sociale attraverso il lavoro dignitoso in tutto il mondo. (C.C.)
Una scheda di approfondimento sull’iniziativa in inglese. Per ulteriori informazioni, inviare un’e-mail a internship@ilo.org.L'articolo Tirocini retribuiti per persone con disabilità all’Organizzazione Internazionale del Lavoro proviene da Superando.
L’azienda attiva nel settore sanitario MedicAir è stata di recente al centro di critiche per l’assenza di assistenza tecnica nei weekend e festivi, anche in situazioni di emergenza. Un episodio riguardante un bottone PEG errato (l’acronimo PEG sta per Gastrostomia Endoscopica Percutanea) ha causato ad esempio gravi disagi a una bimba con patologia ultra-rara, spingendo il padre caregiver a denunciare la vicenda. Ne abbiamo parlato con Marco Rasconi, presidente nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Associazione che ha promosso un ciclo di incontri sulla disfagia proprio in collaborazione con MedicAir (ne abbiamo parlato in questo pezzo).
Marco Rasconi, presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare)«Ci dispiace molto per quanto è accaduto alla famiglia di quella bimba – ci dice Rasconi -. La situazione delle famiglie, dell’assistenza e l’approvvigionamento degli ausili e prodotti medicali è un tema sempre presente nell’azione della nostra Associazione e pertanto desideriamo manifestare la nostra vicinanza alla bimba e alla sua famiglia. La questione dev’essere chiarita a livello istituzionale, prevedendo un organo di vigilanza che assicuri che questi servizi vengano svolti mettendo davanti a tutto i bisogni delle persone. La frammentazione dei servizi dati in gestione a enti o aziende diverse non aiuta a rispondere alle necessità concrete delle famiglie e rende più pesante il lavoro di cura».
La UILDM collabora con diverse aziende per iniziative di formazione, tra cui MedicAir. In che modo – chiediamo a Rasconi – intendete gestire il dialogo con l’azienda per affrontare le criticità segnalate, senza compromettere le attività positive già avviate? «Da Statuto – ci risponde il Presidente della UILDM – la nostra Associazione è apolitica e apartitica. Nelle nostre attività collaboriamo con aziende ma non abbiamo rapporti esclusivi e privilegiati con nessuna. È una modalità che ci permette di erogare formazione ai nostri soci su determinati aspetti e sostenere alcuni dei servizi che offriamo. La nostra missione è prima di tutto supportare le persone con distrofie e le altre patologie neuromuscolari, quindi nelle situazioni di criticità la nostra priorità è il benessere delle persone. In questo caso io vedo due temi separati. Da una parte noi portiamo avanti iniziative di informazione e formazione per le persone con disabilità, avvalendoci della collaborazione di varie aziende e continueremo a farlo, anche appunto sul “fronte alimentare”. Quegli incontri sulla disfagia cui fate riferimento sono andati molto bene: siamo riusciti infatti a dare tante indicazioni anche a professionisti che incontrano le nostre persone. Poi è chiaro che, avendo questo contatto con l’azienda in questione, chiederemo spiegazioni su tutto il resto. Le cose, cioè, non si escludono a vicenda».
«In realtà – aggiunge Rasconi – credo che non si tratti solo di MedicAir, ma che il tema sia più in generale quello della presa in carico sanitaria. Non possiamo permetterci, infatti, che le famiglie restino scoperte. Tuttavia anche la normativa di accreditamento e quello che viene chiesto alle aziende deve essere più puntuale sul bisogno del paziente. Quindi anche da questo punto di vista c’è da intervenire».
«È chiaro – conclude – che i livelli sono molteplici. C’è quello dell’informazione e della formazione alle famiglie, alle aziende e, poi c’è quello delle capacità di influire sulle politiche: questo lo facciamo ovviamente con la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità), cui aderiamo sin dagli inizi, ma lo facciamo anche da soli quando possiamo. Il tema per noi resta quello di essere in grado di collaborare a trecentosessanta gradi, ma naturalmente, come detto, parleremo con l’azienda su questo tema, su come si possa migliorare la qualità del servizio». (C.C.)
L'articolo La presa in carico sanitaria: «Non possiamo permetterci che le famiglie restino scoperte» proviene da Superando.
Stanno per ripartire i corsi di guida in moto in pista promossi dall’Associazione Di.Di. Diversamente Disabili, rivolti principalmente a chi ha una disabilità fisica e vuole tornare in moto, per passione, per necessità o per superare i propri limiti. La prima data prevista, infatti, è quella del 28 aprile all’Autodromo di Magione (Perugia).
Attiva dal 2013, la Scuola Guida Di.Di. – che fa capo, va ricordato, all’Associazione promotrice dal 2014 del Campionato Italiano di motociclismo paralimpico – in undici anni ha rimesso in sella più di 460 persone. Lo staff è composto da tecnici e istruttori federali, anche con la stessa disabilità dell’allievo, per spiegare al meglio le tecniche di guida in base alle proprie esigenze fisiche. Ed è impegnato anche un gruppo di volontari a disposizione delle persone, per aiutarle nella vestizione, nel salire in moto o negli spostamenti nel paddock.
Grazie alle donazioni del 5 per mille, nonché al supporto di una serie di aziende, Di.Di. dispone di un parco mezzi composto da moto e pit-bike adattate per ogni tipo di disabilità (arti inferiori, arti superiori e paraplegia), oltre a fornire ai corsisti anche l’abbigliamento tecnico necessario a guidare in tutta sicurezza.
«Quando sei in moto – dicono da Di.Di. – sei uguale a tutti gli altri, sei libero dalla tua disabilità. Perché si affrontano le proprie paure, si chiude un cerchio che, spesso, è iniziato proprio il giorno dell’incidente che ha causato la disabilità. Ed è importante l’autostima che consente di tornare a coltivare la propria passione e a dimostrare a se stessi che si possono fare ancora moltissime cose, solo in modo diverso». (S.B.)
L'articolo Ripartono i corsi di guida in moto dell’Associazione Di.Di. proviene da Superando.
Casa editrice digitale specializzata nella realizzazione di strumenti e risorse per la didattica e partner del Ministero dell’Istruzione e del Merito, MyEdu ha recentemente intrapreso un percorso biennale a fianco dell’AID, l’Associazione Italiana Dislessia che dal 1997 promuove in Italia l’inclusione delle persone con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento: se ne legga anche in calce). Nello specifico, l’impegno di MyEdu sarà a sostegno del lavoro quotidiano che la rete di volontari e dei formatori dell’AID svolge sul territorio per informare, sensibilizzare e supportare le persone, le bambine e i bambini e gli adulti che hanno queste neurodivergenze.
