Nel corso dell’Assemblea Nazionale di Cittiglio (Varese), cui hanno partecipato associazioni, atleti e tecnici provenienti da tutta Italia, Francesco Bonanno è stato riconfermato alla Presidenza della FPICB (Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla), carica che ricoprirà per il prossimo quadriennio paralimpico 2025-2028.
Nel corso dell’Assemblea è stato rinnovato anche il Consiglio Federale precedente, con la rinomina a vicepresidente di Emilio Tondelli, mentre Luca Bruno Malaspina è il segretario generale. Gli altri consiglieri confermati sono Teresa Franco, Mirko Ferri, Roberto Capone, Francesco Perin e Marco Magnani.
Il calcio balilla paralimpico italiano è ora atteso da una nuova grande sfida, vale a dire il Campionato del Mondo in programma in giugno a Saragozza in Spagna. (S.B.)
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Cultura, autonomia personale, formazione lavorativa e uno sguardo attento al mondo nel suo complesso: pochi, ma qualificanti punti programmatici hanno animato il congresso dell’RP Sardegna, l’Associazione dei Ciechi, degli Ipovedenti e dei Retinopatici Sardi, aderente alla FISH Sardegna (Federazionen Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), svoltosi il 6 marzo scorso.
Abbiamo chiesto a Giuseppe Martini, già dipendente della Regione Sardegna e riconfermato presidente del sodalizio, di spiegarci come l’organizzazione abbia saputo crescere, in un periodo in cui il Terzo Settore mostra segni di stanchezza. «Per la verità, anche noi abbiamo affrontato un periodo di ristrutturazione e rilancio». Così Martini, che prosegue: «Non è solo l’associazionismo in generale e quello della disabilità in particolare ad attraversare un momento delicato, ma è l’intera società. In periodi come questi occorre guardarsi attorno e capire qual è il tuo posto in un mondo che cambia di continuo. Forse è in questo che siamo stati bravi».
Parla dello sviluppo esponenziale delle nuove tecnologie?
«Anche. Ma quello è, semmai, la risposta a una situazione più ampia. In Sardegna, a partire dal 2016, le competenze provinciali sono diventate regionali. La gran parte delle Pubbliche Amministrazioni oggi hanno sede a Cagliari, capoluogo sardo. Ciò ha cambiato il rapporto fra associazioni, istituzioni e cittadini. Specie se pensiamo che la mobilità interna dell’isola è tutt’altro che ideale».
Il supporto informatico dell’RP Sardegna per le persone con disabilità visiva sembra riscuotere molto consenso, presidente…
«Come Associazione abbiamo cercato di coprire quegli spazi che, a nostro avviso, chiedevano di essere maggiormente presidiati. Abbiamo investito molto sull’informatica e oggi i nostri preziosi collaboratori supportano i soci con lezioni individuali e di gruppo. Soccorrono i meno digitali fra noi nel disbrigo di pratiche burocratiche ostiche e tramite la tecnologia possiamo farlo anche per gli utenti più lontani dal capoluogo regionale. Inoltre, abbiamo cercato di creare un supporto formativo per chi necessita dell’informatica per motivi professionali. Seguiamo sia utenti in cerca di occupazione, che chi un lavoro già lo ha».
Oggi vi è una figura professionale, quella del tecnico per l’autonomia personale delle persone con disabilità visiva, che la Sardegna attendeva da trent’anni, presidente Martini, e due di quei tecnici appartengono allo staff dell’RP. È stato un traguardo ostico da raggiungere?
«È stata dura sì, specialmente per Margherita Orgiana e Valentino Puddu, i nostri collaboratori. Per un anno hanno dovuto sobbarcarsi l’attività ordinaria dell’Associazione e anche qualcosa di più. E al contempo sostenere un corso di formazione complesso».
Non avete perso tempo e già offrite percorsi individuali di autonomia a parecchi utenti. Soddisfatti della risposta dei vostri soci?
«Direi di sì. Ci stiamo impegnando per fare questo servizio al meglio. Anche in collaborazione con l’Istituto Europeo per la Formazione e l’Orientamento Professionale, lo IERFOP, l’ente che ha organizzato il corso svolto dai nostri Valentino e Margherita. Avere istruttori vedenti edotti di cosa significa muoversi nel mondo senza la vista è importante. La Sardegna ora ha questa figura. Tocca a noi valorizzarla tramite la progettazione, attività con cui ci cimentiamo sempre con maggior sicurezza e con buoni risultati».
In passato, il mondo delle persone con disabilità è apparso è apparso frammentato, chiuso. RP Sardegna invece, sembra credere nelle collaborazioni.
«Ci crediamo sì, specialmente in àmbito culturale, dove l’accessibilità è in gran parte da costruire. Abbiamo realizzato la “Biblioteca sulle disabilità”, cioè testi specialistici che prestiamo gratuitamente agli operatori sociali, agli insegnanti e a tutti coloro i quali si occupano di disabilità. Pare che la nostra biblioteca sia un unicum nazionale. L’intento è far circolare informazione e formazione a favore di chiunque si occupi del tema.
Curiamo poi gli appuntamenti con il cinema audiodescritto: periodicamente, infatti, nella nostra sede di Via Pasquale Tola, 30 a Cagliari, vengono proiettati film arricchiti con una voce fuoricampo che descrive le scene non parlate.
Detto questo, ci siamo aperti a tante collaborazioni. A parte il già citato IERPOF, penso all’ANPVI di Cagliari (Associazione Nazionale Privi della Vista ed Ipovedenti), con la quale abbiamo curato alcuni eventi all’interno di monumenti aperti sempre nella città di Cagliari».
L’ex Istituto dei Ciechi, oggi Agenzia Pubblica di Servizi alla Persona, sarebbe dovuto diventare la “casa delle persone sarde con disabilità visiva”, occupandosi di varie linee di attività, dalla scuola alla riabilitazione, fino al mondo del lavoro. Perché da noi questo risultato sembra lontano, mentre in altre regioni gli ex istituti sono delle eccellenze?
«I margini per ottenere questo risultato ci sono ancora».
Sta parlando dell’ipotetico ritorno dell’Università nei locali di Viale Fra Ignazio?
