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I Reali inglesi a Ravenna presenti! I diritti delle persone con disabilità assenti!

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La visita del Re e della Regina d’Inghilterra a Ravenna è stata l’ennesima occasione mancata per garantire l’accessibilità universale. «Ma è tempo – scrive Mirella Madeo – di smettere di considerare l’accessibilità come una voce da tagliare nei bilanci o da gestire con improvvisazione. Non possiamo più permettere che eventi pubblici, per quanto prestigiosi, si svolgano nel disinteresse per i diritti fondamentali di una parte della cittadinanza. Perché ogni volta che questo accade, perdiamo tutti!» Re Carlo III e la regina Camilla in visita a Ravenna alla tomba di Dante

Giovedì della scorsa settimana Ravenna ha accolto con entusiasmo Re Carlo III e la Regina Camilla, arrivati in città per concludere la loro visita ufficiale in Italia. Una giornata ricca di eventi simbolici e culturali: la sosta alla tomba di Dante, dove hanno ascoltato la preghiera di San Bernardo dal Canto XXXIII del Paradiso; la visita alla Basilica di San Vitale, al Mausoleo di Galla Placidia, con i magnifici mosaici paleocristiani, e al Museo Byron. Nel pomeriggio, il Consiglio Comunale straordinario con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, infine, una passeggiata tra gli stand gastronomici in Piazza del Popolo, guidati dallo chef Massimo Bottura.
Tutto perfetto, organizzato nei minimi dettagli. Tranne che per un “piccolo” particolare: rendere realmente accessibile l’evento alle persone con disabilità e alle persone anziane.

Partiamo dunque dall’accesso, lasciato completamente allo sbaraglio: nessuna area riservata, nessun percorso agevolato, nessun supporto visibile. Le persone in carrozzina presenti? Solo quattro. Un numero che parla chiaro: la mancanza di accessibilità scoraggia la partecipazione.
Ognuno, dunque, ha dovuto arrangiarsi come poteva. Io stessa, con la mia carrozzina, ho dovuto sgomitare tra la folla per conquistare un posto in prima fila e poter partecipare con dignità all’evento. Mentre mi facevo largo, molte persone mi hanno guardata con disapprovazione, come se stessi “rubando” un privilegio.
In una giornata che avrebbe dovuto essere di festa per tutti, chi vive una condizione di fragilità è stato ancora una volta dimenticato.

Mi sono poi rivolta a diversi agenti delle forze dell’ordine schierati dietro le transenne che delimitavano il percorso reale. Solo pochi, con “buon cuore”, mi hanno lasciata passare. Ma uno di loro ha tenuto a precisare che mi stavano facendo passare «per concessione straordinaria». Una frase, questa, che mi porto ancora addosso come un macigno. Come se chiedere accessibilità fosse una richiesta fuori luogo, un favore personale, quando invece dovrebbe essere un diritto garantito per tutti.
L’impressione è stata quella di essere “un’eccezione tollerata”, non una cittadina con diritti. Una sensazione, purtroppo, familiare a molte persone con disabilità.

Non è tollerabile né giusto che la gentilezza venga usata per coprire diritti negati. L’accessibilità non è una cortesia, non è un favore, è un diritto. Lo dice la Costituzione Italiana, all’articolo 3, quando stabilisce il principio di uguaglianza e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Lo ribadisce la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata in Italia con la Legge 18/09), che impone agli Stati di garantire l’accesso, su base di uguaglianza con gli altri, all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e ai servizi pubblici. E in àmbito nazionale, la Legge 104/92, così come il Decreto Ministeriale 236/89, impone criteri precisi per l’eliminazione delle barriere architettoniche in luoghi e manifestazioni pubbliche.
Non prevedere l’accessibilità in un evento pubblico non è solo una dimenticanza: è una violazione, oltre ad essere una ferita alla dignità di chi quotidianamente è costretto a rincorrere un diritto che dovrebbe essere garantito senza elemosine né eccezioni.

Ciò che è mancato a Ravenna, pertanto, non è solo una pedana o una corsia dedicata. È mancata una visione, un’idea di società inclusiva che metta davvero al centro tutte le persone, senza distinzioni.
Accessibilità significa pari opportunità di partecipare alla vita pubblica. È lo specchio del rispetto che una comunità ha per se stessa. E non riguarda solo chi ha una disabilità: riguarda tutti e tutte, perché una città accessibile è una città più giusta, più funzionale, più umana.
Serve un cambio di passo deciso. Serve che istituzioni, organizzatori e cittadini comprendano che l’inclusione non è un “extra” da garantire solo quando possibile. È una responsabilità collettiva. Ed è tempo di smettere di considerare l’accessibilità come una voce da tagliare nei bilanci o da gestire con improvvisazione. Non possiamo più permetterci che eventi pubblici, per quanto prestigiosi, si svolgano nel disinteresse per i diritti fondamentali di una parte della cittadinanza. Perché ogni volta che questo accade, perdiamo tutti!

*Giornalista pubblicista («AboutPeople Magazine»).

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Maltrattamenti nelle strutture su persone con disabilità: non basta più l’indignazione del momento!

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«Non possiamo più affidarci solo all’indignazione del momento: malatrattamenti e violenze in strutture assistenziali sono il sintomo di un modello ormai superato, che necessita di essere trasformato per rispondere in modo adeguato ai bisogni, ai diritti e alle potenzialità delle persone con disabilità»: lo dicono dalla Federazione FISH, commentando l’ennesima vicenda di maltrattamenti nei confronti di persone con disabilità, emersa questa volta in un centro diurno di Milano

Proprio pochi minuti fa avevamo dato spazio ad una serie di riflessioni sulle conseguenze di una vicenda di violenze e maltrattamenti emersa un anno fa a Jesi nelle Marche. Il tempo di pubblicare quel testo e dobbiamo registrare un’altra triste situazione, denunciata nelle scorse ore a Milano dagli organi d’informazione.
Come si legge dunque in una nota diffusa dall’ANSA, «un’ordinanza di divieto di esercizio di attività di educatore professionale è stata emessa nei confronti di otto persone che lavoravano in un centro diurno per persone con disabilità a Milano. Tra i colpiti dal provvedimento tre operatrici donne e due responsabili del centro. L’indagine dei carabinieri della Stazione Vigentina è nata dalla denuncia di un’ex dipendente che ha riferito di maltrattamenti ai danni degli ospiti: trattamenti denigratori e violenti come isolamenti punitivi, urla e minacce. Gli episodi sarebbero iniziati nel dicembre 2023 fino all’ottobre 2024. Gli ospiti vessati sono una decina».