La partnership prevede vari progetti, a partire dalla realizzazione della prima guida per i genitori in formato digitale e cartaceo, facilmente fruibile e divulgabile, con strategie e buone prassi validate dai formatori dell’AID sulla gestione dei DSA. Questi ultimi, infatti, si manifestano quasi sempre nelle aule scolastiche, ma spesso i genitori sono impreparati nel riconoscere i segnali predittivi e non sanno orientarsi tra le soluzioni che possono aiutare le proprie figlie e figli a superare le difficoltà quotidiane. Strumenti digitali realizzati sfruttando le potenzialità della tecnologia, indirizzate da specialisti della didattica e dell’educazione, possono dunque consentire di costruire percorsi di apprendimento su misura, adattabili ad ogni specificità, psicologica e neurologica. E in particolare la fruizione multimediale dei contenuti scolastici, l’utilizzo delle mappe concettuali e di giochi e lezioni interattive, tramite l’uso di devices, possono permettere alle bambine e ai bambini con DSA o altri BES (bisogni educativi speciali) di ridurre le proprie difficoltà, restando al passo dei propri coetanei.
Oltre poi all’attività informativa e divulgativa, MyEdu concretizzerà il proprio impegno al fianco di AID offrendo l’accesso gratuito alla piattaforma digitale alle bambine e ai bambini con DSA che usufruiscono del fondo di solidarietà AID, rivolto alle famiglie in difficoltà.
«L’accesso a strumenti didattici innovativi e inclusivi – sottolinea Silvia Lanzafame, presidente dell’AID – rappresenta un elemento fondamentale per il successo formativo e l’autonomia nell’apprendimento degli studenti e delle studentesse con DSA. Grazie al sostegno e all’esperienza di MyEdu, potremo offrire alle famiglie risorse concrete per affrontare con maggiore serenità il percorso scolastico dei propri figli e figlie. Questa partnership rappresenta un passo importante verso una scuola sempre più inclusiva e attenta alle esigenze di ogni studente, per non lasciare indietro nessuna e nessuno».
«Siamo felici – afferma dal canto suo Laura Fumagalli, presidente di MyEdu – di avere cominciato un percorso al fianco dell’Associazione di riferimento in Italia per un problema che riguarda sempre più famiglie e di conseguenza chiunque si occupi di didattica e siamo convinti, grazie alla loro autorevolezza e competenza sul tema, di poter realizzare progetti concreti per contribuire ad aiutare, nella quotidianità, chi deve affrontare queste difficoltà. Il nostro impegno, infatti, è favorire un’educazione inclusiva grazie alla realizzazione di contenuti e risorse progettati dai nostri esperti a “misura di tutti” e, nello specifico, fruibili anche da studentesse e studenti con disturbi specifici dell’apprendimento». (S.B.)
L'articolo L’Associazione Italiana Dislessia e MyEdu: una partnership a favore delle persone con DSA proviene da Superando.
Com’è possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si sia concretizzata in tantissimi casi in una violazione dei loro diritti umani? La norma di cui parliamo è la Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, che lo scorso anno ha compiuto vent’anni, e quella domanda abbiamo voluta porla, nell’intervista che presentiamo oggi, curata da Salvatore Nocera e Simona Lancioni, a colui che è considerato il “padre” della norma in questione, ossia Paolo Cendon, professore ordinario dell’Università di Trieste, nonché coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili, riattivato presso il Ministero della Giustizia nel novembre 2023. Con lui abbiamo parlato delle tante criticità che già da tempo denunciamo su queste pagine, dalle nomine di un amministratore di sostegno senza interpellare la persona che vi viene sottoposta, al mancato rispetto della volontà di quest’ultima; dai trattamenti sanitari autorizzati da terzi, ma spacciati come “scelti” dalla persona amministrata, alla contraccezione e a interruzioni di gravidanza eseguite senza il consenso delle donne con disabilità psicosociale sottoposte a “tutela giuridica”; e ancora, dall’impossibilità per la persona amministrata di stare in contatto con parenti/amici per volontà dell’amministratore di sostegno, ai numerosi furti ai danni delle persone amministrate, fino al trasferimento della persona amministrata in una struttura residenziale senza il suo consenso, come nell’eclatante “caso Gilardi”, costato all’Italia una condanna da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (se ne legga a questo link).
Per ovviare a tali criticità, l’Associazione Diritti alla Follia ha recentemente elaborato una Proposta di Legge di iniziativa popolare, attualmente aperta alla sottoscrizione online, che prevede modifiche e integrazioni alla Legge 6/04. Anche di questa Proposta di Legge, e in particolare di alcuni aspetti di essa, si è parlato con il professor Cendon.
Professor Cendon, lo scorso anno lei segnalava che le persone soggette ad amministrazione di sostegno hanno superato abbondantemente le 400.000, che questo numero è in costante aumento e che l’istituto funziona nell’80-90% dei casi. Noi vorremmo qui focalizzare la nostra attenzione su quel 10-20% dei casi – che corrispondono a 40/80mila persone – nei quali sono state riscontrate delle criticità anche particolarmente pesanti in una serie di situazioni. Com’è stato dunque possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si concretizzi, in decine di migliaia di casi, in una violazione dei loro diritti umani?
«Vorrei innanzitutto precisare che i numeri da voi citati vanno leggermente corretti in basso, direi tra le 350.000 e le 400.000 persone soggette ad amministrazione di sostegno, anche se potrebbero esserci dati più recenti che confermino le 400.000. Non credo poi nemmeno che le cose vadano bene nell’80/90% dei casi, come da voi detto, credo infatti che vadano bene per il 30% dei casi, così così per un altro 30% e male per un ulteriore 30%.
Rispetto allo scopo della Legge 6/04, è certamente stato fondamentale l’obiettivo di favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone ed è bene sottolinearlo. Ma vi è stata anche l’esigenza di protezione. Direi dunque che per metà si tratta di favorire l’emancipazione all’insegna della maggiore libertà possibile, per l’altra metà, invece, di proteggere e tutelare. Quando ad esempio c’è una persona che non è in grado, per varie ragioni, di fare quello che dovrebbe fare (pagare le bollette), allora il problema è quello di tutelarla.
Quindi, ribadisco, il trend voluto dalla Legge 6/04 è stato per metà quello dell’emancipazione e della “fioritura” delle persone, potremmo dire, per metà, invece, quello di salvaguardare, di impedire che le persone stesse precipitino in condizioni peggiori o pericolose».
Dopo la Sentenza del 6 luglio 2023, con cui la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per il cosiddetto “caso Gilardi”, quali garanzie ha oggi una persona sottoposta ad amministrazione di sostegno di non essere rinchiusa da qualche parte contro la propria volontà?
