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Il sistema delle forniture sanitarie e i canali giusti per denunciare le carenze

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Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo il seguente contributo di opinione dall’Associazione Nessuno è Escluso, che denuncia situazioni di gravi carenze in àmbito di presa in carico sanitaria di persone con disabilità. A seguire diamo spazio anche a una riflessione delle Federazioni Nazionali FISH e FAND, chiamate direttamente in causa nel contributo di Nessuno è Escluso Medardo Rosso, “Bambino malato”

Un paio di settimane fa, un post social sulla pagina Facebook della nostra Associazione [Nessuno è Escluso, N.d.R.], ha provocato una lunga eco mediatica rispetto a un tema molto sottovalutato e quindi anche poco conosciuto. Tra l’altro la nostra denuncia era solo l’ultima di una lunga serie di mancanze, ma oseremmo dire anche di soprusi, da parte delle aziende che si accreditano per la fornitura di ausili, protesi e materiale di consumo che spaziano dall’area respiratoria (ventilo e ossigenoterapia) a quella enterale (nutrizione).
Siamo partiti come sempre da un’esperienza personale che però non solo è comune a migliaia di famiglie, ma ci ha anche permesso di capire nel corso degli anni che, se le ditte hanno delle grandi responsabilità individuali, pur se con differenze le une dalle altre, quello che veramente non funziona è il sistema che governa quella che in gergo viene definita la “protesica”. Ricordo che spesso parliamo di macchinari, ricambi, piuttosto che di presìdi di uso e consumo giornaliero, assolutamente necessari per chi li utilizza, ma soprattutto di materiali non sostituibili con altri perché specifici, anche nelle misure, per ogni persona.
Ma come funziona esattamente questo “sistema” e perché non è governabile?
Come funziona in realtà sarebbe pure semplice, perché ogni utente ha un piano terapeutico individuale con il quale ha diritto a quanto necessita, è tutto specificato: prodotto, quantità e periodicità di fornitura; ma in realtà le cose semplici terminano qua perché poi inizia la burocrazia che in questo caso è pure appesantita da folli scelte (probabilmente economiche) delle Aziende Sanitarie Locali e conseguentemente delle Regioni.
Poi ci sono le aziende, appunto, e il problema non è nemmeno che ce ne siano troppe perché in realtà saranno meno di una decina con le più importanti che forse sono la metà. Ognuna di queste ha un àmbito specifico di riferimento, ma in realtà, a parte pochissime, tutte gestiscono le varie aree che abbiamo citato inizialmente, quindi ben si può dire, perché non possiamo certo dire che ci sia monopolio anzi.
Fino a questo punto parrebbe tutto scontato: c’è un bisogno, c’è lo strumento, c’è il soggetto che lo fornisce e quindi dove casca l’asino? Il punto è che queste persone, e precisiamo che spessissimo parliamo anche di minori, avendo esigenze complesse, non utilizzano solo materiali relativi a una specifica area, e anche quando invece accade, non è raro, anzi si può dire sia quasi la norma, che più aziende contemporaneamente gestiscono lo stesso utente anche per una stessa area (per esempio ventilatoria) con tempi, modalità, operatori e organizzazioni completamente diverse tra loro. E questo, attenzione, è ciò che accade nella routine, senza parlare dei weekend, dei festivi o delle vacanze per le quali ci si sposta dalla propria residenza temporaneamente, per esempio, in un’altra Regione.
Tutto ciò, se i nostri cari fossero degli automi ai quali va semplicemente cambiata una scheda o fatta una revisione, potrebbe anche funzionare, ma siccome sono esseri umani, ciò non solo non è funzionale ma nemmeno è più accettabile.
Aggiungiamo che non esiste una “scheda paziente” generale, ma ogni ditta ha la sua che ovviamente non è in connessione con le altre, non esistono scadenziari, non esistono gestionali, insomma tutto grava (come sempre) sulle spalle dei caregiver familiari che devono ricordarsi scadenze, forniture, ordini e di controllare quello che arriva (quando arriva), perché spesso le consegne sono errate, mancanti di materiale e pure lasciate incustodite come fossero pacchi postali qualunque.
A seguito della nostra denuncia, siamo stati convocati qualche giorno dopo dalla Direzione della Farmacia dell’Ospedale Niguarda di Milano (che specifico gestisce solo la parte della nutrizione enterale) insieme alla ditta MedicAir, ultima in ordine di tempistica tra le ditte che ci ha creato disservizi, ma prima in assoluto per quantità di volte.
E qui abbiamo avuto una conferma, fatto anche una scoperta e preso anche consapevolezza che potremmo pure essere a un passo dal baratro; la conferma è quella che abbiamo anticipato: con il sistema attuale la mano destra non sa cosa fa la sinistra e quindi anche una direzione generale non sa come gestire problemi che conosce, ma che non ha la possibilità di gestire; la scoperta è relativa a tutti gli obblighi molto precisi che hanno le ditte e cioè avvisare tempestivamente le famiglie di materiale mancante (mai fatto), comunicare non solo il giorno della consegna, ma anche la fascia oraria (mai fatto), consegnare il materiale all’appartamento e controllarlo insieme all’utente (mai fatto), non lasciare incustodito il materiale (sempre); e tutto ciò con penali importanti nei contratti dei fornitori e dei trasportatori, e qui un’altra enorme criticità, perché molte aziende subappaltano poi trasporto e consegna ad altre aziende che non hanno né competenza, né interesse a rispettare quanto dovrebbero; la consapevolezza invece riguarda dichiarazioni non solo dell’azienda in questione, ma della stessa Direzione Farmaceutica che alcuni materiali sono sempre più difficilmente reperibili ed è sempre più complicato trovare le alternative per le specificità che richiamavo pocanzi.
Superfluo farlo, ma mi sembra giusto farlo, dal giorno dopo questa riunione la ditta in questione si comporta in maniera assolutamente perfetta, vediamo quanto durerà…
Mi sembra oltremodo chiaro che siamo di fronte a un percorso lineare, purtroppo, rispetto alla considerazione che si ha delle persone con disabilità, ma anche di quella per un sistema sanitario e sociosanitario che sta pian piano affondando.
Sono molto felice e anche sorpreso che qualche Associazione, come la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), per esempio, abbia condiviso le nostre critiche [se ne legga su queste stesse pagine, N.d.R.], ci sembra altrettanto grave, però, che Federazioni Nazionali non prendano posizioni chiare e nette rispetto a questi aspetti che non sono assolutamente secondari.Per quanto ci riguarda, continueremo a metterci la faccia sempre, comunque e dovunque, criticando certo, ma anche, come fatto nella riunione con l’ATS (Agenzia per la Tutela della Salute), proponendo soluzioni che in molti casi sono semplici e a costo zero, ma bisogna uscire dalla confort zone di un sistema, lo dico da anni oramai, disegnato sui bisogni degli erogatori di servizi e non sui beneficiari e se non rivoltiamo completamente questo paradigma, il baratro piuttosto che l’abisso è davvero dietro l’angolo.
Associazione Nessuno è Escluso

 Diamo spazio, qui di seguito, a una riflessione delle Federazioni Nazionali FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), chiamate direttamente in causa nel contributo di opinione di Nessuno è Escluso.