Non è la prima volta che la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) interviene pubblicamente per denunciare episodi come questo. Lo fa una volta ancora, manifestando «sdegno e profonda preoccupazione», oltre a ricordare in un comunicato che «solo pochi mesi fa, in occasione di un altro caso di violenze in una struttura assistenziale, avevamo sottolineato l’urgenza di un sistema di controlli più efficace, ma soprattutto la necessità di un profondo ripensamento culturale del modo in cui si guarda alla disabilità. Ancora una volta, quindi, chiediamo con forza che le Istituzioni facciano innanzitutto piena luce sull’accaduto, ma si assumano anche la responsabilità di un cambio di paradigma nella governance dei servizi alla persona. Non è più tollerabile, infatti, un sistema che continua a basarsi su logiche assistenzialistiche e verticali, e che troppo spesso esclude le persone con disabilità e le loro famiglie dai processi decisionali».

«Non possiamo più affidarci solo all’indignazione del momento – dichiara il presidente della FISH Vincenzo Falabella –: serve infatti una visione nuova, che parta dai diritti delle persone con disabilità, riconoscendone pienamente la soggettività, la libertà di scelta e la dignità. Dove manca questa consapevolezza, anche le strutture pensate per essere luoghi di protezione possono trasformarsi in luoghi di violenza che non è mai un fatto isolato, ma il sintomo di un modello ormai superato, che necessita di essere trasformato per rispondere in modo adeguato ai bisogni, ai diritti e alle potenzialità delle persone con disabilità». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Quell’appartamento di Jesi proprio nulla aveva a che vedere con la vita indipendente

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«Com’è possibile – si chiedono dal Gruppo Solidarietà – che il Dipartimento di Salute Mentale di Jesi (Ancona), pur conoscendo molto bene il funzionamento di quell’appartamento della propria città, avesse parlato di “una coabitazione autogestita”, evidenziando anche la qualità del progetto, fino a scomodare la “vita indipendente”?». Quell’appartamento era stato sequestrato lo scorso anno, con l’arresto di due persone e su di esso si è pronunciato ora anche il Consiglio di Stato

Come aveva raccontato più o meno un anno fa il Gruppo Solidarietà sulle nostre pagine, in quei giorni era stato posto sotto sequestro a Jesi (Ancona) un appartamento in Via del Verziere, che ospitava sei persone con disturbi psichici; una coppia era stata arrestata, con l’accusa per lui di violenza sessuale aggravata, di maltrattamenti per la moglie.
Su tale vicenda lo stesso Gruppo Solidarietà aveva espresso una serie di riflessioni, a partire dai contenuti di una Sentenza del TAR delle Marche (559/2023) prodotta alcuni mesi prima e successiva al ricorso dei soggetti in seguito indagati, dopo un’Ordinanza del Comune di Jesi che, a seguito di un’ispezione, aveva stabilito la cessazione dell’attività, ritenendo che si trattasse, nei fatti, di un “servizio” che per essere erogato richiedesse autorizzazione.
A seguito dunque del ricorso, il TAR aveva ritenuto non trattarsi di una comunità che per operare avesse obbligo di autorizzazione, ai sensi delle norme regionali vigenti, ma di una “servizio” che trovava ispirazione e riferimento alla “Legge Regionale sulla Vita Indipendente” (Legge Regionale 21/18), ossia una sorta di appartamento autogestito e come tale, appunto, non soggetto ad autorizzazione. Aveva conseguentemente accolto il ricorso, annullando l’Ordinanza Comunale, con il supporto delle indicazioni date dal direttore del Dipartimento di Salute Mentale.

Ebbene, il 24 marzo scorso, come informa ora il Gruppo Solidarietà – che ha anche dedicato un approfondimento all’intera vicenda – il Consiglio di Stato, con la Sentenza 2407/25 (disponibile a questo link, insieme a un ulteriore commento), ha riformato il precedente pronunciamento del TAR, stabilendo che l’appartamento di Via del Verziere a Jesi, sequestrato, come detto, nell’aprile dello scorso anno, dopo le accuse di maltrattamenti e l’arresto di due persone, «non era un appartamento autogestito e tantomeno una coabitazione in un progetto di vita indipendente. In sostanza un “servizio residenziale” privo dell’obbligatoria autorizzazione».

«Accogliendo, dunque, la tesi del Comune di Jesi – scrivono dal Gruppo Solidarietà -, il Consiglio di Stato ha stabilito che l’appartamento risultava a tutti gli effetti un “servizio residenziale” privo di autorizzazione. E come tale, se ne deduce, abusivo. Come è stato ripetutamente fatto notare dall’Associazione Tutela Salute Mentale Vallesina, che, sola, ha tenacemente, in questi anni, denunciato e portato all’attenzione la vicenda dell’appartamento di Jesi, è necessario risalire alla filiera delle responsabilità. Si possono dunque riprendere alcune considerazioni la prima delle quali riguarda il Dipartimento di Salute Mentale di Jesi che, pur conoscendo molto bene il funzionamento dell’appartamento, come anche da relazione riportata nella Sentenza del TAR, ha affermato trattarsi di “una coabitazione autogestita”, evidenziandone anche la qualità del progetto (“molto più avanzato di altri”), fino a scomodare la “vita indipendente” e il fatto, ritenuto estremamente positivo, che i costi non gravassero sulle casse pubbliche (Azienda Sanitaria, Regione, Comuni)».

«La seconda considerazione – proseguono dall’organizzazione marchigiana – concerne il quesito su quale protezione giuridica venisse esercitata su quella struttura, evidenziando ancora di più la necessità di una revisione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno. E ancora, sarebbe oltremodo interessante capire dove vivano oggi le 5/6 persone che abitavano l’appartamento, se in comunità e in quale tipologia di comunità. E se, nel “livello assistenziale”, in “Comunità alloggio con lievi disturbi mentali”. Pare, infatti, ragionevole dubitare che quella tipologia di “servizio”, di tipo esclusivamente sociale rivolta a persone “con lievi disturbi mentali e con un alto livello di autosufficienza” che “necessitano di sostegno nel percorso di autonomia e inserimento o reinserimento sociale”, sia compatibile con le necessità delle persone che vivevano in quell’appartamento. Livelli di autonomia certificati dallo standard di personale previsto: un operatore per 6 ore alla settimana. Se oggi quelle o alcune di quelle persone vivono, invece, in servizi residenziali sociosanitari cui si accede tramite invio del Centro di Salute Mentale (CSM), occorrerebbe ancor di più chiedere al Dipartimento come le loro necessità potessero essere compatibili con quell’appartamento autogestito».