«In realtà è necessario precisare che nel caso di Carlo Gilardi la Corte Europea, che ha prodotto la Sentenza del 6 luglio 2023, non aveva sotto mano tutti gli elementi utili a potersi esprimere sul punto, in quanto non ha mai richiesto – e comunque non le sono mai stati forniti – i dati completi, e quindi ha giudicato ignorando una serie di importanti dettagli. In altre parole, non voglio dire che Carlo Gilardi “desiderasse spasmodicamente” andare nella casa di riposo, però, in certi frangenti non era così contrario. Soprattutto la Corte ha completamente dimenticato o ignorato – ignorando appunto il relativo fascicolo –, che Gilardi era un uomo che soffriva delle microvessazioni quotidiane che gli imponevano i suoi badanti, in modo molto insistente. E lui, che pure era buono e ispirato da sacri sentimenti, non se ne lamentava pubblicamente, ma in certe occasioni lo faceva. Le forze dell’ordine, a quanto mi risulta anche per esperienza diretta, lo invitavano ad esternare in qualche modo queste sue lagnanze con parole specifiche, per far sì che potessero intervenire.
Credo dunque che la realtà dei fatti sia stata abbastanza diversa da quella che si racconta. Potremmo dire che Carlo Gilardi fosse una persona “spezzata in due”, ossia che metà di lui, o forse anche più, odiasse andare in casa di riposo e stesse bene, tutto sommato, là dove stava, ma una parte di lui stesso, anche molto consistente, si rendeva conto di essere oggetto da qualche anno di quelle vessazioni da parte dei badanti che gli chiedevano denaro, gli imponevano azioni, arrivando fino al ricatto e a fargli addirittura commettere qualche piccolo reato.
Se dunque si ignorano queste parti della storia, si corre il rischio di produrre una Sentenza, come ha fatto la Corte Europea, enormemente sbilanciata. Un altro dato da ricordare, ad esempio, è che quando Carlo Gilardi era in casa di riposo, non è vero che ogni giorno chiedesse di vedere i cugini o altre persone che avrebbero fatto continuamente richiesta di essere presentati e di poter parlare con lui. Era infatti una persona di indole solitaria, contento, tutto sommato, che gli venissero risparmiate visite e richieste a cui diceva quasi sempre di no. Anche il Giudice ha probabilmente sbagliato quando ha negato dialogo e conversazioni con persone che l’avevano chiesto, ma questo è successo poche volte, mentre in ogni altro caso era lo stesso Gilardi a supplicare il giudice, e in particolare l’amministratore di sostegno, di essere tenuto al riparo da richieste di conversazioni con persone che lui praticamente non conosceva o che in ogni caso non stimava molto.
Quindi ci sono tanti “buchi” che in quel caso occorre certamente tenere presenti».
L’Associazione Diritti alla Follia ha elaborato una Proposta di Legge di iniziativa popolare, attualmente aperta alla sottoscrizione online, che prevede modifiche e integrazioni alla norma in questione. Nel chiederle qui di seguito un’opinione sugli interventi più caratterizzanti della Proposta, ci soffermiamo innanzitutto sulla necessità di specificare nei Decreti di nomina dell’amministratore di sostegno – come recita quella Proposta – che né quest’ultimo, né il Giudice Tutelare o il Collegio possano sostituirsi al beneficiario nell’assunzione di qualunque decisione, e che il loro compito è di «supportare il processo decisionale autonomo della persona».
«Non è così semplice rispondere a questa domanda, perché essa contiene una premessa in cui si vede il mondo della fragilità come se fosse fatto e costruito in un certo modo, mentre purtroppo è molto più complicato. Si diceva in precedenza che per la metà e oltre dei casi tutto va benissimo, è corretto e quindi è opportuno dire che l’autonomia vada salvaguardata e potenziata, che la libertà è sacrosanta… Nell’altra metà dei casi, purtroppo, non è così, il mondo non è come vorremmo. Non vorremmo che ci fosse la sofferenza, il dolore, le guerre e tante altre brutte cose che purtroppo esistono. Proviamo a far finta che non esistano? È così che vogliamo ragionare? Non credo sia giusto farlo. Si pensi ad esempio a quella che a mio parere è una questione riguardante tutti i beneficiari di amministrazione di sostegno, ovvero il pagamento delle bollette (luce, acqua, gas, telefono, tasse, condominio ecc.). Tutti quelli che possono non le pagano, ma è necessario farlo e quindi, cosa deve fare un amministratore di sostegno che si trova davanti a un beneficiario che dice “no, non le ho pagate, non voglio pagarle, non voglio pagare nemmeno le tasse…”? Se non paghi, ti tagliano la luce, se non paghi, corri dei rischi enormi. Ecco, questo è un esempio minimo, in fondo, un esempio molto semplice, ma sin troppo frequente. Che senso ha ignorarlo, fingendo quindi che il mondo sia diverso da quello che è? Il mondo, purtroppo, è fatto anche di beneficiari che certe volte non fanno cose indispensabili, come appunto pagare le bollette o le spese condominiali.
Sono cinque i casi difficili, o meglio, i gruppi di casi (circa 3 milioni di persone in Italia), nei quali purtroppo l’amministratore di sostegno e il giudice si trovano di fronte alla necessità di, non dico calpestare la volontà, ma di persuadere in ogni modo possibile il beneficiario a fare cose indispensabili e se il beneficiario si oppone, devono farlo lo stesso, come del resto ammette anche il Codice in alcuni passaggi in cui si parla di “rappresentanza esclusiva”. Si tratta dei casi di disagi psichici molto gravi, di anoressia, di alcolismo, di dipendenza da sostanze stupefacenti, di ludodipendenza. Qui ho esemplificato cinque categorie in cui ci si trova purtroppo di fronte a dei veri e propri muri e certe volte è necessario anche andare avanti. Si pensi all’anoressia, forse il caso più esemplare, perché qui è in gioco la vita di una persona.
All’inizio i giudici facevano come vorrebbe la Proposta di Legge dell’Associazione Diritti alla Follia, ossia “vabbè, se non vuoi mangiare, non importa, facciamo quello che vuoi, pazienza se muori!”. Questo è andato avanti così per qualche anno, poi i giudici hanno cambiato idea, sia pure senza mai venir meno alla persuasione, al dialogo, fin quando possibile, senza mai venir meno a questo codice fondamentale; quando però in certi casi si ha a che fare con la fragilità, quando una ragazza arriva a pesare 25 chili, occorre che il giudice dia all’amministratore di sostegno il potere di farla mangiare con la forza. E questo è successo in alcuni Decreti che abbiamo anche pubblicato recentemente, per testimoniare che non è un’invenzione del sottoscritto o di chissà chi, ma è quello che i giudici fanno quando devono farlo, perché c’è in gioco la vita delle persone. E sono le madri stesse [delle ragazze, N.d.R.], tra l’altro, che spesso li supplicano di non far morire a nessun costo la propria figlia».
Sempre in riferimento alla citata Proposta di Legge, qual è il suo parere sull’introduzione del vincolo che l’individuazione (e l’eventuale sostituzione) dell’amministratore di sostegno sia ineludibilmente legata alla scelta del beneficiario?