«Sì. Chi conosce la città di Cagliari e la sua storia, sa che l’ex Istituto dei Ciechi, sito nelle Vie Nicolodi e Fra Ignazio, ha ospitato per anni tre Facoltà universitarie, mentre si ragionava sul come restituirlo al ruolo per cui è nato».
In aggiunta, da un paio d’anni si prospetta l’idea di fare dell’ex carcere di Viale Buon Cammino, poco distante dall’ex Istituto, un campus universitario, mentre si attende la riqualificazione urbana di quella storica parte della città.
«Sì, l’ex carcere è proprietà ministeriale, quindi dovremo attendere di capire come andrà il dialogo fra Istituzioni. Intanto, la trasformazione urbana di Cagliari può essere l’opportunità di riparlare dell’Istituto, i cui destini competono alla Regione. Forse dovremmo fare un ragionamento ampio sulle problematiche generali riguardanti la Sardegna. Anni fa si propose all’allora amministrazione dell’Istituto di procedere a uno scambio di edifici con l’università».
Rifiutare fu un errore secondo lei?
«Preferisco pensare al presente. L’Istituto dei Ciechi sembra proprio pensato per un’università. Convertire la struttura, enorme, alle esigenze attuali di persone con disabilità visiva, diverse da quelle di 100 anni fa, è dispendioso. E forse la collocazione all’interno della città non sarebbe comunque ideale. Forse si dovrebbe rivalutare la possibilità di uno scambio equo».
Ad esempio?
«Se Regione e Università si accordassero, la Casa dello Studente di Via Trentino, anche questa non tanto lontana dal sito dove attualmente sorge l’istituto, potrebbe essere una buona alternativa. Il mio è un esempio puro e semplice, non compete a me fare simili proposte. Dico solo – e chi conosce Cagliari lo sa – che la Casa dello Studente che ho nominato e il punto della città dove sorge è assai più congeniale alla mobilità di persone con deficit visivo».
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Uno studio pubblicato dalla rivista «Research Involvement and Engagement», ha messo in luce il valore della partecipazione attiva delle persone con sclerosi multipla nella ricerca, fino al punto da diventare addirittura coautori delle pubblicazioni scientifiche.
Coordinato dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), con la propria Fondazione FISM, in collaborazione con l’International Progressive MS Alliance e il Centro EngageMinds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, lo studio ha visto la partecipazione di 1.120 persone con sclerosi multipla provenienti da diversi Paesi, con l’obiettivo appunto di analizzare il loro coinvolgimento nei processi di ricerca e di identificare le barriere e le opportunità per il loro contributo come coautori delle pubblicazioni scientifiche.
«Ispirato al modello MULTI-ACT – spiegano dall’AISM –, il lavoro ha previsto un approccio in due fasi: quattro workshop di co-creazione destinati alla creazione di un’indagine internazionale che ha coinvolto una comunità rappresentativa di 1.120 pazienti. I risultati hanno dimostrato che il 45% del campione non ha mai partecipato a iniziative di ricerca e che l’89% dello stesso campione non è mai stato autore di una pubblicazione scientifica. Il 51% dei partecipanti è interessato a contribuire alla divulgazione della ricerca e, soprattutto, a essere riconosciuti come autori nelle pubblicazioni scientifiche. Numerose barriere, tra cui difficoltà linguistiche e mancanza di fiducia dovuta all’assenza di una formazione scientifica, ostacolano però l’accesso a queste opportunità».
Il citato MULTI-ACT, lo ricordiamo, è un modello ricerca e innovazione responsabile sviluppato da un progetto europeo coordinato dalla Fondazione FISM, che promuove la partecipazione attiva di pazienti e degli altri attori interessati in tutte le fasi dello studio, dalla definizione delle priorità alla diffusione dei risultati, garantendo che l’esperienza vissuta dai pazienti stessi venga riconosciuta e integrata nelle decisioni scientifiche. Un esempio virtuoso di questo approccio è proprio l’International Progressive MS Alliance, in cui le persone con sclerosi multipla partecipano attivamente alla ricerca e vengono riconosciute come coautrici.
Vanessa Fanning e Federico Bozzoli, persone con sclerosi multipla membri dell’International Progressive MS Alliance affermano: «Per noi un autore è colui che vive un problema, lo vuole condividere, per ricercare la soluzione comune al problema stesso».
Dal canto loro, Paola Zaratin, che dirige la ricerca scientifica della FISM, e Federica Molinari, patient engagement manager, co-autrici dello studio, dichiarano: «Questo lavoro rappresenta un passo fondamentale per riconoscere il ruolo chiave delle persone con sclerosi multipla, non solo come partecipanti alla ricerca, ma anche come autori delle pubblicazioni scientifiche. Solo così, infatti, potremo rendere la ricerca più inclusiva e davvero rappresentativa delle esigenze e delle esperienze vissute dalle persone con sclerosi multipla».
Impegnate, infine, nella ricerca delle soluzioni alle barriere psicologiche che ostacolano la partecipazione delle persone, sono Guendalina Graffigna, che dirige il Centro di Ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, insieme a Maria Rosaria Savarese e Dilara Usta, ricercatrici di EngageMInds Hub, e anch’esse co-autrici dello studio. «Tra le principali difficoltà emerse dallo studio -sottolineano – figurano la fatica cronica, il benessere mentale compromesso e l’isolamento fisico, che ostacolano la partecipazione dei pazienti alle attività di ricerca. Per superare queste barriere, serve un approccio scientifico, per coinvolgere le persone sulla base delle loro preferenze ed attitudini».
«La strada indicata dai ricercatori – concludono dall’AISM – contribuirà notevolmente a colmare il divario tra il coinvolgimento delle persone nelle attività di ricerca e la loro partecipazione come autori di pubblicazioni scientifiche. Di conseguenza, un piano dedicato al coinvolgimento dei pazienti nella scrittura scientifica dovrebbe essere incluso dalle Istituzioni competenti nelle proposte di ricerca e risorse pertinenti allocate per fornire strumenti utili a ridurre le barriere sistemiche». (S.B.)
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Ormai imminente la nuova edizione (la terza) dei WEmbrace Awards, evento organizzato dall’Associazione art4sport, fondata da Bebe Vio, insieme ai genitori Teresa Grandis e Ruggero Vio. La serata, in programma giovedì 27 marzo alla Fabbrica del Vapore di Milano, sarà «un inno all’impatto dell’agire insieme e alla condivisione di esperienze», come sottolineano gli organizzatori.
