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La bella atmosfera del baseball per ciechi tra le tante iniziative di “SensoriAbile” a Padova

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Vi è stato anche un evento sportivo davvero speciale, quale la partita di baseball per ciechi di serie A tra Bologna e Milano, all’interno della rassegna “SensoriAbile”, che si è articolata a Padova tra eventi, spettacoli, attività sportive e laboratori multisensoriali dedicati a tutti e tutte, alle scuole e ai cittadini, per provare a mettersi “nei panni dell’altro” e favorire la conoscenza della disabilità visiva, oltre a promuovere l’accoglienza e l’inclusione, in particolar modo delle persone con deficit visivo Recupero palla in una partita di baseball per ciechi

Eventi, spettacoli, attività sportive e laboratori multisensoriali dedicati a tutti e tutte, alle scuole e ai cittadini, per provare a mettersi “nei panni dell’altro” e favorire la conoscenza della disabilità visiva, oltre a promuovere l’accoglienza e l’inclusione, in particolar modo delle persone con deficit visivo: sono state questo, nel maggio scorso, le giornate vissute a Padova nell’àmbito della rassegna SensoriAbile, iniziativa resa possibile dall’unione di forze tra la Fondazione Robert Hollman, l’UICI di Padova (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), il Comune e l’Università di Padova e l’ANIOMAP (Associazione Nazionale Istruttori Orientamento Mobilità Autonomia Personale), il tutto in collaborazione  con altre 25 realtà del territorio.

E all’interno della kermesse, vi è stato anche un evento davvero speciale, quale la partita di baseball per ciechi di serie A tra Bologna e Milano, giocata allo Stadio Plebiscito di Padova a cura della FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball) e grazie al Padova Baseball e al Rovigo Baseball e Softball.
«Il nutrito pubblico – spiegano i promotori SensoriAbile – ha potuto così apprezzare una gara di alto livello di uno sport ripensato per far giocare persone cieche e ipovedenti, dando loro la libertà di correre sul diamante. La gara si è conclusa 10-0 per il Bologna, una delle squadre più forti d’Italia, prima in classifica, pronta alla Coppa Italia nell’estate e formata da vari giocatori della Nazionale Italiana, in preparazione per i Campionati Europei. Ma al di là dello stesso risultato agonistico, ci preme sottolineare l’atmosfera davvero particolare di una disciplina in cui i giocatori recepiscono i segnali sonori, lo scampanellio della pallina, il battere delle mazze e il picchiettare dei tecnici sulle basi».

Il baseball per ciechi si sta affermando anche nel Veneto, pur mancando ancora una squadra di Padova e una rappresentativa regionale. Possono praticarlo sia giocatori ciechi che ipovedenti, giacché tutti, indistintamente, giocano con una benda sugli occhi. La FIBS ha introdotto ufficialmente questa disciplina nel 1997, anche se si giocava già in forma amatoriale a partire dal 1994. Da allora il Campionato comprende una stagione regolare, una Coppa Italia e un torneo di fine stagione. (S.B.)

Per ogni informazione e approfondimento su SensoriAbile e anche sul baseball per ciechi: ufficiostampa@sensoriabile.org.

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PUBBLICAZIONE DECRETO PART TIME DOCENTI

Ultime da A. T. P. Cosenza -

Ministero dell’Istruzione Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria – Direzione Generale Ufficio V – Ambito Territoriale di Cosenza Via Romualdo Montagna, 13 – 87100 Cosenza e-mail: usp.cs@istruzione.it – Posta ...

Storia di Michael, che oggi vive a Firenze, dove è in programma un convegno sulla SLA

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L’irlandese Michael ha la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e oggi vive a Firenze, dopo anni passati a pedalare in Europa e anche in Australia, per contribuire alla ricerca sulla sua malattia. La storia di Michael, che è seguito dall’AISLA di Firenze, è un’ottima presentazione per il convegno “La traiettoria di cura della persona con sclerosi laterale amiotrofica”, in programma domani, 13 giugno, nel capoluogo toscano, organizzato dalla Fondazione FILE e dalla stessa AISLA di Firenze

Nel 2017 la voce dell’irlandese Michael ha iniziato a rallentare. «All’inizio lo trovavo curioso, persino divertente. Pensavo facesse parte dell’invecchiamento». Poi però, dopo una vita di sport nel combattimento corpo a corpo, nota che non riesce più ad appoggiare il palmo sinistro a terra nei piegamenti. «Pensai che si trattasse di un tendine stirato. Ho semplicemente continuato a farli sulle nocche». Poi il suo viso è cambiato. La bocca si è incurvata in una smorfia perenne. «Ancora una volta, ho pensato fosse l’età. Mi sentivo in forma. Continuavo ad allenarmi, insegnavo, facevo ricerca». Eppure, la voce rallentava sempre più. I medici non trovavano nulla. «Fu un’amica a suggerirmi di vedere un neurologo. A fine 2019 parlavo ormai come il Papa alla fine della sua vita. Mi mandarono alla Salpêtrière, a Parigi. La diagnosi arrivò all’inizio del 2020: SLA (sclerosi laterale amiotrofica)».
Il medico gli prescrisse riluzolo e toco, che prende ancora oggi che ha 79 anni. Poi arrivò il Covid. Il mondo si fermò. «Mi trasferii nell’appartamento della mia compagna Marie. Abbiamo danzato, giocato a scacchi e backgammon, discusso, letto, fatto l’amore, e imparato davvero a conoscerci. Abbiamo attraversato il lockdown insieme, come una piccola isola umana in un oceano silenzioso. Fu in quel periodo che accettai la mia nuova identità di persona con SLA. Dopo la pandemia, acquistammo una casa vicino a Bordeaux, con un piano terra adatto a una futura vita in sedia a rotelle e un giardino con alberi di mele e una piscina».

Non riuscendo a entrare in programmi di ricerca, Michael si è chiesto cosa potesse fare per contribuire alla ricerca. È nata così un’idea a tratti folle: percorrere in bicicletta il Danubio, dalla Foresta Nera al Mar Nero, per raccogliere fondi per la ricerca. «E così feci. Un ciclista silenzioso. Partii nell’autunno del 2021. Mi ruppi una caviglia a est di Budapest, passai l’inverno a guarire, e conclusi il viaggio nella primavera del 2022».
A quel punto camminare era diventato difficile, ma non impossibile. «Marie mi raggiunse a Istanbul, e insieme ci rifugiammo su un’isola greca senza turisti, a goderci la calma».
Ma non finisce qui: «Quell’autunno volai in Australia per visitare il mio vecchio amico Peter Hewlett, un talentuoso suonatore di cornamusa. Decisi di percorrere in bicicletta la Flinders Highway, un tratto selvaggio della costa sud-australiana, mentre Peter mi seguiva in auto. Dormivamo in tenda o in piccole pensioni. Cadevo spesso, e potevo rialzarmi solo se c’era un gradino. I venti forti e il paesaggio duro rendevano tutto più incerto. Un giorno, spinto dal vento trasversale, dovetti fermarmi a Smokey Bay. Una notte, uscendo da una baracca per urinare, caddi sui sassi. Rimasi lì, steso sotto un cielo stellato incredibile, il fiato spezzato ma senza ferite. Dopo venti minuti strisciando, riuscii a rialzarmi. Poi mi voltai, urinai nel vento, e fissai in silenzio la Croce del Sud».

Michael oggi si è trasferito a Firenze, dove vive sua figlia Oona, che vive con la sua ex moglie. Con la progressione della malattia è stato preso in carico e seguito costantemente dai professionisti del team SLA di Neurologia di Careggi.
L’AISLA di Firenze (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) è entrata in contatto con la famiglia ancor prima del suo trasferimento in Italia, supportando la figlia con ascolto e fornendo una valida guida su tutto il percorso burocratico da affrontare. A Michael è stato offerto un percorso di fisioterapia, varie consulenze specialistiche e sostegno psicologico. Grazie alla collaborazione del suo medico curante, è stato preso in carico anche dal team di cure palliative domiciliari della FILE (Fondazione Italiana di Leniterapia), che ha lo scopo di prendersi cura delle persone con malattie croniche in fase avanzata o terminale, sia di tipo oncologico che non oncologico, orientando e coinvolgendo attivamente il paziente e la famiglia in un progetto di assistenza personalizzato.
Secondo le necessità cliniche di ciascuno, FILE organizza settimanalmente accessi domiciliari di medico, infermieri e operatori socio sanitari, per l’assistenza alla persona e fornisce un supporto telefonico per le urgenze cliniche.

