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Ben 41, e tutte perfettamente riuscite, le Settimane Bianche dell’Associazione Disabili Visivi!
Si è conclusa con successo la quarantunesima Settimana Bianca organizzata dall’ADV (Associazione Disabili Visivi), che quest’anno ha visto oltre settanta partecipanti tra ciechi, ipovedenti e familiari, impegnati in varie attività sportive invernali, quali sci di discesa, sci di fondo e passeggiate su percorsi innevati.
Come ormai accade da dieci anni, è stata la località di Falcade, nelle Dolomiti bellunesi, ad accogliere il gruppo, che dal 2002 l’ha scoperta per le settimane estive di trekking, spostando dal 2016 nella stessa sona anche le attività invernali, dato che vi sono sia ottime piste di fondo che di discesa, nonché vicini comprensori come quello del San Pellegrino e del Lusia e, per i non sciatori, la possibilità di fare passeggiate con ramponi o con ciaspole.
Queste nostre attività sono possibili grazie a guide specializzate, appartenenti ai corpi militari e civili dello Stato, tra cui alcuni, anche se ormai in pensione, continuano a donarci il loro tempo e la loro professionalità. Arriviamo nel Veneto da tutta Italia, perfino dalla Sicilia e dalla Sardegna, perché troviamo qui le condizioni ideali, i migliori atleti e atlete, tra cui molti campioni nazionali, preparati nel farci fare uno sport non facile, con facilità e in totale sicurezza, ma senza sconti e con professionalità, normalità, amicizia, e anche tanto entusiasmo sia per le guide che per chi è guidato.
Ben quarantuno edizioni della Settimana Bianca, come detto inizialmente, per un’organizzazione sempre molto impegnativa, ma anche consolidata nel tempo, che è stata impostata e gestita da tanti anni oltreché dallo staff dell’ADV, soprattutto dal compianto presidente avvocato Giulio Nardone, purtroppo scomparso da quasi un anno, ma il cui lavoro e la cui determinazione hanno lasciato un segno quanto mai profondo. A noi resta ora il compito di “novellare” i protocolli d’intesa, di tenere vivi i rapporti, di incentivare nuove guide e nuovi soci, per portare avanti queste attività e questa manifestazione, che per numeri e modalità, è senz’altro tra le prime in Europa.
Fondamentale, dunque, è stato l’aiuto delle guide del gruppo dei Carabinieri Forestali del Veneto, dei Vigili del Fuoco di Belluno e Treviso, della Polizia di Stato di Moena, della Guardia di Finanza di Predazzo (Trento), degli Alpini della Settima Brigata Julia e di tanti volontari civili ed ex militari in pensione, autorizzati dai rispettivi Comandi Regionali e Provinciali a svolgere il servizio presso di noi.
«I nostri militari, sciatori e non sciatori accompagnano nello sci di discesa, in quello di fondo e nell’escursionismo le persone non vedenti e ipovedenti dell’ADV, con la possibilità di fare, oltreché un’esperienza di approfondimento delle proprie competenze professionali, anche un’esperienza umanamente molto significativa. Il rapporto che c’è con l’Associazione e con ogni singolo associato va infatti ben al di là del mero rapporto istituzionale tra un ente e un’associazione, ma è un legame di profonda amicizia»: a dirlo, nel corso di un servizio di TeleBelluno (disponibile integralmente a questo link) è stato Riccardo Corbini, tenente colonnello del Gruppo Carabinieri Forestali di Belluno, cui va il mio ringraziamento personale, per l’impegno e la dedizione affinché tutto questo possa proseguire anche nei prossimi anni. Così come va il mio ringraziamento al brigadiere capo Alessandro Savi, che ha curato l’organizzazione, gli abbinamenti delle guide e che è egli stesso guida da molti anni. Ma in realtà il ringraziamento non può che andare a tutti i Corpi sopra citati, alle Istituzioni locali e agli amici che ci hanno affiancato a vario titolo, nonché al lavoro dello staff dell’ADV. Né possiamo dimenticare lo Sport Hotel Cristal di Falcade che, come sempre, con familiarità, pazienza e professionalità, ha contribuito all’ottima riuscita della vacanza, con il suo ottimo servizio, consentendoci di organizzare anche una serata di musica e ballo durante la settimana, per ringraziare tutte le guide e consolidare ulteriormente lo spirito di amicizia e di gruppo che contraddistingue queste attività della nostra Associazione.
*Presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
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L’AICE Valle d’Aosta sarà il punto di riferimento della Regione per le persone con epilessia e le loro famiglie
È bello poter annunciare, proprio a qualche giorno dalla Giornata Internazionale dell’Epilessia (International Epilepsy Day) del 10 febbraio (se ne legga già sulle nostre pagine), la nascita della Sezione regionale valdostana dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), avvenuta il 2 febbraio scorso.
Manuele Amateis, presidente della nuova Associazione, ha dato avvio all’iniziativa affiancato da altri nove soci fondatori, mentre insieme a lui, nel Consiglio Direttivo, vi sono Francesca Rizzo e Stefania Magro, con Patrizia Marcoz quale segretaria. «Un gruppo unito – sottolinea Amateis – che ha l’obiettivo di portare un cambiamento reale, dal pregiudizio all’inclusione, facendo emergere le problematiche legate all’epilessia e affrontando la lotta contro lo stigma sociale che troppo spesso accompagna chi ne è affetto».
