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Buone Feste a Lettori e Lettrici!

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Tanti Auguri a tutti i Lettori e le Lettrici e arrivederci al 7 gennaio “Female Santas do it better” (“Babbo Natale lo fanno meglio le donne”): foto di Michaela Hintermayr, nell’àmbito del concorso fotografico 2023 sulla disabilità, promosso dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità

È stato un fine anno pieno di momenti importanti per il nostro giornale: dal compleanno dei vent’anni, festeggiato il 15 dicembre e coincidente con il primo articolo pubblicato esattamente il 15 dicembre 2004, il tutto con un “vestito nuovo” per il nostro sito, cercando di avvicinarci ancor meglio ai nostri Lettori e Lettrici, che sin dall’inizio sono stati la nostra forza e lo stimolo per andare avanti con impegno immutato.
Ora è giunto il momento di tirare un po’ il fiato e soprattutto di porgere i nostri più Cari Auguri di Buone Feste a tutti e a tutte. Lo facciamo insieme a un’immagine decisamente simpatica e “anticonvenzionale”, ovvero con una foto realizzata da Michaela Hintermayr, nell’àmbito del concorso fotografico 2023 promosso dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità (tema: Storie e voci di donne e ragazze con disabilità), dal titolo Female Santas do it better, ossia “Babbo Natale lo fanno meglio le donne”!

Ancora Tanti Auguri e arrivederci al 7 gennaio del nuovo anno, per la ripresa delle nostre pubblicazioni.

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Continui il monitoraggio degli istituti ove vivono persone con disabilità!

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Parlano chiaro le recenti indicazioni della Sottocommissione ONU della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti: il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, attualmente presieduto da Riccardo Turrini Vita, dovrà riprendere il monitoraggio dei luoghi sanitari e sociali che ospitano persone con disabilità, anziani e minori, inserendoli nella propria Relazione annuale al Parlamento. Vediamo come e perché
(©Alamy)

Tra le altre ottime attività, un contributo importante fornito da Mauro Palma, precedente presidente dell’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, è stato quello di allargare il campo del rispetto dei diritti umani, non solo alle carceri, tradizionale campo di azione, ma anche a istituti a carattere sociale e sanitario, come quello dell’accoglienza delle persone con disabilità e degli anziani, oltre a quello dei migranti ospitati in luoghi in attesa di accettazione delle loro richieste di asilo.
Va qui ricordato che nel 2016 il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che monitora l’applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ha chiesto all’Italia, in occasione delle Osservazioni Conclusive al relativo rapporto presentato dal nostro Paese e nell’àmbito dell’articolo 15 della Convenzione stessa (Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti) che il «MNP [Meccanismo Nazionale di Prevenzione] visiti immediatamente gli istituti psichiatrici o altre strutture residenziali per persone con disabilità, specialmente quelle con disabilità intellettive o psicosociali, e riferisca sulla loro condizione» (punto 42 delle Osservazioni Conclusive).
Proprio perché il Garante è il meccanismo di monitoraggio italiano, Mauro Palma attivò pertanto un’azione di visita di quegli istituti e di rapportistica nazionale nelle sue Relazioni al Parlamento. In tal modo è stato posto in evidenza il numero di persone che sono spesso segregate in istituti a carattere sanitario e sociale (RSA e RSD, ossia residenze sociali per anziani e persone con disabilità e case famiglia), dove le libertà individuali e i diritti umani vengono spesso ignorati.
Le recenti vicende di violenza di operatori verso le persone con disabilità in questi luoghi hanno rilanciato la frequente inadeguatezza della soluzione degli istituti, come è avvenuto ad esempio nel CEM di Roma, gestito dalla Croce Rossa.
Abbiamo così saputo – attraverso un’apposita anagrafe elaborata dallo staff del Garante, spesso in contrasto con i dati ISTAT – che in Italia (2019) erano 284.781 le persone con disabilità istituzionalizzate in 12.458 strutture (2018) (81,6% anziani non autosufficienti), 78.926 (27,7%) in strutture con oltre 100 posti letto.
Ebbene, delle 284.781 persone con disabilità in istituto, 3.131 erano minori con disabilità e disturbi mentali dell’età evolutiva; 49.025 adulti con disabilità e patologia psichiatrica; 232.625 anziani non autosufficienti (nell’81,6% dei casi, come già sottolineato, si trattava di anziani non autosufficienti con livello di assistenza sanitaria medio-alto).
Nel 98,3% dei casi, sottolineava poi il rapporto del Garante del 2022, erano ospiti di strutture che non riproducevano le condizioni di vita familiari e avrebbero dunque potuto risultare come potenzialmente segreganti. Allo stesso modo, il 93,2% dei 32.648 posti letto rivolti alle persone con disabilità risultavano collocati in strutture che non riproducevano l’ambiente della casa familiare.

Il tema è stato drammaticamente rilanciato durante la pandemia, dove una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che nei primi tre mesi della pandemia da Covid, negli istituti per anziani è morto il 42,2% dei ricoverati a causa del coronavirus. Lo stesso direttore regionale europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Hans Henri P. Kluge, ha denunciato che la metà dei morti da coronavirus in Europa si è avuta proprio nelle residenze di lunga degenza. Né ad oggi si conoscono ancora i dati durante la pandemia relativi agli istituti che accoglievano persone con disabilità.
Non è un caso che sia l’Ufficio del Garante nel suo rapporto alternativo al rapporto italiano sulla Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT), sia il rapporto alternativo elaborato dal FID (Forum Italiano sulla Disabilità) abbiano denunciato i trattamenti crudeli, inumani e degradanti cui erano state sottoposte durante la pandemia le persone ospitate nelle residenze di lunga degenza (anziani, minori e persone con disabilità).