In un’epoca in cui la viralità dei social network sembra spesso sostituirsi alle procedure istituzionali, come Federazioni Nazionali maggiormente rappresentative dei diritti delle persone con disabilità [FISH e FAND, N.d.R.], sentiamo la necessità di chiarire un punto fondamentale: le denunce, per essere efficaci, devono seguire i percorsi formali. Le recenti polemiche nate online attorno a presunti disservizi relativi alla fornitura di ausili, protesi e materiale di consumo che spaziano dall’area respiratoria (ventilo e ossigenoterapia) a quella enterale (nutrizione) pongono una questione cruciale. Ma mentre i social media accendono i riflettori su problemi reali, raramente forniscono gli strumenti per risolverli. Le nostre Federazioni Nazionali, in quanto organismi di rappresentanza istituzionale, non possono trasformarsi in un “ufficio reclami” a caccia di segnalazioni sparse nel mare magnum del web e pertanto operano attraverso procedure ben definite.
Quando dunque una criticità viene correttamente segnalata (via PEC, tramite le Associazioni federate o attraverso i canali istituzionali), scatta un meccanismo collaudato. Si verifica l’attendibilità del caso, si coinvolgono gli enti competenti, si avviano le opportune azioni di sollecito o si propongono modifiche normative quando necessario. Questo processo, per sua natura, richiede dati certi, documentazione e la possibilità di interagire formalmente con tutti i soggetti coinvolti.
Purtroppo, molte delle lamentele che infiammano i social non raggiungono mai chi potrebbe concretamente intervenire. Esse, infatti, mancano spesso di elementi essenziali: la precisa identificazione del problema, i riferimenti normativi violati, l’autorizzazione al trattamento dei dati da parte degli interessati. Senza queste informazioni, anche la più legittima delle proteste rischia di restare lettera morta.
Le nostre due Federazioni non stanno dicendo che le difficoltà segnalate siano inesistenti o poco importanti. Al contrario, riconosciamo certamente che spesso, dietro a un post indignato, si nascondono situazioni di grave disagio. E nella fattispecie, non trascuriamo certo il fatto che proprio su queste stesse pagine, Marco Rasconi, presidente della UILDM, Associazione federata alla FISH, abbia condiviso quanto denunciato dall’Associazione Nessuno è Escluso. Ma proprio per non tradire la fiducia delle persone con disabilità e delle loro famiglie, dobbiamo insistere sull’uso degli strumenti appropriati.
Crediamo infatti che la vera sfida sia quella di trasformare la rabbia sociale in cambiamento concreto. Per questo invitiamo tutti e tutte – cittadini, cittadine, associazioni, caregiver – a utilizzare i canali ufficiali: le mail certificate, i moduli sui nostri siti istituzionali, il tramite delle organizzazioni territoriali. Solo così si può garantire che ogni segnalazione diventi un caso seguito, monitorato e, quando possibile, risolto.
In un Paese che fatica a garantire pari opportunità a tutti i cittadini, le due Federazioni Nazionali maggiormente rappresentative continuano la loro univoca battaglia quotidiana per i diritti delle persone con disabilità. Ma per vincere questa battaglia abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, a partire dal rispetto delle procedure che rendono possibile un’azione efficace e concreta.
Le storie di ingiustizia meritano più di un post, più di un like: meritano risposte, risposte immediate. E queste risposte, per arrivare, devono passare attraverso i giusti canali.
Le nostre organizzazioni, pertanto, restano a disposizione per raccogliere e seguire tutte le segnalazioni che vorranno pervenire attraverso i canali istituzionali, unico vero strumento per tradurre il disagio in soluzioni.
FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con disabilità).

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Inclusione e creatività: ultimi appuntamenti per il Premio Catarsini 2025

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Si avvicina alla conclusione la XXIII edizione del Premio Catarsini, il concorso che rende l’arte accessibile alle persone con disabilità visive attraverso opere tattilmente esplorabili. Gli ultimi appuntamenti a Firenze includono una mostra, un convegno sull’inclusione e la premiazione degli studenti vincitori

Si avvicina alle battute finali la XXIII edizione del Premio Catarsini, il concorso che invita gli studenti maggiorenni delle scuole secondarie di secondo grado della Toscana, con indirizzo artistico e turistico, a reinterpretare un’opera pittorica di Alfredo Catarsini. L’obiettivo è rendere l’arte esplorabile per mezzo del tatto e accessibile alle persone con disabilità visive, utilizzando qualsiasi tecnica e modalità di esecuzione (ne abbiamo parlato in precedenza qui).

Realizzata in collaborazione con il Consiglio regionale della Toscana e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, la XXIII edizione del Premio, promosso dalla Fondazione dedicata al pittore e scrittore originario di Viareggio, rientra nel progetto pluriennale L’Arte accessibile per tutti.

Particolare dell’affresco di San Martino in Freddana (1944)

Gli affreschi di San Martino in Freddana e di San Tommaso a Castagnori realizzati da Catarsini tra 1944 e 1945, a cui devono ispirarsi i candidati, ben rappresentano due diversi momenti storici, dalla tragedia della guerra alla gioia della Liberazione, che l’artista affronta con autentico spirito religioso e popolare, interpretando in modo inedito e originale un comune sentimento di speranza e di impegno civile. Gli affreschi si trovano in due tappe del Cammino “I luoghi di Catarsini“, accessibile a persone con disabilità visive, che comprende anche due città, Lucca e Viareggio, dove hanno sede due chiese giubilari.

Quest’anno il Premio Catarsini vivrà due momenti molto importanti. Il primo è previsto per mercoledì 30 aprile quando, nello Spazio espositivo “Carlo Azeglio Ciampi” del Palazzo del Pegaso, a Firenze, alle 12.30 è prevista la conferenza di presentazione e inaugurazione della mostra degli elaborati finalisti del Premio, alla presenza di Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale, e di Elena Martinelli, presidente della Fondazione Alfredo Catarsini 1899.

La seconda giornata importante della XXIII edizione del Premio Catarsini è programmata, nella stessa sede, per mercoledì 7 maggio quando, dalle 9 alle 15, si terrà il convegno dal titolo Arte, scuola, accessibilità che rappresenta un’occasione importante per riflettere sull’importanza che la scuola riveste nel processo educativo all’inclusione e all’accessibilità all’arte e alla cultura sia per gli studenti, sia per le persone con disabilità. A seguire, alle ore 16. 45, è prevista la Cerimonia di premiazione degli studenti vincitori del XXIII Premio regionale Catarsini 2025 per opere tattilmente esplorabili. Le opere resteranno visibili nello Spazio espositivo Carlo Azeglio Ciampi del Palazzo del Pegaso, via de’ Pucci 16, a Firenze fino a sabato 10 maggio. (C.C.)

Per ulteriori informazioni: media@fondazionecatarsini.com

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Costruttori di uguaglianza: il Terzo Settore nel Giubileo delle persone con disabilità

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Un incontro tra il mondo politico-istituzionale e le realtà attive nella promozione della vita indipendente, per condividere proposte e trasformarle in azioni concrete: si svolge oggi, 29 aprile, a Roma il convegno-evento “Costruttori di uguaglianza – Il Terzo Settore nel Giubileo delle persone con disabilità”.

Un incontro tra il mondo politico-istituzionale e le realtà attive nella promozione della vita indipendente, per condividere proposte e trasformarle in azioni concrete. In occasione del “Giubileo delle persone con disabilità”, si svolge oggi, martedì 29 aprile a Roma, alla Sala della Protomoteca del Campidoglio, dalle ore 15.30, il convegno-evento “Costruttori di uguaglianza – Il Terzo Settore nel Giubileo delle persone con disabilità”, a cui seguirà anche un concerto nell’omonima piazza.
L’evento “Costruttori di uguaglianza – Il Terzo Settore nel Giubileo delle persone con disabilità” è organizzato nell’ambito del Progetto “Vol.A in Rete – Volontari per il Giubileo”, attuato da CSV Lazio – Centro di servizio per il volontariato del Lazio e Forum Terzo Settore del Lazio e promosso dal Dipartimento Protezione civile di Roma Capitale e Dipartimento Politiche sociali e Salute presso l’Assessorato alle Politiche sociali e Salute di Roma Capitale.
Il ruolo fondamentale degli enti di Terzo Settore e delle reti, insieme alle organizzazioni di volontariato impegnate per l’obiettivo di una vita indipendente, saranno al centro del confronto tra il mondo politico-istituzionale e chi opera per una inclusione reale. Diversi i temi su cui ragionare, partendo appunto dal contributo del Terzo Settore nel realizzare politiche e pratiche di inclusione per le persone con disabilità: inserimento lavorativo, istruzione, assistenza alla mobilità, alla vita quotidiana, aspetti relazionali, affettivi, comunicativi saranno alcuni dei temi. Valeria Cotura della FIADDA Roma (Associazione per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie) interverrà nel gruppo dedicato all’Inclusione scolastica.