«Come ho già detto in precedenza, credo sia un’illusione postulare un beneficiario che sia sempre perfettamente in grado di decidere. Diciamo che da qualche tempo in qua è approdata con evidenza e forza sempre maggiori, anche presso i giudici, la consapevolezza che l’essere umano è più complicato di come sembrerebbe e che spesso è “spezzato” in parti diverse tra loro, potremmo dire tra parti che “vogliono essere salvate” e parti che “non vogliono essere salvate”. Dal canto suo, il giudice tutelare opera una sorta di contratto con quella parte della persona che chiede di “essere salvata”.
Mi rendo conto che questa è una grande semplificazione della questione, ma credo sia fondamentale partire dalla presa d’atto che l’essere umano è molto complicato, e ignorare questo vuol dire semplificare troppo le cose».
Rispetto poi al fatto che uno stesso amministratore di sostegno possa avere un solo beneficiario, o al massimo tre, quando i beneficiari sono legati tra loro da rapporti di coniugio, o di parentela fino al secondo grado, che cosa ne pensa?
«Qui mi permetto di dire che si sfiora veramente il ridicolo, in quanto si immagina che fuori dei tribunali vi siano code di gente che dice: “voglio farlo io l’amministratore di sostegno, ci tengo moltissimo”! L’amministratore di sostegno è un mestiere nobilissimo, che però è pagato pochissimo, esige sforzi indicibili, tant’è che proprio nessuno vuole farlo. Forse nel 2004 il Legislatore non immaginava che i “fragili” fossero così numerosi e che quindi altrettanto numerosi avrebbero dovuto essere gli amministratori di sostegno. Ma, ripeto, nessuno vuole fare l’amministratore di sostegno, in molti casi nemmeno in famiglia, figuriamoci fuori della famiglia. Per ottenere quattro soldi, con fatica, spesso insultati, sbeffeggiati dal proprio beneficiario, magari incompresi anche dal giudice tutelare… chi vorrebbe fare un lavoro del genere? Quindi il vero problema del giudice tutelare oggi, forse il più grosso, è trovare gli amministratori di sostegno, figuriamoci se uno può permettersi il lusso di più di due o tre beneficiari, magari fosse così…
Bisogna organizzarsi con il volontariato, bisognerebbe cominciare a fare un lavoro robusto, ma vi è una disparità tendenziale, una forbice destinata a crescere tra i beneficiari, cioè coloro che hanno bisogno di aiuto, che oggi sono circa 400.000, ma che con il tempo fatalmente cresceranno, perché questa è l’Italia. Non so quale sia il tetto possibile, almeno il triplo, il quadruplo, forse dieci volte tanto, forse sono 4 milioni in potenza le persone con difficoltà. E 4 milioni di amministratori di sostegno dove li cerchiamo? Ci vorrebbe un ministro, un’organizzazione che cercasse delle strade per incentivare queste soluzioni, vie economiche, vie organizzative, vie di vario tipo, valorizzando soprattutto il volontariato, che mi sembra il grande bacino cui attingere. Certo, è un grosso problema, non lo nego, ma figuriamoci se si può ridurre addirittura per legge a due beneficiari, quando ci sono avvocati – e non va bene, sono il primo a non essere d’accordo – che arrivano ad avere venti, trenta, beneficiari perché il giudice non ha trovato altre persone. E si tenga anche conto che il Legislatore aveva stabilito che gli assistenti sociali non dovessero fare gli amministratori di sostegno, per evitare il conflitto di interessi. Il bacino, quindi, si restringe ulteriormente.
Il problema è enorme, ma non si può certo risolverlo pensando di vivere tra le nuvole!».
Per quanto poi riguarda il fatto che la nomina dell’amministratore di sostegno divenga competenza di un Tribunale in composizione collegiale e che l’obbligo di nomina veda il beneficiario in tutta la procedura sempre supportato da un avvocato di fiducia, qual è la sua opinione?
«Anche qui credo sia necessario fare i conti con la realtà. Già oggi, infatti, i giudici di ruolo che si occupano di amministrazione di sostegno sono pochi, pochissimi, solo in parte aiutati dai giudici di supporto. Questo è un grave problema che non so se in prospettiva sarà risolvibile. Immaginare dunque di poter contare addirittura su un collegio di giudici, mi sembra francamente una pura e semplice utopia».
E rispetto alla previsione della suddetta Proposta di Legge che in nessun caso il provvedimento di amministrazione di sostegno possa incidere sulla continuità dei rapporti familiari, cosa ne pensa?
«Come ho già detto in precedenza, i rapporti tra beneficiario e famiglia si possono dividere in tre gruppi, un 30% in cui le cose vanno benissimo, un altro 30% in cui la situazione è abbastanza traballante e un ulteriore 30% in cui invece le cose vanno veramente male, e addirittura può essere il familiare stesso all’origine di dissesti psichici, fisici ed esistenziali in cui si trova il beneficiario. In questi ultimi casi la prima azione del giudice, quando se ne rende conto, è di staccare subito, con ogni mezzo, il beneficiario dal suo contesto familiare, che è appunto all’origine di situazioni disastrose. Quindi la continuità dei rapporti familiari, quando c’è ed è buona, è provvidenziale, e bene ha fatto il Legislatore a mettere in primo piano i familiari come bacino nel quale attingere agli amministratori di sostegno. Ma purtroppo molto spesso le cose non vanno così, come accade almeno per il 30% dei casi, talora anche arrivati alle cronache, perché riguardanti personaggi noti del mondo dello spettacolo o della cultura. Situazioni assolutamente gravi, rispetto alle quali il primo compito dei giudici dev’essere non di favorire la continuità familiare, ma di spezzarla, staccando subito il beneficiario dalla sua famiglia».
In conclusione, dunque, come valuta nel complesso la Proposta di Legge di cui si tratta?
«Illusoria, perché per molti aspetti prescinde dalla realtà. Rispetto ad alcuni casi può essere una proposta corretta, che sarebbe bellissima se il mondo fosse come vorremmo, ma per ogni tre, quattro casi di quel tipo, ce ne sono purtroppo almeno dieci volte tanti che con quella proposta vanno in disaccordo. E quindi, da questo punto di vista, ritengo che essa sia a dir poco utopistica».
*Paolo Cendon è professore ordinario dell’Università di Trieste, nonché coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili riattivato presso il Ministero della Giustizia nel novembre 2023. Salvatore Nocera, avvocato, è impegnato da sempre sul fronte dei diritti delle persone con disabilità ed è esperto, in particolare, di questioni legate all’inclusione scolastica. Simona Lancioni è sociologa, responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa).
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Tradizionale iniziativa promossa dal MAC (Movimento Apostolico Ciechi) e dedicata a un professore cieco di Latina, Il Premio Antonio Muñoz, rivolto a studenti e studentesse con disabilità visiva, è stato attribuito, per il 2024, a due alunni di San Giovanni in Persiceto (Bologna) e di Lerici (la Spezia), per la scuola primaria; a un’alunna di Carbonia (Sud Sardegna) e a un alunno di Vicoforte (Cuneo) per la scuola secondaria di primo grado; a due allievi rispettivamente di Abbiategrasso (Milano) e di Roma, per la scuola secondaria di secondo grado.