È proprio dalle considerazioni che il welfare sostanzialmente “di protezione”, che oggi interviene in quasi tutti i Paesi economicamente sviluppati, non ha protetto affatto le persone con disabilità e le loro famiglie, che si è aperta una discussione da cui è stata definita la Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, prevista dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e voluta dalla precedente ministra per le Disabilità Erika Stefani, una norma che sta riformando il nostro welfare in direzione dell’applicazione della Convenzione ONU nel nostro Paese.
Il 4 luglio scorso la Sottocommissione ONU della citata Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti ha emanato il 1° Commento Generale sull’articolo 4 del Protocollo Opzionale (Posti di privazione della libertà), ratificato dall’Italia il 3 aprile 2013.
Il Protocollo Opzionale definisce come «privazione della libertà» «ogni forma di detenzione o reclusione o il collocamento di una persona in un luogo pubblico o privato, ambiente detentivo dal quale la persona non è autorizzata a uscire a piacimento per ordine di un organo giudiziario, autorità amministrativa o altra». Questa definizione riconosce specificamente che tale privazione della libertà può verificarsi «sia in contesti pubblici che privati».
Partendo dunque da questi elementi, il documento ha definito i luoghi dove il meccanismo nazionale di monitoraggio, cioè il Garante dei diritti delle persone private della libertà, deve visitare per verificare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Tali luoghi – cui la sotto commissione ha dato un’interpretazione la più estensiva possibile – sono «prigioni, ospedali, scuole e istituzioni impegnate nella cura di bambini, persone anziane o persone con disabilità, includendo persone con disabilità intellettive o psicosociali, servizi militari e altre istituzioni e contesti».
«La Sottocommissione – si legge ancora – rileva che si presume che molte persone con disabilità siano incapaci di vivere in modo indipendente, o che il sostegno per vivere in modo indipendente non sia disponibile o sia vincolato a specifiche modalità di vita. Sebbene possa non esistere alcun ordinamento giuridico o amministrativo che confini tali persone in una determinata struttura, la mancanza di sostegno le costringe a rimanervi in situazioni di vita che le privano della libertà e possono sottoporle a pratiche dannose. Questa forma di privazione della libertà specifica per disabilità può verificarsi nelle case familiari e in accordi istituzionali, compresi istituti di assistenza sociale, istituti psichiatrici, ospedali a lunga degenza, case di cura, reparti sicuri per la demenza, collegi speciali, bambini istituti di assistenza sociale, case famiglia, centri di riabilitazione, strutture psichiatriche forensi, ostelli per albini, lebbrosari, comunità religiose, case famiglia per bambini e campi di preghiera».

Anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, in relazione agli articoli 14 e 15 della Convenzione ha riscontrato che «la pratica di collocare le persone con disabilità in strutture residenziali con decisioni senza consenso specifico o con il consenso di un sostituto del decisore porta alla privazione arbitraria della libertà». Pertanto «è importante che i meccanismi di prevenzione nazionali e la Sottocommissione ne accertino la presenza di soluzioni ragionevoli di sistemazione e sostegno per le persone con disabilità. Se non sono disponibili soluzioni e supporto ragionevoli, il luogo, la struttura o l’ambiente dovrebbero essere considerati come luogo di privazione della libertà». E lo stesso vale per quei lughi dove la persona non è libera di uscirne quando vuole.
Altre indicazioni riguardano i minori e gli anziani. Su questi ultimi il gruppo di esperti della Sottocommissione ha espresso la necessità che gli Stati Parte della Convenzione CAT considerino «tre situazioni specifiche in cui le persone anziane possono essere private della libertà e per le quali lo Stato detiene direttamente o indirettamente una responsabilità basata sui suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani: (a) quando hanno commesso crimini o illeciti legali; (b) quando sono stati detenuti a causa della loro stato migratorio; (c) quando sono sotto il controllo e la supervisione di alcuni istituti o accordi di assistenza, compresi quelli forniti attraverso la tutela legale da parte dei familiari».
Nel documento si prende atto che «un approccio globale alla definizione del termine “luoghi di privazione di libertà” è stata adottata anche dai meccanismi regionali per i diritti umani», che la Sottocommissione auspica possano tenerne conto nella definizione di altri nuovi luoghi di privazione delle libertà.

Infine, «con il presente Commento Generale, la Sottocommissione si esprime in maniera autoritativa sull’effettiva attuazione del Protocollo Opzionale, per chiarire gli obblighi degli Stati Parte e i mandati della Sottocommissione e i meccanismi di prevenzione nazionale di cui all’articolo 4 del Protocollo Facoltativo».
Risulta dunque del tutto chiaro, da questa indicazione, che il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, presieduto da Riccardo Turrini Vita, dovrà riprendere il monitoraggio dei luoghi sanitari e sociali che ospitano persone con disabilità, anziani e minori, inserendoli nella propria Relazione annuale al Parlamento.

*Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).

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I danni del Long Covid: una battaglia continua e frustrante

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Insieme a pochi altri organi d’informazione – purtroppo – siamo stati ben lieti, nei mesi scorsi, di dare visibilità alla battaglia delle persone con Long Covid, sindrome caratterizzata da sintomi che possono durare anche anni, con un generale peggioramento della qualità della vita, per quella che si caratterizza come una vera e propria nuova forma di disabilità. Oggi diamo spazio alla storia di Erika Olaya Andrade, riprendendo, per gentile concessione, quanto recentemente pubblicato da Mattia Abbate in «la Repubblica Milano online» Erika Olaya Andrade (al centro), durante il convegno del 3 dicembre scorso a Milano, intitolato “Long Covid cos’è e cosa causa”