Proprio sul tema della SLA si concentrerà il convegno La traiettoria di cura della persona con sclerosi laterale amiotrofica, in programma il 13 giugno a Firenze (Careggi, Aula Magna, Nic, padiglione 3), organizzato da FILE e AISLA e patrocinato dalla Regione Toscana, dall’AUSL Toscana Centro, dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi e dall’Università di Firenze. Un convegno che si rivolge a tutte le professioni sanitarie, ma che intende anche approfondire la malattia attraverso il contributo di numerosi esperti e da numerosi punti di vista: pneumologico, neurologico, psicologico. Dal sospetto clinico di SLA fino all’approccio comportamentale da tenere col paziente, dalla presa in carico ai percorsi ospedalieri, l’evento intende dunque offrire una panoramica completa sul tema. (Agenzia Galli Torrini)

A questo link è disponibile il programma completo del convegno del 13 giugno. Per ulteriori informazioni: file@gallitorrini.com.

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Solidarietà al Presidente dell’AICE dalle famiglie di persone con autismo

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«La comunità ANGSA – scrive il presidente di tale Associazione Giovanni Marino – esprime convinta vicinanza e forte solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE, impegnato in uno sciopero della fame davanti al Ministero della Salute, per protestare contro gli inaccettabili ritardi e rimandi nell’approvazione di una legge che dia piena cittadinanza a 550.000 persone con epilessia e alle loro famiglie. Come genitori di persone con autismo, abbiamo spesso subìto a nostra volta la sordità e la lentezza delle Istituzioni» La discussione in Senato per la Legge sull’epilessia attende da un anno una relazione tecnica dal Ministero della Salute e un parere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze

La comunità ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo) esprime convinta vicinanza e forte solidarietà a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia) impegnato da due giorni in uno sciopero della fame davanti alla sede del Dicastero della Salute [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.], una forma di protesta estrema contro gli inaccettabili ritardi e rimandi nell’approvazione di una legge per dare piena cittadinanza e tutela a 550.000 persone con epilessia e alle loro famiglie.
Più del 30% delle persone con epilessia versa in situazione di farmacoresistenza, assume cioè i medicinali, ma manifesta anche le crisi. Il presidente dell’AICE chiede una legge che riconosca un primo accesso e adeguate misure inclusive, per uscire dalla malsana clandestinità imposta a questa “malattia sociale”, come riconosciuta dalla nostra normativa.
L’iter della legge è bloccato da un anno perché manca una Relazione Tecnica. Come genitori comprendiamo profondamente le ragioni del presidente dell’AICE Pesce, per avere spesso subìto a nostra volta la sordità e la lentezza delle Istituzioni e la troppa accondiscendenza e ascolto a chi riteneva la disabilità connessa allo spettro autistico “di serie b”.

*Presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo).

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Batterie e riparazioni delle carrozzine a motore elettrico: pagano gli utenti?

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Secondo quanto segnalato da varie persone con disabilità e confermato anche dall’Ente Regionale, da quest’anno, in Veneto, spettano all’utente le varie spese legate alla manutenzione e alle riparazioni delle carrozzine a motore elettrico (batterie, joystick, motore). L’Ente Regionale stesso dice di «volersi attivare per definire un percorso regionale che includa anche queste prestazioni essenziali», ma cosa sta accadendo nelle altre Regioni? Batterie per carrozzina a motore elettrico

Appare decisamente grave quanto si legge in un articolo pubblicato nei giorni scorsi dal «Fatto Quotidiano», a firma di Renato La Cara, che riprendendo le segnalazioni di varie persone con disabilità, spiega come da quest’anno in Veneto spettino all’utente le varie spese legate alla manutenzione e alle riparazioni delle carrozzine a motore elettrico, pensando segnatamente alle batterie, al joystick e al motore stesso delle carrozzine.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, per altro, come da successivo aggiornamento curato sempre da La Cara, la Regione Veneto e l’assessora alla Sanità Manuela Lanzarin hanno diffuso una nota in cui dichiarano di avere applicato le norme entrate in vigore da pochi mesi: «L’entrata in vigore del Nomenclatore Allegato 5 al DPCM 12/2017 – si legge in tale nota -, avvenuta il 30 dicembre 2024 con l’approvazione delle Tariffe dell’Elenco 1, ha determinato la revoca dell’efficacia del DM n. 332/1999 su tutto il territorio nazionale. Il nuovo Nomenclatore (Allegato 5 – DPCM 12/2017) non prevede più i codici relativi alle riparazioni e sostituzioni per gli ausili rientranti nel codice ISO 12.23 (carrozzine a motore elettrico). La Regione del Veneto ha recepito la normativa nazionale attraverso la DGR n. 1587 del 30 dicembre 2024 e le Aziende Sanitarie ne hanno dato informazione agli assistiti. Nell’ottica di una presa in carico completa dei pazienti con disabilità, la Regione del Veneto si sta attivando per affrontare questa problematica e definire un percorso regionale che includa anche queste prestazioni essenziali».
A quanto pare, tuttavia, Associazioni e attivisti, come viene ancora riportato nell’articolo del «Fatto Quotidiano», negano di essere stati informati dalle Aziende Sanitarie.

Seguiremo naturalmente gli sviluppi di tale questione, chiedendoci anche, però, come stiano le cose nelle altre Regioni del nostro Paese. (S.B.)

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Donne detenute e donne con disabilità interagiscono, creano abiti e sfilano insieme

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Realizzato dall’UICI di Torino, il progetto “Creatività inclusiva” ha fatto incontrare un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e alcune donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. I capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti, sia le detenute stesse  Foto di gruppo per le persone coinvolte nel progetto “Creatività inclusiva”

Carcere e disabilità sono mondi solo in apparenza lontani: in realtà hanno molto da dirsi. Ed entrambi, seppure con le ovvie differenze, sperimentano stereotipi, isolamento, difficoltà nell’essere visti e riconosciuti. È nato da questa consapevolezza il progetto Creatività inclusiva, realizzato dall’UICI di Torino (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), con il contributo della Fondazione CRT, iniziativa che ha reso possibile l’incontro tra un gruppo di donne detenute della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e un gruppo di donne cieche e ipovedenti che, lavorando fianco a fianco, sotto la guida di una stilista, hanno realizzato una collezione di abiti di sartoria. Questi capi sono stati poi mostrati in una sfilata di moda molto particolare, che si è svolta all’interno del carcere e che ha avuto come indossatori e indossatrici sia persone cieche e ipovedenti (la passerella è stata adattata con accorgimenti tattili per facilitare la mobilità autonoma), sia le detenute stesse. Le protagoniste, dunque, hanno seguito il lavoro per intero, dalla sartoria alla passerella. Gli abiti saranno poi venduti in un’asta benefica, il cui ricavato andrà a sostegno degli Enti coinvolti (tutte realtà del Terzo Settore).

Un progetto di tale complessità è stato possibile solo grazie a un grande lavoro di rete. Oltre infatti all’UICI di Torino, alla casa circondariale Lorusso e Cutugno e alla Fondazione CRT, che ha sostenuto l’iniziativa nell’àmbito del bando Tempo per una vita migliore, tante altre sono state le realtà coinvolte: la Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri, che coordina il progetto LEI (Lavoro, Emancipazione Inclusione), volto a favorire la crescita sociale e lavorativa fuori e dentro il carcere (un progetto cui afferiscono anche molte altre delle realtà coinvolte); l’Associazione EssereUmani, che all’interno del carcere organizza il laboratorio sociale e professionale Arione; la Cooperativa Patchanka, che gestisce la sartoria Il Gelso, con due unità di produzione, una all’esterno e una all’interno del carcere; il laboratorio orafo Forma e materia della Città di Torino, dove lavorano persone con disabilità psicofisiche e i cui monili sono stati indossati durante la sfilata; l’Associazione Mana che, attraverso il progetto Riflessi. Percorsi per rifiorire, propone laboratori di make up therapy rivolti a donne con disabilità vittime di violenza e che, per la sfilata, si è occupata del trucco degli indossatori e delle indossatrici.