Altra iniziativa del MAC è il Premio Don Giovanni Brugnani – Parrocchie inclusive, rivolto alle comunità parrocchiali che si attivano per coinvolgere nella loro vita e nelle loro attività persone con disabilità di ogni età. La dedica è a un sacerdote della Diocesi di Lodi – don Giovanni Brugnani, appunto, prematuramente scomparso nel 1968, che diede un impulso decisivo per far sì che il MAC stesso divenisse un’Associazione a carattere nazionale.
Per il 2024 ad aggiudicarsi il riconoscimento sono state la Parrocchia Santo Stefano di Segrate (Milano) e la Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Ceccano (Frosinone).
Ora è già tempo della nuova edizione del Premio Brugnani, per la quale le iscrizioni sono aperte fino al prossimo 31 maggio. A questo link è disponibile il regolamento del premio, a questo e a quest’altro i relativi moduli per partecipare. (S.B.)
Per ulteriori informazioni: mac@movimentoapostolicociechi.it.L'articolo Il “Premio Muñoz” e il “Premio Brugnani” del Movimento Apostolico Ciechi proviene da Superando.
Evento aperto ai soli clinici, promosso dall’Associazione Parent Project, in collaborazione con l’organizzazione statunitense PPMD (Parent Project Muscular Dystrophy), si è tenuto nei giorni scorsi a Roma il meeting Cardiopulmonary Consensus in Duchenne (letteralmente “Consenso cardiopolmonare nella distrofia muscolare di Duchenne”), prezioso momento di aggiornamento per la comunità scientifica legata a questa patologia, cui hanno partecipato circa 50 clinici provenienti da Stati Uniti, Italia e Francia, impegnati appunto nella gestione cardiaca e respiratoria delle persone con la distrofia di Duchenne.
«L’incontro – dicono da Parent Project – ha offerto un’opportunità unica per confrontarsi sulle pratiche in uso nei vari Paesi, evidenziando punti di forza e approcci diversi sulla gestione clinica dei pazienti, con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione internazionale e contribuire a definire linee guida più chiare e condivise».
«Grazie agli sforzi congiunti di cardiologi e pneumologi internazionali – sottolinea in tal senso Ezio Magnano, presidente dell’Associazione – il meeting ha raggiunto il proprio obiettivo di aggiornare gli standard clinici, con lo scopo di migliorare la gestione clinica dei nostri figli, generando un impatto concreto positivo sulla loro qualità di vita».
«L’incontro di Roma – commenta dal canto suo Fabrizio Racca, direttore della Struttura di Anestesia e Rianimazione Generale dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino – ha rappresentato un’importante occasione di confronto tra gli specialisti, che ha permesso di discutere gli argomenti più controversi circa la gestione delle complicanze cardiache e respiratorie, gettando le basi per un aggiornamento delle linee guida attualmente in uso».
La prima giornata dei lavori si è aperta con una restituzione di alcuni workshop svoltisi lo scorso anno, uno dei quali a Roma, organizzato da Parent Project, sugli aspetti respiratori nella Duchenne e altri negli Stati Uniti, organizzati da PPMD, sugli aspetti cardiaci. A completare il quadro complessivo, che ha rappresentato il punto di partenza per l’avvio dei lavori stessi, anche un intervento sull’impatto delle nuove terapie per la Duchenne.
Nella seconda giornata, quindi, gli specialisti sono stati divisi in due gruppi, per affrontare separatamente le tematiche respiratorie e quelle cardiache. Il tutto seguito da una discussione aperta, gettando le basi per la stesura di una pubblicazione che sintetizzerà le migliori pratiche emerse.
Nella terza giornata, infine, i gruppi di lavoro hanno presentato gli aspetti salienti e le principali raccomandazioni emerse dalla giornata precedente.
«Nel corso del meeting – ricorda Rachele Adorisio, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Terapie Cardiovascolari avanzate all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – è stata posta attenzione sui temi della prevenzione e del trattamento precoce delle cardiomiopatie. Per la prima volta si è anche discusso delle terapie cardiovascolari avanzate: VAD [“dispositivo di assistenza ventricolare”, N.d.R.], trapianto e defibrillatore, con un focus sull’obiettivo di razionalizzare le modalità di selezione del paziente che possa beneficiare di questi trattamenti».
«Possiamo definire il lavoro svolto in queste giornate – conclude Claudio Bruno, responsabile del Centro di Miologia dell’Istituto Gaslini di Genova – attraverso quattro “C”: Confronto e Condivisione per la Crescita della Comunità. Sono stati infatti giorni preziosi di incontro e scambio tra colleghi uniti dalla determinazione a migliorare sempre più la presa in carico dei pazienti e ad avere un impatto positivo sulla comunità Duchenne». (S.B.)
L'articolo Distrofia muscolare di Duchenne: Confronto e Condivisione per la Crescita della Comunità proviene da Superando.
Due recenti indagini a livello internazionale, in tema di accessibilità digitale, hanno indicato numerose compagnie di viaggio tra i peggiori trasgressori delle disposizioni per l’accessibilità dei siti web alle persone con disabilità, rendendo impossibile, a queste ultime, accedere ai servizi online.
Ne dà notizia un articolo a firma di Joanna Bailey, pubblicato il 13 aprile dalla testata «Euronews Travel», riportando gli esiti di due distinte verifiche dell’accessibilità digitale effettuate da due operatori impegnati in questo settore: WebAim, Associazione senza scopo di lucro che si occupa di migliorare l’esperienza web per gli/le utenti con disabilità e AudioEye, società specializzata nell’accessibilità digitale.
Entrambi i rapporti di ricerca, dunque, segnalano i siti web delle compagnie di viaggio tra i peggiori in termini di accessibilità. In particolare il rapporto Million, prodotto da WebAim, ha valutato l’accessibilità di un milione di siti web e ha rilevato che, nel complesso, quasi il 60 % dei siti inerenti ai viaggi presentano errori nella loro homepage, con un aumento del 17 % rispetto all’anno precedente.
Anche l’Indice di Accessibilità Digitale 2025 di AudioEye ha individuato molteplici problemi e indicato lo scarso contrasto dei colori, i link vaghi e i moduli inaccessibili come quelli più comuni.
Una situazione preoccupante, questa, se si considera che, stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona su sei della popolazione mondiale vive con una qualche forma di disabilità. Risulta poi che almeno 2 miliardi e 200 milioni di persone abbiano una disabilità visiva, e si stima che quasi 400 milioni di persone abbiano una grave difficoltà visiva. Si valuta ancora che 43 milioni di persone siano registrate come “non vedenti”. In sostanza, le persone con disabilità visiva sono tra le più penalizzate dall’inaccessibilità del web.