«Ciao, mi chiamo Erika, sono colombiana e voglio raccontarti la mia storia, quella di una battaglia continua contro il Covid-19 con tutto quello che ha portato con sé. Prima della pandemia lavoravo per una multinazionale tedesca che ha attivato lo smart working in ritardo e non c’erano misure di sicurezza adeguate. Così mi sono ammalata e il virus mi ha colpito duramente: sono stata positiva per quattro mesi. Durante quel periodo mi hanno licenziata. Ora mi ritrovo con problemi respiratori, neurologici, una memoria che non funziona più come prima e un sistema immunitario completamente a pezzi. Stare in isolamento per quattro mesi è stato come essere in prigione. Non solo mi ha distrutto mentalmente, ma ha anche lasciato segni sul mio corpo. Dolore cronico, fatica continua e nessuna possibilità di recuperare la forza nei muscoli. Non riesco a curarmi come dovrei e la burocrazia è un incubo, soprattutto senza soldi.
Ora dovrei fare causa all’INAIL perché l’ex datore di lavoro ha denunciato la mia situazione solo dopo 9 mesi e il sindacato che seguiva la pratica non ha mai fatto una perizia medico legale. Essere straniera peggiora tutto: vengo trattata come se stessi cercando di approfittarmi del sistema. Ho svolto un test ematico in una clinica francese con diagnosi di retro virus Herv (sequenze retrovirali lasciate da antiche infezioni nelle cellule). Sono riuscita a fare il test perché era all’interno di una sperimentazione. Ho svolto la cura al Gemelli di Roma in via sperimentale, ma mi ha provocato molti problemi, peggiorando la mia situazione. Ho ottenuto l’invalidità civile all’85%, ma senza riconoscimento dell’aggravamento, godere dell’accessibilità ai servizi tra medici reticenti e disinformazione, sembra una missione impossibile. L’ozonoterapia, l’unica terapia che mi ha davvero aiutato e alla quale ho potuto accedere grazie alla Fondazione A.M.O.R., è per me inaccessibile economicamente.
Riesco ad avere i farmaci grazie all’aiuto dell’Associazione Opera San Fedele. Purtroppo per andare dove svolgo le terapie dovrei utilizzare i mezzi pubblici, ma quando fa molto freddo non posso aspettare a lungo alla fermata. L’unico modo sarebbe prendere un taxi o altro, ma senza lavoro è complicatissimo. Nel frattempo cerco di aiutare gli altri. Mi sto impegnando per sensibilizzare sul Long Covid nei bambini e sogno di scrivere un libro, per questo il 3 dicembre ho partecipato a un evento a Milano per far conoscere questa realtà. Ringrazio il dottor Buonsenso per il suo sostegno alla mia causa in qualità di esperto di Long Covid. Il Covid non è solo una malattia respiratoria: gli effetti non se ne andranno tanto presto. Servono più attenzione e supporto per chi, come me, lotta ogni giorno.
Ericka Olaya Andrade».

A distanza di quasi cinque anni dall’inizio della pandemia, dunque, siamo ancora costretti a contare i danni: oltre alle numerose morti, coloro che sono sopravvissuti alla prima ondata talvolta manifestano pesanti ripercussioni sulla salute. Questa è la storia di Erika, diventata disabile a causa delle complicazioni del virus e per cui non ci sono cure al momento. Più precisamente ci sarebbero terapie efficaci che però funzionano bene per alcune persone, ma non per tutti e spesso hanno costi elevati. Inoltre il mancato riconoscimento della patologia e, quindi, dell’aggravamento dell’invalidità non consente ad Erika di avere accesso a servizi e contributi importanti, per esempio il contributo per la vita indipendente con cui poter assumere un assistente.
Come può fare una persona che non ha altre fonti di reddito a potersi garantire le cure di cui ha bisogno senza alcun contributo? Sarà costretta a restare in casa senza fare nulla e veder progredire la sua malattia.
Erika non è più in grado di utilizzare correttamente le mani e, nei momenti di grande affaticamento e di stress, la situazione peggiora e diventa complicato svolgere anche le azioni quotidiane più semplici. Il tema del mancato riconoscimento di patologie invalidanti perché meno frequenti di altre o perché meno studiate, è purtroppo all’ordine del giorno. Queste persone soffrono tanto e devono poter trovare almeno un valido supporto nel Servizio Sanitario Nazionale che, oltre ad avere tempi biblici, non sempre ha risposte adeguate.

Erika Olaya Andrade con un cartello contenente un appello per le persone con Long Covid

La soluzione? Il privato, ma chiaramente non tutti hanno la disponibilità economica necessaria. Con patologie gravi la continuità del trattamento è fondamentale e posso assicurare che anche con la mia malattia, la distrofia muscolare di Duchenne, riconosciuta e conclamata, a volte ho incontrato resistenza da parte di alcuni medici nel somministrare alcuni trattamenti. Per esempio sostenevano che, crescendo, la fisioterapia non fosse più necessaria per me, ma dopo la richiesta perentoria di mettere per iscritto la loro affermazione, magicamente iniziavo la fisioterapia. Quando non la facevo, infatti, faticavo a guidare la carrozzina elettronica, perdevo quei piccolissimi movimenti che invece fanno una grande differenza per poter utilizzare la carrozzina e tutte le funzioni collegate e di conseguenza importanti autonomie.

Ogni patologia anche conosciuta ha le sue caratteristiche, ma l’esperienza personale della malattia varia da persona a persona, figuriamoci per le patologie rare dove non ci sono tanti dati oggettivi e il rischio è che il malato venga abbandonato al proprio destino finché non avrà più le forze per andare avanti. Il 3 dicembre sono stato presente al convegno Long Covid cos’è e cosa causa, alla Chiesa Rossa a Milano e vi ho raccontato le mie paure, le preoccupazioni durante la prima ondata del virus perché con la mia malattia dovevo stare molto attento alla situazione respiratoria.Non dobbiamo dimenticarci tutto quello che ha provocato il Covid perché purtroppo ci sono tante persone, anche dei bambini, nella stessa situazione di Erika.
Si deve lavorare ogni giorno per garantire il diritto alla cura per tutti, nessuno escluso, altrimenti staremo compiendo una discriminazione e staremo violando un diritto fondamentale dell’essere umano.