Un’immagine della sfilata di moda nel teatro della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino

Prezioso anche il coinvolgimento dell’Università di Torino, i cui allievi dei corsi in Servizio Sociale ed Educazione Professionale sono stati parte integrante dell’iniziativa.
Un ruolo insostituibile, infine, spetta alla stilista Aythya, progettista di moda che fonde pittura su seta e design, trasformando i capi in dipinti indossabili, cui si aggiungono – per questa esperienza – sensazioni tattili e profumi.

Altrettanto complessa è stata l’organizzazione del progetto. I mesi di marzo, aprile e maggio sono stati dedicati al lavoro sartoriale. Alcuni elementi degli abiti sono stati realizzati all’interno del carcere, dalle detenute che frequentano il citato laboratorio Arione e dalle donne con disabilità visiva, a loro volta portatrici di un’esperienza maturata in un progetto di cucito. Per gli elementi che invece hanno richiesto attrezzature e professionalità più specifiche, è entrata in gioco la sartoria Il Gelso.
Il 5 giugno, quindi, in occasione della sfilata conclusiva nel teatro della casa circondariale, dopo che detenute e persone con disabilità visiva hanno mostrato gli abiti in passerella, si è tenuto un talk, coordinato dal professor Paolo Bianchini dell’Università di Torino), con tutti i diretti protagonisti (indossatrici, indossatori e sarte), insieme a esponenti delle Istituzioni, sostenitori e attori coinvolti.

«I detenuti e le detenute vivono una separazione fisica, spesso lacerante, dal resto del mondo. Nel caso delle persone con disabilità, l’isolamento è meno marcato e forse meno evidente, ma permangono barriere e pregiudizi difficili da sradicare. Ecco perché questi due mondi, in apparenza lontani, hanno in realtà alcuni aspetti in comune – fanno notare, per l’UICI di Torino il presidente Gianni Laiolo e l’ideatrice del progetto Alessia Dall’Antonia –. Ma, al di là dei ruoli e delle categorie, esistono solo le persone. È stato bello e, per certi versi, commovente, notare come, fin dall’inizio del progetto, le donne detenute e le donne con disabilità visiva siano riuscite a interagire, con grande naturalezza, condividendo non solo il lavoro manuale, ma anche domande, riflessioni e aspetti delle loro vite. Facciamo tesoro di questa esperienza, per molti versi inedita, perché è un seme da custodire e far crescere». (L.M.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa UICI di Torino (Lorenzo Montanaro), ufficio.stampa@uictorino.it.

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La bellezza che spiazza del Teatro la Ribalta

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È stata recentemente raccontata anche in un libro la storia intensa e coraggiosa del Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), che ha trasformato Bolzano in un centro di eccellenza per il teatro inclusivo. Ne abbiamo parlato con il fondatore e direttore della compagnia Antonio Viganò Una scena di “Superabile”, rappresentazione portata in scena ormai da alcuni anni dal Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt di Bolzano

La storia intensa e coraggiosa del Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), che ha trasformato Bolzano in un centro di eccellenza per il teatro inclusivo è stata recentemente raccontata, come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine, nel libro Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt 2013-2023. Dieci anni straordinariamente normali, un volume decisamente degno di attenzione. Del libro stesso e di molto altro abbiamo parlato con Antonio Viganò, fondatore e direttore della Ribalta.

Il Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt ha sempre rivendicato il diritto di essere “parte del teatro” e non “un teatro a parte”. In quale modo questa visione si è evoluta nel corso dei dieci anni raccontati nel libro?
«Qualcosa lentamente è cambiato. Quando oggi parliamo di “teatro sociale” o di “teatro handicap” o di “teatro inclusivo”, il sostantivo è sempre più spesso la parola teatro e questo ci aiuta per definire che l’attività creativa, con tutti i linguaggi e/o le forme possibili che il teatro ci dà, appartiene a tutti e non solo a talune categorie. Si distingue meglio ciò che appartiene all’atto teatrale che si carica su di sé la responsabilità etica e politica di un’estetica, di un linguaggio, una forma, una consapevolezza di essere “attori”, che si trasformano e che trasformano. La visione delle diversità in scena, la visione delle infinite sproporzioni e asimmetrie fisiche e mentali, una volta suscitava soltanto pietismo e bastava; oggi, quando fatto con serietà, il teatro è capace di evocare i segreti e i misteri originali che ha sempre custodito in sé.
Poi c’è chi invece appartiene a quello che è un atto importante e necessario di liberazione personale, esperienza privata di consapevolezza e coscienza di sé, scoperta delle emozioni e sentimenti. Chi vuole dare senso al teatro ha bisogno che tutti questi elementi – estetica, consapevolezza, coscienza scoperta e presenza – si fondano insieme».

Rivendicate la volontà di essere un soggetto culturalmente utile e non utile socialmente: è un’affermazione che mira anche a contrastare il cosiddetto “politicamente corretto” come forma di edulcorazione dei rapporti sociali o c’è dell’altro?
«È la volontà di ribadire che il nostro diventare e/o essere socialmente utili avviene e si materializza nel momento in cui il nostro essere un soggetto culturale, una compagnia di teatro d’arte, modifica tutti i paradigmi, sconfigge le ingiustizie, i pregiudizi, i giudizi affrettati, le paure e gli stereotipi di chi crede che essere una persona in situazione di disagio e handicap fisico e psichico non possa essere qualcos’altro che non la sua patologia. Il buonismo fa danni profondi e ingessa le persone nella loro condizione. Una “tirannia della normalità”, come l’ha chiamata Julia Kristeva».

L’approccio artistico della compagnia non è né terapeutico né pedagogico, ma mira a cogliere il mistero e la diversità delle esperienze umane. Come questa prospettiva ha influenzato le scelte drammaturgiche e gli spettacoli prodotti, tenendo conto che i vostri spettacoli attingono alle fonti più diverse (fiabe, tragedie di Shakespeare, opere di Pirandello, letteratura ottocentesca)? In altre parole, come scegliete i testi e cosa vi guida in questa scelta?
«Lavoriamo sui temi che – provenienti da fonte diverse, opere e testi drammatici, romanzi, anche solo piccole suggestioni poetiche – ci cadono addosso o forse, più sinceramente, mi cadono addosso. Ho attori e attrici di qualità, consapevoli del peso e del senso delle parole che dicono sul palco, pienamente coscienti e padroni delle emozioni che provano. Questo mi permette di buttare in sala prove suggestioni, azioni, momenti di dialogo e approfondimento e vedere, dalle risposte che ricevo da loro stessi, cosa scaturisce. Ognuno è un narratore della propria vita, della propria esperienza e filtra le mie proposte dentro questo sentire, dentro questo essere. Ci sono parole, nei grandi testi, che nei corpi e nelle parole dei miei attori risuonano profondamente, prendono un senso più grande: “Vogliamo dimostrarvi che si nasce alla vita in tanti modi e in tante forme” (Pirandello), recitato da un mio attore che porta sul corpo lo stigma di una diversità rimanda questi versi a nuovi significati».

Il volume che recentemente ha ripercorso il percorso del vostro teatro lo ha fatto attraverso analisi e testimonianze. Ma ci sono anche aspetti del lavoro della compagnia che sono rimasti fuori dalla narrazione del libro?
«Tante cose, forse troppe. Solo nella poesia di Paola Guerra si può intravedere l’amore per il lavoro, l’accanimento per trovare una lingua teatrale che ci corrisponda, le gioie e le felicità di quando ci sentiamo dire “Incredibile, nessuno avrebbe mai immaginato tanta bellezza e tanta professionalità, qualità attoriale!”. È tutto fatto sempre lontano da ogni forma di narcisismo personale. Solo per una scommessa con noi stessi di essere capaci di trasformare sguardi e pensieri.
Il teatro, così come la danza, è un linguaggio che comunica, in mille forme diverse, l’idea di bellezza: ma cos’è per voi – e per noi – la bellezza? Ci piace usare spesso un pensiero del filosofo coreano Byung-chul Han dove la bellezza non è intesa come stupore, ma come spiazzamento, quasi doloroso, perché interroga. La bellezza che si nutre di quella ferita che è generatrice di arte».