«C’è dunque da augurarsi – concludono dal Gruppo Solidarietà – che nel processo iniziato a febbraio nei confronti dei due coniugi accusati di violenza sessuale e maltrattamento, si faccia piena luce su nascita, sviluppo ed evoluzione dell’appartamento e sul rapporto, dal 2018, delle persone che lo gestivano con le Istituzioni e in particolare con il Dipartimento di Salute Mentale di Jesi». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: grusol@grusol.it.

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“Sport si può”, punto di riferimento nel panorama educativo e sportivo della Provincia di Varese

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È in pieno svolgimento il progetto “Sport si può”, promosso dall’Associazione Sportiva Dilettantistica POLHA-VARESE, che offre corsi gratuiti di nuoto a bambini e ragazzi con disabilità tra i 6 e i 14 anni in orario scolastico. Questa iniziativa, che unisce sport, inclusione, volontariato e socialità, è diventata un punto di riferimento nel panorama educativo e sportivo della Provincia di Varese Alcuni bimbi e bimbe partecipanti al progetto “Sport si può”, qui in piscina insieme all’istruttrice

È in pieno svolgimento il progetto Sport si può, promosso dall’Associazione Polisportiva Dilettantistica POLHA-VARESE, che offre corsi gratuiti di nuoto a bambini e ragazzi con disabilità tra i 6 e i 14 anni in orario scolastico. Questa iniziativa, che unisce sport, inclusione, volontariato e socialità, è diventata un punto di riferimento nel panorama educativo e sportivo della Provincia di Varese.

«Uno dei punti di forza sta nella continuità: nato nel 1997 da un’idea del Tavolo Provinciale Sport Disabili e sostenuto interamente dalla Provincia di Varese fino al 2014, Sport si può è proseguito grazie all’impegno costante, sia organizzativo che economico, della nostra Associazione. Negli anni di maggiore attività, il progetto ha raggiunto numeri straordinari: 320 alunni, 8 piscine, 60 scuole, 35 istruttori specializzati e oltre 200 tra insegnanti ed educatori coinvolti in un solo anno. Dopo il ritiro della Provincia nel 2015, la sostenibilità dell’iniziativa è stata garantita dalla collaborazione con i Comuni delle scuole aderenti, dai gestori delle piscine e da sponsor individuati dalla nostra organizzazione», sottolinea la presidente dell’Associazione, Daniela Colonna-Preti. «Con orgoglio possiamo affermare che, ad oggi, oltre 5.000 alunni con disabilità hanno potuto vivere gratuitamente questa esperienza unica».

Quest’anno il progetto è attivo con POLHA nelle piscine di Caronno Pertusella, Castiglione Olona, Tradate e Varese, grazie al sostegno dei rispettivi Comuni, nonché di quelli di Casciago, Venegono Inferiore e Venegono Superiore.
Gli alunni e alunne partecipano ai corsi durante l’orario scolastico: accompagnati dai loro insegnanti, raggiungono le piscine dove li attendono istruttori esperti nella didattica del nuoto per persone con disabilità e i volontari di POLHA. Grazie a questarete di collaborazioni tra pubblico e privato, anche nel 2025 oltre 300 alunni con disabilità stanno vivendo l’emozione del nuoto, a titolo completamente gratuito per loro, per le famiglie e per le scuole partecipanti. (C.C.)

Per maggiori informazioni: POLHA-VARESE (info@polhavarese.org).

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“Adesso Basta!”, un impegno per il cambiamento

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Si chiama “Adesso Basta!”, ossia “Un 2025 accessibile per tutti e tutte” la petizione online lanciata da Working Souls, azienda nata da un’idea dell’artista con disabilità Francesco Canale (“Anima Blu”), iniziativa che si propone in sostanza di essere un manifesto per trasformare le barriere in opportunità, toccando cinque punti: taxi accessibili, auto adattate, voli e treni accessibili, concerti e spettacoli fruibili senza barriere

Adesso Basta!: ha un nome perentorio la petizione lanciata sulla piattaforma Change.org da Working Souls, azienda nata nel 2021 da un’idea dell’artista con disabilità Francesco Canale (noto anche come “Anima Blu”), che sta portando avanti numerose e variegate iniziative a favore dell’inclusione per cambiare il paradigma che vuole la disabilità relegata al mondo non profit, all’attivismo o alle realtà “caritatevoli”.

Adesso Basta! è in sostanza un manifesto per trasformare le barriere in opportunità. Cinque i punti toccati: taxi accessibili, auto adattate, voli e treni accessibili, concerti e spettacoli fruibili senza barriere. Viene ritenuto assurdo, a esempio, che nel 2025 una persona con disabilità debba pagare di più per un taxi solo perché ha bisogno di una pedana. La mobilità, infatti, è un diritto, non un privilegio. La petizione chiede dunque parità nelle tariffe e più veicoli accessibili sulle strade, perché la libertà di movimento non può avere un prezzo diverso. Working Souls si ispira al modello del Regno Unito, dove il Transport for London ha introdotto politiche che garantiscono accessibilità per tutti e tutte, senza costi aggiuntivi, e obbliga i taxi a dotarsi di rampe.

Altro argomento, i costi per modificare e rendere accessibili le automobili che possono essere pari al prezzo dell’auto stessa, se non di più. Per far sì, dunque, che l’autonomia non sia un privilegio per pochi, la petizione propone un sistema di sostegno pubblico-privato per coprire i costi di adattamento dei veicoli per chi non può permetterselo.

Il diritto di viaggiare, del resto, è un ulteriore punto di Adesso Basta!. Prendiamo i voli aerei, per i quali, se l’accompagnatore è indispensabile, il suo biglietto aereo dev’essere gratuito. Come già accade sui treni e in altri Paesi, anche l’Italia deve allinearsi a questo principio di civiltà, perché il diritto a viaggiare non può essere un peso doppio per chi ha una disabilità. E per Working Souls anche la mobilità ferroviaria dev’essere un diritto universale: le pedane sui treni non sono un optional, ma sono necessarie su ogni convoglio. Solo così sarà garantita vera autonomia di movimento, sicurezza e libertà di viaggiare da qualsiasi stazione. Con riferimento poi al Regolamento Europeo 1300/2014, che stabilisce appunto standard di accessibilità per il trasporto ferroviario, la petizione chiede che l’Italia si impegni ad adeguare tutte le proprie infrastrutture, a partire dalle stazioni locali e garantendo formazione al personale per un’assistenza dignitosa e professionale.