*Il presente contributo di Mattia Abbate è già apparso in «la Repubblica Milano online», nell’àmbito della sua rubrica “Ci vuole abilità” e viene qui ripreso, con diverso titolo e con minime modifiche al differente contenitore, per gentile concessione.

Mattia Abbate, che firma in «la Repubblica Milano online» la rubrica Ci vuole abilità, ha la distrofia muscolare di Duchenne. Per la rubrica stessa è stato nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
A questo link vi è il profilo Instagram di Erika Olaya Andrade che ha anche avviato una raccolta fondi per cure mediche tramite questo link.

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Un 2024 da record per la Fondazione Telethon

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A poche ore dalla chiusura della tradizionale maratona televisiva, la Fondazione Telethon traccia un bilancio di questo 2024 ed è un bilancio da record, con oltre 69 milioni di euro raccolti durante il corso dell’anno, grazie al contributo di tutti coloro che, da gennaio a dicembre hanno voluto sostenere la ricerca sulle malattie genetiche rare Insieme a Ilaria Villa, direttrice generale della Fondazione Telethon, vi è la piccola Mavi, bimba con la SMA (atrofia muscolare spinale), protagonista del cortometraggio “Una giornata pazzesca“, diretto da Francesca Archibugi, dove realizza il sogno di incontrare e intervistare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Oltre 69 milioni di euro raccolti durante il corso dell’anno: è il bilancio da record della Fondazione Telethon per questo 2024, ottenuto grazie al contributo di tutti coloro che, da gennaio a dicembre hanno voluto sostenere la ricerca sulle malattie genetiche rare. Tra di loro, gli oltre 170.000 donatori che hanno attivato una donazione continuativa, aderendo al programma Io adotto il futuro, tutte le persone che hanno donato attraverso il bollettino postale, il sito internet e lo shop solidale, le tante aziende partner, i numerosi volontari impegnati tramite le due campagne di piazza in primavera e a Natale, con i Cuori di biscotto e i Cuori di cioccolato, ma anche tutti coloro che hanno deciso di donare il 5 per mille alla Fondazione Telethon e chi ha contribuito alla raccolta con lasciti testamentari. Infine, storia di questi giorni, le donazioni pervenute tramite il numero solidale 45510 (ancora attivo fino al 31 dicembre), promosso grazie alla collaborazione con la RAI, nel corso della maratona televisiva appena conclusasi.

«Anche quest’anno – commenta Luca di Montezemolo, presidente della Fondazione Telethon – la generosità degli italiani si è rivelata straordinaria. Ma non possiamo fermarci: migliaia di famiglie in tutto il mondo sperano infatti nella ricerca e nella terapia genica per trovare una cura a malattie terribili. È una sfida difficilissima che affrontiamo però con passione ed entusiasmo, perché ci danno un’immensa forza il sorriso ritrovato di un bambino e l’aiuto dei tanti che ci credono. Come noi».

«È una fortuna – dichiara dal canto suo Ilaria Villa, direttrice generale della Fondazione Telethon – poter essere testimone dell’immenso lavoro dei ricercatori che fanno riferimento alla nostra Fondazione, un lavoro reso possibile grazie all’impegno di tutti i sostenitori. Ed è un onore anche testimoniare il coraggio delle persone con malattie genetiche rare e delle famiglie, che affrontano ogni giorno le difficoltà della malattia con grande speranza e fiducia nella scienza. Non posso che esprimere il mio più grande ringraziamento ai volontari e ai donatori, il loro supporto ci permette di continuare a lavorare per la nostra missione e di affrontare con forza anche le sfide che il nuovo anno ci riserverà».

Dalla sua nascita, va ricordato in conclusione, la Fondazione Telethon ha investito in ricerca 698 milioni di euro e finanziato oltre 3.000 progetti, con 1.771 ricercatori coinvolti e 637 malattie studiate. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Thomas Balanzoni (thomas.balanzoni@havaspr.com)

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Diritto all’istruzione: il contributo delle Università

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«Questo documento si inserisce a pieno titolo nell’attuale fase di profondo cambiamento della normativa nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, quale contributo della comunità accademica nell’attuare la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e, in particolare, il diritto all’istruzione fino ai massimi gradi»: lo dicono dalla CNUDD, la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), a proposito delle proprie nuove Linee Guida, che verranno pubblicamente presentate il 9 gennaio a Roma

Nel pomeriggio del 9 gennaio prossimo, presso l’Aula Volpi dell’Università Roma Tre (Via del Castro Pretorio, 20, Roma, ore 15), verranno pubblicamente presentate le nuove Linee Guida predisposte dalla CNUDD, la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento).
«Tale documento – viene spiegato – si inserisce a pieno titolo nell’attuale fase di profondo cambiamento della normativa nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, quale contributo della comunità accademica nell’attuare la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e, in particolare, il diritto all’istruzione fino ai massimi gradi».

Aperto dai saluti del rettore di Roma Tre Massimiliano Fiorucci e della delegata del Rettore per la Disabilità dell’Ateneo Barbara De Angelis, l’incontro del 9 gennaio sarà introdotto e moderato dal presidente della CNUDD Alberto Arenghi.
A discutere le nuove Linee Guida saranno Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca; Roberto di Lenarda, delegato per la Disabilità della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiana), nonché rettore dell’Università di Trieste; Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità; Paolo Mancarella dell’Università di Pisa, già presidente della CNUDD; Marisa Pavone dell’Università di Torino, già presidente della CNUDD. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficio.comunicazione@uniroma3.it (Alessia del Noce).