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Le novità sulla valutazione degli alunni con e senza disabilità

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Nel gennaio scorso, a seguito dell’approvazione della Legge 150/24 (“Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati”), il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato un’Ordinanza e una Circolare, con le quali sono state recepite le novità introdotte da tale Legge in tema di valutazione degli alunni e delle alunne. Vediamo di cosa si tratta

A seguito dell’approvazione della Legge 150/24 (Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati), il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato l’Ordinanza sulla valutazione degli alunni per l’anno scolastico 2024/25 n. 3 del gennaio di quest’anno e la Circolare n. 2867, sempre in gennaio, in cui si recepiscono le novità introdotte da tale Legge.
Quest’ultima ha introdotto l’obbligo della valutazione per gli alunni di scuola primaria con «6 giudizi sintetici» che sostituiscono i voti (“Ottimo”, “Distinto”, “Buono”, “Discreto”, “Sufficiente”, “Non sufficiente”). In tal senso il Ministro ha mantenuto la promessa che avrebbe eliminato tutti i giudizi inferiori a 5, perché inutilmente screditanti; infatti il giudizio sintetico più basso è non sufficiente, onnicomprensivo.
Ovviamente, accanto ad ogni giudizio sintetico dev’essere formulato un “descrittore” che è la griglia di valutazione e la motivazione del giudizio sintetico stesso; per maggiore chiarezza, è possibile, ma non obbligatorio, indicare pure gli obiettivi di apprendimento il cui livello di raggiungimento per ogni singola disciplina chiarisce ulteriormente il significato del giudizio sintetico e la motivazione di esso: la Circolare fornisce alcuni esempi molto chiari a tal proposito.

Per gli alunni con disabilità e DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) un’apposita norma, l’articolo 4 della suddetta Ordinanza n. 3, stabilisce che la valutazione venga effettuata sulla base del rispettivo PEI o PDP [Piano Educativo Individualizzato e Piano Didattico Personalizzato, N.d.R.], ciò in base al principio di personalizzazione chiaramente espresso, per gli alunni con disabilità, dall’articolo 16, comma 2 della Legge 104/92, secondo il quale il PEI dev’essere formulato guardando alle «effettive capacità» dell’alunno, e quindi non agli obiettivi fissati per tutta la classe; inoltre, il comma 1 dello stesso articolo 16 stabilisce che sia legittima «la riduzione parziale» dei contenuti di talune discipline che possono essere sostituiti da «attività integrative». Si badi bene, però, che non è consentito escludere lo studio e quindi la valutazione anche di una sola disciplina, poiché, in tal caso, l’alunno otterrà sì l’ammissione alla classe successiva sino alla terza media e agli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione, non potendo però conseguire il diploma, come stabilito dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 62/17, ma ricevendo solo un “attestato”. Egli, invece, dev’essere promosso alla classe successiva e ha diritto al diploma, se raggiunge «gli obiettivi del suo PEI», anche ovviamente qualora essi non corrispondano a quelli stabiliti dalle Indicazioni nazionali e dal PTOF di istituto (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) per tutti gli alunni, purché dimostri «dei progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti».

Di qui, pertanto, vi sono due operazioni necessarie da compiersi da parte dei docenti della classe: 1) Effettuare dei test di ingresso all’inizio dell’anno scolastico per rilevare i «livelli iniziali degli apprendimenti», valutando l’eventuale miglioramento durante l’anno scolastico; 2) Individuare bene gli obiettivi del PEI, calibrati «sulla base delle effettive capacità». A tal proposito giunge opportuna la previsione dell’Ordinanza n. 3/25, “facoltativa” per tutti, ma obbligatoria per l’alunno con disabilità, di indicare, nel documento di valutazione, oltre al descrittore del giudizio sintetico, pure «gli obiettivi specifici» fissati nel suo PEI.

Quanto alla valutazione del comportamento, la Legge 150/24 citata ha introdotto anche per la scuola secondaria di primo grado la penalizzazione sul profitto degli alunni che conseguono un giudizio negativo inferiore a 6, consistente nella bocciatura.

Infine, l’Ordinanza e la Circolare citate precisano che, dato il ritardo di emanazione di tali atti, solo per quest’anno la valutazione finale non può effettuarsi sulle valutazioni di tutto l’anno scolastico, ma solo sulla base dell’ultimo periodo valutativo fissato da ciascuna scuola, sia esso il trimestre o il quadrimestre.

Essendo proprio adesso in corso gli scrutini e gli esami degli alunni di scuola primaria, sembra opportuno fare qualche breve riflessione su tale nuova normativa. Quanto all’ultima disposizione citata, è però da ritenere, come espressamente previsto dalla norma, che il giudizio inferiore a sei circa la condotta degli alunni delle scuole secondarie di primo grado debba riguardare pure comportamenti molto negativi svolti anche durante il primo quadrimestre, a differenza della valutazione finale del profitto che, solo per quest’anno, si baserà esclusivamente sui risultati rilevati durante il secondo periodo dell’anno scolastico.
E a proposito della sanzione disciplinare della bocciatura per gli studenti delle scuole superiori – e ora pure per gli alunni delle scuole primarie – conseguente a comportamenti gravemente scorretti, mi permetto di osservare che la ritengo una pena eccessiva, che può alterare i risultati degli apprendimenti e che potrebbe in taluni casi avere pure effetti distorsivi.
Infatti la cosiddetta “generazione Z”, cioè i giovani nati negli ultimi vent’anni, è costituita da adolescenti fortemente esposti a sollecitazioni che stanno disturbando la loro normale crescita emotiva, affettiva e razionale. L’esposizione ai social fin dalla più tenera età, ad esempio, sta producendo molti effetti psicologici mai verificatisi prima, con conseguenze negative sulla crescita della loro personalità. Mai come oggi, infatti, le cronache segnalano casi di adolescenti aggressivi o, al contrario, chiusi in sé e in casa. Pertanto una bocciatura potrebbe indurre l’adolescente a non tornare a scuola per ripetere, rendendolo uno dei tanti giovani che né studiano né lavorano, ossia i più esposti al rischio di divenire asociali e preda della malavita. E quindi, invece della bocciatura, che talora potrebbe assurdamene riguardare adolescenti con buoni risultati di profitto scolastico, sarebbe stato e sarebbe più opportuno pensare ad altri tipi di mezzi correttivi.
Ad esempio, mentre gli alunni continuano a frequentare la classe successiva, si potrebbe coinvolgerli, al pomeriggio, in attività sociali con cooperative o altri Enti del Terzo Settore che insegnano l’italiano ai giovani stranieri, o che si occupano di mense per i poveri o ancora di altre attività di promozione sociale. Forse queste attività obbligatorie, più della ripetenza, potrebbero aiutare questi adolescenti a divenire più rispettosi degli altri e quindi pure di sé.

*Il presente approfondimento è già apparso in «La Tecnica della Scuola», con il titolo “Valutazione alunni primaria: tornano i giudizi sintetici, il “nodo” del comportamento” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore e con altro tiolo, per gentile concessione.