«Con circa il 20 % della popolazione che dichiara di avere una disabilità, ignorare le barriere di accessibilità può avere un impatto negativo su una vasta popolazione di potenziali clienti e visitatori del sito», ha dichiarato a «Euronews Travel» Jared Smith, direttore esecutivo di WebAim. In tal senso, molte ricerche sul valore della ristorazione per i viaggiatori e le viaggiatrici con disabilità sono state condotte, stimando ad esempio che nel Regno Unito il potere di spesa delle persone con disabilità, noto come Purple Pound” (“sterlina viola”), supererà in questo 2025 i 50 miliardi di sterline (circa 58 miliardi euro).
«L’accessibilità del web non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche richiesta dalla legge – ha osservato ancora Smith –. Poiché la maggior parte dei siti web di viaggio presenta notevoli barriere di accessibilità, gli utenti con disabilità dedicheranno segnatamente tempo e denaro ai siti che hanno affrontato i problemi di accessibilità». (Simona Lancioni)
L'articolo A livello internazionale i siti web più inaccessibili sono quelli delle compagnie di viaggio proviene da Superando.
Con profondo dolore e un senso di gratitudine, ricordiamo Papa Francesco, il cui spirito innovativo e la costante dedizione alla giustizia sociale hanno lasciato un’impronta indelebile, contribuendo in modo determinante alla costruzione di un mondo più giusto, inclusivo e attento agli ultimi.
Nello scegliere di indossare il nome del Santo di Assisi, simbolo per eccellenza di povertà e umiltà, Papa Francesco ha voluto indicare con chiarezza la direzione del suo pontificato, fondato su valori profondamente evangelici e incarnati in azioni concrete a favore dei più vulnerati – spesso dimenticati – ai quali ha saputo restituire voce e dignità.
Particolarmente significativa è stata la sua attenzione verso le persone con disabilità, una sensibilità che si è ulteriormente intensificata nell’ultima fase della sua vita, quando ha vissuto in prima persona la condizione della disabilità con grande forza e dignità.
La sua testimonianza resta per la nostra Associazione un esempio limpido di coerenza, umanità e vicinanza, capace di ispirare profondamente l’impegno quotidiano di tutta la nostra rete.
Con un linguaggio universale fatto di ascolto, compassione e dialogo, Papa Francesco è riuscito a toccare il cuore di milioni di persone, incoraggiando l’umanità intera a superare barriere e divisioni, a costruire ponti e a riconoscere nella fraternità il fondamento per affrontare con coraggio le sfide del nostro tempo. «Nessuno si salva da solo», una delle sue frasi più amate e fatte proprie dalla nostra Associazione, continua a risuonare come monito e guida, ricordandoci che è nella comunità e nella solidarietà che si trova la vera forza, soprattutto in un tempo attraversato da fratture profonde e disuguaglianze.
Facendoci custodi della sua eredità morale e spirituale, rinnoviamo il nostro impegno a proseguirne con determinazione il cammino, nella costruzione di una società davvero più giusta, inclusiva e umana.
Riposa in pace, Papa Francesco. La tua luce continuerà a brillare tra di noi!
*L’ANFFAS è l’Associazione Nazionale Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo.
L'articolo Nessuno si salva da solo proviene da Superando.
Durante il recente terzo Global Disability Summit di Berlino, di cui il nostro “inviato speciale” Giampiero Griffo ha raccontato giorno dopo giorno le varie fasi (si vedano in calce i link ai vari contributi), è stato adottato il documento conclusivo Dichiarazione sull’inclusione globale della disabilità (disponibile in italiano a questo link), che secondo l’Associazione sammarinese Attiva-Mente, sempre molto attenta a questi appuntamenti internazionali sulla disabilità e consapevole della grande importanza di essi, «segna un vero cambio di passo, poiché non contiene solo princìpi ideali, ma obiettivi misurabili e condivisi per garantire che nessuno venga lasciato indietro nei processi di sviluppo e nelle emergenze umanitarie».
Tra le novità più importanti del documento, dunque, spicca l’obiettivo 15 percent for the 15 percent, ovvero che almeno il 15% dei programmi di sviluppo internazionale debba avere come obiettivo l’inclusione delle persone con disabilità, che rappresentano appunto il 15% circa della popolazione mondiale. «Si tratta – viene sottolineato da Attiva-Mente – del primo target numerico globale sull’inclusione della disabilità. Tutti i programmi, inoltre, dovranno essere accessibili e inclusivi, evitando di creare o mantenere barriere: è questo il senso del principio del Do no Harm, che significa non limitarsi a non escludere, ma agire per non arrecare danni né perpetuare disuguaglianze».
L’iniziativa ha già raccolto oltre 90 adesioni tra governi e organizzazioni multilaterali, e il processo resta aperto. L’evento stesso svoltosi in Germania ha registrato di per sé una partecipazione realmente eccezionale, con oltre 4.500 persone provenienti da quasi 100 Paesi, tra cui persone con disabilità, rappresentanti istituzionali, esponenti di organizzazioni non governative, agenzie internazionali e attori dello sviluppo. E dal canto loro, le organizzazioni di persone con disabilità hanno avuto un ruolo centrale anche nella redazione del documento finale.
Il prossimo appuntamento con il Global Disability Summmit sarà fra tre anni, vale a dire nel 2028 in Qatar. «Si riuscirà – si chiedono da Attiva-Mente e noi insieme all’Associazione sammarinese – a raggiungere per allora l’obiettivo del “15 percent for the 15 percent”? La direzione è tracciata. Sta a noi percorrerla!». (S.B.)
Sulle nostre pagine abbiamo pubblicato i seguenti contributi di Giampiero Griffo da Berlino: Oltre 2.000 persone con disabilità al Forum della Società Civile di Berlino (a questo link), L’inclusione è un investimento per tutti e i diritti delle persone con disabilità non sono negoziabili! (a questo link) e Un primo bilancio del Summit Globale sulla Disabilità di Berlino (a questo link).L'articolo La Dichiarazione di Berlino sull’inclusione globale della disabilità proviene da Superando.
Chi è Max Negretti, e soprattutto perché desidero condividere con Lettori e Lettrici il bellissimo ricordo che ho di lui, comune a tutti coloro che l’hanno incontrato nella loro vita?
Negretti, di origine novarese, è stato una giovane promessa del basket, ma la sua carriera agonistica, purtroppo è stata interrotta a trent’anni dalla sclerosi multipla. Con l’avanzare della malattia, la sua grande passione per questa disciplina sportiva non è venuta meno: costretto a lasciare le competizioni, ha fondato il Baskin Ciuff, a Borgomanero (Novara), una delle prime squadre di baskin – il basket inclusivo giocato insieme da persone con e senza disabilità – nata nel Nord Italia. Ma, prima di tutto, Max è stato un padre straordinario per il suo Nicolò, ragazzo con la sindrome di Down.