Infine, l’accesso alla cultura e agli spettacoli. Oggi, ad esempio, è possibile avere un solo accompagnatore ai concerti, una limitazione alla socialità. Adesso Basta! propone tre accompagnatori ammessi, procedure di prenotazione più semplici e il rispetto delle quote dei posti riservati. Inoltre, pone l’attenzione sull’accessibilità fisica e tecnologica delle strutture, con l’introduzione di sottotitoli, audiodescrizioni e tecnologie assistive per eventi culturali, come già previsto, ad esempio, dalla normativa francese sull’accessibilità.

«Questo manifesto – spiega Francesco Canale – non è solo un appello, è un piano d’azione. Chiediamo infatti a istituzioni, imprese e società civile di sottoscriverlo e impegnarsi concretamente. Il 2025 deve diventare l’anno della svolta per l’accessibilità in Italia. Solo insieme possiamo costruire un futuro dove la disabilità non sia più sinonimo di limitazione, ma di pari opportunità e piena inclusione sociale».
4cFuture, Business Unit di 4C dedicata alla sostenibilità, e Happy Network, rete di imprese impegnata a favore dell’inclusività negli ambienti lavorativi e nella vita di ogni giorno, supportano con convinzione il progetto affinché l’accessibilità diventi la norma, e non l’eccezione.
«Siamo pronti a trasformare il cambiamento in realtà – conclude Canale, invitando a sottoscrivere la petizione -, perché un mondo senza barriere è un mondo più giusto per tutti e tutte». (Stefania Delendati)

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Giovani, disabilità e futuro: incontro tra il Forum Europeo sulla Disabilità e il commissario Micallef

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Una delegazione dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, guidata da Lydia Vlagsma, ha incontrato nei giorni scorsi il commissario europeo Glenn Micallef. L’incontro ha evidenziato le difficoltà che i giovani con disabilità affrontano quotidianamente, e si è discusso anche di cyberbullismo nei confronti delle persone con disabilità Il commissario europeo Micallef con Lydia Vlagsma dell’EDF

Una delegazione dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ha incontrato nei giorni scorsi il maltese Glenn Micallef, commissario europeo per l’Equità Intergenerazionale, la Gioventù, la Cultura e lo Sport. La delegazione del Forum era guidata da Lydia Vlagsma, co-presidente del Comitato Giovani dell’EDF stesso.

Durante l’incontro, la delegazione ha posto l’accento sugli “ostacoli sproporzionati” che i giovani con disabilità devono affrontare in tutti gli àmbiti della vita quotidiana e ha esortato il Commissario a garantire la loro inclusione nelle politiche e nelle iniziative legate alla gioventù. Tra le richieste principali avanzate dalla delegazione dell’EDF:
° Rappresentanza: inserire i giovani con disabilità in tutte le strutture partecipative dell’Unione Europea, come il Consiglio Consultivo Giovani della Presidente della Commissione e il Gruppo per i Giovani dell’Unione Europea.
° Accessibilità culturale: promuovere inclusività nel settore culturale attraverso strumenti come il prossimo Culture Compass e il programma Creative Europe.
° Partecipazione ai programmi di mobilità: migliorare l’accesso dei giovani con disabilità a Erasmus+ e al Corpo Europeo di Solidarietà.

Un ulteriore tema affrontato è stato quello del cyberbullismo nei confronti delle persone con disabilità e le possibili azioni a livello europeo per contrastarlo.

Dal canto suo, quindi, Micallef ha espresso il proprio impegno a portare la voce dei giovani con disabilità in tutte le piattaforme politiche, segnalando un’attenzione particolare per rendere la cultura più accessibile e inclusiva.
«È stato molto incoraggiante – ha dichiarato Vlagsma – confrontarsi con il commissario Micallef e sentire il suo impegno a rafforzare la rappresentanza dei giovani con disabilità nel lavoro della Commissione. I problemi che i giovani con disabilità affrontano – dal cyberbullismo alla salute mentale, dall’istruzione alla mobilità e occupazione – sono interconnessi e meritano di essere affrontati in tutte le politiche e i programmi pertinenti». (C.C. e S.B.)

Per ulteriori informazioni: André Felix (responsabile della Comunicazione dell’EDF), andre.felix@edf-feph.org (cui scrivere in inglese).

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Il “Mare per tutti” di Tiliaventum ha vinto il concorso fotografico del Forum Europeo sulla Disabilità

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Siamo particolarmente contenti di annunciare che il primo premio del tradizionale concorso fotografico promosso dal Forum Europeo sulla Disabilità, dedicato quest’anno al tema “Attraverso l’obiettivo dell’accessibilità: storie di barriere, sfide e buone pratiche”, è arrivato in Italia ed esattamente a Daniele Passoni, presidente dell’Associazione Tiliaventum di Lignano Sabbiadoro (Udine), che da anni promuove il programma “Sea4All” (“Mare per tutti”) La foto “Sea4All” di Daniele Passoni, che ha vinto il primo premio nell’edizione di quest’anno del concorso promosso dal Forum Europeo sulla Disabilità

«L’accessibilità va oltre rampe e ascensori: si tratta di rimuovere barriere in ogni àmbito della vita, dagli spazi fisici alle piattaforme digitali e alla comunicazione inclusiva. La vera accessibilità, infatti, significa garantire che tutti possano partecipare pienamente e in autonomia. E tuttavia, per molte persone con disabilità, la vita è un mix di ostacoli, sfide e trionfi, navigando in un mondo che spesso ignora le loro necessità»: era partita da questa premessa l’edizione di quest’anno del tradizionale concorso fotografico promosso dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, dedicato appunto al tema Through the accessibility lens: Stories of barriers, challenges and good practices (“Attraverso l’obiettivo dell’accessibilità: storie di barriere, sfide e buone pratiche”) e rivolto, come sempre, a cittadini/cittadine o residenti dell’Unione Europea di tutte le età.