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La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera

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«La crescente complessità che la Pedagogia Speciale ha dovuto affrontare nel corso degli anni richiede uno sguardo transdisciplinare, mettendo in dialogo modi differenti di leggere e costruire la realtà dell’inclusione»: partirà da questo assunto il Convegno Nazionale 2025 della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), denominato “La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera. L’inclusione nel dialogo transdisciplinare, tra sentieri e sconfinamenti”, in programma il 13 e 14 giugno presso l’Università di Udine

«Nel corso degli anni, la Pedagogia Speciale è stata chiamata ad affrontare sfide e bisogni educativi di crescente complessità, soprattutto in virtù del superamento dei confini rappresentati dalla più classica e codificata definizione di disabilità. Una complessità che richiede necessariamente uno sguardo transdisciplinare, mettendo in dialogo modi differenti di leggere e costruire la realtà dell’inclusione, abitando quei territori di confine che possono dar luogo a sconfinamenti e spaesamenti epistemologici, ma che possono al contempo essere forieri di incontri e di sentieri condivisi. Obiettivo di questo incontro, quindi, è favorire una riflessione sulla vocazione transdisciplinare della Pedagogia Speciale e su come sia possibile costruire percorsi inclusivi, favorendo appunto il dialogo e lo sconfinamento tra differenti prospettive disciplinari».
Viene presentato così il Convegno Nazionale 2025 della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), denominato La Pedagogia Speciale come territorio di frontiera. L’inclusione nel dialogo transdisciplinare, tra sentieri e sconfinamenti, in programma domani, 13 giugno e sabato 14 presso l’Università di Udine e in collaborazione con la stessa, avvalendosi anche del patrocinio della CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità). (S.B.)

Ringraziamo CERPA Italia per la segnalazione.

A questo link è disponibile il programma completo del convegno. Per ogni ulteriore informazione: sipes.udine@uniud.it.

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Continua in Toscana la protesta delle persone con disabilità per la Vita Indipendente

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Dopo il presidio di protesta del 5 maggio a Firenze, non avendo ricevuto dalla Presidenza della Regione Toscana alcun riscontro alle proprie richieste, l’AVI Toscana ne ha indetto un altro per il 16 giugno, sempre a Firenze, per risolvere i diversi problemi riscontrati nell’applicazione della nuova disciplina regionale di accesso ai contributi per la Vita Indipendente. L’Associazione invita tutte le persone con e senza disabilità a partecipare all’iniziativa, «per sostenere questa battaglia di civiltà» Alcune delle persone con e senza disabilità che il 5 maggio scorso a Firenze hanno partecipato al presidio di protesta promosso dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana) sotto la pioggia, davanti al palazzo della Presidenza della Regione Toscana

Per difendere il loro diritto alla Vita Indipendente, intesa come assistenza personale autogestita, le persone con disabilità della Toscana sono scese in piazza tante volte. L’ultima lo scorso 5 maggio, sollecitate dall’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), a Firenze, nonostante l’allerta meteo arancione e la presenza di due file di Carabinieri schierati davanti al palazzo della Presidenza della Regione per impedire che le persone intervenute al presidio potessero entrare a ripararsi dalla pioggia (ne abbiamo riferito anche su queste pagine). In quell’occasione, nel primo pomeriggio, dopo diverse ore sotto la pioggia, due esponenti dell’AVI Toscana erano stati ricevuti da Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, e da Serena Spinelli, assessora regionale alle Politiche Sociali. La delegazione aveva così potuto esporre le ragioni della protesta e anche le proprie osservazioni sulla Proposta di Legge Regionale sulla Vita indipendente, elaborate da Raffaello Belli, e liberamente fruibili a questo link.

Dunque, le persone con disabilità attendevano un riscontro circa la disponibilità della Regione Toscana ad accogliere le richieste avanzate, ma non avendo ricevuto dalla Dirigenza alcuna comunicazione in merito, l’AVI Toscana ha deciso di indire un ulteriore presidio di protesta, ancora una volta a Firenze, davanti al palazzo delle Presidenza della Regione Toscana (Piazza Duomo, 10), per il pomeriggio del 16 giugno prossimo (dalle 14.30), allo scopo di sollecitare il presidente Giani a risolvere i problemi illustrati nell’incontro del 5 maggio.

Per l’AVI Toscana, attualmente, i problemi più urgenti da risolvere sono i seguenti:
1. Erogazione del contributo assegnato entro il giorno 25 del mese di riferimento.
2. Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale di ogni singola persona con disabilità.
3. Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale in base al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e a quanto stabilito dall’INPS.
4. Rendicontazione almeno trimestrale, concedendo almeno quindici giorni per la consegna della stessa.
5. Eliminazione delle differenze di trattamento fra le varie zone della Toscana.

Anche in questa occasione dall’organizzazione raccomandano di portare l’ombrello, questa volta per ripararsi anche dal sole. «Si sollecita la presenza a tale presidio di quante più persone con disabilità possibile e di tutte le persone senza disabilità che vorranno e potranno sostenere questa battaglia di civiltà»: è l’appello dell’AVI Toscana. (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: avitoscana@avitoscana.org.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, insieme all’immagine utilizzata, per gentile concessione.

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“Fammi una domanda”: un mazzo di carte per liberarsi dai pregiudizi

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Ben 435 studenti e studentesse, con e senza disabilità, di tre istituti secondari di secondo grado di Milano sono stati coinvolti nel progetto “Patti di Amicizia Lunga”, realizzato da CBM Italia, per favorire l’inclusione sociale di ragazzi e ragazze con disabilità, proponendo occasioni di socializzazione e formazione. Ne è nato tra l’altro “Fammi una domanda. Un gioco senza etichette, basato su un mazzo di carte, corrispondenti a 45 domande emerse durante i laboratori, «per liberarsi dal pregiudizio e dalle etichette» Una delle carte del mazzo di “Fammi uuna domanda. Un gioco senza etichette”

Favorire l’inclusione sociale di ragazzi e ragazze con disabilità, proponendo all’interno della scuola occasioni di socializzazione e formazione, per promuovere la partecipazione attiva e guardare con fiducia alla vita adulta: come avevamo scritto nel marzo scorso, presentando l’iniziativa, era stato questo l’obiettivo per cui era nato il progetto Patti di Amicizia Lunga, realizzato a Milano da CBM Italia, la nota organizzazione internazionale impegnata nella salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità in Italia e nel mondo, con il contributo della Fondazione di Comunità Milano.

Dall’inizio del progetto, dunque, sono stati coinvolti ben 435 studenti e studentesse, con e senza disabilità, di tre istituti secondari di secondo grado del capoluogo lombardo (Istituto Galilei-Luxemburg, Istituto Besta, Istituto Oriani Mazzini), in diversi laboratori dedicati ad adottare comportamenti inclusivi, migliorando così la qualità di vita dentro e fuori la classe.
I primi incontri sono stati utili alle esperte di CBM Italia per raccontare in cosa consista la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e l’approccio di essa basato sui diritti umani, oltre all’utilizzo di un linguaggio inclusivo e rispettoso. Sono seguiti quindi momenti di riflessione e scrittura sulle relazioni, sul futuro, sull’esclusione, e ancora, racconti e confronti.

Uno dei laboratori del progetto “Patti di Amicizia Lunga”

Da tutto ciò, i ragazzi e le ragazze hanno inventato il gioco denominato Fammi una domanda. Un gioco senza etichette, basato su un mazzo di carte, che corrispondono a 45 domande emerse durante i laboratori, domande che facilitano il confronto, la conoscenza e la comprensione dell’altro. Eccone alcune qui di seguito:
°Com’è far parte di un gruppo?
°In cosa ti senti diverso dalle persone che ti circondano?
°Quando mi guardi, cosa vedi?
°In questo momento della tua vita, se l’esclusione fosse una persona, chi sarebbe?
°Quando ti senti escluso, è sempre colpa degli altri o anche tua?
°Cosa faresti se il gruppo ti chiedesse di escludere qualcuno?

Un gioco educativo, dunque, creato per facilitare il dialogo, cambiare punto di vista e rispettare le diversità. Come spiegano le istruzioni del gioco stesso, «per liberarsi dal pregiudizio e dalle etichette, per scoprire cosa abbiamo in comune. Il gioco non ha regole e non prevede vincitori, ma richiede una certa dose di coraggio». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: caterina.argiro@leacrobate.it (Caterina Argirò).