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“Con-vivere con l’autismo”: le autonomie sociali, quelle domestiche e lo sport

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Si chiama Con-vivere con l’autismo un progetto realizzato in Toscana dall’Associazione Autismo Pisa, Valdera e Valdicecina, grazie ai fondi dell’8 per mille assegnati alla Chiesa Valdese. Scopo dell’iniziativa, che si concluderà il 31 dicembre prossimo, è stato quello di supportare varie persone con autismo a costruire un insieme di abilità sociali, emotive e di autonomia tali da permettere a ognuno e ognuna di sviluppare i propri talenti e costruire un progetto di vita coerente, armonioso e soddisfacente Foto di gruppo di alcuni componenti dell’Associazione Autismo Pisa, Valdera e Valdicecina

Con-vivere con l’autismo è il nome di un bel progetto realizzato in Toscana dall’Associazione Autismo Pisa, Valdera e Valdicecina grazie ai fondi dell’8 per mille assegnati alla Chiesa Valdese per il 2024, uno stanziamento finalizzato alla promozione di progetti di assistenza sociale e sanitaria, di interventi educativi, culturali e di integrazione, di programmi di sostegno allo sviluppo e di risposta alle emergenze umanitarie, ambientali e climatiche, purché svolti senza fini di lucro.

Lo scopo del progetto è stato quello di aiutare diverse persone con autismo a costruire un insieme di abilità sociali, emotive, di autonomia, tali da permettere a ognuno e ognuna di sviluppare i propri talenti e costruire un progetto di vita coerente, armonioso e soddisfacente.
Le attività si sono svolte a partire dal gennaio 2024 sotto la supervisione della dottoressa Loredana Lembo e si sono concretizzate in due laboratori e in alcuni interventi di formazione e sostegno rivolti alle famiglie.

Il primo laboratorio, denominato AMA: autono-mi fra amici, è stato incentrato sulle autonomie sociali e domestiche, e si è svolto da gennaio a giugno in un appartamento messo a disposizione dall’Associazione Dinsi Une Man, a luglio presso il Bagno della Croce Rossa a Pisa e l’Oasi Mangwana e, da settembre, nello spazio inclusivo di Via Belli, 20 nel quartiere dei Passi a Pisa, concesso gratuitamente dall’Amministrazione Comunale. Le persone coinvolte in questo laboratorio hanno potuto provare ad imparare a cucinare, a prendersi cura della casa, a svolgere giochi ed esplorare la città insieme.

Parallelamente, il laboratorio Sport Insieme!, realizzato in collaborazione con ABC Sport e Dream Volley, è stato attivato per contrastare la sedentarietà, nonché migliorare la salute e le abilità fisiche e sociali di ragazzi e ragazze, adolescenti e adulti. Svolgere attività fisica insieme, imparare le regole di semplici sport di gruppo è fondamentale, infatti, per migliorare il benessere psicofisico delle persone con disabilità che, divertendosi insieme, consolidano anche le abilità sociali e relazionali.

Entrambi i laboratori, raccontano dall’Associazione, hanno ricevuto ottimi riscontri e continueranno (con importanti novità) anche dopo la fine di Con-vivere con l’autismo, prevista per il 31 dicembre prossimo.
Si è trattato di una «bellissima esperienza», concludono dall’Associazione, che ringrazia la Chiesa Valdese per aver dato loro l’opportunità di aggiungere un nuovo tassello al progetto di vita dei/delle giovani coinvolti. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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“Pensiero Imprudente”: ciao Riccardo!

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«Oltre a nutrire per lui sentimenti di profonda stima e gratitudine – scrive Claudio Imprudente -, per me Riccardo Bonacina è sempre stato uno dei massimi pionieri di un percorso culturale rivoluzionario sulla disabilità e l’inclusione sociale» Riccardo Bonacina, fondatore di «Vita», recentemente scomparso

Mentre sceglievo dei “reperti storici” per realizzare il video promozionale del mio ultimo libro, Scritti Imprudenti. Idee e riflessioni intorno alla disabilità (edizioni la meridiana, 2024), mi sono imbattuto in una intervista che il mio caro amico e collega Riccardo Bonacina – fondatore e per tanti anni direttore della piattaforma del Terzo Settore e dell’innovazione sociale, VITA non profit – mi ha rivolto nel corso della trasmissione televisiva Il coraggio di vivere, andata in onda su Rai 2 nel 1993.
Ma chi l’avrebbe mai detto, che dopo aver riguardato questo bel video, ci avresti lasciato nei giorni seguenti?

Come ben sapete, in quegli anni era piuttosto inusuale che una persona con disabilità apparisse in diretta sul piccolo schermo, e che per di più condividesse dei contenuti culturali ben lontani dalla visione pietistica sulle persone con disabilità, molto radicata in quel periodo.
Bonacina, ponendomi alcune domande – Cos’è la fortuna per te? / Cos’è la diversità? / Quando l’assistenza e la carità sono un’offesa? / Cos’è il coraggio? – ci ha “messo la faccia”, prendendosi una grossa responsabilità che sicuramente ha aiutato a scardinare molti pregiudizi e stereotipi sulla diversità.
Infatti, come rievocato in un post sulla pagina Facebook dell’Associazione Centro Documentazione Handicap – Cooperativa Accaparlante: «Riccardo ha sempre perseguito un’informazione priva di sensazionalismi, uno sguardo critico e generativo, dimostrandoci che si può e si deve raccontare la realtà prima delle teorie e delle opinioni».

Per tornare alle prime domande: allora rispondevo che la fortuna per me non era legata al camminare, ma al vivere la propria condizione di deficit.
Riascoltando la mia risposta mi sono meravigliato di come siano attuali questi concetti. Ancora adesso sono convinto che la fortuna non sia essere autosufficienti, non sia fare le cose da soli, perché tutte e tutti abbiamo bisogno di relazioni.
Dunque, a mio parere, tutta l’ideologia dell’autonomia è solo un’utopia. Credo che per quegli anni fosse una vera rivoluzione culturale e politica.

Come cantava Giorgio Gaber in una delle sue canzoni più famose, La Libertà (1972): «La libertà non è star sopra un albero / Non è neanche avere un’opinione / La libertà non è uno spazio libero / Libertà è partecipazione».
Inoltre, alla seconda domanda – Che cos’è la diversità? – rispondevo così: «Un valore per l’uomo, perché tutti siamo diversi: l’uguaglianza è un’utopia».
Per le altre domande vi invito a guardare quella storica puntata del Coraggio di vivere.