Saranno trattate anche le proposte legislative nazionali e locali, come anche le iniziative territoriali al fine di realizzare un’uguaglianza effettiva e concreta di tutti i cittadini nei diversi segmenti della nostra società, nel campo del lavoro, dell’educazione e della cultura, fino alla sfera affettiva e relazionale.

I numerosi panel durante tutto il pomeriggio e l’esibizione serale delle band musicali, con anche videoproiezioni di cortometraggi originali, coinvolgeranno esponenti delle istituzioni, del settore sociale e sanitario, e le molte realtà associative di promozione e difesa dei diritti delle persone con disabilità.  Saranno trattate anche le proposte legislative nazionali e locali, come anche le iniziative territoriali al fine di realizzare un’uguaglianza effettiva e concreta di tutti i cittadini nei diversi segmenti della nostra società, nel campo del lavoro, dell’educazione e della cultura, fino alla sfera affettiva e relazionale.

I lavori di “Costruttori di uguaglianza – Il Terzo Settore nel Giubileo delle Persone con Disabilità” saranno aperti alle 15.30 dai saluti istituzionali di Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità, Massimiliano Maselli, assessore all’Inclusione Sociale e Servizi alla Persona della Regione Lazio, Roberto Gualtieri, sindaco di Roma Capitale, Agostino Miozzo, coordinatore dei servizi di accoglienza e assistenza per il Giubileo della Chiesa Cattolica 2025. Coordina la giornalista Francesca Fornario. (C.C.)

Il programma integrale. Il convegno sarà sottotitolato a cura di della FIADDA Roma (Associazione per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie)

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“La gatta sul tetto che scotta”: sesta rappresentazione accessibile della stagione al Carignano di Torino

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Sesto appuntamento della stagione, dal 6 all’11 maggio, al Teatro Carignano di Torino, con il percorso ideato dal Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, per consentire anche alle persone con disabilità sensoriale di assistere agli spettacoli mediante nuove tecnologie e materiali di approfondimento. In scena “La gatta sul tetto che scotta” da Tennessee Williams, per la regia di Leonardo Lidi Primo piano dell’attrice Valentina Picello, in una scena della “Gatta sul tetto che scotta”

Sesto appuntamento della stagione per il percorso da noi regolarmente seguito, ideato già da alcuni anni dal Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale e sviluppato in collaborazione con il partner tecnologico PANTHEA e con l’Associazione +Cultura Accessibile, per consentire anche alle persone con disabilità visiva e sensoriale di assistere agli spettacoli mediante nuove tecnologie e materiali di approfondimento.
Accadrà da martedì 6 a domenica 11 maggio, al Teatro Carignano del capoluogo piemontese, con una nuova regia di Leonardo Lidi, La gatta sul tetto che scotta, una delle opere più famose del drammaturgo statunitense Tennessee Williams, che con questo testo vinse nel 1955 il suo secondo Premio Pulitzer e che mette in scena la storia dei Pollitt, ricca famiglia del Sud degli Stati Uniti che vive una profonda crisi di fronte all’imminente morte del padre. Un dramma in cui si esplorano temi come l’ipocrisia, la sessualità repressa, il desiderio di amore e accettazione e si evidenziano le forzature della famiglia tradizionale.

Come sempre, dunque, per questo tipo di rappresentazioni torinesi, lo spettacolo sarà corredato da sovratitoli in italiano e in italiano semplificato con descrizione dei suoni, attraverso l’uso di dispositivi forniti direttamente dal Teatro, ovvero smart-glasses (occhiali smart) o smartphone. All’inizio di ogni recita, inoltre, è prevista la trasmissione in sala di una breve audiointroduzione e verrà resa disponibile l’audiodescrizione in cuffia per tutta la durata dello spettacolo, fruibile attraverso smartphone, sempre messi a disposizione dal teatro.
E ancora, nel pomeriggio di venerdì 9 (ore 18), è previsto l’ormai tradizionale appuntamento gratuito con il tour descrittivo e tattile sul palcoscenico (previa prenotazione, entro l’8 maggio, scrivendo a accessibilita@teatrostabiletorino.it).
Da ricordare, poi, che in una specifica sezione del sito internet del Teatro Stabile (a questo link), predisposta per la lettura da parte di applicazioni screen reader e con un plug-in facilitante, oltreché sulla app del Teatro stesso, sono disponibili alcuni materiali consultabili prima della fruizione dello spettacolo, ossia un video di approfondimento con audio, sottotitoli in italiano e in LIS (Lingua dei Segni Italiana), la scheda di presentazione dello spettacolo e un’ulteriore scheda con la trama semplificata.
Da segnalare infine che le persone con disabilità avranno diritto al biglietto ridotto e, in caso di necessità, l’accompagnatore potrà entrare gratuitamente. (S.B.)

A questo link è disponibile un approfondimento sullo spettacolo La gatta sul tetto che scotta. Per ogni ulteriore informazione: accessibilita@teatrostabiletorino.it.

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Servono risposte chiare e un confronto trasparente su quei corsi per il sostegno

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«Ci rivolgiamo al Ministero dell’Istruzione e del Merito – scrivono dal Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati – per chiedere con urgenza chiarimenti e garanzie su aspetti fondamentali che riguardano la tutela dei docenti formati in Italia, la difesa della qualità dell’inclusione scolastica e il futuro della professionalità docente nel sostegno»

Esprimiamo profonda preoccupazione in merito all’annunciata attivazione dei corsi INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa) rivolti ai docenti in possesso di titoli esteri di specializzazione sul sostegno ancora in fase di riconoscimento, così come ai docenti con esperienza pluriennale sul sostegno ma privi di titolo conseguito in Italia. In particolare, ci rivolgiamo al Ministero dell’Istruzione e del Merito per chiedere con urgenza chiarimenti e garanzie su aspetti fondamentali che riguardano la tutela dei docenti formati in Italia, la difesa della qualità dell’inclusione scolastica e il futuro della professionalità docente nel sostegno.

Per quanto riguarda innanzitutto i percorsi TFA per il sostegno (Tirocini di Formazione Attiva), essi prevedono una preselezione nazionale, otto mesi di formazione in presenza, laboratori didattici, tirocinio diretto e indiretto e prove finali. Riteniamo pertanto che questi percorsi non possano essere assimilati a un corso intensivo di tre mesi online.
Chiediamo dunque: come intende il Ministero garantire un trattamento coerente e differenziato tra chi ha seguito il percorso ufficiale previsto dall’ordinamento italiano e chi accede a corsi semplificati?

Rispetto poi alla semplice esperienza sul campo, riteniamo che essa non possa automaticamente sostituire un percorso formativo strutturato. Chiediamo quindi: come verrà valutata l’esperienza maturata sul sostegno? Un contratto di lavoro, infatti, non è, da solo, garanzia di competenze adeguate. E inoltre, come verranno considerate le interruzioni dovute a congedi o aspettative, che sono diritti del lavoratore? E che valore verrà riconosciuto, in questo contesto, ai docenti che hanno sia esperienza che una specializzazione TFA?