Il claim di quest’anno è Together or Nothing! (“O insieme o niente!”), a caratterizzare la capacità di stare insieme, di fare squadra, di creare relazione unendo le forze e le idee, ovvero «l’unica vera forza naturale che ha sempre cambiato il mondo».
Sul palco verranno premiate storie straordinarie e ad alto impatto emotivo, scelte grazie all’attento lavoro condotto da un osservatorio stabile composto da professionisti della comunicazione che ruotano da diversi anni attorno ad art4sport. Dal confronto interno all’Osservatorio, sono emerse poi 20 tra le 120 storie che più di altre si sono distinte per la loro unicità e capacità di fronteggiare le diverse criticità del contesto contemporaneo. Queste sono state in seguito sottoposte alla Giuria degli Awards per una valutazione finale, dalla quale ne sono emerse quattro che verranno appunto premiate come WEmbracer durante l’evento di Milano. (C.C.)
Per maggiori informazioni: Jacopo Bergeretti (jacopo.bergeretti@mateagency.it).L'articolo Con “WEmbrace Awards 2025” l’unione può davvero fare la differenza proviene da Superando.
Nella serata del 28 marzo al Cinema Teatro Sala Argentia di Gorgonzola (Milano), il talento incontrerà la solidarietà, con l’evento denominato Sulle note della solidarietà, che vedrà sul palco artisti con disabilità pronti a emozionare il pubblico con performance di musica e danza.
Promossa dal Tavolo Fragilità del Comune di Gorgonzola e realizzata in collaborazione con l’ASBIN (Associazione Spina Bifida e Idrocefalo Niguarda), con il progetto Ugualmente Artisti e con la Società Sportiva Dilettantistica EDA (Expression Dance Academy), l’iniziativa si pone appunto l’obiettivo di valorizzare il talento artistico e di promuovere al tempo stesso la cultura dell’inclusione.
La serata vedrà la partecipazione speciale di due grandi artisti, quali Gianluca Guidi, in veste di presentatore e cantante, accompagnato al pianoforte da Maurizio Abeni. Porterà inoltre la propria testimonianza Alessandro Apuani, campione italiano di nuoto paralimpico.
Il ricavato dell’evento andrà alle citate ASBIN e Ugualmente Artisti, per sostenere progetti concreti di inclusione sociale e supporto alle famiglie di bambini e ragazzi con disabilità.
«Un’occasione imperdibile – sottolineano dunque i promotori – per vivere un’esperienza emozionante, sostenere una causa importante e celebrare insieme il potere dell’arte e della solidarietà». (S.B.)
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È difficile parlare al passato di Mario “Dany” De Luca. La sua energia, il suo impegno instancabile, la sua capacità di ispirare e coinvolgere, sembrano renderlo ancora presente, come se il suo spirito continuasse a guidarci ogni giorno.
Mario non era solo una figura di spicco nel movimento associativo, ma un punto di riferimento umano, una persona capace di ascoltare, confrontarsi e stimolare il cambiamento in chi gli stava intorno. Parlare di lui al passato non è facile, perché la sua missione e il suo esempio sono ancora ben vivi nei nostri cuori e nelle nostre azioni.
Sono profondamente provato nello scrivere queste righe. Non me ne capacito. La sua assenza lascia un vuoto che è difficile da colmare, e ogni parola sembra insufficiente a esprimere ciò che sento. La perdita di Mario è qualcosa che fa male, qualcosa che ancora fatichiamo a comprendere pienamente. Ma non possiamo dimenticare ciò che ci ha dato, la forza che ha trasmesso a ciascuno di noi, e il modo in cui ha cambiato la nostra visione del mondo.
Il suo impegno nello sport per le persone con disabilità ha rappresentato uno degli aspetti più significativi della sua vita. Mario, infatti, credeva fermamente che lo sport fosse un potente strumento di inclusione, di crescita e di empowerment per chi viveva situazioni di difficoltà.
Ha lavorato incessantemente per abbattere le barriere, non solo fisiche, ma anche mentali, incoraggiando una visione diversa della disabilità, come un’opportunità di valorizzazione delle potenzialità, piuttosto che una condizione da cui difendersi. Con lui, lo sport non era solo una pratica fisica, ma un mezzo di integrazione e di affermazione personale.
Ogni momento passato con lui, che fosse un confronto appassionato o una discussione animata, era un’occasione di crescita. Mario non cercava facili consensi, ma stimolava riflessioni profonde e spingeva tutti a superare i propri limiti, a fare sempre meglio. La sua capacità di unire le persone, di incoraggiare il dialogo e di far crescere il movimento associativo è stata unica. La sua visione del mondo, fatta di inclusione, solidarietà e impegno sociale, ha dato vita a progetti e iniziative che continueranno a prosperare, alimentati dalla sua eredità.
La sua mancanza lascia un vuoto, ma la sua eredità rimane viva, come una forza che ci spinge a proseguire il lavoro che lui tanto amava. Il suo impegno per l’inclusione, la sua passione per lo sport come strumento di cambiamento e la sua determinazione a migliorare la vita degli altri sono un faro che continuerà a guidarci. La sua figura resterà per sempre un simbolo di ciò che possiamo fare insieme, di come il movimento associativo possa trasformare la società, rendendola più giusta e più solidale.
Ciao Mario.
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
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Con oltre 100 cammini da fare a piedi e un patrimonio unico di tesori storici, culturali e artistici, l’Italia è uno dei Paesi più amati da chi vuol mettersi in cammino. Chi vuole provare “l’effetto che fa”, il 10 e l’11 maggio potrà scegliere una delle 27 escursioni di Cammini Aperti: Edizione Speciale 2025, seconda edizione dell’iniziativa lanciata lo scorso anno, con la Regione Umbria quale capofila, e fortemente voluta dal Ministero del Turismo.
Le Regioni coinvolte in questo 2025 saranno Emilia Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria, quest’ultima nuovamente in veste di capofila, e le escursioni si svolgeranno lungo le Vie e i Cammini di San Francesco, le Vie e i Cammini Lauretani e il Cammino di San Benedetto, percorsi tra i più suggestivi e significativi d’Italia. La scelta è stata fatta anche in relazione a un avvenimento straordinario come il Giubileo e a un importante anniversario francescano quale l’ottavo centenario del Cantico delle Creature, nonché in attesa di quello della morte del Santo nel 2026.