Il 10 febbraio, tra l’altro, sarà un’occasione quanto mai propizia di visibilità di fronte all’opinione pubblica, se è vero che grazie all’adesione della Regione Valle d’Aosta e del Comune di Aosta, il Castello di Aymavilles e il Palazzo Comunale del capoluogo si illumineranno di viola, il colore simbolo dell’epilessia. «Un gesto – è stato sottolineato che non si limiterà a un’illuminazione scenografica, ma che rappresenterà un faro di consapevolezza per una condizione che colpisce circa una persona su cento (circa 550.000 persone in Italia), spesso senza la giusta comprensione o attenzione».
«Abbiamo già intrapreso dialoghi fruttuosi con le Istituzioni locali – spiegano dalla nuova AICE Valle d’Aosta -, puntando a rimuovere i fattori discriminanti che ostacolano una piena inclusione delle persone con epilessia. La missione della nostra Associazione è chiara: informare, sensibilizzare e creare un ambiente in cui le persone con epilessia possano sentirsi parte integrante della società, senza paura di essere emarginate o fraintese. E questo passa per l’eliminazione di barriere sociali e culturali, per la formazione di operatori competenti e per l’adozione di politiche inclusive. Dal canto nostro intendiamo pórci come una rete di sostegno per le persone con epilessia e le loro famiglie, mettendo a disposizione informazioni utili, supporto pratico e formazione per gli operatori delle attività extrascolastiche. Una delle nostre azioni chiave sarà quella di promuovere la corretta somministrazione del farmaco salvavita in caso di crisi epilettiche, con una particolare attenzione alla formazione di chi lavora con bambini e ragazzi. Inoltre, ci impegnamo a lavorare per creare intese e protocolli che garantiscano la sicurezza e l’inclusione delle persone con epilessia in tutte le attività quotidiane».
«Ora – concludono dall’Associazione – siamo alla ricerca di soci, volontari e persone che vogliano farsi portavoce di questa causa. Chiunque sia interessato a dare il proprio contributo, infatti, e a fare la differenza, può entrare in contatto con noi, unendosi a un movimento che sta lavorando per costruire una società più inclusiva, che non lasci indietro chi affronta quotidianamente l’epilessia. La strada per la piena inclusione è lunga, ma insieme si può fare la differenza!». (S.B.)
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Un lavoro per tutti
Un lavoro per tutti: un dialogo aperto su esperienze, sfide e speranze nel mondo del lavoro: è il titolo dell’incontro organizzato dalla Cooperativa Sociale La Cometa (Accogliere per educare), in collaborazione con Confindustria Como, che si terrà giovedì 13 febbraio presso il Teatro Sociale di Como (Piazza Verdi, 1, ore 18).
L’evento, moderato da Diego Minonzio, direttore della «Provincia di Como», sarà aperto da Francesco Pizzagalli, vicepresidente vicario di Confindustria Como e interverranno Sandro Veronesi, presidente di Oniverse, Julián Carrón, teologo e Marco Bentivogli, coordinatore nazionale di Base Italia.
Concluderà l’incontro Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità. (C.C.)
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Pronti per realizzare percorsi di vita indipendente?
Esaurito il bando per la formazione dei referenti che dovranno attuare il progetto di vita delle persone con disabilità, nell’ambito dell’iniziativa Pronti per l’Indipendenza, finanziata dall’Avviso 2/2023 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di cui è capofila la FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), è invece ancora aperto fino al 15 febbraio, il bando per la selezione di 120 destinatari della medesima iniziativa (il bando stesso è disponibile a questo link).
In partenariato con la FISH, lo ricordiamo, vi sono l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), la LEDHA (Lega delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH), la FIADDA (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie), CAPIT, l’AVI Umbria (Associazione Vita Indipendente), la FISH Calabria e la FIADDA Roma.
Il bando, dunque, è rivolto a persone con disabilità tra i 18 e i 50 anni (a parità di punteggio, sarà data priorità ai candidati di minore età), ugualmente ripartiti tra uomini e donne. Inoltre, dal momento che il progetto Pronti per l’Indipendenza ha carattere nazionale, si terrà conto anche di una ripartizione su base regionale di almeno sei beneficiari per Regione.
Le persone selezionate parteciperanno a diverse attività (counseling, tutoraggio, informazione/formazione, partecipazione a sessioni di co-progettazione) per realizzare percorsi di vita indipendente.
Su tale tema è anche disponibile, nel podcast Radio FISH, un’interessante intervista con Giuseppa Adamo, progettista della FISH (disponibile a questo link) e segnaliamo inoltre che la stessa FISH ha preparato anche un testo con le domande/risposte più frequenti (a questo link). (S.B.)
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Disabilità e lavoro: la sfida possibile
È promosso dal Gruppo Azimut, in collaborazione con la Ministra per le Disabilità, l’incontro Disabilità e lavoro: la sfida possibile. Sviluppare la collaborazione tra pubblico, privato ed enti del Terzo settore: modelli, proposte, testimonianze, che si terrà nella mattinata dell’11 febbraio a Roma, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio (Largo Chigi, 19, ore 11.30).