Va ricordato, infine, che il ruolo del docente di sostegno è centrale e trasversale all’intero sistema scolastico: egli lavora in sinergia con tutti gli attori della comunità educante, accompagna gli alunni e le alunne con disabilità nella costruzione del loro progetto di vita, promuove competenze relazionali e di autonomia, e contribuisce concretamente alla realizzazione dell’inclusione scolastica.
In questa prospettiva, un percorso svolto unicamente online per tre mesi non può essere equiparato a un iter formativo lungo otto mesi e svolto in presenza, con tirocinio diretto nelle scuole. Riteniamo pertanto necessaria una distinzione netta tra i due percorsi.

In conclusione, chiediamo al Ministero risposte chiare e un confronto trasparente con le rappresentanze dei docenti specializzati. L’inclusione scolastica si fonda su professionalità solide e consapevoli, capaci di rispondere ai bisogni complessi degli alunni e delle alunne con disabilità. Il lavoro del docente di sostegno è fondamentale non solo per il singolo studente, ma per l’intero sistema educativo. Non possiamo permetterci di compromettere questa funzione per logiche emergenziali o semplificazioni generalizzate.

*collettivodocentispecializzati@gmail.com.

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Vita Indipendente: penalizzate dalle nuove regole le persone con disabilità della Toscana

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«Le persone con disabilità si sentono danneggiate dalla nuova disciplina di accesso ai contributi individuali per la Vita Indipendente della Regione Toscana»: lo dichiara l’Associazione AVI Toscana, che per il 5 maggio, in coincidenza con la Giornata Europea della Vita Indipendente, ha indetto un presidio di protesta a Firenze, per denunciare le varie criticità riscontrate e chiedere un incontro con il Presidente della Regione Un giovane in sedia a rotelle affronta una rampa di scale con l’aiuto del suo assistente personale

Per le persone con disabilità che hanno necessità di supporti intensivi, «“Vita Indipendente” significa la concreta possibilità di vivere con un grado di libertà comparabile con quello delle altre persone. Ciò è possibile solo attraverso l’assistenza personale», lo afferma l’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), tornando ad esprimersi sulla nuova disciplina di accesso ai contributi individuali per la Vita Indipendente della Regione Toscana, concretamente attuata a partire dal 1° marzo scorso. Le persone con disabilità vogliono e pretendono «di vivere come tutte le altre persone», argomentano dall’Associazione, ed «è ampiamente dimostrato che, con un’adeguata assistenza personale, questo è possibile».

Le stesse persone con disabilità si sentono dunque danneggiate dalle nuove diposizioni introdotte dalla Regione Toscana allo scopo di cofinanziare il servizio regionale attraverso le risorse del Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), e in particolare dalla Delibera di Giunta 753/24 (con la quale sono state approvate le nuove Linee di indirizzo regionali per la presentazione dei progetti in questione, contenute nell’Allegato A, e gli Elementi essenziali per l’adozione di un avviso pubblico per la presentazione dei progetti stessi, contenuti nell’Allegato B), e tutti gli atti attuativi che ne sono conseguiti. Con la pubblicazione delle graduatorie dei bandi per la Vita Indipendente FSE+, e l’avvio dei nuovi progetti che, come detto, è avvenuta il 1° marzo scorso, le persone con disabilità che già avevano un progetto di Vita Indipendente in essere hanno riscontrato come la nuova procedura sia più complessa e penalizzante.

In particolare, dall’AVI Toscana evidenziano come il massimale del contributo per la Vita Indipendente (corrispondente a 1.800 euro mensili) venne fissato nel 2012 e sia rimasto in vigore fino a febbraio 2025, ma, nonostante in questo arco di tempo i costi per l’assistenza personale siano aumentati di oltre il 20%, il nuovo massimale – innalzato a 2.000 euro mensili – non copre l’aumento dei costi stessi, ed oltretutto moltissime persone con disabilità non hanno avuto nessun aumento dell’importo del contributo, oppure hanno avuto aumenti minimi (dell’1 o del 2%).
Le persone con disabilità lamentano quindi che nella definizione di questi importi non siano state considerate le reali necessità di assistenza personale delle persone.

Un altro elemento di criticità risiede poi nel fatto che «il nuovo sistema di regole tratta le persone con disabilità come se ognuna di loro fosse una “azienda”». Nella sostanza, mentre con la precedente disciplina i contributi regionali venivano erogati in anticipo, adesso questi vengono erogati “a rimborso”, ciò che in concreto obbliga la persona con disabilità a pagare in anticipo tutte le spese per l’assistenza personale che le verranno rimborsate solo in seguito, a fronte della presentazione dei giustificativi, e senza che sia fissato un temine temporale certo per il rimborso.
Per le persone con necessità di supporti intensivi è molto facile sforare il tetto dei 2.500 euro mensili per l’assistenza personale, osservano ancora dall’Associazione, soprattutto se queste vivono sole. L’assistenza personale, infatti, viene utilizzata per rispondere a esigenze primarie – come andare in bagno, o potersi alzare dal letto –, e l’Associazione ha avuto notizia di persone con disabilità che hanno dovuto provare a chiedere prestiti alla banca per coprire queste spese.
Invece di una semplificazione delle procedure, viene dunque riscontrata un’eccessiva burocratizzazione del servizio che penalizza le persone con maggiori necessità di assistenza personale. E tale burocratizzazione si concretizza anche nella richiesta di una rendicontazione eccessivamente dettagliata, che obbliga le persone a rivolgersi a un commercialista o a un centro di assistenza fiscale, sebbene non sia previsto che questi costi siano rimborsati. A ciò si aggiunga che è stata stabilita un’incompatibilità tra la fruizione dei contributi per la Vita Indipendente e altri contributi erogati sempre in relazione alla condizione di disabilità (come l’assistenza specialistica), una cosa che penalizza in particolare le persone con necessità di sostegno intensivo molto elevato.

Per tali ragioni, dunque, l’AVI Toscana è tornata a rivolgere alla propria Regione le seguenti richieste:
1) Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale della persona con disabilità e all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale.
2) Anticipo del contributo entro il giorno 25 del mese di riferimento.
3) Inclusione degli accantonamenti della tredicesima e del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) nella rendicontazione.
4) Conguaglio della rendicontazione a fine anno.
5) Rendicontazione mensile entro tempi più lunghi dei 5 giorni richiesti, ad esempio, da Firenze.

La stessa AVI Toscana, infine, ha indetto un presidio di protesta che si terrà a Firenze (Piazza del Duomo, davanti al palazzo della Presidenza della Regione) il prossimo 5 maggio (ore 10.30), data coincidente con la Giornata Europea della Vita Indipendente, per denunciare le criticità riscontrate e chiedere un incontro con il presidente della Regione Eugenio Giani. (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: avitoscana@avitoscana.org.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, insieme all’immagine utilizzata, per gentile concessione.

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L’utopia non è un sogno impossibile, ma una direzione da seguire, ripartendo dai diritti

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«Il rispetto dei vincoli di bilancio – scrive tra l’altro Gianfranco Vitale – non può mai giustificare la negazione dei diritti. Garantire il benessere delle persone più fragili, e nello specifico di quelle con disabilità, non è un lusso: è un obbligo costituzionale. I diritti sono ben altra cosa rispetto a concessioni fatte per bontà d’animo»

Come padre di un figlio autistico adulto, classificato di “livello 3”, ho spesso parlato – negli ultimi anni – di quanto grande sia il business che ruota attorno alla disabilità in generale, non solo all’autismo. Siamo davanti ad un sistema in cui i genitori vengono visti sempre più come semplici “fonti di denaro”. Chi gestisce i servizi pretende trasparenza da loro, “dimenticando” di essere altrettanto trasparente sul proprio operato.
Sono molti i familiari che finiscono per accettare tutto questo in silenzio, preferendo illudersi che vada tutto bene, anche quando la realtà dimostra palesemente il contrario.
Si parla troppo di mirabolanti progetti e, al contrario, troppo poco si parla di “reali opportunità” per i nostri figli. Quando si intravede il business della disabilità ecco, per esempio, materializzarsi miracolosamente lo specialista nella stesura di “Progetti di vita” (il cui accoglimento, per altro, è tutto da verificare…), o colui che propone la creazione di fondazioni private che promettono una vita… destinata ad essere tanto più indipendente, per la persona con disabilità, quanto più si paga!
Porte aperte (spalancate), insomma, solo per chi ha soldi da spendere; le briciole (spesso nemmeno quelle) sono riservate a chi non è nemmeno sicuro, all’indomani, di mettere assieme un pasto caldo per tutti in famiglia.
E che importanza può mai avere il fatto che (cito a caso) “Progetto di vita” (lex 328/00), “Dopo di Noi” (lex 112/16), “Lavoro” (lex 68/99), sono obblighi primari che competono allo Stato?