Indissolubilmente legati all’approccio lento del mettersi in cammino e dell’iniziativa, sono valori come l’accessibilità, la sostenibilità e la spiritualità. Questi princìpi guideranno le diverse attività grazie anche all’apporto di realtà come la FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), il CAI (Club Alpino Italiano) e FederTrek. Attiva infatti nella divulgazione dei valori legati all’iniziativa, la FISH ha offerto un prezioso supporto metodologico per la definizione dei requisiti di accessibilità con cui identificare escursioni adatte a persone con esigenze specifiche. Fondamentale anche l’erogazione di una formazione di base per le guide ambientali escursionistiche coinvolte nella conduzione dei Cammini, fornendo strumenti utili per l’accoglienza e il supporto dei camminatori con disabilità. Nella prima edizione dello scorso anno, è stato realizzato anche un vademecum a cura di Gabriele Favagrossa (ne avevamo parlato in questo pezzo).
Dal canto suo, il CAI ha voluto sostenere Cammini Aperti anche quest’anno, valorizzando la frequentazione dell’ambiente naturale attraverso escursioni in contesti lontani da strade trafficate e immersi nel verde.
Molto importante, infine, per i valori della manifestazione, anche l’apporto di FederTrek, che si occuperà di garantire un’esperienza rispettosa delle diverse necessità dei partecipanti con disabilità, per poter condividere con loro la bellezza e il senso profondo di prendere parte a un cammino.
Tra le novità del 2025, le aperture straordinarie di cinque gemme nascoste dell’immenso patrimonio culturale e spirituale italiano, solitamente non aperte al pubblico. In Emilia Romagna si possono trovare infatti alcuni tra i più suggestivi conventi francescani d’Italia e sarà proprio uno di questi ad aprire le proprie porte al pubblico nel corso della manifestazione per una speciale visita guidata. Nel Lazio, invece, lungo il Cammino di San Benedetto, l’apertura straordinaria permetterà di ammirare la Certosa di Trisulti, complesso monastico fondato agli inizi del Duecento, mentre nelle Marche l’apertura straordinaria porterà alla scoperta di un prezioso monumento sulle Vie e i Cammini Lauretani, quale l’Abbazia di San Firmano. In Toscana, rappresentativa della spiritualità delle Vie e dei Cammini Lauretani, la visita guidata aprirà le porte della Pieve di Sant’Ippolito, la chiesa più antica di Asciano (Siena), citata in un prezioso documento dell’età longobarda, risalente all’anno 714. In Umbria, infine, l’apertura straordinaria riguarderà un luogo di grande suggestione, come la cripta a tre navatelle della Basilica di San Benedetto a Norcia, edificio risalente nell’impianto attuale al XIII secolo e sorto, secondo la tradizione, dove si trovava la casa natale di San Benedetto e Santa Scolastica, nati nel 480.
Ogni Regione proporrà 3 percorsi per Cammino che le attraversa (27 in totale) e ci si potrà iscrivere gratuitamente attraverso il portale dedicato, dove si potranno vedere in dettaglio tutte le escursioni disponibili dei giorni 10 e 11 maggio, con tracciati prevalentemente ad anello tra i 7 e i 12 chilometri e un dislivello massimo di 300 metri e le varie aperture straordinarie. (C.C.)
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Molto clamore e sbigottimento ha suscitato l’episodio dell’anziana coppia veronese le cui salme, ormai mummificate, sono state ritrovate casualmente a Montericco di Negrar (Verona). In molti hanno subito collegato questo episodio con quanto accaduto al noto attore Gene Hackman e alla moglie Betsy Arakawa negli Stati Uniti. Là, sui giornali, è stato subito un fiorire di articoli sul tema dei caregiver familiari e sull’assenza di una rete di assistenza, qui da noi non si è andati oltre al dato di fatto della solitudine della nostra anziana coppia.
Nessuno, comunque, ha dedicato qualche riflessione al tema del burden cioè al peso che grava su ogni familiare che assiste un proprio caro malato o non autosufficiente (come chi è affetto da una di quelle patologie che dissolvono le capacità cognitive o le facoltà motorie o entrambe).
Abbiamo, in letteratura, una variegata casistica che porta il caregiver ad uccidere l’assistito e poi a suicidarsi, ma in Italia questa letteratura e questo approccio non sono manco contemplati. Poi ci sono quei casi in cui il caregiver, colto da malore, muore, e l’assistito, impossibilitato a muoversi o a capire quello che sta succedendo, è condannato a morire di stenti dopo pochi giorni. E se queste persone vivono sole, come spesso accade, non è raro che siano ritrovate mesi dopo il decesso.
Siamo un popolo che invecchia senza avere ricambi, poiché la natalità è ormai sottozero e quindi ogni anno cresce il numero di persone che rimangono sole, con le patologie tipiche dell’età ed irrimediabilmente progressive e ingravescenti, che richiedono assistenza ad hoc.
Qualche passetto in avanti nelle politiche per la terza età è stato fatto con l’approvazione della Legge 33/23 la cosiddetta “Legge Delega per gli anziani”, ahinoi carente anche nei Decreti Attuativi e quindi ancora lontana dal garantire una gestione efficiente del problema.
Stanziare 60 milioni di euro (dal Fondo PNRR), come ha annunciato entusiasticamente l’assessora veneta Lanzarin, per aiutare i caregiver degli anziani, benché atto degno di lode, non è una soluzione, ma solo una toppa su un buco troppo grande, cui nessuno ha mai pensato di far intervenire qualcuno del mestiere che rammendasse a dovere, rinforzando anche la stoffa. In tal senso, dai comunicati si apprende che verranno erogati, a poco più di 12.000 caregiver, 200 euro mensili. Se pensiamo che il “Bonus Caregiver Familiare””, erogato dallo Stato al Veneto (bonus che comprendeva tutte le tipologie di caregiver e non solo quelli di anziani) ammontava a 400 euro mensili per un totale di 2 milioni e mezzo di euro e una platea di 700 beneficiari (in tutta la Regione Veneto), qualche domanda dovremmo iniziare a farcela. Soprattutto perché la platea dei caregiver familiari ammonta a 500.000 persone nel solo Veneto, stando alle stime della CISL. Pensiamo a ogni Regione d’Italia, se finalmente si facessero i conti (e le conte) di fondi stanziati e platea di beneficiari!