Con la conduzione di Marcello Foa, giornalista e docente universitario, vi interverranno la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli; il presidente della Fondazione Italiana Accenture Fabio Benasso; l’amministratrice delegata della Fondazione Dynamo Camp Maria Serena Porcari; il presidente di Breakcotto Andrea Bonsignori; l’amministratore delegato di Azimut Capital Management Marco Fazi. (S.B.)
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“Non cerchiamo l’uniformità perfetta, ma il valore unico di ogni voce”
Da grande, Germano, volevi fare il doppiatore, poi ti sei dato al teatro dopo il diploma all’Accademia di Arti Drammatiche “Pietro Scharoff” a Roma, adesso sei un programmatore per la Fondazione Ugo Bordoni e hai creato l’Associazione DramaBooks, per realizzare libri sceneggiati e fumetti accessibili. Te lo chiediamo subito: il fatto di essere cieco dalla nascita ti ha ostacolato nella realizzazione dei tuoi progetti e dei tuoi sogni?
«La cecità ha chiaramente posto degli ostacoli, di carattere “pratico”. Nel periodo in cui ho frequentato il corso di doppiaggio, la tecnologia dei display Braille non era ancora arrivata a produrre macchine piccole da poter indossare, quindi ero costretto ad imparare a memoria i testi per poter svolgere gli esercizi in sala. Però ho trovato sulla mia strada un bravo insegnante, Teo Bellia, un doppiatore famoso, che non si è fatto scoraggiare dal fatto che non ci vedessi.
Certo, in fase di produzione le cose si complicano, perché i tempi richiesti sono molto stretti e i direttori di doppiaggio non hanno il tempo di spiegarti volta per volta cosa sta succedendo in scena; e il doppiatore invece ha bisogno di saperlo, deve sapere esattamente cosa fa l’attore dicendo la battuta: qual è il suo sguardo, che fa col corpo ecc. A volte lo puoi evincere dalla voce, ma non è sempre possibile.
Anche in Accademia, ho senza dubbio avuto delle difficoltà, specialmente negli esercizi di improvvisazione, dove era richiesto solo il gesto, senza usare la parola. Ma grazie a Luigi Rendine, il mio secondo insegnante, abbiamo trovato il modo di fare gli esercizi. Mi chiedeva sempre di immaginare i gesti consueti che fai quando sei a casa tua: sono gli stessi gesti che devi fare qui. Come fai ad aprire una finestra? Come fai a scrivere al computer? Come lo fai il caffè? È stata un’esperienza oltremodo istruttiva, che mi piacerebbe mettere al servizio di altri.
Quindi la risposta breve è “sì, ma non così tanto”: trovo, purtroppo, ancora molto pregiudizio, ma non dipende dalla cecità, dipende di più dalle persone che ti capita di incontrare. Non è la disabilità visiva a limitarti, è la società che non riesce a trovare il modo di conviverci».
Cos’è DramaBooks e da quale esigenza è nata?
«DramaBooks è un’Associazione Culturale nata dall’esigenza di far lavorare attori con e senza disabilità in uno spazio condiviso e inclusivo. Dal momento che a me piacciono tantissimo i libri e le serie tv, ma amo anche i fumetti, ho voluto creare uno spazio dove tutte queste cose potessero essere realizzate.
Poter trasporre un libro, senza togliere nulla al libro stesso, mantenendone intatta la struttura cronologica e la storia, con tutti i suoi personaggi, ma trasformandolo in qualcosa che sta fra il radiodramma dei vecchi tempi e un film audiodescritto: il narratore diventa una voce fuori campo che descrive ciò che vede, tutto il resto è lasciato ai personaggi che recitano i dialoghi scritti dall’autore, dai suoni e dalle musiche».
DramaBooks si occupa anche di fumetti vocali, ci racconti cosa sono?
«Partiamo da un presupposto: la letteratura del fumetto è completamente preclusa alle persone cieche. Un fumetto è un film su carta, composto da vignette che sono scritte in sequenza e creano un mondo fatto di immagini stilizzate. Chi non vede, dunque, non può accedere ai fumetti, perché neanche i software di riconoscimento vocale riescono a leggere i caratteri scritti nelle vignette.
Le serie TV tratte dai fumetti non sono in realtà i veri fumetti, perché sono trasposizioni e molto spesso le storie vengono mescolate, destrutturate e in molti casi, cambiate. Dunque, l’idea è quella di creare un formato che, sebbene non si possa definire “fumetto” in senso stretto, deve essere qualcosa che ci si avvicina il più possibile. Infatti il nostro progetto si chiama Voicecomic, cioè fumetto vocale. Il testo dei dialoghi viene lasciato intatto e fatto recitare ai personaggi. Le vignette, invece, vengono trasposte in una sorta di audiodescrizione che in qualche modo racconta la sequenza scenica proposta dai disegni. Nei nostri obiettivi c’è anche un’app che dovrebbe permettere all’utente di leggere, se lo desidera, vignetta per vignetta. Stiamo esplorando con l’intelligenza artificiale l’idea di svilupparla, ma siamo ancora agli inizi. Ovviamente il Voicecomic è accompagnato, come per i libri, da suoni e musiche».
Qual è attualmente il progetto più importante dell’Associazione?