Anche i media, spesso, giocano su due tavoli: da una parte danno spazio a genitori esasperati che denunciano carenze e abusi, dall’altra promuovono gli stessi personaggi e le stesse strutture che alimentano queste criticità, senza mai approfondire davvero come funzionano. Può sembrare un paradosso, ma è così.
Vogliamo restringere il campo all’autismo? In tanti centri, soprattutto quelli gestiti da Cooperative (non tutte, ma molte), in partnership con i Servizi, i casi più complessi vengono frettolosamente respinti. I ragazzi con le situazioni più gravi non vengono accolti, con la scusa del “non si può fare”. Questa frase è ripetuta persino da quei cosiddetti “esperti”, pagati profumatamente, ma pronti a tirarsi indietro davanti alle vere difficoltà.
Così i problemi si moltiplicano, diventando sempre più intricati. Senza un controllo serio su come vengono impiegati i soldi pubblici, e senza ascoltare davvero le famiglie e i caregiver, il rischio è quello di una crisi sempre più profonda e, forse, irreversibile.

Le cronache sono piene di storie drammatiche, ma le risposte dei Servizi e delle Istituzioni sono deboli o assenti. Si inaugurano nuove strutture con grandi cerimonie e sorrisi dei politici in prima fila, salvo poi scoprire che quei centri rifiutano i ragazzi più fragili, “per mancanza di competenze”. E intanto si continua a parlare di inclusione, mentre tanti giovani — autistici e non — restano fuori. Che futuro li aspetta? Resteranno chiusi in casa, invisibili, dimenticati? O finiranno in strutture psichiatriche, senza alternative? In giro si sentono tanti slogan, ma anche nei contesti più “innovativi” si vedono contraddizioni enormi. L’abilismo — quell’idea per cui chi non ha disabilità vale di più — è ancora ovunque.
Si continua a proporre un’idea distorta di inclusione, come se fosse un favore fatto ai “diversi” da chi si considera “normale”. Non si capisce che l’inclusione vera è un processo reciproco, continuo, fondato sui diritti, non sulla carità o sulla compassione. Non può essere un gesto condiscendente, né basarsi su rapporti di forza. Le discriminazioni continuano a esistere, spesso nemmeno riconosciute da chi le mette in atto, impedendo così una reale partecipazione delle persone con disabilità a scuola, al lavoro, nei servizi, nella vita quotidiana.

Bisognerebbe sempre ricordare cosa dice la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. L’articolo 27, ad esempio (Lavoro e occupazione), parla chiaramente del diritto al lavoro e dell’obbligo, per gli Stati, di garantire l’assenza di discriminazioni, dalla selezione al mantenimento del posto, fino alla carriera e alla sicurezza sul lavoro. Vogliamo ricordare, in tutta onestà e senza nascondere nulla, alla vigilia del Primo Maggio, Festa del Lavoro, quale realtà abbiamo oggi in Italia? Solo una persona con disabilità su tre ha un lavoro e se parliamo di autismo il quadro è ancora più desolante: tantissime persone autistiche, pur avendo talento, competenze e determinazione, sono disoccupate o sottoutilizzate. Secondo il CESIE, inoltre, solo il 10% degli adulti con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) lavora.
La già citata Legge 68/99, che avrebbe dovuto favorire il collocamento mirato, è rimasta lettera morta. Si pensi che nell’anno in corso, in Lombardia, le aziende hanno preferito pagare 81 milioni di euro di sanzioni piuttosto che assumere persone con disabilità.

Eppure io penso che sia semplicistico, e probabilmente fuorviante, attribuire questo quadro drammatico esclusivamente al cattivo funzionamento di una legge, pur fallimentare, come sicuramente è la 68/99. Sono convinto, invece, che siamo davanti ad un problema molto più grande, perché di matrice culturale: finché il lavoratore con disabilità sarà visto come un peso e non come un valore, non cambierà nulla. Ne consegue che le multe non bastano. Servono formazione, consapevolezza, cambiamento di mentalità.
Perché, allora, non investire nella formazione di imprenditori e dipendenti sulle buone pratiche inclusive? Perché non cominciare a parlare delle competenze delle persone con disabilità, invece di soffermarsi sulla loro condizione? Non è di nuovi obblighi che abbiamo bisogno, ma di una vera e propria rivoluzione culturale.

Negare i diritti è un vero e proprio abuso. Eppure, la Costituzione Italiana non parla solo di princìpi astratti: stabilisce anche come devono essere gestite le risorse pubbliche. Come ha ricordato di recente Pierluigi Frassineti, padre di un uomo autistico grave e vice presidente del FIDA (Forum Italiano Diritti Autismo), in un pregevole commento a un articolo di chi scrive, ci sono tre tipi di spese: vietate, facoltative e obbligatorie. Le spese vietate sono quelle contrarie ai principi costituzionali. Quelle facoltative si fanno solo se ci sono risorse in più. Le obbligatorie, invece, devono (devono) essere sostenute per garantire diritti fondamentali come salute, istruzione, lavoro e assistenza.
In parole povere: il rispetto dei vincoli di bilancio non può mai giustificare la negazione dei diritti. Garantire il benessere delle persone più fragili non è un lusso: è un obbligo costituzionale. I diritti sono ben altra cosa rispetto a concessioni fatte per bontà d’animo.
Basta invece leggere una qualunque Delibera Regionale per avere la conferma di come l’attenzione sia tutta rivolta ai costi da contenere, mai alla qualità da garantire. È una lacuna gravissima. Ecco perché è fondamentale tornare a richiamarsi alla Costituzione e alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che tanti citano, ma pochi rispettano davvero.
Se vogliamo cambiare le cose, serve un impegno collettivo. Può sembrare un’utopia, soprattutto in tempi in cui si trovano miliardi per le armi, ma si tagliano i fondi per il welfare. Ma l’utopia non è un sogno impossibile: è una direzione da seguire. Ed è solo andando in quella direzione che qualcosa potrà cambiare davvero. È una riflessione tecnica. È politica. È etica. Solo così potremo capire che l’assenza di un sistema serio di valutazione della qualità dei servizi non è una svista, ma il frutto di una strategia perversa e di una visione distorta, tutta rivolta al risparmio economico, che svuota di senso ogni dichiarazione ufficiale. I “vincoli di bilancio” non possono venire prima dei diritti, perché i diritti non sono opzionali.

Arriverà il giorno in cui si smetterà di ricorrere solo a inutili vetrine mediatiche e a sterili mediazioni politiche che non portano a nulla? Il giorno in cui si capirà che i diritti si conquistano solo con la lotta, la condivisione, la partecipazione delle famiglie, la mobilitazione nel territorio? Io voglio crederci. E continuerò a lottare perché quel giorno arrivi.

Per il rispetto dei diritti degli Ultimi, e perciò anche delle Persone con Disabilità, si è sempre battuto Papa Francesco. È a Lui, e a quello che è stato il suo altissimo magistero, che vorrei dedicare queste mie modestissime riflessioni. Grazie.