Siamo dunque particolarmente contenti di annunciare che il primo premio dell’iniziativa è arrivato quest’anno in Italia ed esattamente a Lignano Sabbiadoro (Udine), al Presidente di un’Associazione spesso presente anche sulle nostre pagine, in particolare con il proprio progetto Sea4All (“Mare per tutti”). Si tratta di Daniele Passoni, presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Tiliaventum, aggiudicatosi appunto il primo premio del concorso, con la foto qui a fianco pubblicata, intitolata essa stessa Sea4All.
«Si tratta – spiega Passoni – di uno scatto ripreso durante le innumerevoli, continuative e inclusive attività di mare per tutti della nostra Associazione, sulle acque antistanti Lignano Sabbiadoro, a bordo della barca a vela accessibile #Càpita, con gli entusiasti Omar, Antonella e Remo che, sorridenti, navigano, timonano e regolano le vele».
«Questo premio – commenta – è motivo di grande soddisfazione per me, per Tiliaventum e per tutti i Soci e Volontari/e del nostro sodalizio, un esempio, oggi anche fotograficamente riconosciuto a livello europeo, di come si possa condividere, tutti/e insieme, indipendentemente dalle cosiddette “disabilità”, una quotidianità sempre più ricca ed appagante».
Tanti complimenti a Tiliaventum, naturalmente, anche da parte di Superando! (S.B.)

A questo link è disponibile una selezione delle foto che hanno partecipato all’edizione 2025 del concorso promosso dall’EDF.

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Alla teologia manca ancora il capitolo della disabilità

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In riferimento al recente convegno di Assisi “A Sua Immagine. ‘Us’ not ‘Them’”, che ha preso spunto dal libro “A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità”, traduzione sostanziale di una pubblicazione del gesuita australiano Justin Glyn, dopo avere ospitato gli interventi del vescovo Francesco Antonio Soddu e dello stesso Justin Glyn, diamo oggi spazio a quello della teologa Ilaria Morali Ilaria Morali è docente di Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma

Quando alcuni anni orsono venni contattata da Giovanni Merlo esplorando l’ipotesi di un mio intervento a Milano sul tema Fede e Disabilità, confesso di essere rimasta, sulle prime, piuttosto spiazzata dal tema, per me completamente nuovo. In effetti, nella formazione di un teologo generalmente non si prevedono corsi di teologia sulla disabilità, né questa è materia di discussione. Semplicemente non se ne parla.
Nonostante la novità, ero però consapevole di essere cresciuta intellettualmente alla scuola dei grandi teologi gesuiti del Novecento, esponenti di un rinnovamento teologico che si prefiggeva di riportare il tema della condizione storica dell’uomo al centro della riflessione cattolica e di ricostituire il legame tra teologia e vita…, perché la teologia potesse rispondere alla domanda di senso avanzata dagli uomini del proprio tempo. In questo modo essi hanno di fatto preparato col loro impegno la strada del Concilio Vaticano II, cui essi personalmente contribuirono.

L’incontro con gli scritti di Padre Justin Glyn mi ha indubbiamente fornito la bussola per riposizionarmi, aiutandomi a comprendere in una luce nuova anche alcune letture di questi teologi che, pur non affrontando il tema specifico, mostrano tuttavia una spiccata sensibilità per tutte le forme di vulnerabilità che toccano l’esistenza umana. «Assumendo una natura umana – scriveva Henri de Lubac negli Anni Trenta – è la natura umana… che egli ha incluso in lui… tutta intera la porterà dunque al Calvario, tutta intera la resusciterà, tutta intera la salverà…» (1).
È un passo dell’opera Catholicisme che ebbe il merito di porre in rilievo la dimensione sociale del Cristianesimo nei suoi assi portanti.
Due aspetti mi colpiscono di questa affermazione: la sottolineatura circa la «natura tutta intera» che Cristo assume e include in sé e salva. Non si parla di una natura perfetta, ma di una natura tutta intera: l’intero è dato dalle diverse condizioni con le quali questa natura si declina e vive nella storia. Dunque anche la disabilità. Il secondo è la prossimità con quanto leggiamo nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, al n. 22, testo molto conosciuto: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo (cum omni homine quodammodo Se univit).Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo (31) ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (32)».
Vorrei qui sottolineare un aspetto circa l’espressione conciliare: «Cristo si è unito ad ogni uomo». Non si specifica un uomo determinato, né ancora una volta un modello perfetto di uomo, ma si usa l’espressione forte «ogni uomo» al quale il Verbo si è unito. E sottolineerei anche quell’«egli si è fatto veramente uno di noi».

Il senso vero di questa affermazione si può cogliere tornando al Credo, a un passo che ci è familiare, ma che non conosciamo nel suo contenuto teologico profondo. Mi riferisco al passo «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e si è fatto uomo».
Due osservazioni: nella confessione di fede, torna per due volte la parola uomo in riferimento all’incarnazione di Cristo. È un’affermazione dogmatica, dunque normativa, sancita da ben due concili, di Nicea (325) e di Costantinopoli I (381) e tocca «la verità intima di Dio, la salvezza dell’uomo in tutte le sue dimensioni» (2). È però interessante notare come nella versione originale del testo in lingua greca ricorra il termine anthropos, due volte nella stessa frase: la prima, al plurale è riferita a noi, mentre la seconda è resa in forma verbale in riferimento all’incarnazione di Cristo. La traduzione italiana del termine greco, in “uomini”, “si è fatto uomo”, non permette di cogliere appieno il valore della scelta operata dai Padri Conciliari: anthropos, infatti, è il termine che in greco designa l’essere umano, in quanto tale, in tutta la sua ricchezza, non quindi il maschio.
Con quel “per noi uomini”, i Padri Conciliari hanno voluto indicare tutti gli esseri umani, uomini e donne, destinatari della salvezza, mentre il principio che si vuole esprimere con ἐνανθρωπήσαντα (en-anthropesanta), che noi traduciamo con “si è fatto uomo”, equivale ad affermare che il Verbo, nell’incarnazione, si è «inumanato», prendendo veramente tutto ciò che appartiene e fa dell’umanità… l’umanità, eccetto ovviamente il peccato. Un’affermazione forte, dunque, che rende la Rivelazione cristiana unica nell’orizzonte delle proposte religiose della storia.