Purtroppo i concetti trattati in quella trasmissione adesso vengono presi in considerazione marginalmente, eppure se vogliamo contribuire ad una umanità più accogliente e inclusiva, bisogna continuare a premere l’acceleratore per far girare il motore, come ha fatto Riccardo.
Oltre a nutrire per lui sentimenti di profonda stima e gratitudine, per me Bonacina è sempre stato uno dei massimi pionieri di un percorso culturale rivoluzionario sulla disabilità e l’inclusione sociale.
Perciò, ho voluto salutarlo con queste semplici parole: «[…] Ricordo bene, e con grande affetto, tutte le volte in cui, agli esordi di entrambi, mi hai invitato in televisione, quando la disabilità non era visibile come adesso e tu, come sempre, hai avuto un pensiero in più. Grazie di tutto e fai un buon viaggio».

E con questo ricordo, vi auguro un buon Natale e un felice anno nuovo.
Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.

Pensiero Imprudente
Dalla fine del 2022 Claudio Imprudente è divenuto una “firma” costante del nostro giornale, con questa suo spazio fisso che abbiamo concordato assieme di chiamare Pensiero Imprudente, grazie alla quale sta impreziosendo le nostre pagine, condividendo con Lettori e Lettrici il proprio sguardo sull’attualità.
Persona già assai nota a chi si occupa di disabilità e di tutto quanto ruota attorno a tale tema, Claudio Imprudente è giornalista, scrittore ed educatore, presidente onorario del CDH di Bologna (Centro Documentazione Handicap) e tra i fondatori della Comunità di Famiglie per l’Accoglienza Maranà-tha. All’interno del CDH ha ideato, insieme a un’équipe di educatori e formatori specializzati, il Progetto Calamaio, che da tantissimi anni propone percorsi formativi sulla diversità e l’handicap al mondo della scuola e del lavoro. Attraverso di esso ha realizzato, dal 1986 a oggi, più di diecimila incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole italiane. In qualità di formatore, poi, è stato invitato a numerosi convegni e ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche.
Già direttore di una testata “storica” come «Hp-Accaparlante», ha pubblicato libri per adulti e ragazzi, dalle fiabe ai saggi, tra cui Una vita imprudente. Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia e il più recente Da geranio a educatore. Frammenti di un percorso possibile, entrambi editi da Erickson. Ha collaborato e collabora con varie riviste e testate, come il «Messaggero di Sant’Antonio», per cui cura da anni la rubrica “DiversaMente”. Il 18 Maggio 2011 è stato insignito della laurea ad honorem dall’Università di Bologna, in Formazione e Cooperazione.

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Disabilità, Inclusione, Cooperazione: a Ostuni c’è stato impegno, consapevolezza e gioco

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Nell’ottobre scorso a Ostuni (Brindisi), in parallelo con l’ottavo Festival della Cooperazione Internazionale, vi è stata la seconda formazione del progetto DICoo1 – Disabilità, Inclusione, Cooperazione, prima scuola di formazione professionale mediterranea per la cooperazione inclusiva con persone con e senza disabilità. Questo è il racconto di quell’sperienza da parte di chi vi ha partecipato I ringraziamenti alla fine della rappresentazione teatrale a Ostuni

Il 17 ottobre dello scorso anno era terminata a Tunisi la prima formazione in presenza del progetto DICoo1 – Disabilità, Inclusione, Cooperazione, prima scuola di formazione professionale mediterranea per la cooperazione inclusiva con persone con e senza disabilità, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Gioventù attraverso il programma Erasmus plus dell’Unione Europea [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Si tratta di un progetto promosso dalla RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo: se ne legga in calce), in partenariato con le organizzazioni SOIH Croazia, l’Associazione Casa Lahnina Marocco e l’AIFO Tunisia il cui obiettivo è la formazione di 24 persone con disabilità o impegnate in Associazioni di persone con disabilità, come esperte junior nel campo della cooperazione internazionale e dell’emergenza.

A Tunisi, dopo avere parlato dei concetti base della cooperazione inclusiva, ci eravamo soffermati sulla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e confrontati sulla gestione di progetti di emergenza e di protagonismo delle Associazioni di persone con disabilità.
Negli ultimi giorni, prima di lasciarci, avevamo steso a terra un lenzuolo bianco su cui ognuno di noi, con dei colori, aveva disegnato qualcosa; alla fine, quando tutti avevamo finito, l’abbiamo tagliato e ognuno ne ha portato a casa un pezzo, ripromettendosi che, quando ci saremmo rincontrati, l’avremmo portato con noi per ricomporre il puzzle.
Una volta tornati a casa, dopo avere organizzato qualche evento di disseminazione in cui abbiamo raccontato quella fantastica esperienza, il nostro lavoro è continuato online, facendo delle ricerche per capire come vivono le persone con disabilità e quali sono gli ostacoli che incontrano nella vita quotidiana. Per ognuno dei Paesi coinvolti, un partner locale ci ha seguiti dandoci consigli e suggerimenti su come preparare documentazione e materiali.
Nello specifico, abbiamo fatto ricerche su salute, lavoro, educazione e doppia discriminazione delle persone con disabilità; per ogni delegazione, ogni persona si è occupata di un campo specifico; oltre a studiare documenti e articoli trovati per lo più su internet, per avere un quadro ancora più completo, abbiamo intervistato persone con disabilità e operatori che con loro lavorano tutti i giorni.
Essendomi occupato di educazione inclusiva, la raccolta di storie di vita di persone con disabilità mi ha aiutato a capire che, sebbene l’Italia abbia uno dei sistemi educativi migliori d’Europa, vedere attuati i propri diritti dipende molto dalle famiglie di appartenenza e dalle persone che si incontrano lungo il cammino.
Infine, abbiamo sintetizzato il nostro lavoro creando dei PowerPoint da presentare durante l’ottava edizione del Festival della Cooperazione Internazionale di Ostuni (Brindisi) con cui questa seconda formazione in presenza del progetto DICoo ha colto la sfida e l’opportunità di entrare in sinergia.