«Noi abbiamo un motto: ogni progetto, grande o piccolo, ha la sua importanza e vale come tutti gli altri. Abbiamo realizzato dieci poesie sceneggiate di Trilussa e sono andate così bene che ancora oggi vengono ascoltate. Tanto che stiamo pensando di recitarle tutte… e sono innumerevoli! Poi c’è sicuramente La parola ai giurati di Reginald Rose, da cui sono stati tratti anche dei film: è una storia realizzata con i miei studenti, un’opera in tre atti, scritta per il teatro, ma che si adatta benissimo anche ad una fruizione audio. E ancoar, ci sono i racconti “crime”, che hanno anch’essi la loro importanza, perché sono racconti brevi e sono stati ascoltati tantissime volte. Abbiamo in cantiere ben 4 fumetti, sulla carta li abbiamo sceneggiati e audiodescritti, aspettano solo di essere registrati: Corto Maltese, Dylan Dog e Asterix. Però, per poterli pubblicare, abbiamo bisogno di ottenere i permessi e i fondi per poterli realizzare».
Quali sono le principali difficoltà che incontra l’Associazione?
«Una delle principali difficoltà è reperire fondi: l’Associazione, infatti, vive esclusivamente di donazioni, abbiamo provato a partecipare a qualche bando, ma non abbiamo avuto fortuna. È anche difficile parlare con le case editrici. Le nostre opere sono su Audible ma non ci ricaviamo niente, se non qualche impressione per gli spot pubblicitari. Forse i nostri prodotti sono troppo di nicchia, ma sicuramente dovremmo avere più iscritti all’Associazione o finanziatori che credono nel nostro progetto. Abbiamo appena lanciato anche una raccolta fondi sulla piattaforma Gofundme».
Nel 2020, durante la pandemia, hai anche attivato un laboratorio di recitazione online, chiamato DramaLab nel quale insegni dizione e lettura espressiva a studenti con e senza disabilità visiva. Com’è la classe quest’anno?
«Quest’anno ho due classi: una composta da dieci studenti, l’altra da otto. Sono tutti ciechi, ma ho avuto anche studenti senza disabilità visiva in passato, con i quali ho realizzato alcuni atti unici del teatro classico, De Filippo, Čechov, Williams etc. Quest’anno invece, i ragazzi si sono voluti cimentare nella stesura di una sceneggiatura scritta da loro».
Ma quindi cosa c’entra la Giornata dei Calzini Spaiati con DramaBooks?
«La Giornata dei Calzini Spaiati celebra la diversità e l’accettazione delle differenze, concetti che in DramaBooks viviamo ogni giorno. Nei nostri audiolibri sceneggiati e fumetti vocali, non cerchiamo l’uniformità perfetta, ma il valore unico di ogni voce. E questo valore non dipende da caratteristiche fisiche o da una presunta “normalità”, ma dalla capacità di trasmettere emozioni. DramaBooks è una realtà in cui lavorano attori con e senza disabilità, perché per noi ciò che conta non è il corpo, ma la voce e il modo in cui riesce a raccontare una storia, a emozionare, a far immaginare mondi e personaggi. È la voce che porta vita a un racconto, che rompe le barriere e rende accessibile la cultura a tutti.
I calzini spaiati ci insegnano che l’armonia non sta nell’uguaglianza, ma nella diversità. E così anche nelle nostre produzioni, voci diverse si intrecciano senza discriminazioni, perché non è l’omologazione a creare bellezza, ma l’unicità di ogni interprete. In fondo, non sono i calzini a dover combaciare, ma le emozioni che una storia riesce a trasmettere». (Carmela Cioffi)
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L’Intervento Domiciliare Educativo: riflessione sul servizio
Avviare una riflessione sul servizio IDE, ovvero l’Intervento Educativo a Domicilio rivolto a minori e a persone con disabilità: è l’obiettivo della tavola rotonda denomminata appunto L’Intervento Domiciliare Educativo: riflessione sul servizio, organizzata dalla Cooperativa Sociale trentina GSH per il prossimo 11 febbraio, presso la Sala Spaur del Comune di Mezzolombardo, in provincia di Trento.
L’evento, moderato da Dario Ianes, condirettore del Centro Studi Erickson, servirà a confrontarsi in merito ad alcune criticità e difficoltà, ma anche ad esporre le buone prassi derivanti da questo tipo di intervento, a partire da alcuni spunti di riflessione: perché questo servizio viene scelto rispetto ad altri? Quali obiettivi si vogliono perseguire? Chi sono i protagonisti, la struttura del servizio e il suo setting? Quali caratteristiche deve avere l’educatore?
Gli Interventi Domiciliari Educativi, va ricordato in conclusione, vengono attivati attraverso il Servizio Sociale territoriale. (C.C.)
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Rendere la Carta Europea della Disabilità una realtà
Come avevamo riferito nel mese di ottobre dello scorso anno, dopo l’approvazione anche da parte del Consiglio dell’Unione Europea, sono giunti alla dirittura finale la Carta Europea della Disabilità (European Disability Card) e il Contrassegno Europeo di Parcheggio (European Parking Card for People with Disabilities). La “palla”, come avevamo scritto in quell’occasione, è passata ora ai 27 Stati Membri dell’Unione Europea, giacché se è vero che le Carte dovrebbero diventare realtà al più tardi entro il 2028, «gli Stati stessi – come aveva sottolineato l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità – potranno (e dovrebbero) iniziare ad emetterle e ad accettarle prima».