L’incontro con il pensiero di Padre Glyn mi ha permesso tuttavia di notare come, nonostante l’incredibile attenzione dei teologi e del Magistero per questi temi, non si sia tuttavia giunti a considerare il tema della disabilità parte integrante di questa concretezza e non si sia riconosciuto in queste intuizioni un terreno propizio per una teologia della disabilità.
A proposito di Gaudium et Spes, Justin Glyn sottolinea, tra i vari, tre aspetti che mi sembrano teologicamente significativi in rapporto alla disabilità:
° rispetto a tesi sostenute in passato, il peccato «deriva dalle scelte dell’uomo e non dalla nostra costituzione fisica o mentale. Non è una caratteristica del corpo, che è creato tanto buono quanto limitato»;
° l’assunzione piena dell’umano da parte di Cristo non significa annichilire la natura creata dell’uomo, ma elevarla…» e questa elevazione, secondo la dottrina cristiana, avviene per grazia.
° Di qui una terza fondamentale affermazione: «la grazia è fondata sulla natura, tutta la natura», non una natura modello, ma la natura concreta, appunto in tutte le declinazioni che ne delineano la condizione storica. Per natura qui si intende implicitamente la natura dell’uomo in rapporto al dono della vocazione divina. E la grazia della salvezza è donata a ogni essere umano indipendentemente dalla sua condizione fisica, perché Cristo ha assunto tutto l’essere umano: ossia, in quel «per noi uomini» ci siamo dunque proprio tutti, senza distinzione.
Ora, come lo stesso Glyn afferma con vigore, «la grazia riguarda la relazione costante di Dio con gli uomini, tutti gli uomini… Nessuno è escluso perché nessuno di noi è concepito per essere lasciato fuori» In altri termini, la dispensazione della grazia non dipende certamente dal fatto di essere più normodotati di altri: «un corpo danneggiato, sofferente o menomato – scrive il gesuita neozelandese – è sempre e comunque un corpo creato meraviglioso che mostra l’immagine di Dio in virtù della propria umanità e non in funzione di ciò che può o non può fare» (3).

Vorrei aggiungere che ultimamente in teologia si è affacciato il tema della vulnerabilità di cui la disabilità costituisce uno dei vari capitoli. In un articolo di Catherine Vialle, professore di esegesi, su questo tema, si afferma giustamente che «Dio, in Cristo, viene ad abitare tutte le vulnerabilità», non solo nei momenti cardine della vita di Cristo, nascita e morte, «ma anche lungo tutta la sua esistenza» (4). Di qui qualche riflessione conclusiva.
Rispetto a queste verità incontrovertibili e profondamente dogmatiche, finora mi sembra manchi in teologia e, di riflesso, nello stesso modo di parlare della disabilità da parte cattolica, la consapevolezza di questo principio cristologico: Cristo unito ad ogni uomo, ogni, fattosi realmente uomo ed insieme il fatto che la sua grazia agisce e si relaziona ad una natura concreta, che tra le sue declinazioni conosce nella storia anche quella della condizione della disabilità.
Questa lacuna si riflette sullo stesso linguaggio che in àmbito cattolico si utilizza in riferimento al tema della disabilità. Mi sembra infatti ancora prevalere un’ottica paternalista: quella che vede, da un lato, il “noi” dei normodotati distanziato e distinto da “loro” delle persone con disabilità: noi impegnati perché “loro” si sentano accettati nella comunità. Glyn la definisce «retorica dell’inclusione», lamentando come l’esperienza vissuta della disabilità non sia ancora entrata a fare pienamente «parte dell’autocomprensione della Chiesa» (5).
Questo spiega anche il titolo del libro cui ho partecipato con un piccolo intervento finalizzato appunto a porre in evidenza quello che a mio avviso è ancora un capitolo mancante in teologia dogmatica. Dogmatica perché, come si è visto, i princìpi di riferimento – incarnazione, grazia ecc. – sono parte della dottrina di fede e hanno valore normativo. In tal senso non concordo con quanto scritto da Dominique Foyer, teologo dell’Università Cattolica di Lille, quando afferma che la prima cosa che la teologia deve fare davanti alla disabilità (e qui mi sembra che la sterile distinzione tra noi e loro sia presente) è tacere, senza cadere nella tentazione di parlare a nome di altri (6).
Se passi avanti sono stati nel frattempo compiuti, anche grazie al magistero di Papa Francesco, molti restano da fare sia nella riflessione teologica che nella pastorale e, più in generale, nel modo di affrontare il tema della disabilità nelle nostre parrocchie e comunità.
Ritengo perciò che l’iniziativa di pubblicare il contributo di Justin Glyn in traduzione sia tanto più preziosa: la prospettiva che ci addita, infatti, quella del “noi”, non solo ci apre gli occhi mostrando i limiti degli approcci finora adottati, ma oggettivamente schiude strade nuove. A noi il compito di percorrerle fino in fondo con coraggio, anche da teologi.

Ringraziamo Giovanni Merlo per la collaborazione.

*Docente di Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. I contenuti del presente contributo corrispondono a quelli dell’intervento pronunciato nel corso del convegno “A Sua Immagine. ‘Us’ not ‘Them’”, tenutosi il 6 marzo 2025 ad Assisi (Perugia) (se ne legga la nostra presentazione). Rispetto al medesimo convegno, segnaliamo anche, sempre sulle nostre pagine, gli interventi di Francesco Antonio Soddu (“Il ruolo della Chiesa e la distruzione di ogni muro di separazione”) e di Justin Glyn (“Le vere necessità delle persone con disabilità cattoliche oggi”), rispettivamente a questo e a questo link.

Note:
(1) H. de Lubac, Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme, Oeuvres complètes, VII, Paris, Cerf, 2003.

(2) L.F. Ladaria, Che cos’è un dogma? Il problema del dogma nella teologia attuale, in «Problemi e prospettive di Teologia Dogmatica», Brescia: Queriniana, 1983, p. 101.
(3) J. Glyn, “Noi, non loro”: la disabilità nella Chiesa, in «La Civiltà Cattolica», 1 (2020), p. 43.
(4) C.Vialle, Vulnerabilité humaines dans la Bible, in C. Vialle, M. Castro, P. Rodriguez, L’humain vulnerable face aux crises. 1.Vulnerabilité du vivant, Paris, Cerf, 2023, p. 139.
(5) J. Glyn, “Noi, non loro”: la disabilità nella Chiesa cit., pp. 41-52.
(6) D. Foyer, Quand la vulnerabilité de la personne handicapée dévoile la vulnerabilité de Dieu, in C. Vialle, M. Castro, P. Rodriguez, L’humain vulnerable face aux crises. 1.Vulnerabilité du vivant cit., p. 71.