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Solidarietà dal mondo politico e professionale all’iniziativa dell’AICE

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Numerose manifestazioni di solidarietà bipartisan dal mondo politico, nonché dal mondo degli speciaalisti di cura dell’epilessia, sono arrivate a Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE, in sciopero della fame affinché vengano finalmente consegnate al Senato la Relazione Tecnica del Ministero della Salute e il parere del Ministero dell’Economia e Finanze, sbloccando la discussione sul Disegno di Legge 898 (“Disposizioni per la tutela delle persone affette da epilessia”) Immagine-simbolo di una campagna lanciata nel 2023 dall’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), insieme alla FIRE (Fondazione Italiana Ricerca Epilessia)

Sono state numerose le manifestazioni di solidarietà ricevute da Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), in sciopero della fame da ieri, come abbiamo riferito sulle nostre pagine, affinché dopo un’attesa di un anno, venga consegnata al Senato la Relazione Tecnica del Ministero della Salute sul Disegno di Legge 898 (Disposizioni per la tutela delle persone affette da epilessia), insieme al necessario parere del Ministero dell’Economia e Finanze.
Oltre infatti a quanto espresso in modo bipartisan dai senatori Daniela Sbrollini, Elisa Pirro, Sandra Zampa e Ignazio Zullo, va anche registrata la lettera (disponibile a questo link), indirizzata al ministro della Salute Orazio Schillaci e a quello dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, oltreché ai Parlamentari, da parte di varie firme del mondo degli specialisti per la cura dell’epilessia che operano nelle diverse Università Italiane e che appartengono a Società Scientifiche Nazionali e Internazionali (Emilio Franzoni, Alberto Spalice, Renzo Guerrini, Federico Vigevano, Paolo Curatolo, Pasquale Striano, Pasquale Parisi, Francesco Pisani, Duccio Maria Cordelli, Antonia Parmeggiani, Alberto Verrotti, Stefano Meletti, Agnese Suppiej).
Vi si chiede tra l’altro «una Legge che, oltre al sostegno alla cura ed alla ricerca, riconosca alle oltre 550.000 persone con epilessia l’accesso ad adeguate misure inclusive e antidiscriminatorie, per poter essere considerati cittadini che possano godere dei diritti al pari degli altri cittadini. Con il dovuto riconoscimento della condizione diagnostica, sia essa definita come remissione-risoluzione oppure farmaco resistenza fino anche alla dichiarazione di guarigione».

Dal canto suo, il presidente dell’AICE Pesce, oltre a ringraziare per le manifestazioni bipartisan ricevute dai senatori sopracitati, sottolinea come «quella espressa dal mondo degli specialisti nella cura dell’epilessia faccia chiarezza che, per tale patologia, tra le prognosi debba essere considerata, oltre alla remissione (“assumo i farmaci e non manifesto le crisi”), la risoluzione (“non ho più crisi da 10 anni di cui 5 senza assumere farmaci”), la farmaco-resistenza (“nonostante assuma i farmaci manifesto le crisi), ma anche la guarigione, ora riconosciuta per Legge a 10 anni di assenza di crisi e di assunzione di relativa terapia».
«In altre parole– conclude Pesce – questa è una precisa conferma del riconoscimento dei casi di guarigione (più del 30% dei casi di epilessia nell’età evolutiva, come da Linee Guida del 2017, Il trattamento dell’epilessia in età pediatrica, 2017, che, come documentato nel sito della nostra Associazione, alcuni colleghi di tali specialisti intendono oggi negarla per tutti, pur avendola, sino a ieri, rivendicata pubblicamente».
Continueremo naturalmente a seguire gli sviluppi di questa situazione e dell’iniziativa dell’AICE. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: assaice@gmail.com.

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A novembre in Sudafrica ci sarà il primo “G20 – Inclusione e Disabilità”

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La ministra per le Disabilità Locatelli ha partecipato, presso la Rappresentanza Permanente del Sudafrica alle Nazioni Unite, alla riunione preparatoria del primoG20 – Inclusione e Disabilità”, in programma per il 4 e 5 novembre prossimi a Pretoria, in Sudafrica appunto, evento ispirato dalla “Carta di Solfagnano”, prodotta nell’ottobre dello scorso anno a conclusione del “G7 – Inclusione e Disabilità” in Umbria La ministra per le Disabilità Locatelli con la ministra sudafricana Chikunga

Presente a New York per la 18^ Conferenza Annuale degli Stati Parte della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, come abbiamo riferito nei giorni scorsi, la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli ha partecipato, presso la Rappresentanza Permanente del Sudafrica alle Nazioni Unite, alla riunione preparatoria del primo G20 – Inclusione e Disabilità, in programma per il 4 e 5 novembre prossimi a Pretoria, in Sudafrica appunto, evento ispirato dalla Carta di Solfagnano, prodotta nell’ottobre dello scorso anno a conclusione del G7 – Inclusione e Disabilità in Umbria.
«Ringrazio la ministra sudafricana per le Persone con Disabilità Sindisiwe Chikunga – ha dichiarato Locatelli – per il suo impegno nella realizzazione del prossimo Forum ministeriale sui temi della disabilità, fondamentale per continuare il lavoro iniziato con il G7 in Italia. Dobbiamo lavorare sempre di più, e insieme, per tenere alta l’attenzione e promuovere una visione rinnovata che valorizzi le potenzialità e non i limiti di ogni persona». (S.B.)

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I musei quali servizi culturali aperti, accessibili e fruibili da tutti e tutte

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Aperto a tutti e tutte e fruibile sia in presenza (a Roma, presso la regione Lazio) che a distanza, è in programma per il 12 e 13 giugno il convegno “Il Museo aperto. Percorsi e metodologie per l’accessibilità e la partecipazione. Esperienze a confronto nella Regione Lazio”, incontro nato dall’esigenza di condividere la visione dei musei quali servizi culturali aperti, accessibili e fruibili da tutti, assumendo la co-progettazione come elemento imprescindibile della pratica museale

Aperto a tutti e tutte, è in programma per il 12 e 13 giugno il convegno Il Museo aperto. Percorsi e metodologie per l’accessibilità e la partecipazione. Esperienze a confronto nella Regione Lazio, fruibile sia in presenza (Roma, sede della Regione Lazio, il 12 giugno nella Sala Tirreno, Piazza Oderico da Pordenone, 15, ore 9.30-17.30; il 13 giugno nella Sala Tevere, Via Cristoforo Colombo, 212, ore 9.30-17.30), sia a distanza (in YouTube, il 12 giugno a questo link, il 13 giugno a quest’altro).

Patrocinato dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco e promosso da Simona Renata Baldassarre, assessora alla Cultura, alle Pari Opportunità, alle Politiche Giovanili e della Famiglia, al Servizio Civile della Regione Lazio, e da Luca Fegatelli, direttore del medesimo Assessorato Regionale, «l’incontro – come spiegano i promotori – nasce dall’esigenza di condividere la visione dei musei quali servizi culturali aperti, accessibili e fruibili da tutti, assumendo la co-progettazione come elemento imprescindibile della pratica museale. Ed è in tale ottica che Musei del territorio regionale e Associazioni di persone con disabilità e dei loro caregiver si incontreranno in questa occasione, per dare vita a una riflessione che parta dal tema dell’accessibilità, per ripensare spazi espositivi, allestimenti, progetti di sistema e programmi educativi. Le esperienze dei Musei e di Istituti similari e dei Sistemi museali dell’Organizzazione Museale Regionale (OMR) verranno dunque presentate, nella due giorni presso la Regione Lazio, attraverso lo sguardo di direttori ed operatori a confronto con esperti del settore, fornendo un’occasione per riflettere su come i piccoli e medi musei – ossatura del patrimonio culturale del Paese – possano sempre più coinvolgere pubblici diversificati e diventare spazi di dialogo e progettazione condivisa».
L’evento sarà concluso da quattro workshop, condotti da professionisti museali e da esperti di accessibilità.

Da ricordare, in conclusione, che l’organizzazione scientifica del convegno sarà a cura dell’Area Comunicazione e Promozione dei Servizi Culturali e del Coordinamento regionale Lazio di ICOM Italia, il Consiglio Internazionale dei Musei, avvalendosi anche della collaborazione della Consulta Regionale per i Problemi della Disabilità e della Scuola Nazionale del Patrimonio e delle Attività Culturali. (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo della due giorni. Per ulteriori informazioni: consultaregionaledisabilita@gmail.com.