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Il volontariato, vera palestra di cittadinanza attiva

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«Le svariate competenze trasversali dei volontari e delle volontarie sono sempre più fondamentali per la costruzione di cittadinanza attiva»: lo ha dichiarato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo Settore, in  sede di presentazione della ricerca sulle competenze dei volontari italiani, nata dall’indagine “NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa dal Forum stesso e dalla Caritas Italiana, in collaborazione con l’Università di Roma Tre Un momento della presentazione dell’indagine promossa dal Forum del Terzo Settore e da Caritas Italiana, in collaborazione con l’Università Roma Tre

Come avevamo anticipato nei giorni scorsi, è stata presentata all’Università di Roma Tre la ricerca sulle competenze dei volontari italiani, nata dall’indagine denominata NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dalla Caritas Italiana, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Ateneo ospitante. All’incontro di presentazione ha partecipato, tra gli altri, la viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci.

«L’indagine NOI+ – spiegano dal Forum del Terzo Settore – che ha coinvolto circa 10.000 volontari e volontarie, ha rilevato che la motivazione principale che spinge a fare volontariato è quella di offrire un contributo alla comunità (87,6%) ma, soprattutto tra i più giovani, assume particolare importanza la possibilità di sviluppare i propri punti di forza e l’opportunità di arricchimento professionale. Oltre la metà dei volontari ritiene che il proprio impegno abbia un forte impatto nel modificare la realtà e più del 75% afferma che fare volontariato ha cambiato profondamente il proprio modo di pensare. Inoltre, la gran parte dei volontari italiani agisce, durante l’impegno solidale, svariate competenze trasversali, come la capacità di collaborare, gestire le proprie emozioni e i conflitti, sviluppare pensiero critico, apprendere lungo tutte le fasi della vita, affrontare i cambiamenti».
«Queste competenze trasversali – ha commentato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore – sono sempre più fondamentali nei luoghi di lavoro, nelle relazioni interpersonali e di comunità e per la costruzione di cittadinanza attiva. Il loro riconoscimento è al centro di una sfida per la crescita del capitale umano e sociale. Il Terzo Settore è stato pioniere di questo percorso nell’ambito del Servizio Civile Universale, ma è tempo di compiere ulteriori passi in avanti, seguendo la strada indicata anche dall’Unione Europea».

«Occorre dunque realizzare – ha aggiunto Pallucchi – quanto già disposto dal Codice del Terzo Settore sul riconoscimento delle competenze dei volontari, dando seguito al Decreto del 2024 sull’individuazione, validazione e certificazione delle competenze. L’obiettivo è un sistema strutturato, omogeneo su tutto il territorio nazionale, che valorizzi nel concreto quanto acquisito dai volontari nella loro esperienza, facendo leva sul ruolo chiave degli Enti di Terzo Settore. Questo rafforzerà la cultura del volontariato nel nostro Paese, soprattutto tra i più giovani, e favorirà l’apprendimento delle persone, rispondendo ai loro bisogni di crescita personale e professionale».

«Le competenze dei volontari, coniugate con le loro motivazioni – ha sottolineato dal canto suo don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana -, sono la forza del volontariato stesso e una risorsa importante per tutta la società. I volontari non solo sono spesso capaci di operare bene, ma sono anche consapevoli di ciò che può far crescere la società in umanità e nella prospettiva del bene comune. Dare piena attuazione alle normative che promuovono lo sviluppo del servizio volontario va a beneficio di tutti, a cominciare dalle Pubbliche Istituzioni più vicine ai cittadini».
«Da questa ricerca – ha concluso – emerge come i volontari siano animati dal desiderio di fare qualcosa per la propria comunità. E questo, di fronte all’individualismo che ci circonda, è un dato assai confortante. Essi, i volontari e le volontarie, sono anche consapevoli di dare con il loro impegno un contributo efficace al cambiamento in meglio della società nel suo complesso. Un cambiamento che parte dalla loro stessa crescita personale. Anche questo ci parla del volontariato – e dei volontari – come di una delle risorse più preziose del nostro Paese». (S.B.)

A questo link è disponibile una scheda sintetica sui dati emersi dall’indagine NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato. Per ulteriori informazioni: stampa@forumterzosettore.it.
A questo link vi è l’elenco completo di tutti i soci e degli aderenti al Forum Nazionale del Terzo Settore, tra cui anche la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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“Io per Lei”, a sostegno delle “mamme rare”

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«Anche quest’anno, con la nostra campagna di primavera, celebreremo la forza delle “mamme rare”, che con grande determinazione si prendono cura ogni giorno dei figli nati con malattie genetiche rare»: a dirlo è Ilaria Villa, direttrice generale della Fondazione Telethon, presentando la nuova edizione della campagna Io per Lei, organizzata per il 3 e 4 maggio, che consentirà di compiere un gesto di sostegno verso le mamme e le famiglie di bambini con una malattia genetica rara A dare il volto quest’anno al manifesto della campagna “Io per Lei” è Caterina, che ha la SMA di tipo 3 (atrofia muscolare spinale) e la mamma Deborah

«Anche quest’anno, con la nostra campagna di primavera, celebreremo la forza delle “mamme rare”, che con grande determinazione si prendono cura ogni giorno dei figli nati con malattie genetiche rare»: a dirlo è Ilaria Villa, direttrice generale della Fondazione Telethon, presentando la nuova edizione della campagna Io per Lei, organizzata per il 3 e 4 maggio, in prossimità della Festa della Mamma, che consentirà tramite i tradizionali Cuori di biscotto (donazione minima di 15 euro), di compiere un gesto di sostegno verso le mamme e le famiglie di bambini con una malattia genetica rara.
Nel prossimo fine settimana, dunque, in tutta Italia sarà possibile trovare oltre 2.500 punti di raccolta, distribuiti dai volontari della Fondazione Telethon, della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani Sangue), dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), dell’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia), dell’Azione Cattolica Italiana e delle edicole aderenti al SINAGI (Sindacato Nazionale Giornalai d’Italia). (S.B.)

A questo link è possibile conoscere tutte le modalità di distribuzione, tra cui oltre 2.500 punti di raccolta in tutta Italia, o richiedere i Cuori di biscotto nella sezione dello shop solidale. A quest’altro link è disponibile un testo di approfondimento sull’iniziativa. Per altre informazioni: chiara.longhi@havaspr.com.

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L’impronta indelebile lasciata da Papa Francesco sugli atleti e le atlete di Special Olympics

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«Non stancatevi – disse Papa Francesco al movimento Special Olympics – di mostrare al mondo dello sport il vostro impegno condiviso per costruire società più fraterne, in cui le persone possano crescere e svilupparsi e realizzare appieno le proprie capacità. Perché sport è uno di quei linguaggi universali che supera le differenze culturali, sociali, religiose e fisiche, e riesce a unire le persone». «Non ci stancheremo. Promesso», scrivono da Special Olympics Italia 2017: la piccola Gemma Pompili, atleta del programma “Young Athletes” di Special Olympics Italia, insieme a Papa Francesco

Papa Francesco ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore degli atleti del nostro movimento e delle loro famiglie [Special Olympics Italia, componente nazionale del movimento di sport praticato da persone con disabilità intellettive, N.d.R.]. Quando il Pontefice prese in mano, per la prima volta, il pallone rosso di calcio, simbolo dello sport unificato e del nostro stesso movimento, è apparsa subito nei suoi occhi vivaci la tentazione di provare un tiro. Per sua stessa ammissione, Papa Francesco era stato un grande appassionato di sport.
Nel corso degli anni, ha dedicato sempre tempo e attenzioni agli atleti di Special Olympics Italia. Tra i momenti memorabili della nostra storia, c’è senz’altro il suo incontro con la piccola Gemma Pompili, un’atleta del nostro programma Young Athletes. Era il 2017 e Papa Francesco aveva di fronte a sé la delegazione dello Special Olympics Unified Football Tournament in corso a Roma. Nonostante fosse un’udienza privata, fece il giro del mondo l’immagine di lei che, dopo avergli donato le scarpe sportive rosse, si sedette accanto a lui spontaneamente restituendo al mondo intero un messaggio potente di futuro e di piena inclusione.
Quel gesto semplice e naturale fu un simbolo della rivoluzione di prospettiva che Special Olympics promuove ogni giorno.