In attesa quindi dei nuovi sviluppi, l’EDF stesso ha promosso un importante incontro di formazione online, denominato Making the European Disability Card a reality (“Rendere la Carta Europea della Disabilità una realtà”), che si terrà nella mattinata del 27 febbraio (ore 10-11.30) e che sarà segnatamente rivolto ai membri del Forum, alle altre organizzazioni di persone con disabilità a livello nazionale e comunitario, ma anche alle singole persone con disabilità, nonché alle autorità di attuazione nazionali, regionali o locali.
La lingua parlata dell’incontro sarà l’inglese (con sottotitoli in inglese in tempo reale), ma l’interpretazione dei segni internazionali e le didascalie in tempo reale in altre lingue, tramite traduzione automatica, saranno pure fornite su richiesta (va indicato nel modulo di registrazione, disponibile a questo link).
«Nel 2024 – spiegano dall’EDF – abbiamo celebrato il grande successo dell’approvazione e dell’adozione di una Legge europea sulla Carta Europea della Disabilità e sul Contrassegno Europeo di Parcheggio, ma il nostro lavoro non si ferma qui. Durante l’incontro del 27 febbraio, dunque, cercheremo di rispondere a una serie di domande, vale a dire: cosa dice il testo finale della Legge sulla Carta Europea della Disabilità? Quali sono i vantaggi concreti che questi nuovi documenti possono apportare? Quali i prossimi passi da compiere affinché i vari Stati inizino ad emettere e ad accettare le Carte? – Come possiamo garantire che la Legge sia applicata in modo ambizioso in tutti i Paesi dell’Unione Europea? Il tutto, dunque, per esplorare insieme come sfruttare al meglio queste nuove opportunità a vantaggio delle persone con disabilità». (Stefano Borgato)
Ricordiamo ancora il link al quale è disponibile il modulo di registrazione all’incontro online del 27 febbraio (in cui vanno richieste le didascalie in tempo reale in italiano).L'articolo Rendere la Carta Europea della Disabilità una realtà proviene da Superando.
Nomina commissione di valutazione per la fase regionale dei Campionati di Filosofia a.s. 2024/2025.
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Centro Papa Giovanni XXIII di Ancona: un corso di “Servizio ai tavoli” per persone con disabilità
Il Centro Papa Giovanni XXIII di Ancona, ente che si occupa di inclusione e formazione nel territorio anche tramite la propria area formazione, ha annunciato l’avvio del corso Servizio ai tavoli di cibi e bevande, opportunità formativa gratuita, destinata a dieci partecipanti con disabilità intellettiva medio-lieve.
L’iniziativa, della durata di 100 ore, si propone di fornire competenze pratiche e teoriche per l’inserimento lavorativo nel settore della ristorazione, con particolare attenzione all’autonomia e alla valorizzazione delle capacità individuali. Il tutto è stato reso possibile grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, nell’ambito del progetto Un ponte per il lavoro, che mira a creare percorsi di inclusione sociale e professionale. Le lezioni si terranno presso lo stesso Centro Papa Giovanni XXIII e saranno condotte da professionisti del settore.
Questa organizzazione marchigiana conferma dunque il proprio impegno nel promuovere percorsi di crescita e autonomia per le persone con disabilità, ribadendo il valore della formazione come strumento di inclusione e realizzazione personale e professionale. (C.C. e S.B.)
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Torna in scena “Mai mollare. Il battito sordo di Mauro Grotto”
Una nuova replica di Mai mollare. Il battito sordo di Mauro Grotto è in programma al Centro Culturale Asteria di Milano per la serata del 7 febbraio (Piazza Francesco Carrara, 17, ore 9.30).
Si tratta dello spettacolo teatrale diretto da Luca Rodella e interpretato da Stefano Annoni, che racconta la vita di Mauro Grotto, calciatore della Nazionale Sordi.
«Il filo conduttore di questa storia – avevamo scritto a suo tempo nel presentare lo spettacolo – è la potente spinta vitale che porta costantemente Mauro Grotto a lottare contro l’isolamento causato dalla sua sordità, una condizione che ne ha radicalmente cambiato la vita durante l’adolescenza. Questa determinazione lo porta alla scoperta del calcio, un mondo che diventa per Mauro una nuova scuola di vita, attraverso momenti d’intenso calore negli spogliatoi, battaglie sul campo per integrarsi con compagni sia udenti che non, e soprattutto vittorie e sfide contro se stesso»
Portato in scena con il contributo del Pio Istituto dei Sordi di Milano, lo spettacolo disporrà dei sovratitoli in italiano. (S.B.)
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Per imparare quel che vorrà dire lavoro
Arrivati da tutta Italia, hanno partecipato a quattro giornate di formazione intensiva a Roma, per acquisire strumenti e indicazioni utili nel lavoro: sono i venti futuri lavoratori e lavoratrici con sindrome di Down che hanno preso parte al seminario promosso dall’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e rivolto a giovani adulti, nell’ambito delle iniziative formative previste dal progetto AIPD per tutti, tutti per AIPD (se ne legga già anche la nostra ampia presentazione).