Non mi ricordo esattamente in quale occasione lo conobbi, ma negli ultimi quindici anni l’ho incontrato diverse volte, instaurando un rapporto di stima e di confronti interessanti, accomunati dal forte desiderio di “andare sempre oltre”. In particolare, non potrò mai scordare l’ultima volta che lo vidi, era l’autunno 2023, periodo in cui con un’équipe multidisciplinare stavo ultimando il cortometraggio Oltre il buio, e con l’amico e collaboratore Pietro Fortis, andammo a casa sua per parlargli del progetto e di una possibile collaborazione nella promozione della pellicola stessa.
Alla chiacchierata partecipò anche Magda, la sua seconda moglie, donna straordinaria, del resto, come dico sempre io, “accanto a un grande uomo, c’è sempre una grande donna”.
Entrambi mostrarono subito grande interesse, Magda, come una “scolara diligente” prese appunti tutto il tempo; Max, sempre sul pezzo, escogitò immediatamente una serie di iniziative per promuovere il cortometraggio, senza neanche averlo visto, perché non era ancora pronto. L’amico non ha fatto in tempo a vederlo e a darci la sua “preziosa mano”, né ad essere presente alla prima del corto stesso, tenutasi a Borgomanero, proprio dove lui viveva, poiché poche settimane prima le sue condizioni di salute avevano iniziato a peggiorare sempre più, fino alla fine di agosto dello scorso anno, quando ci ha lasciati.
Un vuoto molto difficile da colmare per l’uomo che è stato e per tutto quello che ha fatto. Per ricordarlo, qualche settimana fa abbiamo organizzato una serata in sua memoria, presentando Oltre il buio. Un evento alquanto emozionante, forse al pari della prima presentazione; Max era certamente lì con noi, lo si percepiva.
La serata ha avuto luogo a Briga Novarese, piccolo centro alle porte di Borgomanero, presso la biblioteca del centro polifunzionale, gestito dal Baskin Ciuff. Un complesso moderno, completamente accessibile, che oltre alla biblioteca, è costituito dal bar e dalla palestra dove la stessa squadra si allena.
Durante la presentazione è intervenuto Pietro Pironi, attuale presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica, a cui Max aveva già passato il timone qualche anno fa, quando la sua condizione di salute non gli aveva più permesso di impegnarsi come avrebbe voluto.
Sono rimasta veramente colpita da come la dedizione e l’amore di Pietro Pironi per il Baskin Ciuff siano emersi da ogni parola del suo racconto e dal modo con cui si è approcciato ai ragazzi della società sportiva che erano presenti. Non è così scontato, infatti, che una persona che ha “costruito così tanto”, come Max, trovi qualcuno, all’altezza della situazione, a cui lasciare le redini. Credo dunque che l’amico Max, da una parte sia stato lungimirante e bravo, dall’altra anche fortunato, a individuare Pietro Pironi come “successore”.
L’impressione che ho avuto quella sera – non avevo mai conosciuto prima Pironi – è che abbia saputo, e continui a farlo giorno dopo giorno, l’approccio adottato da Max: quello cioè dell’inclusione.
In questi anni, il Baskin Ciuff, così come nei precedenti, ha sempre aumentato sia il numero degli iscritti, sia dei giocatori; attualmente la società è composta da cinque squadre, ma si ipotizza già che nei prossimi anni ne venga formata una nuova. Nello stesso tempo, oltre a ottenere buoni risultati sportivi, la squadra ha attivato parallelamente una serie di attività extra sportive, proprio in nome dell’inclusione. In questa direzione, ad esempio, sta progressivamente facendo aumentare un movimento di baskin a livello scolastico, coinvolgendo sempre più istituti, con la finalità, in un prossimo futuro, di creare un vero e proprio campionato.
Ma il vero fiore all’occhiello dell’intera progettualità è il Bar-In, considerato il progetto più ambizioso della società. Il Baskin Ciuff, infatti, ha preso in gestione il bar del centro polifunzionale, con l’intento di far lavorare e collaborare i propri ragazzi, allo scopo, quindi, di un’inclusione anche lavorativa.
Max, da lassù, penso sia stato contento non solo della serata di Briga Novarese, ma soprattutto che i “suoi ragazzi”, e in particolare il figlio Nicolò, continuino ad andare “oltre il buio”.
*Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Max Negretti e la sua preziosa eredità che brilla nel baskin”, e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
L'articolo La preziosa eredità di Max Negretti nel baskin, tutta all’insegna dell’inclusione proviene da Superando.
Si chiama Scur di Luna il progetto di pasticceria etica e sociale, con una forte attenzione alla sostenibilità, promosso dall’Impresa Sociale LaLuna di Casarsa della Delizia (Pordenone), che dal 24 aprile al 5 maggio consentirà di coniugare inclusione, dolcezza e solidarietà alla Sagra del Vino di Casarsa, ove appunto saranno presenti i biscotti prodotti nell’àmbito di tale iniziativa.
Scur di Luna, che ha inaugurato i suoi nuovi spazi nel mese di maggio dello scorso anno, grazie al sostegno della Fondazione Friuli e di donazioni di privati cittadini, promuove attivamente l’inclusione sociale, offrendo opportunità di inserimento lavorativo a persone con disabilità provenienti dall’Unità Educativa Territoriale della Cooperativa Sociale Itaca e dai progetti abitativi di LaLuna, con la partecipazione anche di una persona in borsa lavoro. Si tratta di una filosofia “a misura di persona” che si riflette in ogni fase della produzione, dalla selezione delle materie prime al confezionamento. (S.B.)
L'articolo I biscotti etici e solidali di “Scur di Luna” proviene da Superando.
Nel silenzio che oggi attraversa il mondo, si spegne la voce di un uomo che ha saputo accendere luce nei luoghi più bui dell’umanità. Papa Francesco non è stato solo il leader della Chiesa cattolica: è stato un alleato, un padre, un fratello per chi viveva ai margini. Un testimone autentico del Vangelo dell’inclusione.
Durante tutto il suo pontificato, ha messo al centro coloro che il mondo spesso dimentica: i poveri, gli emarginati, i migranti, gli ammalati, le persone con disabilità. Ha mostrato al mondo intero che la dignità non si misura dalla produttività, ma dall’amore che ognuno merita e sa donare.
Alle persone con disabilità Papa Francesco ha offerto molto più di parole: ha offerto rispetto, visibilità, ascolto. Ha più volte affermato che non esiste “vita di scarto”, e ha chiesto alla Chiesa e alla società di rimuovere non solo le barriere architettoniche, ma anche – e soprattutto – quelle culturali, mentali, spirituali. Barriere che isolano, che riducono la persona alla sua condizione, e non alla sua ricchezza umana.