La seconda formazione in presenza del progetto DICoo si è svolta dunque dal 6 al 14 ottobre a Ostuni, centro del Sud d’Italia che conta circa 33.000 abitanti, ma che, essendo una località turistica conosciuta in tutto in mondo, si triplicano nel periodo estivo.
Non esiste alcun treno che dalla caotica Roma (che oltretutto quest’anno si prepara ad ospitare il Giubileo) porta direttamente alla piccola città bianca pugliese; così, organizzare un viaggio confortevole partendo dalla Città Santa non è cosa scontata.
Come diceva Giampiero Griffo, presidente della RIDS, quando ci spiegava come organizzare una missione all’estero, una delle prime cose a cui pensare è proprio come organizzare un viaggio il più possibile confortevole per raggiungere la meta. Quindi, sebbene il viaggio Roma-Ostuni sia abbastanza semplice da organizzare, già viaggiando, abbiamo affrontato una piccolissima prova pratica; le delegazioni marocchina, tunisina e croata poi, oltre al treno per Ostuni, hanno dovuto prendere anche l’aereo per arrivare prima a Roma o a Bari.

Due momenti della festa del re-incontro

Con il mio amico e assistente personale Massimiliano Mansutti, siamo giunti alla stazione di Brindisi da dove un pulmino dell’UNITALSI, attrezzato per trasportare carrozzine, ci ha accompagnato al Centro di Spiritualità Madonna della Nova di Ostuni, struttura in cui abbiamo alloggiato e fatto formazione per l’intera settimana.
Molti erano arrivati e stavano finendo di cenare e Valentina Pescetti (formatrice senior dell’AIFO-Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), nonostante fosse tardi, ci ha accolto con un rituale di benvenuto: è venuta vicino ad ognuno di noi e, coprendoci la testa con una tela, ci ha appuntato due foglie d’alloro sovrapposte con su scritto il nostro nome sulla maglietta.
Nella mitologia greco-romana, la corona di alloro simboleggiava sapienza e gloria, tanto che ancora oggi si usa metterla in testa ai laureati; evidentemente, quelle due foglie stavano ad indicare il fatto che stavamo diventando “esperti junior”; inoltre, la sovrapposizione simboleggiava il fatto che, per risolvere i problemi, bisogna condividerli il più possibile con gli altri.
La mattina seguente, il corridoio davanti alla porta della sala convegni era affollato e dentro regnava il silenzio; Valentina, proponendo uno dei suoi tanti giochi educativi, ci ha fatto entrare uno alla volta e, camminando con gli occhi chiusi lungo un filo rosso che fungeva da passamano, siamo arrivati all’altro capo del filo dove ci aspettava un nostro compagno il quale, una volta riaperti gli occhi, ci ha dato il benvenuto. La persona appena entrata sostituiva l’amico che ci aveva accolti facendone entrare un’altra; andando avanti in questo modo, la sala si è riempita e abbiamo imparato ad avere più fiducia nell’altro.
È iniziata così la prima giornata di lavoro della seconda formazione in presenza del progetto DICoo dedicata al re-incontro.

C’erano persone che non avevano partecipato alla prima formazione e, per non lasciare indietro nessuno, Valentina ha fatto un breve riassunto del lavoro svolto in Tunisia e raccontato quello che si era fatto durante la formazione online.
Abbiamo anche cominciato a conoscere Susanna Bernoldi, coordinatrice del Gruppo AIFO di Imperia, nonché attivista dell’AIFO, che si è unita all’équipe di formazione, un gruppo che a Tunisi aveva potuto contare su Giampiero Griffo, Valentina Pescetti e Francesca Ortali, responsabile dell’Ufficio esteri dell’AIFO.
Avevamo con noi il pezzo di lenzuolo che avevamo portato a casa alla fine della prima formazione e abbiamo provato a riassemblare il puzzle; chi non era stato a Tunisi, ha portato un pezzo di stoffa colorata che abbiamo cercato di adattare. Ricomporre quel puzzle ha significato non solo che il gruppo si era ritrovato, ma che si era pure allargato, con l’aggiunta di nuovi pezzi di stoffa.

La consegna degli attestati

Nella giornata precedente l’inizio del Festival abbiamo svolto una formazione interna sui temi dell’accessibilità e della capacità di comunicare in modo efficace e inclusivo. Dopo cena, con i pulmini dell’UNITALSI, sempre disponibili quando dovevamo uscire, siamo andati a visitare la località che ci stava ospitando, cominciando a saggiare l’accessibilità di quella terra per le persone con disabilità.
Il 9 ottobre è iniziata quindi l’ottava edizione del Festival della Cooperazione Internazionale, dal titolo Nessuno fuori: la cooperazione inclusiva nel Mediterraneo. I lavori del Festival si sono svolti nella stessa sala in cui abbiamo fatto formazione e in cui avevamo un servizio di traduzione via streaming.
Dopo la presentazione dell’evento del giorno da parte di Francesco Colizzi, coordinatore del Festival, i saluti delle autorità locali e una presentazione del Progetto DICoo a cura di Griffo e Pescetti, abbiamo affrontato il tema del giorno, parlando di inclusione socio-economica delle persone con disabilità.
Dopo cena, in occasione della festa del re-incontro, quella sala si è trasformata in una vera e propria discoteca con musica per ballare. Abbiamo potuto assaggiare dolciumi tipici dei diversi Stati rappresentati ed è stato bello vedere ballare persone tunisine e marocchine indossando vestiti tipici dei loro Paesi; a ballare non eravamo solo noi del progetto DICoo, ma a far baldoria c’erano anche persone del gruppo locale di Ostuni che stavano seguendo il Festival.