La Libreria Erickson, dunque, nel cuore della Capitale, si è trasformata in una grande aula e soprattutto in una palestra, per sperimentare l’autonomia e concentrarsi nell’apprendimento delle competenze. Ad accompagnare i partecipanti, dieci operatori delle rispettive (Anzio-Nettuno, Brindisi, Catanzaro, Grosseto, Latina, Lecce, Marca Trevigiana, Oristano, Sud Pontino, Versilia).
Il programma del seminario è stato curato da Monica Berarducci, responsabile dell’Osservatorio Lavoro dell’AIPD Nazionale, e gestito insieme a Francesco Cadelano, responsabile per l’Associazione dei Percorsi di Educazione all’Autonomia e a Carlotta Leonori, referente dell’Ufficio Internazionale e di Progettazione. Fondamentale anche il contributo di Barbara Riposo, HR business partner della Società GiGroup.
«Ci sono state lezioni in aula – spiegano dall’AIPD -, ma anche esperienze sul territorio, per scoprire i luoghi di lavoro dove sono impegnati altri giovani con sindrome di Down e per confrontarsi con un lavoratore e un tirocinante».
Il primo giorno, dunque, denominato I mestieri ignoti, è stato dedicato al tema dell’essere adulto e alla preparazione delle uscite. Il secondo giorno, invece, vi è stata una visita al Mercato Centrale e poi, al rientro nella Libreria Erickson, l’approfondimento sul tema dei comportamenti sul posto di lavoro. E ancora, il terzo giorno si è parlato di curriculum vitae e di colloqui di lavoro, mentre nella giornata conclusiva si è discusso di diritti e doveri dei lavoratori, con verifica finale, valutazione del seminario e consegna degli attestati di partecipazione.
«I seminari di orientamento al lavoro per giovani con sindrome di Down – spiega Monica Berarducci – che l’AIPD nazionale promuove dal 2008, sono sempre un momento di formazione importante per i partecipanti, che hanno la possibilità di crescere in consapevolezza su che cosa vorrà dire per loro andare a lavorare e conoscere regole e parole associate a questo mondo. Questa, inoltre, è anche una grande occasione per lasciare la propria casa e la propria città e vivere un’esperienza di indipendenza, confronto e socialità. Il viaggio e poi il soggiorno a Roma offrono infatti l’opportunità di sperimentarsi nelle proprie autonomie, di fare nuovi incontri e di vivere un’esperienza di viaggio e di svago che promuove l’adultità e la crescita di tutti e tutte».
La soddisfazione dei partecipanti è emersa non solo dalla partecipazione attenta e vivace, ma anche dai commenti scritti sui biglietti di valutazione. «Fare questo corso è utile – ha detto ad esempio Federica dell’AIPD di Lecce – anzi è fondamentale per tutti noi. Ci vuole molto impegno nel lavoro e bisogna assumersi delle responsabilità. Io lo consiglierei ai miei amici». «Mi sono divertita – ha aggiunto Cristina dell’AIPD Versilia -, ho imparato cose nuove e fatto altre amicizie». (S.B.)
Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.L'articolo Per imparare quel che vorrà dire lavoro proviene da Superando.
Nota ministeriale 2884 del 6 febbraio 2025 - Offerta formativa vincitori concorso percorsi “di completamento” aa 2024/2025
A ragionare sul tema della memoria e del suo rapporto con la storia
Prendo a prestito qui di seguito un articolo di Andrea Canevaro, pubblicato nel 2004 sulla rivista «Infanzia», per una piccola sottolineatura, una decina di giorni dopo il Giorno della Memoria del 27 gennaio, sull’uso che si fa a volte nel mondo della disabilità delle vicende legate al programma Aktion T4 relativo all’àmbito dell’eugenetica sotto il regime nazista. A volte pare di cogliere una sorta di richiamo al «…ci siamo anche noi!», «…la giornata della memoria non ci deve dimenticare!».
Detto che il tema della memoria, e del suo rapporto con la storia, è un tema molto, molto complesso, Andrea Canevaro ci ricorda di essere attenti nel fare queste “operazioni”, a volte mentali, a volte mediatiche, perché, al di là delle migliori intenzioni, a volte si possono corrono grossi rischi.
Ma lasciamo alle sue stesse parole lo spiegare il perché.
La parte giusta per essere aiutati e per essere protagonisti
di Andrea Canevaro*, pubblicato dalla rivista «Infanzia», n.12, 2004.
Le memorie che non c’erano
Questa riflessione nasce da un errore commesso involontariamente da chi fa questa stessa riflessione nello svolgere un compito di introduzione a un libro, un libro importante, costituito da una serie di riflessioni, ma soprattutto di testimonianze, sulle comunità di accoglienza e sui protagonisti, i minori e non solo, che vivono queste esperienze come possibilità di ricostruzione della loro vita.