Ha incontrato bambini con disabilità, ha baciato volti segnati dalla sofferenza, ha accolto nel cuore e nell’abbraccio anche chi veniva tenuto lontano. Ha sottolineato quanto gli ammalati siano “la carne sofferente di Cristo”, non oggetti di compassione, ma soggetti attivi di fede e speranza.
Per Papa Francesco, le persone con disabilità non sono state un capitolo a parte, ma cuore pulsante di un mondo che vuole dirsi giusto e umano. Ha ricordato che ogni bambino con una fragilità è un maestro di tenerezza, che ogni anziano non autosufficiente è portatore di una saggezza silenziosa, che ogni giovane con disabilità ha diritto a un presente dignitoso e a un futuro libero.
Ha più volte condannato la cultura dello scarto, denunciando le logiche economiche e sociali che escludono chi non risponde a certi standard. E ha chiamato tutti – istituzioni, cittadini, comunità – a diventare costruttori di una società dove la diversità non sia tollerata, ma valorizzata.
Ha parlato ai cuori, ma ha anche toccato le coscienze. E lo ha fatto con gesti semplici: un sorriso, un abbraccio, uno sguardo, un silenzio carico di presenza. Gesti che, per chi vive ogni giorno una condizione di disabilità, valgono più di mille discorsi.
In un tempo segnato dall’indifferenza e dalla fretta, la sua voce ha saputo rallentare e indicare l’essenziale. Ci ha ricordato che la vera civiltà si misura da come trattiamo i più fragili.
Il mondo oggi piange la sua scomparsa, ma raccoglie il seme che ha lasciato: un invito a guardare ogni persona con gli occhi dell’amore, della giustizia, dell’accoglienza. A costruire una società accessibile non solo negli spazi, ma nei cuori.
Papa Francesco resterà il Papa degli ultimi, il Papa dei nonni dimenticati, il Papa dei bambini senza voce, il Papa delle persone con disabilità, delle loro famiglie, delle loro battaglie. Un Pontefice che ha saputo fare del Vangelo un gesto concreto, una carezza quotidiana.
«Solo quando si guarda con gli occhi degli ultimi, si vede veramente» (Papa Francesco).
L'articolo Il Pontefice che ha fatto dell’inclusione un Vangelo vivo proviene da Superando.
Dopo un’“odissea” trascinatasi sin dal 2017, finalmente, verso la fine dello scorso anno, era stato definitivamente approvato il cosiddetto “Decreto Tariffe”, contenente l’atteso aggiornamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), ovvero del Nomenclatore delle Protesi e degli Ausili e delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, nonché dei rispettivi tariffari fermi al 1999 (quello per la protesica), e al 1996 (quello per la specialistica). Nato “vecchio”, ora il Nomenclatore ha già bisogno di essere modificato e nei giorni scorsi il Ministero della Salute ha presentato la bozza del Decreto del Presidente del Consiglio contenente il primo aggiornamento di esso.
Il nuovo documento, disponibile a questo link, è stato elaborato al fine appunto di correggere gli errori riscontrati (sono stati eliminati doppioni, sovrapposizioni e prescrizioni inappropriate), introdurre nuove prestazioni, ampliare le esenzioni e aumentare l’offerta della Sanità Pubblica. Esso prevede un incremento di spesa pari a 149,5 milioni di euro l’anno, e ulteriori migliorie a “costo zero”.
Tante le novità introdotte, tra le quali: in materia di prevenzione oncologica e genetica, l’introduzione di un programma di sorveglianza attiva delle donne a rischio genetico ereditario di tumori alla mammella e all’ovaio; l’estensione dello screening neonatale esteso a otto nuove patologie metaboliche e rare, tra cui anche la SMA (atrofia muscolare spinale); l’estensione delle esenzioni a nuove patologie croniche e invalidanti, come le forme gravi della sindrome fibromialgica, la idrosadenite suppurativa (al III stadio di Hurley), la malattia polmonare da micobatteri non tubercolari; nuove e più appropriate prestazioni diagnostiche e terapiche, tra cui l’elastografia epatica (Fibroscan), per evitare biopsie invasive in caso di epatopatie croniche, il dosaggio della luteotropina, reintrodotto dopo un’omissione nel DPCM del 2017, il test genetico CYP2C9 per la farmacogenomica nella sclerosi multipla, alcuni dispositivi protesici per non vedenti e un dispositivo intraorale per la sindrome di Lesch-Nyhan.
Diverse testate hanno già prodotto alcuni approfondimenti su questo aggiornamento. Ne segnaliamo alcuni: Pronto l’aggiornamento dei Lea. Arrivano nuovi screening per la mammella e per la Sma, test di ultima generazione e si ampliano le esenzioni. Ecco la proposta del Ministero Salute (da «QuotidianoSanità.it», 18 aprile); i seguenti testi pubblicati sul sito dell’OMaR (Osservatorio Malattie Rare): In arrivo l’aggiornamento dei LEA: screening neonatale esteso, NIPT e nuove malattie rare e croniche esenti (19 aprile); Screening neonatale: entrano nel panel SMA e 8 altre patologie (20 aprile); Specialistica ambulatoriale: più prestazioni e maggiore appropriatezza nei nuovi LEA (21 aprile); Ausili su misura e di serie: nei nuovi LEA la protesica si aggiorna secondo i nuovi bisogni (22 aprile). (Simona Lancioni)
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.L'articolo Livelli Essenziali di Assistenza e Nomenclatore: presentata la bozza di aggiornamento proviene da Superando.
Il 28 aprile, alla vigilia della Giornata Mondiale delle Malattie senza Diagnosi, l’OMaR (Osservatorio Malattie Rare), in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, il Comitato IMI (I Malati Invisibili) e la Fondazione Hopen, promuoverà la diretta social denominata “Una rete per i non diagnosticati e ultrarari”
Alla vigilia della Giornata Mondiale delle Malattie senza Diagnosi del 29 aprile (Undiagnosed Rare Disease Day), l’OMaR (Osservatorio Malattie Rare), in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, il Comitato IMI (I Malati Invisibili) e la Fondazione Hopen, promuoverà per il pomeriggio del 28 aprile (ore 16) la diretta social denominata Una rete per i non diagnosticati e ultrarari, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dell’importanza di una rete nazionale di ambulatori di ascolto e presa in carico dei pazienti pediatrici e adulti senza diagnosi, una rete che sia in grado di offrire supporto emotivo e di farsi carico del percorso diagnostico, clinico e assistenziale.
Moderata da Ilaria Ciancaleoni Bartoli, che dirige l’OMaR, la diretta potrà contare sugli interventi di Federico Maspes, presidente della Fondazione Hopen, Deborah Capanna, presidente del Comitato IMI e Andrea Bartuli, direttore dell’Unità Operativa Complessa Malattie Rare e Genetica Medica all’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. (S.B.)
L'articolo Una rete per i non diagnosticati e ultrarari proviene da Superando.