Non è stata quella l’unica occasione in cui il Papa ha incontrato il nostro movimento. Era infatti il 2015 quando accolse la delegazione italiana in partenza per i Giochi Mondiali Special Olympics di Los Angeles, augurando ad essa buona fortuna e incoraggiandola a rappresentare l’Italia con orgoglio e determinazione.
E ancora, per i primi 50 anni di vita di Special Olympics – movimento nato nel 1968 grazie all’intuizione di Eunice Kennedy Shriver -, Papa Francesco ha benedetto la Torcia della Speranza, simbolo dell’unità e della forza degli atleti Special Olympics, la stessa ha acceso poi il tripode al Soldier Field di Chicago, per celebrare quell’importante traguardo.

In un’altra occasione, il Papa ha affermato che «gli atleti di Special Olympics sono un esempio di come la fragilità possa diventare forza e come la debolezza possa diventare potenza», e poi ancora, «non stancatevi di mostrare al mondo dello sport il vostro impegno condiviso per costruire società più fraterne, in cui le persone possano crescere e svilupparsi e realizzare appieno le proprie capacità. In questo senso, lo sport è uno di quei linguaggi universali che supera le differenze culturali, sociali, religiose e fisiche, e riesce a unire le persone, rendendole partecipi dello stesso gioco e protagoniste insieme di vittorie e sconfitte».
Non ci stancheremo. Promesso.

*Special Olympics Italia è la componente nazionale del movimento di sport praticato da persone con disabilità intellettive.

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Il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri?

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Diamo ben volentieri spazio al contributo dell’Associazione radicale Diritti alla Follia, di commento al testo “Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità”, pubblicato su queste stesse pagine, contenente un’intervista al professor Paolo Cendon, considerato il “padre” della Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno “Human Rights” (“Diritti Umani”)

La proposta di riforma della Legge 6/04 (che istituì l’amministrazione di sostegno), promossa dalla nostra Associazione [Proposta di Legge di iniziativa popolare di cui si può leggere a questo link, N.d.R.], si fonda su un principio radicale quanto imprescindibile: il pieno riconoscimento della soggettività e dei diritti della persona con disabilità. Essa si allinea ai dettati della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ne raccoglie i commenti del Comitato di riferimento, e risuona con forza con le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. In essa si ritrovano, in filigrana, le tracce ancora vive della Legge 180/78: il rifiuto della violenza istituzionale, il limite alla coercizione, l’affermazione della libertà come premessa della cura.
Le critiche che il professor Paolo Cendon esprime nella sua intervista pubblicata da Superando (Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità), a cura dell’avvocato Salvatore Nocera e di Simona Lancioni – sembrano ignorare questo orizzonte.

Come già puntualizzato dalla stessa Lancioni sulle medesime pagine [si veda: L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione, N.d.R.], la Proposta di Legge non è un sogno velleitario: è un tentativo concreto di rispondere alla domanda di giustizia che sale da chi, oggi, si vede privato della propria voce nel nome della tutela.
Definire tutto questo “utopistico” rivela un limite che non è solo teorico, ma antropologico: è il riflesso di un pensiero che ancora separa realtà e utopia come se fossero mondi opposti, anziché due facce della stessa esigenza di trasformazione. È la modernità giuridica che difende se stessa, protetta dalle eccezioni normative di essa. Ed è in questo che la filantropia del professor Cendon mostra il suo volto più ambiguo: una filantropia che, pur dichiarandosi progressista, continua a legittimare norme “speciali” per le persone con disabilità. Una sorta di diritto parallelo, “a parte”, che ripropone – con altri nomi – logiche di esclusione che pensavamo superate.

Perché, allora, una persona senza patologie o menomazioni che decide di non pagare le bollette non viene sottoposta ad amministrazione di sostegno? Vogliamo forse introdurre una nuova categoria di “disabilità gestionale”, utile a garantire quel meccanismo di normalizzazione psichiatrico-giuridica che serve più agli interessi dell’ordine economico-sociale che a quelli della persona?
Il paternalismo del professor Cendon è, in fondo, la cartina di tornasole di un modello medico della disabilità che ancora resiste sotto la superficie del diritto. Un modello che valuta le persone sulla base di ciò che manca, di ciò che è difettoso, e non di ciò che c’è, che pulsa, che resiste.

Il diritto alla vita autonoma, alla capacità giuridica universale, non può più essere subordinato a valutazioni della “capacità naturale” o della “funzionalità”. È tempo di passare dal governo della vita alla promozione del vivere. Di spostare l’asse dal “bene presunto” dell’interesse alla dignità concreta della volontà. Di preferire la relazione alla sorveglianza, il sostegno alla delega, la fiducia alla diagnosi.
Il professor Cendon, con un’affermazione che suona più demagogica che informata, evoca la tossicodipendenza come giustificazione per l’intervento giudiziario, paragonandolo, di fatto, a un’amputazione salvifica. Ma la psichiatria – quella che ascolta, non quella che decide – sa che qui non si tratta di tagliare, ma di comprendere. La clinica delle dipendenze, delle psicosi, dei disturbi mentali gravi non si riduce a un atto di potere, né a un automatismo normativo. Qui sta la complessità: nella tensione tra libertà e cura, tra desiderio e protezione, tra il diritto di essere lasciati soli e il bisogno di non esserlo.
Dichiararsi progressisti non basta. Occorre esserlo davvero. Nell’inconscio, come direbbero Deleuze e Guattari. Nelle fibre più profonde delle nostre convinzioni, dove si decide se il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri.

Ringraziamo Simona Lancioni per la collaborazione.

*Psichiatra, membro del Direttivo dell’Associazione Radicale Diritti alla Follia.

Questi i precedenti testi pubblicati dalla testata Superando sul medesimo tema, a partire dall’intervista a Paolo Cendon di Salvatore Nocera e Simona Lancioni, citata nel presente contributo, vale a dire Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità. Quindi le riflessioni di Salvatore Nocera, Amministrazione di sostegno: come evitare che le cose vadano “così e così” o decisamente male? e di Simona Lancioni, L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione.

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Un Giubileo carico di significato, ma c’è un’ombra

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«Includere – scrive Vincenzo Falabella – significa riconoscere, non solo accogliere. Significa costruire spazi dove le persone con disabilità non siano ospiti, ma protagoniste. Per questo suscita delusione e perplessità l’esclusione delle due principali Federazioni italiane che rappresentano le persone con disabilità dal convegno del 28 aprile “NOI: pellegrini di speranza”, evento centrale del “Giubileo delle Persone con Disabilità”»