L’introduzione al libro voleva indicare alcune chiavi di lettura contenute e suggerite dal libro stesso, ritenendo che un’introduzione non deve tanto permettersi dei giudizi quanto indicare a chi legge alcune chiavi di lettura e assumersi una responsabilità, così, da indirizzare chi legge verso un certo senso di lettura piuttosto che un altro. A volte, suggerire una chiave di lettura non è un gesto autoritario, al contrario, permette a chi legge di trovare altre chiavi e altri significati. In quel caso la chiave di lettura era anche suggerita dall’accostare a quel testo un libro che era da poco uscito e che raccontava le vicende autobiografiche di chi, bambino, aveva vissuto l’esperienza dei campi di sterminio, e aveva quindi maturato la convinzione che la propria vita fosse tra coloro che dovevano vivere di stenti: fra i topi, con poco da mangiare, nel freddo, senza acqua calda per lavarsi, ma anche con scarsa acqua fredda, con una impossibilità di pensare ad avere panni caldi, cibo in abbondanza, un letto pulito, perché tutto questo era dei torturatori, era degli aguzzini.
Il mondo degli aguzzini era fatto di cibo abbondante, acqua calda, caldo negli ambienti, letti puliti, vestiti. Quando l’uscita dal campo ha permesso a quel bambino di essere accolto in situazioni che avevano delle altre caratteristiche, quel bambino non ebbe tanto il conforto dell’accoglienza quanto il timore di essere finito ancor più prigioniero degli aguzzini. E quella situazione permetteva di rendere ancora più evidente il dovere dei centri di accoglienza e delle comunità di accoglienza di tener conto delle caratteristiche degli ospiti, e di capire che l’offerta di una vita migliore poteva anche non essere capita come una offerta positiva, ma poteva essere vissuta come minaccia di perdita di punti di contatto con la realtà che in qualche modo poteva essere controllata, che aveva una vita nelle strade, nelle stazioni, aveva maturato un riconoscimento dei segni in quegli ambienti che, per quanto miseri e a volte anche tragici, erano i suoi ambienti, mentre in una comunità di accoglienza, fatta di pasti caldi, di lenzuola pulite, di doccia possibile, tutto era sconosciuto e poteva fare paura.
A distanza di un po’ di tempo nacque il caso, perché quel libro, utilizzato per indicare una chiave di lettura, venne accusato di essere un falso, e il suo autore di non avere vissuto affatto l’esperienza dei campi di sterminio ma di averla inventata, o per lo meno di averla attribuita a una dimensione autobiografica, mentre aveva, con accenti di veridicità tali da costituire un documento di grande valore letterario, ma di averla in qualche modo falsata.
Dato che l’operazione venne condotta sui grandi mezzi di informazione, venne anche il sospetto che fosse una provocazione scandalistica. E l’autore si difese, si fece difendere, e la sua difesa si configurò come un risentimento doloroso, dando l’impressione di essere persona effettivamente ferita dalle accuse che gli venivano rivolte.
A distanza di altro tempo, altri mezzi, meno scandalistici, più capaci di credibilità, hanno reso più plausibile l’idea che l’autore abbia costruito, con molta verosimiglianza e quindi con credibilità, una autobiografia che non era vera. E qualcuno ha riflettuto su come poteva essere accaduto questo, e come poteva prestarsi un’operazione del genere ad essere a sua volta strumentalizzata dai negazionisti, cioè da coloro che negano la consistenza, o addirittura l’esistenza, dei campi di sterminio nazisti.
Sembra quasi accertato – il quasi è……, ma l’accertamento sembra proprio essere preciso – che Binjamin Wilkomirski, tale è il nome dell’autore di quella narrazione con pretesa autobiografica, non sia nato in Lituania, ma sia svizzero, sia stato adottato realmente da una coppia svizzera, ma non abbia una biografia coincidente con quella di un bambino vissuto nei campi di sterminio. Sarebbe nato un paio di anni dopo, e avrebbe vissuto in Svizzera.
Appena queste notizie furono precisate, chi aveva commentato e valorizzato l’autobiografia, ritenuta tale, di Binjamin Wilkomirski si era sentito tradito, ed anche chi fa queste riflessioni si è sentito tradito e a sua volta ha pensato di avere tradito e ingannato, sia pure involontariamente, i lettori, ma anche gli amici che gli avevano chiesto di fare un’introduzione a un libro degno, utile importante.
A distanza, ancora, di qualche tempo, un’altra voce è interessante per capire qualche cosa di più di questa vicenda veramente singolare. Elena Lappin ha voluto indagare, con un’attenzione delicata, le vicende di Wilkomirski, ha potuto incontrare più volte questa persona, ha potuto rendersi conto di una dimensione particolare della psicologia di quest’uomo, e quindi non ha tanto stabilito la personalità di un falsario, quanto una psicologia particolare che lei ha individuato in quella doppia testa che qualche studioso ha, sul piano letterario e sul piano psicologico, individuato come possibile, una testa visibile e una testa invisibile, una doppia personalità che non è necessariamente segno di schizofrenia, ma è possibilità di soffrire quello che non si è vissuto, immaginando di averlo vissuto. È possibile che colui che ha indossato il nome di Binjamin Wilkomirski abbia realmente vissuto e viva la sofferenza di quella vicenda che non ha vissuto nella cronaca, ma solo nella testa.
Il lavoro di Elena Lappin è attento e non porta a dichiarare Wilkomirski un falsario, porta a capire meglio qualche cosa che non è del tutto comprensibile e che non è del tutto spiegabile. Porta a incontrare un caso umano che permette di fare una serie di considerazioni non necessariamente appoggiate allo stesso autore Wilkomirski, allo stesso individuo Wilkomirski, ma più ampie, più libere. Permette, in particolare, di riattribuire a quell’introduzione e al libro che introduce un senso non più dubbio ma anche rinforzato.