Basta poi guardare gli articoli recenti sulla crisi, in Veneto come nel resto del Paese, delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e di tutto il comparto: non esistono abbastanza posti, le rette sono stellari e pure il personale latita. per tacere di tutti gli episodi di maltrattamenti e abusi che si consumano in queste strutture.
Non esiste nemmeno una nuova cultura di settore per cui si scavalchi l’ormai obsoleta soluzione di avere “ricoveri per anziani” e si creino le famose reti di servizi, al domicilio della persona, finalmente valorizzando e sostenendo il ruolo e il lavoro dei caregiver familiari o dei semplici caregiver (figure, queste, professionali e retribuite) laddove i familiari non ci siano.
Una soluzione potrebbe essere una Legge Regionale, che ora ha iniziato i primi passi dell’iter presso il Consiglio Regionale del Veneto, ma i testi presentati sono tre e non è stata interpellata alcuna Associazione sul territorio, mentre il Partito Democratico, depositario di uno dei tre progetti, inspiegabilmente si fa aiutare da un’Associazione dell’Emilia Romagna…
Manca la Legge a livello nazionale e pare che si sia davvero molto lontani, non dico dalla fine ma persino dalla partenza; chi scrive segue infatti i lavori in Parlamento e da quando si è insediato l’attuale Governo, nel 2022, nulla è stato fatto se non la produzione di ben dodici testi di legge e svariate audizioni di chiunque, tranne che, paradossalmente, dei diretti interessati e cioè i caregiver familiari.
Se manca la Legge a livello nazionale è difficile, a livello regionale, licenziarne una buona, soprattutto una che davvero sia utile ai caregiver familiari, senza gravarli di ulteriori oneri burocratici o dotarli di servizi tanto inutili quanto fumosi e, in ultima istanza, inesistenti.
L’augurio, quindi, è che un evento così tragico come quello citato inizialmente della coppia di Montericco dia l’abbrivio ad una riflessione corale e ad un’azione concreta da parte dell’amministrazione politica, a ogni livello, per comporre una questione mai affrontata davvero e cioè la gestione della popolazione anziana e non autosufficiente e dei relativi familiari, ove presenti.
*Presidente dell’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti.
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Penso che questo incontro sia un’ottima opportunità per approfondire la questione della disabilità nella Chiesa e a che punto siamo. Siamo arrivati lontano da quando il libro è stato presentato, il Sinodo ha fatto raccomandazione in particolare per un monitoraggio dei problemi legati alla disabilità all’interno della Chiesa. Al momento vari gruppi stanno valutando come dovrebbe essere una Chiesa che veramente rifletta tutti i suoi membri.
Siamo anche a conoscenza dei documenti che sono stati elaborati dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, e la consultazione con le persone con disabilità, su quali siano le vere necessità delle persone con disabilità cattoliche oggi.
Stiamo aspirando ad una Chiesa che includa non solo per un atto di carità, ma anche una Chiesa che effettivamente, come dice Papa Francesco, abbia «esili al suo interno».
Una Chiesa che guardi onestamente a chi ha ricevuto la porta sbattuta in faccia e come invece quella stessa porta si possa aprire oggi.
È in questo modo che possiamo vedere i bisogni per l’educazione affinché le persone diventino consapevoli delle necessità di tutti i membri della chiesa, anche accogliendoli e rendendoli partecipi attivamente all’interno della Chiesa. Ciò vuol dire camminare insieme nelle nostre fragilità, nei limiti e anche nelle nostre disabilità. Non riusciremo ad arrivare a questo risultato domani o il giorno dopo, ma almeno la discussione è iniziata.
Alla luce della scarsa salute del Papa, per il quale preghiamo, siamo grati per questa apertura e per questa consapevolezza che anche i rappresentanti più alti della Chiesa sono persone e fragili come tutti noi, sono persone che procedono insieme nella luce di un amorevole Dio, ma anche nella luce del limite. Papa Francesco, infatti, ci ha insegnato il magistero della fragilità.
Una Chiesa che deve accettare le fragilità di ogni membro e conviverci è una Chiesa di cui tutti possono far parte e dove tutti possono supportarsi durante questo viaggio sinodale che è iniziato.
*SJ, Autore del libro “Us” not “Them”. Disability and Catholic Theology and Social Teaching (“Noi”, non “loro”. Disabilità, teologia e dottrina sociale cattolica). Il contenuto del presente contributo corrisponde a quello dell’intervento pronunciato nel corso del convegno “A Sua Immagine. ‘Us’ not ‘Them’”, tenutosi il 6 marzo 2025 ad Assisi (Perugia) (se ne legga la nostra presentazione).
L'articolo Le vere necessità delle persone con disabilità cattoliche oggi proviene da Superando.
È prevista per il secondo pomeriggio di oggi, 24 marzo (ore 18), la diretta online denominata Disabilità e Riforma: l’esperta risponde, condotta da Cecilia Marchisio, componente della prima Commissione che ha redatto il Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge Delega 22721 in materia di disabilità, nonché responsabile del Centro Studi per i Diritti e la Vita Indipendente dell’Università di Torino.
L’iniziativa è promossa da PERSONE (Coordinamento Nazionale contro la Discriminazione delle Persone con Disabilità), per rispondere alle tante richieste di chiarimento ricevute rispetto alla cosiddetta “riforma della disabilità” e al tema del Progetto di Vita personalizzato e partecipato, come disciplinato dal citato Decreto 62/24 (Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato).
L’iniziativa, che verrà diffusa sulla pagina Facebook e sul canale YouTube di PERSONE (rispettivamente a questo e a questo link), si rivolgerà segnatamente a persone con disabilità, famiglie, operatori e operatrici del sociale, associazioni, attivisti e attiviste, e a chiunque altro sia interessato/a. (S.B.)
Ringraziamo Simona Lancioni per la collaborazione.
L'articolo Disabilità, riforma e progetto di vita: un’esperta risponde proviene da Superando.