Nei giorni successivi, abbiamo parlato di educazione e formazione professionale inclusiva, di doppia discriminazione e di discriminazione multipla, di accesso alla salute e di salute inclusiva comunitaria, di statistica e raccolta dati sulla disabilità, nonché di sport inclusivo.
Tutti gli incontri si sono svolti con la metodologia del Learning by doing (metodo di apprendimento basato sull’imparare qualcosa facendolo) e del Cooperative learning (apprendimento cooperativo), stimolando la partecipazione attiva di corsisti e assistenti personali; questa metodologia ci ha permesso non solo di assistere a lezioni interessantissime da parte di 15 esperti di cooperazione inclusiva, oltre a quelli dell’équipe di formazione, ma abbiamo potuto anche esporre le 30 presentazioni che noi corsisti avevamo preparato.
Durante la formazione, inoltre, Valentina Pescetti, che è formatrice senior in Ludopedagogia e LEN (Ludo-Educazione con la Natura come co-docente), ha proposto dei giochi che erano parte integrante della formazione e che ci hanno aiutato a capire ancor meglio i concetti che erano stati appena espressi.
Abbiamo incontrato diverse realtà (Comune, scuole, Associazioni di promozione di arte e sport) e varie Associazioni di persone con disabilità attive sul territorio che ci hanno proposto dei workshop cui abbiamo partecipato attivamente: con I Portatori di Gioia abbiamo assistito ad una perfomance di canto inclusivo, la Cooperativa Città Solidale ci ha proposto un workshop di teatro inclusivo, mentre con il centro di ricerca La Luna nel Pozzo di Orthia, abbiamo partecipato ad un workshop di clowing e orticultura inclusiva.
Anche i partner hanno avuto la possibilità di proporre dei workshop e in tal senso il gruppo Marocco ha curato uno spazio di arte pittorica e una bellissima iniziativa di sport inclusivo che si è svolta nella mattina dell’ultima giornata del Festival; il gruppo Italia, invece, ha curato uno spazio di arte partecipativa, realizzando un mosaico in stile trencadis che è stato installato in un giardino appena intitolato a Raoul Follereau.

A parte il centro storico di Ostuni e una spiaggia considerata accessibile, abbiamo visitato alcune strutture pubbliche del territorio (biblioteca comunale, scuole pubbliche e altre sale di eventi culturali), constandone la reale accessibilità per persone con disabilità.

Foto di gruppo alla fine dell’evento di sport inclusivo

L’autovalutazione di questa intensa e allo stesso tempo splendida settimana passata insieme, è stata fatta con la “valutazione dell’elettrocardiogramma”: eravamo seduti in semicerchio rivolti verso un muro su cui Valentina Pescetti aveva attaccato tre cartelloni affiancati in orizzontale, in modo da avere tanto spazio. Ognuno di noi, facendo scoppiare un palloncino, poteva prendere la parola per dire qualcosa di positivo o negativo riguardo ciò che aveva vissuto durante la settimana, dando a ciò un valore negativo o positivo e compreso fra 1 e 10; a seconda che il valore fosse positivo o negativo, sui cartelloni Valentina tracciava una linea verso l’alto o verso il basso.
Alla fine del gioco, il fatto che il tracciato su quel cartellone avesse pochissimi picchi negativi, stava a significare che quella vissuta insieme è stata una settimana positiva per la maggior parte di noi.

Infine, quella sala che ci aveva ospitato per un’intera settimana in cui abbiamo lavorato, giocato, ci siamo scambiate esperienze, abbiamo ballato e partecipato a workshop, era pronta ad accoglierci per l’ultima volta in occasione della cerimonia per la consegna degli attestati.
Corsisti e assistenti personali, eravamo tutti seduti su due lunghe file di sedie parallele e una di fronte all’altra; nel corridoio che si formava vi era un lungo tappeto rosso che ognuno doveva attraversare per andare verso l’équipe di formatori che, insieme ad un group leader, gli consegnava l’attestato.

L’ottava edizione del Festival della Cooperazione Internazionale si è conclusa nella mattinata del 13 ottobre nell’auditorium e campo da basket del Liceo Scientifico Pepe-Calamo. È stata un’indimenticabile mattinata a cura dalla delegazione marocchina in cui, oltre alla presentazione di buone pratiche e di storie di vita legate allo sport inclusivo, ci è stata offerta la possibilità di assistere e partecipare ad un torneo di basket accessibile, inclusivo e internazionale, con la collaborazione di Special Olympics Marocco e dell’AIPD Puglia (Associazione Italiana Persone Down), che ha partecipato con il suo team sportivo.
In quella settimana non solo ho imparato molto da esperti e dai miei colleghi di corso, ma ho visitato posti nuovi, rendendomi conto della loro accessibilità per le persone con disabilità; ho conosciuto nuove culture e ho fatto nuove amicizie con cui sono rimasto in contatto. Per il secondo anno consecutivo, inoltre, ho avuto anche l’onore di festeggiare il mio compleanno con i miei colleghi di corso, gli assistenti personali e l’équipe di formazione. Quest’anno, infine, vi erano anche molti soci dell’AIFO che mi ha fatto piacere vedere lì presenti.
Un grazie particolare va anche e soprattutto al gruppo AIFO di Ostuni che ha organizzato il Festival, all’UNITALSI, che ci ha messo a disposizione i propri pulmini ogni volta che dovevamo uscire e a tutto il personale della struttura che ci ha ospitato. 

*Vicepresidente dell’AIFO di Latina (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau).

La RIDS è un’alleanza strategica avviata nel 2011 da due organizzazioni non governative, l’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) ed EducAid, insieme a due organizzazioni di persone con disabilità, quali DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), alle quali si è aggiunto successivamente l’OVCI-La Nostra Famiglia (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale). Il compito di essa è appunto quello di promuovere il protagonismo delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni nei progetti di cooperazione internazionale, come afferma la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

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