Il 28 aprile si aprirà ufficialmente il Giubileo delle Persone con Disabilità, evento che si preannuncia solenne e carico di significati simbolici [se ne legga già anche su queste pagine, N.d.R.].
Il Giubileo del 2025 è stato indetto da Papa Francesco con la Bolla Spes non Confundit. L’organizzazione dell’evento è stata affidata al Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, è un momento di grazia per la Chiesa Cattolica, con la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria e rappresenta un’occasione di riflessione e inclusione che travalica i confini religiosi, toccando la sfera civile e sociale. Un momento che avrebbe potuto – e dovuto – essere un punto di svolta nel modo in cui le persone con disabilità vengono coinvolte e ascoltate nei processi decisionali che le riguardano.
Tuttavia, a poche ore dall’inizio delle celebrazioni, emerge una criticità profonda che suscita delusione e perplessità: le due principali Federazioni italiane che rappresentano le persone con disabilità, FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), sono state escluse dal convegno NOI: pellegrini di speranza, evento centrale del Giubileo delle Persone con Disabilità, organizzato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e coordinato da suor Veronica Donatello, che nella stessa CEI è responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità.
Un’assenza che non può passare inosservata, e che solleva interrogativi importanti: come si può parlare di disabilità, di speranza, di futuro, senza coinvolgere direttamente chi quella realtà la vive quotidianamente? Com’è possibile che in un evento pensato per l’inclusione vengano escluse proprio le voci che rappresentano centinaia di migliaia di persone e famiglie in Italia?
Il principio del Nulla su di Noi senza di Noi (Nothing about Us without Us), divenuto uno slogan internazionale delle persone con disabilità già dagli Anni Novanta e ispirato ai movimenti dei diritti civili, sembra essere stato dimenticato. La partecipazione attiva delle persone con disabilità alla definizione delle politiche che le riguardano non è un atto di gentilezza, ma un diritto.
E questo diritto è riconosciuto anche dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che afferma chiaramente, all’articolo 4 (Obblighi generali), che «nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, gli Stati Parte devono coinvolgere attivamente le persone con disabilità […] attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
FISH e FAND non sono sigle astratte, ma realtà vive, articolate, radicate nei territori, che quotidianamente si confrontano con problemi reali: l’accessibilità, l’inclusione scolastica, il diritto al lavoro, il supporto alle famiglie, l’autonomia, la vita indipendente. Avrebbero potuto portare sul tavolo del convegno una prospettiva preziosa, concreta, fatta di esperienze dirette e di conoscenza profonda delle esigenze della comunità.
L’evento NOI: pellegrini di speranza si presenta dunque monco, privo di un elemento fondamentale: l’ascolto autentico. Non basta parlare di accoglienza e fraternità se poi, nei fatti, si escludono proprio i protagonisti di quel cambiamento che la Chiesa e la società intera dichiarano di voler sostenere.
Papa Francesco, in diverse occasioni, ha ricordato che «nessuno dev’essere escluso dalla misericordia di Dio», e nel Messaggio per la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità del 2020 affermava: «La peggiore discriminazione di cui soffrono le persone con disabilità è la mancanza di attenzione spirituale, che a volte abbiamo nei loro confronti». Parole forti, che oggi risuonano come un monito non ascoltato.
Anche Giovanni Paolo II, nel 1981, dichiarava: «Ogni uomo, anche il più debole e segnato da limitazioni fisiche o psichiche, è un valore in se stesso, e va rispettato e amato». Eppure, non si può parlare di rispetto se si nega il confronto, se si ignora la rappresentanza collettiva di chi da decenni lavora per affermare questi stessi valori.
In un momento storico in cui la disabilità è finalmente entrata nel dibattito pubblico, grazie anche alle battaglie di chi lotta da anni per i diritti e la dignità delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ci si sarebbe aspettati un segnale diverso. Più forte, più inclusivo, più coraggioso. Un segnale che dicesse chiaramente: «Vi vediamo, vi ascoltiamo, siete parte di noi». E invece, ancora una volta, chi dovrebbe essere al centro è rimasto ai margini.
Ma il tempo del silenzio è finito. Le persone con disabilità continueranno a farsi sentire, a rivendicare il loro spazio, a chiedere non solo parole, ma scelte concrete, responsabilità condivise, e soprattutto, rispetto.
Il Giubileo delle Persone con Disabilità avrebbe potuto essere – e può ancora diventare – un segno profetico, un momento in cui la Chiesa dimostra concretamente che l’inclusione non è solo una parola, ma un gesto, una scelta, una strada da percorrere insieme.
Includere significa riconoscere, non solo accogliere. Significa costruire spazi dove le persone con disabilità non siano ospiti, ma protagoniste. Dove le loro competenze, le loro storie, le loro fatiche e le loro speranze siano parte integrante del cammino collettivo. Finché questo non accade, ogni dichiarazione rischia di restare solo una bella intenzione. E la speranza, anziché germogliare, resta soffocata.
Il tempo del Giubileo invita alla conversione: è il momento perfetto per correggere un passo falso, per riaprire il dialogo, per fare spazio a chi è stato lasciato fuori. Perché solo così il Giubileo parlerà davvero a tutti. Solo così sarà pienamente credibile. Solo così, sarà giusto.

*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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L’impegno per una libertà davvero inclusiva

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«La Resistenza – scrive Vincenzo Falabella – è stata una straordinaria esperienza di partecipazione e solidarietà, in cui donne e uomini, provenienti da contesti diversi, hanno unito le forze per conquistare la libertà e la giustizia. Oggi, quell’eredità ci chiede di proseguire la lotta per i diritti civili e sociali, in nome di quella stessa libertà che fu conquistata allora con il sacrificio e il coraggio. E nello specifico delle persone con disabilità, ci chiede di abbattere ogni ostacolo che impedisce a molte di loro di autodeterminarsi e di vivere con dignità»

Il 25 Aprile è una delle ricorrenze più significative del nostro Paese: la Festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Non è soltanto una celebrazione del passato, ma un momento per interrogarsi sul presente e per rilanciare un’idea di libertà che sia davvero piena, concreta e condivisa.
Come ricordava il padre costituente Piero Calamandrei, «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».
Questa frase, semplice e potente, ci invita a riflettere sul fatto che la libertà non è mai scontata, e che non può dirsi compiuta finché resta esclusa una parte della società.
Nel nostro Paese, infatti, sono ancora numerose le persone che ogni giorno si scontrano con barriere che limitano l’accesso ai diritti fondamentali. Le persone con disabilità, in particolare, vivono una condizione di libertà parziale, ostacolata da discriminazioni strutturali e culturali.
Secondo quanto evidenziato dal XXVI Rapporto del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, permangono gravi criticità nell’accesso all’occupazione, nella formazione professionale e nella partecipazione piena alla vita sociale. I numeri parlano chiaro: nonostante le normative e le dichiarazioni di principio, la realtà è fatta ancora troppo spesso di esclusione.
La libertà di una società si misura dalla sua capacità di includere e una democrazia autentica è tale solo se riesce ad abbattere ogni ostacolo che impedisce ai cittadini e alle cittadine – tutti e tutte – di contribuire al bene comune, di autodeterminarsi, di vivere con dignità.
Il significato profondo del 25 Aprile va oltre la ricorrenza storica. La Resistenza è stata una straordinaria esperienza di partecipazione e solidarietà, in cui donne e uomini, provenienti da contesti diversi, hanno unito le forze per conquistare la libertà e la giustizia. Oggi, quell’eredità ci chiede di proseguire la lotta per i diritti civili e sociali, in nome di quella stessa libertà che fu conquistata allora con il sacrificio e il coraggio.
Liberiamoci dai pregiudizi. Liberiamoci dalle barriere. Liberiamoci dai silenzi. Questo è il senso attuale del 25 Aprile: un invito a rimuovere ogni ostacolo che impedisce a una parte della cittadinanza – come le persone con disabilità – di accedere pienamente alla vita democratica e sociale del Paese.
Celebrare oggi la Festa della Liberazione significa dunque anche rilanciare un progetto di società aperta, solidale, inclusiva. Significa riconoscere che il cammino della democrazia è ancora in corso, e che non possiamo dirci davvero liberi finché qualcuno resta ai margini.
Il 25 Aprile è memoria, ma è anche impegno quotidiano. È una chiamata alla responsabilità collettiva, affinché la libertà non sia solo un valore scritto nella Costituzione, ma una realtà vissuta da ogni persona, senza distinzioni, senza esclusioni, senza eccezioni.

*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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