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Serve estrema attenzione per l’intelligenza artificiale che “feticizza” la disabilità

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«Rubano immagini in rete e le “danno in pasto” all’intelligenza artificiale, per creare profili falsi (“deepfake”) di avvenenti ragazze e donne con sindrome di Down: è l’ultima, allarmante moda, che si sta rapidamente diffondendo in rete, specialmente sui social, in particolare su alcune piattaforme, tra cui OnlyFans»: a denunciarlo è l’Associazione AIPD che sottolinea come sia fondamentale porre l’attenzione su questo fenomeno di estrema pericolosità Una delle immagini “deepfake” create con l’intelligenza artificiale per l’allaramante trend “OnlyDown”

«Rubano immagini in rete e le “danno in pasto” all’intelligenza artificiale, per creare profili falsi (tecnicamente, deepfake) di avvenenti ragazze e donne con sindrome di Down: è l’ultima, allarmante moda, che si sta rapidamente diffondendo in rete, specialmente sui social, in particolare su alcune piattaforme, tra cui OnlyFans, con l’obiettivo di catturare l’attenzione di chi, attratto da questi profili, è pronto a pagare per avere loro foto o video»: la denuncia arriva dall’AIPD (già Associazione Italiana Persone Down, ma da qualche settimana divenuta Associazione Italiana Persone con Sindrome di Down), che spiega ancora come «OnlyDown sia il trend diffusosi nelle scorse settimane, dando particolare visibilità ad alcuni di questi profili, tra cui quello di una certa Maria Dopari: i tratti somatici caratteristici della sindrome di Down erano prestati a un corpo che si mostra, provocante, in varie pose e angolazioni. Dal profilo Instagram si viene quindi dirottati a Telegram e di qui viene proposto l’acquisto del relativo account di OnlyFans. I contenuti sono quasi sempre molto espliciti».

A spiegare ancor meglio come funziona il tutto è Matteo Flora, imprenditore, professore in Sicurezza delle Intelligenze Artificiali e delle SuperIntelligenze all’European School of Economics, conduttore televisivo e autore, tra l’altro, di Ciao Internet, il più seguito canale YouTube di Tech Policy in Italia. «Recentemente – spiega Flora nell’introduzione del video in cui illustra il trend OnlyDown – sui social come TikTok e Instagram si è registrato un trend apparentemente positivo legato a ragazze con sindrome di Down che mostrano con naturalezza la propria vita quotidiana. Tuttavia, scavando più a fondo, emerge una realtà molto più inquietante: profili fake generati tramite intelligenza artificiale che sfruttano l’immagine di persone reali (ignare e modificate), per vendere contenuti su piattaforme come OnlyFans. Dietro al fenomeno ci sono problematiche complesse: l’insufficiente regolamentazione legale e tecnologica contro questi abusi; le difficoltà di moderazione da parte delle piattaforme social; il confine molto labile tra inclusione e feticizzazione di persone vulnerabili».Proprio per prevenire e contrastare questi abusi, lo stesso Flora ha segnalato numerosi profili, alcuni dei quali sono stati rimossi, come quello citato di Maria Dopari, che aveva raggiunto quasi 150.000 follower.

Interpellato dall’AIPD, per averne un consiglio da rivolgere alle persone con sindrome di Down e alle loro famiglie, consentendo loro di proteggersi da questi abusi, Matteo Flora ha detto di «avere già fatto rimuovere circa un migliaio di contenuti, ma l’AIPD, come Associazione, potrebbe interfacciarsi direttamente tramite l’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), per chiedere le singole rimozioni. Sarebbe ancora una volta l’affermazione di una leadership nel campo, che secondo me l’AIPD deve reclamare a gran voce».
Il suggerimento è stato accolto con favore da Gianfranco Salbini, presidente nazionale dell’AIPD, consapevole di quanto il problema richieda attenzione: «La ricerca di visibilità attraverso l’esposizione dei propri figli – afferma – è diventata, purtroppo, una pratica comune. Tuttavia, è fondamentale porre l’attenzione su questo fenomeno, ancora più allarmante: l’utilizzo dei deepfake per sfruttare l’immagine delle persone con disabilità. Anche se parlarne potrebbe generare un effetto di emulazione, è essenziale sensibilizzare le famiglie sull’estrema pericolosità di queste pratiche. Il mercato dell’immagine umana, quando non regolamentato, può diventare uno strumento diabolico di sfruttamento, soprattutto per le comunità più vulnerabili».
«In Italia – aggiunge Salbini -, la legge prevede pene detentive da uno a cinque anni per chi crea e diffonde contenuti deepfake che causano danni ingiusti. Tuttavia, la rapidità con cui queste tecnologie si evolvono richiede un costante aggiornamento delle normative e una maggiore consapevolezza da parte del pubblico. Ritengo quindi fondamentale approfondire e diffondere queste informazioni, per proteggere le persone con disabilità e prevenire ulteriori abusi». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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La fase formativa del progetto “For All – Roma una città fruibile per tutti”

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Tra ieri 14 aprile, e oggi, 15 aprile, si è svolta la fase formativa del progetto “For All – Roma una città fruibile per tutti”, rivolta agli operatori di Protezione Civile e Croce Rossa impegnati nell’accoglienza delle persone con disabilità per il “Giubileo 2025”. Realizzato con il contributo del Fondo Carta Etica di UniCredit, il progetto ha quale capofila la Federazione FISH, in partenariato con l’ANFFAS Nazionale, la FAIP, Pedius, il Consorzio La Rosa Blu e il MAV L’intervento del presidente della FISH Falabella alla due giorni di formazione del progetto “For All – Roma una città fruibile per tutti”

In attesa della data riguardante il lancio ufficiale del progetto, che verrà annunciata entro breve, è già pienamente in corso la due giorni di formazione di For All – Roma una città fruibile per tutti, rivolta, tra ieri 14 aprile, e oggi, 15 aprile, agli operatori di Protezione Civile e Croce Rossa impegnati nell’accoglienza delle persone con disabilità per il Giubileo 2025.

Titolo della due giorni di formazione è Il nuovo concetto di disabilità: come accogliere le persone con disabilità, che ha visto nella giornata di ieri l’intervento di Stefania Leone, presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), Gabriele Favagrossa, esperto della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e Michele Adamo, consigliere nazionale della UILDMM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Oggi, invece, sono intervenuti Vincenzo Falabella, presidente della FISH e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), ancora Gabriele Favagrossa e Alessandro Parisi dell’ANFFAS Nazionale (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo).