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Una mamma di vecchia generazione, ovvero L’albinismo dalla parte del genitore

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«Sono una mamma di “vecchia generazione” con una figlia albina – scrive Laura Bonanni, nell’imminenza della Giornata Internazionale dell’Albinismo del 13 giugno – e vorrei accompagnare questa mia testimonianza personale con un augurio di incoraggiamento alle attuali mamme di bambini albini: Non scoraggiatevi e se avete bisogno di aiuto, cercatelo. Conoscere il problema, parlarne, confrontarsi è un fatto positivo che aiuta a uscire dall’anonimato e a non sentirsi più “bestie rare”» Una bimba con albinismo

In prossimità del 13 giugno, Giornata Internazionale dell’Albinismo, ho pensato di condividere la testimonianza di una mamma di figlia albina e più precisamente la mia, Angelica. Credo infatti che questo tipo di testimonianze possano veramente aiutare a ridimensionare paure, ansie, luoghi comuni e pregiudizi: ne abbiamo tutti un grande bisogno per andare avanti nella vita, con ottimismo, costruttività e adultità.
Questa esperienza si trova pubblicata, in forma anonima, nel libro Chiari per natura, uscito nel 2012, frutto di un progetto editoriale nato su idea dello staff del portale Albinismo.eu, condiviso e successivamente finanziato dall’Ospedale Niguarda di Milano.
Il libro, fondamentalmente diviso in due parti, raccoglie, nella prima, relazioni di vari professionisti che trattano a tutto campo l’anomalia genetica dell’albinismo e le normative legislative, mentre nella seconda, vi sono testimonianze di vario genere.
Riporto dalla quarta di copertina: «L’idea di scrivere un libro sull’albinismo nasce dal bisogno e dal desiderio di far conoscere l’esistenza di questa anomalia genetica, non molto diffusa, così “particolare” soprattutto per le sue peculiarità estetiche, che spesso destano curiosità e falsi giudizi nelle persone. Un libro per divulgare in modo scientificamente corretto cosa sia effettivamente l’albinismo e per esplicitare a chiare lettere, con serenità e positività, che con questa “diversità” si può vivere, convivere e crescere».

Sono una mamma di “vecchia generazione” con una figlia albina. Ai miei tempi (Anni Sessanta), almeno per la mia esperienza, gli albini sembravano provenire da un altro pianeta. Nessuno, tra le persone da me conosciute, ne aveva mai visto uno; la curiosità della gente, quando uscivo, la ricordo morbosa e invadente: sguardi insistenti e risolini erano all’ordine del giorno. Ricordo una signora nella stazione di Roma Termini che, strattonando sua figlia, indicava nella nostra direzione, a voce alta, destando la curiosità di altri passeggeri in partenza.
Quella volta la mia reazione fu immediata; affrontai la signora, dicendole che poteva «soddisfare la sua curiosità malata» semplicemente chiedendo! Le dissi che era una maleducata, che mia figlia non era un fenomeno da baraccone e tante altre cose. Come finì? La signora perse il treno, la gente intorno, frettolosamente scomparve, mia figlia, che aveva allora solo quattro anni, stringendomi la mano si prese cura di me e disse: «Mammina non ti preoccupare, fa finta di niente…!».
Certo è che da allora il mio atteggiamento nei confronti del mondo, della vita è radicalmente cambiato. Come ho fatto? Sono cresciuta in fretta, sono diventata più responsabile e determinata; la vita stessa, nella quotidianità, mi è stata maestra! Intanto ho imparato a rimboccarmi le maniche senza contare troppo sugli altri; ho cercato di documentarmi leggendo anche testi di genetica e una volta capito che il pianeta “albini” sarebbe rimasto inesplorato, mi sono affidata con forza a Dio.

Molti medici allora liquidavano il “problema” con la stessa frase: «È albina!». Le malattie esantematiche erano confuse, l’intervento alle tonsille era sconsigliato, perché temevano non ricordo più quali conseguenze; comunque fu operata da un bravo e rinomato professore e tutto andò per il meglio.
Dare testimonianza della mia esperienza, dover riportare alla memoria ricordi in gran parte dimenticati e, tra l’altro, condensarli in poche righe, non è facile, quindi il mio racconto sarà lacunoso per forza maggiore. Ma devo comunque dire che, nel frattempo anche il mio matrimonio andava in pezzi; il papà di mia figlia non voleva accettare l’idea che fosse albina. Ripeteva spesso che la figlia era come gli altri bambini, voleva farle tingere i capelli, la spingeva comunque nella direzione del “nascondimento”; io da subito, invece, cercavo di spiegarle la realtà e di rispondere a tutte le sue tante domande con sincerità.
Sono stata sempre convinta, e lo sono tuttora, che prima ci si accetta, facendo un lavoro su di sé, più si diventa forti; al mondo c’è posto per tutti e la consapevolezza dei nostri limiti ci aiuta a raggiungere prima i nostri obiettivi! Non è sempre facile, ma ci si deve provare, chi la dura la vince!
È proprio così. Io, con tanta gioia, posso dire di avere raggiunto l’obiettivo più ambizioso della mia vita: vedere mia figlia realizzata come persona, competente e rispettosa.
Avevo fatto con me stessa una scommessa, mia figlia ce l’avrebbe certamente fatta, nonostante ogni sfavorevole previsione. La strada da percorrere, come del resto lo è per tutti gli esseri umani, è stata generosa di difficoltà, bisogna armarsi di pazienza ed essere perseveranti. Ho sempre creduto in lei, anche nei momenti più difficili e il risultato mi ha dato ragione! Non mi sono mai arresa.
Tante volte, quando ha cominciato a frequentare la scuola dell’obbligo, mi sono sentita dire che mia figlia aveva un deficit intellettivo e alcuni insegnanti mi hanno consigliato anche la scuola per non vedenti.
Nella scuola allora non c’erano ausili né insegnanti di sostegno. Allora sì che andavo giù con il morale, ma sono sempre stata convinta che mia figlia non fosse stata capita e che il deficit visivo influisse psicologicamente sulla resa. Ad esempio nelle scuole superiori alcuni insegnanti non le consentivano di avvicinarsi alla lavagna, oppure la obbligavano a leggere a voce alta qualche brano…! Un maestro delle elementari, che ricordo sempre nelle mie preghiere, nel silenzio e con i fatti, ha portato mia figlia a farle “scoprire” come chiunque può diventare, se vuole, molto bravo, senza poi doversi vergognare di questa bravura e temere l’invidia dei compagni!
Abbiamo lavorato molto insieme e quando andavo a colloquio mi ripeteva sempre che a mia figlia non dava i voti e i giudizi migliori, per non scatenare le cattiverie sopite nell’animo di alcuni bambini meno dotati di mia figlia. Secondo il maestro la sua intelligenza e sensibilità erano senz’altro fuori dal comune e i temi svolti in classe ne erano la prova.
Sono convinta che questo maestro sia stato la figura di riferimento più importante nella vita di mia figlia: era riuscito a entrare a piccoli passi nel suo cuore e a stabilire con lei un rapporto forte di fiducia e di complicità. Mia figlia si sentiva protetta dal suo maestro, valorizzata, accolta: ancora oggi lo ricordiamo con profondo affetto e gratitudine.

Vorrei chiudere questa mia breve testimonianza con un augurio di incoraggiamento alle attuali mamme di bambini albini. Non scoraggiatevi!! Se avete bisogno di aiuto, cercatelo! A volte abbiamo più bisogno noi adulti di imparare ad accettare la realtà che i nostri figli.
Forse le mamme di oggi sono più brave di quanto lo sia stata io ai miei tempi, ma le fonti di informazione erano veramente carenti.
Oggi internet ci ha sconvolto la vita nel bene e nel male. Le informazioni sono alla portata quasi di tutti; ci sono stati convegni nazionali sull’albinismo, è importantissimo che se ne parli, che le persone comuni non ignorino più questa anomalia genetica, che in alcune parti del mondo conduce anche alla soppressione di tanti piccoli.
Prendere contatto con persone competenti diventa solo un “atto di volontà”. Conoscere il problema, parlarne, scambiare informazioni, confrontarsi è senz’altro un fatto positivo che aiuta a uscire dall’anonimato e a non sentirsi più “bestie rare”.
L’unione fa la forza! Viva internet! Anche se per me non vale, io sono una donna all’antica, una mosca bianca e, per comunicare ho ancora bisogno del contatto umano.