«Sostegni per l’inclusione scolastica per studenti con disabilità e per lo svolgimento degli studi universitari, per entrare nel mondo del lavoro in maniera concreta e avere un lavoro vero con uno stipendio, senza più tirocini infiniti, sostegni per lo sviluppo delle autonomie personali e la vita indipendente, counseling e reti di gruppi di supporto psicologico per le famiglie, una rete di mobilità accessibile che aiuti a potersi muovere in autonomia, comunicazioni e informazioni accessibili: sono solo alcune delle indicazioni arrivate dalla nostra PIAM, la Piattaforma Italiana Autorappresentanti in Movimento, in relazione al tema scelto a livello internazionale per la Giornata di oggi»: lo dicono dall’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo) a proposito della Giornata Mondiale della Sindrome di Down di oggi, 21 marzo, centrata appunto sul tema Improve Our Support Systems, ossia “Migliorare i nostri sistemi di supporto”. «A queste già concrete indicazioni da parte dei nostri Autorappresentanti – aggiungono dall’ANFFAS – vi sono anche quelle dei familiari, concernenti alcune criticità legate all’invecchiamento, alla costante mancanza di risorse e alla solitudine delle famiglie, soprattutto le più giovani. È quindi evidente che l’argomento dei sostegni e dei servizi sia un tema che riguarda direttamente la vita delle persone con sindrome di Down e di tutte le persone con disabilità e loro famiglie, un tema che di conseguenza è necessario continuare a porre, insieme alle sue innumerevoli sfaccettature, all’attenzione di ogni soggetto a vario titolo coinvolto, a partire dalle Istituzioni che dovrebbero dare garanzia del sistema dedicato ai servizi».
«Infatti – sottolineano ancora dall’Associazione – ancora troppo spesso le persone con sindrome di Down, e in generale tutte le persone con disabilità, si trovano ad affrontare una quotidianità fatta di ostacoli dovuti alla mancanza di sostegni e supporti che sono invece un loro diritto in ogni ambito della vita. È una mancanza che impedisce di avere una società e una comunità di pari opportunità: e oggi sono le stesse persone con sindrome di Down, sempre più consapevoli e protagoniste della loro vita, a reclamarli e non si può più pensare di poter procrastinare. Si parla di sostegni e servizi che devono essere pensati e concretizzati ponendo sempre al centro la persona, evitando qualsiasi tipo di standardizzazione e andando invece verso un modello sempre più inclusivo che valorizzi e si adatti ai bisogni delle persone stesse, così come ribadito anche dalla recente riforma in materia di disabilità che ha posto in primo piano proprio la centralità della persona sia per ciò che concerne il Progetto di Vita individuale, personalizzato e partecipato, sia per quanto riguarda l’uso di un linguaggio corretto, bandendo termini discriminatori e stigmatizzanti nei confronti delle persone con disabilità».
«Come sempre, dunque, auspichiamo – concludono dall’ANFFAS – che questa Giornata possa contribuire a rafforzare consapevolezza su tali importanti temi, non solo in occasione del 21 marzo, ma ogni giorno, riconoscendo alle persone con sindrome di Down diritti, sostegni ma anche talenti, sogni, desideri e capacità, contrastando ogni discriminazione e stereotipo». (S.B.)
Per ulteriori informazioni: comunicazione@anffas.net.L'articolo Non solo il 21 marzo, ma ogni giorno diritti e sostegni per le persone con sindrome di Down proviene da Superando.
È stata un’esibizione senza precedenti quella di un gruppo di persone con disabilità insieme a Simona Bencini, storica voce dei “Dirotta su Cuba”, che hanno interpretato I Just Called to Say I Love You, nell’ambito del progetto Musica senza confini, iniziativa che ha unito musica e inclusione sociale, consentendo alle persone con distrofia muscolare di esprimersi e di partecipare attivamente a una performance musicale di grande valore.
Elemento chiave del progetto è stato il supporto di Audio Modeling, azienda italiana specializzata in software musicali, che ha collaborato con Manuele Maestri, promotore di Musica Senza Confini, per sviluppare un software musicale inclusivo, completamente “made in Italy”.
Il progetto ha visto il coinvolgimento di diverse persone con disabilità, che hanno avuto l’opportunità di partecipare a prove e sessioni musicali, lavorando fianco a fianco con professionisti del settore musicale.
Ora Musica Senza Confini continuerà il proprio impegno per la promozione dell’inclusione e dell’accessibilità attraverso eventi, iniziative artistiche e progetti sociali che consentano la partecipazione di tutti e tutte, senza alcuna distinzione. (C.C.)
Per maggiori informazioni: Manuele Maestri (manuelemaestri@gmail.com).L'articolo Musica e inclusione: un progetto che rompe le barriere proviene da Superando.
Introduco questo mio intervento partendo da ciò che potrebbe costituire quasi la conclusione. Cito perciò quello che è considerato il documento base dell’intero magistero di Papa Francesco, ossia l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium e nello specifico il numero 207: «Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti».
Il Papa fin da questo documento insiste affinché l’attenzione verso le persone più fragili sia percorsa come la strada maestra che costruisce, compatta ed è anche capace di rigenerare la comunità. Ciò che emerge è la tensione verso la costruzione del Noi, frutto di un’attenzione posta dal Concilio Vaticano II con l’affermazione di una ecclesiologia di comunione, volta a fare emergere la corresponsabilità dei credenti e la conseguente compartecipazione attiva in seno alla Chiesa.
Prima di trattare la tematica vorrei introdurmi richiamando un brano molto bello di Kahlil Gibran, intitolato Quando nacque il mio Dolore, tratto dal libro Il folle: «Quando nacque il mio Dolore lo nutrii con amore e lo curai teneramente. Come tutte le creature viventi esso crebbe, forte, bello e traboccante di mirabili delizie. Ci amavamo reciprocamente e amavamo il mondo che ci circondava; poiché il Dolore aveva il cuore tenero, e il mio dal Dolore veniva conquistato. Quando il mio Dolore ed io discorrevamo insieme, i giorni erano alati e le notti ornate di sogni; poiché il linguaggio del dolore era eloquente, e il mio con lui lo diventava. Quando camminavamo insieme la gente ci rivolgeva sguardi delicati e sussurrava parole di dolcezza estrema. Ma c’era anche chi osservava invidioso, perché il Dolore è nobile ed io ne ero orgoglioso. Ma come tutte le creature viventi il mio Dolore morì ed io sono rimasto solo a pensare ed a soppesare. Ora, quando parlo, le mie parole ricadono con un suono grave, quando canto i miei amici non vengono più ad ascoltare. Quando cammino per la strada nessuno più mi degna di uno sguardo. Solo nei miei sogni sento una voce pietosa che dice: “Guarda, lì riposa l’uomo il cui Dolore è morto”».