Realizzato con il contributo del Fondo Carta Etica di UniCredit, For All – Roma una città fruibile per tutti, che dopo la formazione si articolerà su altre iniziative generatrici di accessibilità, ha quale capofila la FISH, in partenariato con l’ANFFAS Nazionale, la FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Persone con Lesione al Midollo Spinale), Pedius, il Consorzio La Rosa Blu e il MAV. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Oggi l’angioedema ereditario fa meno paura: lo racconta anche un cortometraggio

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Oggi l’angioedema ereditario, malattia rara disabilitante e potenzialmente letale, fa decisamente meno paura, grazie all’innovazione terapeutica e alla possibilità di una profilassi preventiva. Lo racconta anche il cortometraggio “Il Colloquio”, che il 16 aprile verrà ufficialmente presentato alla stampa italiana, durante l’incontro online denominato “Angioedema ereditario: oggi fa meno paura”

Malattia rara disabilitante e potenzialmente letale, attualmente l’angioedema ereditario (HAE), grazie all’innovazione terapeutica e alla possibilità di una profilassi preventiva, fa decisamente meno paura di prima: una buona gestione della malattia, infatti, permette alle persone che ne sono affette e ai loro caregiver la prospettiva di una vita senza limitazioni.

Per celebrare questo importante passaggio epocale e continuare a diffondere conoscenza sulla condizione di vita con la malattia, la Società BioCryst, impegnata nell’area terapeutica dell’angioedema ereditario, ha realizzato il cortometraggio denominato Il Colloquio, presentato recentemente anche durante l’81^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nell’àmbito del Premio Son of a Pitch Award.

Il Colloquio verrà ufficialmente presentato alla stampa italiana nel pomeriggio del 16 aprile (ore 16.30-18), durante l’incontro online denominato Angioedema ereditario: oggi fa meno paura, organizzato dalla stessa BioCryst, in occasione dell’apertura del Mese dedicato alla consapevolezza su questa malattia (la cui Giornata Mondiale ricade a maggio).
L’evento si avvarrà della media partnership dell’OMaR (Osservatorio Malattie Rare), nonché del patrocinio dell’AAEE (Associazione volontaria per l’Angioedema Ereditario ed altre forme rare di angioedema) e di ITACA (Italian Network for Hereditary and Acquired Angioedema). (S.B.)

Per ulteriori informazioni: melchionna@rarelab.eu (Rossella Melchionna).

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La solitudine dei caregiver

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Verrà presentato oggi, 15 aprile, a Milano, il numero di aprile di «VITA magazine», interamente dedicato a “La solitudine dei caregiver”, volume in cui si dà grande rilievo alle storie dei/delle caregiver, coivolgendo esperti ed esperte del settore, intervistando la Ministra per le Disabilità e proponendo un panorama dei servizi più innovativi messi in campo dal Terzo Settore in questo àmbito. E infine anche interviste a scrittori, artisti, sceneggiatori che hanno messo la cura dell’altro al centro della loro opera

Sarà interamente dedicato a La solitudine dei caregiver il numero di aprile di «VITA magazine» che verrà presentato nel pomeriggio di oggi, 15 aprile (ore 18), nel corso di un evento pubblico che si terrà a Milano (Sala Liberty Il Treno, Via San Gregorio, 46).
«In Italia i caregiver familiari sono più di 7 milioni, per il 60% donne. In prospettiva aumenteranno. È un destino che ci attende tutti: prenderci cura dei nostri padri e delle nostre madri quando “diventeranno piccoli”. Solitudine, disorientamento, stanchezza, impotenza sono dimensioni che i caregiver sperimentano quotidianamente: tutto quel bianco nella bellissima copertina firmata da Magda Azab lo restituisce in maniera impattante», spiega la giornalista Sara De Carli in un articolo di presentazione del numero monografico.

L’opera è articolata in tre capitoli. Il primo di questi sarà dedicato alle storie. Sono cinque le famiglie che hanno deciso di raccontare la propria quotidianità. Cinque testimonianze molto diverse tra loro per età dei protagonisti e delle protagoniste e per il tipo di relazione che li/le lega.
Si va dalla cosiddetta “generazione sandwich” (ossia le donne impegnate sia nella cura di figli adolescenti che di persone anziane) «al giovane caregiver, dal genitore a cui la nascita di un figlio con una disabilità complessa ha cambiato la vita fino a chi si prende cura di qualcuno avendo lui stesso bisogno di cura. Le difficoltà quotidiane si toccano con mano, i buchi del sistema pure. Il tempo per sé è la risorsa che più manca, l’amore la ricchezza più grande», racconta sempre De Carli.
C’è poi la storia dei Terconauti, due fratelli divenuti influencer sui social, quella di Margherita Tercon, sorella e caregiver di Damiano, un giovane nello spettro autistico, che si raccontano in chiave ironica. La vita da grandi, il film di diretto da Greta Scarano, attualmente al cinema, è ispirato al loro libro autobiografico Mia sorella mi rompe le balle. Una storia di autismo normale (Mondadori, 2020).
Si parlerà inoltre della Legge che dovrebbe introdurre specifiche tutele per loro, giacché in Italia, pur avendo conseguito un primo riconoscimento formale con la Legge 205/17 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) e un modesto fondo dedicato, non hanno ancora una norma nazionale che disciplini la materia.
In merito a questo profilo, nel magazine viene riportata l’indicazione della misura ritenuta più urgente da portare alla politica secondo il parere espresso da venti esperti ed esperte del settore appositamente interpellate sulla questione. Risposte che la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli ha commentato in un’intervista inclusa nella monografia.

Il secondo capitolo è dedicato quindi a “curare chi cura” e propone un panorama dei servizi più innovativi messi in campo dal Terzo Settore in questo campo. Spiega De Carli: «I caregiver ancora troppo spesso navigano senza bussola, lasciati soli ad orientarsi tra i tanti bisogni e i servizi esistenti. La cura di sé, in particolare, diventa quasi un lusso. L’innovazione? Sta nei dettagli: collocando lo sportello informativo dentro un mercato rionale; portando lo psicologo sulla strada, con un pullmino; chiamando in aiuto dei mediatori culturali. C’è chi fa leva sulla musica, chi sul camminare insieme, chi usa dei visori e chi ha inventato un palinsesto per la tv».

L’ultimo capitolo, infine, ospita delle interviste a scrittori, artisti, sceneggiatori che hanno messo la cura dell’altro al centro della loro opera: Daniele Mencarelli, Emma Ciceri, Roy Chen, Luca Doninelli, Ilaria Turba, Mariapia Veladiano, Fosco e Sirio Bertani. «Interviste sorprendenti, in cui i caregiver possono rileggere i loro gesti di cura e trovare nell’arte una forma di resistenza esistenziale», conclude De Carli. (Simona Lancioni)

A questo link è disponibile il programma dettagliato dell’evento di presentazione del numero monografico a Milano. Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H – Centro “Gabriele Giuntinelli” di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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