*Psicologa, psicoterapeuta, specialista in analisi transazionale.

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Una piattaforma per fare incontrare persone con disabilità e assistenti personali

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Promosso dalla UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), il progetto “CareMatch” vuole contribuire a creare una piattaforma digitale e innovativa per facilitare l’incontro tra persone con malattie neuromuscolari e in generale con disabilità e assistenti personali qualificati/e, promuovendo così l’autodeterminazione delle stesse persone con disabilità Una giovane donna con distrofia muscolare insieme all’assistente personale (foto di UILDM)

Promosso dalla UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), il progetto CareMatch vuole contribuire a creare una piattaforma digitale e innovativa per facilitare l’incontro tra persone con malattie neuromuscolari (distrofie, atrofia muscolare spinale, miotonie ecc.), e assistenti personali qualificati/e, promuovendo così l’autodeterminazione delle persone con disabilità.
Per co-finanziare il progetto, con il sostegno di Intesa Sanpaolo, attraverso il Programma Formula, e in collaborazione con CESVI Fondazione ETS, è stata lanciata una raccolta fondi cui si può contribuire attraverso questo link.

La piattaforma digitale fa parte di una progettualità più ampia, condivisa dalla UILDM e da altre Associazioni di settore, che prevede la formazione di assistenti personali, di persone con disabilità e delle loro famiglie, affinché acquisiscano consapevolezza del proprio ruolo, sia come datori di lavoro che come collaboratori. La piattaforma, quindi, in parte co-finanziata, raccoglierà i profili di professionisti e professioniste formati e di chi vuole lavorare come assistente personale, ed è aperta a chiunque cerchi assistenza, non solo, pertanto, a persone con patologie neuromuscolari.
E del resto è proprio per rispondere a queste sfide che la UILDM si impegna quotidianamente, Associazione che è il punto di riferimento nazionale per le persone con distrofie e altre malattie neuromuscolari attraverso l’offerta di servizi di supporto concreto e promuovendo l’inclusione sociale per migliorare la qualità della vita su tutto il territorio italiano.

Nel dettaglio, dunque, i fondi raccolti permetteranno di:
° completare e ottimizzare la piattaforma, rendendola più accessibile ed efficiente per persone con disabilità e assistenti personali in cerca di lavoro;
° gestire la piattaforma, con un supporto tecnico e il coordinamento delle attività, garantendo un servizio affidabile e continuo;
° assicurare manutenzione, aggiornamenti e miglioramenti tecnologici, per un funzionamento sempre ottimale;
° promuovere la piattaforma stessa attraverso canali digitali e media tradizionali, ampliandone la diffusione e contribuendo a migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità. (Simona Lancioni)

Ulteriori informazioni sul progetto CareMatch, sulla raccolta fondi e su come contribuire sono reperibili a questo link. Questo invece il contatto dell’Ufficio Stampa e Comunicazione della UILDM Nazionale: uildmcomunicazione@uildm.it (Alessandra Piva e Chiara Santato).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Da un testamento d’amore una rete di speranza: il convegno di Pompei “Disabilità e Spiritualità”

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Un momento di condivisione profonda tra una serie di realtà associative impegnate nei campi della disabilità, dell’autismo e delle malattie rare, un’occasione per ribadire come la solidarietà, la spiritualità e l’impegno civile possano dar vita a una rete concreta di sostegno per chi vive in condizioni di fragilità: sarà questo il convegno “Disabilità e Spiritualità”, in programma per il 12 giugno presso il Pontificio Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei (Napoli)

È in programma per il pomeriggio di domani, 12 giugno (ore 17-19.30), presso la Sala Anastasio Rossi del Pontificio Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei (Napoli), il convegno sul tema Disabilità e Spiritualità, importante momento di riflessione sul valore umano e spirituale dell’inclusione.
L’incontro – moderato da Lucia Marino – si aprirà con i saluti e la preghiera di monsignor Tommaso Caputo, arcivescovo di Pompei, che offrirà una profonda riflessione sul ruolo della spiritualità nell’accoglienza delle persone con disabilità. Seguiranno i saluti istituzionali di Tommaso Castaldo, presidente dell’Associazione Anna De Luca di San Giorgio a Cremano, Gaetano Marotta, presidente dell’Associazione Oltre il Muro di Napoli e Giuseppe Silvano, presidente del Forum Campano Associazioni Malattie Rare.
Numerosi gli interventi di rilievo previsti dal programma, vale a dire quelli di don Luigi Castiello, segretario generale del Centro di Documentazione Universale (CDU), Rosario Savino, neuropsichiatra infantile, Sergio Mantile, presidente dell’Associazione Sociologi per il Sociale e Barbara Morgillo della Direzione Generale Tutela della Salute della Regione Campania.
Prevista poi anche la testimonianza di chi scrive [Maria Rosaria Ricci], autrice e giornalista pubblicista: condividerò infatti il mio personale vissuto di donna con disabilità, offrendo uno sguardo su come coraggio e fede possano trasformarsi in forza e possibilità.

Il convegno si propone come un momento di condivisione profonda tra una serie di realtà associative impegnate nei campi della disabilità, dell’autismo e delle malattie rare. Un’occasione per ribadire come la solidarietà, la spiritualità e l’impegno civile possano dar vita a una rete concreta di sostegno per chi vive in condizioni di fragilità.
A Napoli, città dal cuore immenso, prende vita un progetto nato da un gesto di straordinaria generosità. È la storia di Anna De Luca, insegnante di lettere in pensione, scomparsa nell’ottobre dello scorso anno a 85 anni, che poco prima di morire ha scelto di destinare tutto il suo patrimonio a due persone che l’hanno amorevolmente accudita: Pina Padriciello e Tommaso Castaldo, noti per il loro impegno nel volontariato. Pina e Tommaso sono infatti i genitori adottivi di Matteo, un bambino indiano nato senza arti, e di Maria Rosaria, una bambina rom con gravi malformazioni cerebrali. Per onorare la memoria della donna che li ha considerati famiglia, hanno fondato la citata Associazione Anna De Luca, trasformando l’appartamento ereditato in un centro di accoglienza, ascolto e progettazione inclusiva per persone con disabilità e le loro famiglie.
Ma l’impegno della coppia non si è fermato ai confini della propria città. In collaborazione con la Mulagi Mission, infatti, hanno finanziato in Uganda la realizzazione di un pozzo d’acqua potabile per i bambini di un villaggio rurale, portando così un messaggio di solidarietà oltre oceano.
Questa eredità, intesa non solo come bene materiale, ma soprattutto come trasmissione di valori, si è concretizzata in una rete attiva e virtuosa che coinvolge numerose Associazioni del territorio.

Queste, nel dettaglio, le Associazioni partecipanti al convegno di Pompei, alcune delle quali già citate in precedenza: Associazione Amo Autismo Mille Opportunità; Associazione Anna De Luca; Associazione Borgo San Michele; Associazione Buona Sanità; Centro di Documentazione Universale (CDU); Centro Volontari della Sofferenza (CVS); Forum Campano Associazioni Malattie Rare; Associazione Gli Amici… Io Sono Nicolò; Associazione Mitocon; Associazione Noi Possiamo APS Sport; Associazione Oltre il Muro; Associazione Rete Malattie Rare; Associazione Sindrome Kleefstra Italia.
Il convegno Disabilità e Spiritualità rappresenterà dunque molto più di un evento: sarà il frutto tangibile di una storia d’amore, di cura e di altruismo che continua a generare bene, nel nome di Anna De Luca, donna semplice ma dal cuore straordinario.

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