In questo brano molto bello possiamo vedere e sottolineare, tra le infinite interpretazioni, il senso del dolore, di qualsiasi dolore, rispetto a coloro che ne sono coinvolti, sia dalla parte di chi soffre sia dalla parte di chi aiuta chi si trova nella sofferenza. Vi si può scorgere forse anche una sorta di autocompiacimento rispetto alla considerazione del dolore e la scomparsa di tutto questo nel momento della morte/scomparsa del dolore. Tuttavia, a mio parere, vi è anche da considerare il fatto che il dolore potrebbe morire, anzi forse meglio dire scomparire, nella misura in cui vada incontro, usando termini di Papa Francesco, alla cultura dell’indifferenza.
Non mi soffermo tanto su questioni che sono ben trattate nel testo A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità, riprendo però alcune questioni che, seppur rimaste irrisolte, le considererei piuttosto come sospese nelle culture dei diversi contesti. Quasi come dei frutti da cogliere e far diventare maturi attraverso l’incontro e la relazione.
La questione e l’interrogativo sulle motivazioni per le quali si è così e non diversamente rimane sempre e comunque, perciò accolgo pienamente e condivido l’affermazione di Matteo Schianchi, a pagina 98 del libro, ossia che «la disabilità non sia una condizione specifica ma una dimensione semplicemente antropologica, da sempre, negli esseri umani, nei loro corpi e nella società stessa».
In questo senso, anche riferito non alla disabilità, ma alla condizione dei carcerati, è emblematico quanto affermato più di una volta e in diverse occasioni da Papa Francesco, «potevo esserci io al loro posto…». Pertanto mi pare quanto mai accoglibile quanto scritto da don Colmegna a proposito del tema dell’articolo sul ribaltamento “noi-loro”. Scrive don Virgilio a pagina 75 del libro citato, ed è un capovolgimento teologico forte e significativo, «stare dove non vince il potere dell’aiuto, ma l’uguaglianza della fraternità».
Questo pensiero e questa tensione racchiude tutta la forza posta in campo da Paolo VI nel fondare la Caritas in Italia, con intento prevalentemente pedagogico e animativo della Comunità intera.
Però qui mi fermo ed entrando nel merito vorrei toccare, anche se per poco e forse anche in maniera superficiale, alcuni testi biblici molto noti che tracciano appena tutta la grande questione del nostro argomento il quale però – come dicevo prima citando Schianchi – rientra nella dimensione antropologica, fortemente presente nei testi sacri.
Mi riferisco ai grandi interrogativi sull’esistenza del bene e del male e sull’emergere e prevalere del male sul bene.
La malattia, di qualsiasi forma essa sia, nella Bibbia è considerata generalmente come causata da una colpa, sia essa personale, sia essa comunitaria. Si possono citare i diversi episodi dei Vangeli in cui, a fronte di certe malattie, gli apostoli chiedono a Gesù chi sia la causa del male, il soggetto in questione oppure qualcuno dei suoi avi. Per tale motivo si genera una sorta di letteratura nella quale la persona ritenuta giusta è classificata come benedetta da Dio, mentre il malvagio non lo è.
Prendo come icona il Salmo 1, che poi viene ripreso e quasi confutato dal profeta Geremia. Esso dice: «1. Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; 2 ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. 3 Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. 4 Non così, non così gli empi: ma come pula che il vento disperde; 5 perciò non reggeranno gli empi nel giudizio, né i peccatori nell’assemblea dei giusti. 6 Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina».
Ci sono tratti nella Sacra Scrittura in cui questa visione viene quasi messa in dubbio, soprattutto in epoca sapienziale e dell’esilio. In merito, come dicevo prima, si esprime il profeta Geremia il quale al capitolo 12 si esprime con queste parole: «1 Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa contendere con te, ma vorrei solo rivolgerti una parola sulla giustizia. Perché la via degli empi prospera? Perché tutti i traditori sono tranquilli? 2 Tu li hai piantati ed essi mettono radici, crescono e producono frutto; sei vicino alla loro bocca, ma lontano dal loro intimo».
Più avanti, al capitolo 17, riprende il discorso contestato e sottolinea quanto espresso dal Salmo 1: «Geremia 17,5-8, 5. Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore. 6 Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. 7 Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. 8 Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti».
La questione in un certo qual modo rimane irrisolta e rimane tale perché non può essere risolta mediante argomentazioni. Tuttavia al capitolo 18 il profeta ha la rivelazione da parte di Dio mediante la metafora del vasaio il quale, dopo avere verificato la non consistenza del vaso, lo rimpasta. Con questa metafora viene simboleggiata la distruzione di Gerusalemme… ma al contempo si annuncia anche il ritorno dall’esilio. Questo non si configura come una restaurazione quanto piuttosto come una novità assoluta: Faccio una cosa nuova.
In questo contesto, al capitolo 31, è molto bella e significativa la descrizione di coloro che ritorneranno e coloro che precedono, che aprono il corteo, che sono le categorie di coloro che sono inabili al cammino: Cieco, Zoppo, Donna incinta, e la Partoriente. Dei Vangeli cito soltanto Marco 3,1-6: «1 Entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, 2 e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. 3 Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo!”. 4 Poi domandò loro: “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». 5 Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Stendi la mano!”. La stese e la sua mano fu risanata. 6 E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire».
Da notare come Gesù compie due gesti molto interessanti e significativi. Il primo è dato dal cambio di prospettiva e quindi di attenzione nei confronti della persona fragile: lo mette al centro. Il secondo, il “centro”, necessita di essere preso in considerazione o per il bene o per il male.
A questo proposito si potrebbe anche richiamare l’episodio dell’adultera la quale venne posta al centro dell’attenzione di Gesù da parte di coloro che ne volevano la condanna.
Nel caso dell’uomo della mano inaridita Gesù pone una domanda semplice che avrebbe richiesto una risposta altrettanto scontata. Ne consegue, invece, un silenzio totale. Da qui l’indignazione di Gesù nei loro confronti. Da questo deriva il grande insegnamento che davanti alle fragilità il silenzio rimane sempre uno scandalo vergognoso per tutti.
Per quanto riguarda la storia della Chiesa, rimando al contributo di Matteo Schianchi, Chiesa e Disabilità Un lungo rapporto non troppo controverso, sempre nel citato libro A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità.
La Chiesa ha sempre avuto una certa attenzione verso le persone fragili fin dal tempo apostolico. In calce alle decisioni del Concilio di Gerusalemme (cfr. Atti degli Apostoli), viene raccomandato all’apostolo Paolo di non dimenticarsi dei poveri. Sempre nel periodo apostolico si ha la costituzione dei Diaconi per il sevizio delle mense. In tutto questo qualcuno intravede una sorta di delega nel servizio, piuttosto che una presa di coscienza collettiva.
Tuttavia bisogna affermare che l’attenzione vi è sempre stata. In merito si possono richiamare le istituzioni degli Ospedali e dei diversi luoghi di carità. Qualcuno li ha giudicati come luoghi di separazione, se non addirittura di ghettizzazione. Mi piace però evidenziare ancora quanto scritto da Colmegna: «Stare dove non vince il potere dell’aiuto, ma l’uguaglianza della fraternità» e a questo punto citare almeno una storia reale verificatasi nell’anno Mille dell’era cristiana, egregiamente raccontata in forma di autobiografia del personaggio da Maria Giulia Cotini, al quale volentieri rimando sia in omaggio a Maria Giulia sia in ossequio al grande Ermanno di Reichenau, Hermannus Contractus, lo “smeraldo nella pietra”. Un testo di scorrevole lettura, dove l’autrice identifica la propria esperienza di persona con disabilità, con quella dello “storpio” Ermanno affidato ai monaci di un monastero, che con tanta pazienza e determinazione hanno contribuito a far sì che, colui che era destinato ad essere rifiutato, diventasse astronomo, matematico, musicologo e compositore di preghiere che ancora usiamo dopo più di mille anni (Salve Regina, Alma Redentoris Mater), fino ai tempi della Chiesa del Concilio Vaticano II. In particolare la Gaudium et Spes dichiara l’intento e il proposito dei padri conciliari. Già il titolo del proemio (Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana) dà la chiave di lettura di quanto verrà dichiarato in seguito: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Il ruolo della Chiesa è quello di annunciare e testimoniare Cristo, il quale ha distrutto ogni muro di separazione. La Chiesa non annuncia se stessa e quando ha cercato di farlo, dice Papa Francesco, si è dimostrata ridicola ed è incorsa nella mondanità spirituale.
Ringraziamo Giovanni Merlo per la collaborazione.
*Vescovo della Diocesi di Terni, Narni e Amelia. Intervento pronunciato nel corso del convegno “A Sua Immagine. ‘Us’ not ‘Them’”, tenutosi il 6 marzo 2025 ad Assisi (Perugia) (se ne legga la nostra presentazione).
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Il recente emendamento n. 13.0.4 al Disegno di Legge su Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria rappresenta una preoccupante deriva per il sistema sanitario nazionale, con gravi implicazioni per i diritti delle persone vulnerabili e in particolare proprio per quelle con disabilità. L’introduzione di un provvedimento come questo potrebbe altresì coincidere con l’avvio di un vero e proprio processo di privatizzazione della Sanità Pubblica, mettendo a rischio i princìpi fondanti del Servizio Sanitario Nazionale, universalità, equità e gratuità.
Il provvedimento in discussione, infatti, permette ai fondi sanitari integrativi di erogare prestazioni anche in àmbito sanitario, su prestazioni parzialmente comprese nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Questo non solo porta a una duplicazione dei servizi, ma rischia anche di generare una confusione enorme nei percorsi di cura, con il pericolo concreto di lasciare ai margini le persone che non possono permettersi di accedere ai servizi privati.
In pratica, si assiste alla creazione di un sistema sanitario a due velocità: uno per chi ha la possibilità economica di accedere ai fondi sanitari integrativi, e l’altro per chi, purtroppo, è costretto a fare affidamento esclusivamente sul sistema pubblico, che sempre più spesso risulta inadeguato a garantire una copertura universale e tempestiva.
In un Paese come il nostro, dove la Costituzione sancisce il diritto alla salute come diritto universale, non possiamo permettere che il sistema sanitario venga frammentato.
L’introduzione di misure come quella proposta, che consentono una parziale estensione dei fondi integrativi nelle aree già coperte dai LEA, non fa altro che accentuare le disuguaglianze e creare un sistema sanitario che di pubblico ha sempre meno. Il rischio concreto, come detto, è quello di favorire il rafforzamento del settore privato a discapito di quello pubblico, aumentando le disuguaglianze nell’accesso alle cure e creando discriminazioni nei confronti dei più vulnerabili.
La nostra richiesta al Legislatore, pertanto, è chiara: aprire un dibattito serio e approfondito su questo tema, evitando soluzioni affrettate che possano danneggiare il sistema sociosanitario. In altre parole è necessaria una riforma del settore sanitario che non lasci spazio a interpretazioni ambigue o ingiustizie sistemiche. Una riforma che tuteli in modo inequivocabile i diritti delle persone con disabilità e di tutti i cittadini e le cittadine, senza compromettere l’accesso alle cure per chi non ha i mezzi per ricorrere a forme di assistenza private.
Siamo infatti fermamente convinti che la Sanità debba rimanere un diritto universale, accessibile a tutti e tutte, senza discriminazioni economiche. Ogni intervento legislativo deve rispettare i principi di equità, accessibilità e solidarietà che sono alla base del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Non possiamo permettere che la salute diventi una merce per pochi, ma dobbiamo lavorare affinché ogni cittadino, indipendentemente dalla propria condizione economica, possa accedere alle stesse opportunità di cura e protezione.
L’emendamento al centro del dibattito attuale rischia dunque di portare a una Sanità sempre più iniqua, in cui solo chi potrà permetterselo avrà accesso a cure adeguate, mentre i più vulnerabili resteranno esclusi. Non possiamo accettare che questo accada: è fondamentale che il sistema sanitario pubblico venga preservato, rafforzato e reso ancora più inclusivo, in modo che possa continuare a garantire il diritto alla salute per tutti, senza eccezioni.
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
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