La necessità di interpretare una parte
Vogliamo riflettere continuando quella chiave di lettura delle vite perdute e ritrovate che si incontrano, o che si possono incontrare, nelle comunità di accoglienza, in cui il disorientamento della buona accoglienza si accompagna, quasi, al rimpianto di un tempo sicuramente aspro, ma in cui c’era una maggiore padronanza degli elementi della propria vita.
Noi sappiamo essere abbastanza prudenti in questo, e non vorremmo intendere, né fare intendere, che sia meglio lasciare gli individui che soffrono nelle loro sofferenze perché sono loro. No, bisogna liberare dalle sofferenze, ma la liberazione ha bisogno di una possibilità di partecipazione. E le comunità di accoglienza sanno che è loro compito, che svolgono con molta qualità, con molta onestà, proprio quello di rendere partecipi della liberazione, e quindi di non fare che la liberazione sia una attività degli uni e una passività degli altri, ma che sia un intreccio, una condivisione, un’accoglienza e un lasciare spazio, un permettere che l’altro trovi un suo spazio, e non preordinare uno spazio per l’altro.
Tutto ciò si rinforza proprio con una certa interpretazione, assolutamente libera dalla necessità di essere l’interpretazione, ma come riflessione, appunto, della vicenda di Wilkomirski. Si potrebbe dire, semplificando di molto una situazione tanto ingarbugliata e complessa, che Wilkomirski, quello che continuiamo a chiamare con questo nome, rappresenti un caso esemplare di coloro che si autoconvincono con molta profondità che, per ottenere un ascolto che non sia unicamente da comparse, ma che permetta anche la maturazione di una parte da protagonisti, sia molto opportuno raggiungere l’intensità di sofferenza maggiore. Lo sentiamo dire, lo diciamo, è il commento che spesso si fa a certi usi della televisione e comunque anche dei grandi mezzi di comunicazione, indurre gli individui ad alzare il livello di drammaticità delle proprie situazioni, per potersi prendere una parte di attenzione, il più possibile e basta, del grande pubblico: quindi esasperare i toni, e non solo esasperarli per quel momento, ma con anche una vera e propria partecipazione della propria vita, interpretando fino in fondo la parte di coloro che hanno subito ingiustizia, ad esempio, o violenze; esasperare i toni per ottenere non solo una pietà, ma anche un ruolo da protagonisti. Ed è immaginabile che una delle più grandi tragedie che rimane, una delle più grandi tragedie di tutti i tempi, nonostante ve ne siano state anche altre – quella dello sterminio compiuto dai nazisti nei confronti di ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti politici, oltre a quegli stermini in corso d’opera che riguardavano i malati mentali e gli handicappati – che questa grande tragedia attiri in qualche modo l’attenzione di chi ha capito, o ha creduto di capire che, se potesse fare coincidere la propria sofferenza con quella, avrebbe raggiunto il vertice della sofferenza e quindi avrebbe raggiunto la più grande possibilità di ascolto e anche la più grande possibilità di proporsi come protagonista della sofferenza, e quindi anche protagonista delle redenzione della sofferenza.
Questo è un elemento sicuramente discutibile, che non si può proporre come un assoluto, ma come appunto una riflessione: la possibilità di vivere ogni elemento della nostra vita in termini di classificazione competitiva, deforme, in maniera profonda. A volte abbiamo l’impressione che abbia anche qualche carattere di irrimediabilità, sia pure nell’orizzonte della storia che viviamo, e non certo in termini assoluti, la nostra percezione. E ci induce a fare un’operazione quanto mai contorta che è quella di immaginare come sarebbe meglio, se abbiamo una piccola sofferenza, scambiarla con una sofferenza grande, perché quella sarebbe ascoltata, avrebbe l’attenzione degli altri. E se noi abbiamo capito che la più grande sofferenza del secolo – anche se siamo con un calendario che ci parla di un altro secolo viviamo ancora quel secolo – è quella e non altra, la nostra aspirazione è di essere quella.
Questo è un utilizzo improprio dell’analogia e della metafora. La nostra sofferenza non è come quella di chi ha sofferto o paragonabile a…, no, vogliamo che sia quella! Le ragioni anagrafiche non permettono di potere identificarsi in termini tali da poter moltiplicare le autobiografie dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Ma quando ci fosse una possibilità in tal senso, o quando ci fosse la possibilità di interpretare la parte dei perseguitati per altri stermini, per altri genocidi, per altri eccessi di disumanizzazione, noi potremmo anche aspirare a far parte di quei perseguitati, di quelle vittime, ed essere vittime di grandi ingiustizie è quasi essere protagonisti.
Questa riflessione rischia molto, nel senso delle forzature, perché parte da un caso estremo che ha voluto essere doppiamente estremo: estremo come individuo ed estrema la situazione storica in cui si è proiettato. E da quel caso estremo questa riflessione vuole dedurre delle indicazioni più ampie, meno circoscritte. È a rischio, ce ne rendiamo ben conto, ma abbiamo molti elementi che permettono di supportare l’estensione, e che vanno intesi in due direzioni molto diverse tra loro, ma con qualche analogia.
La prima, apparentemente più circoscritta, riguarda chi ha compiti intellettuali. Nel gioco delle assunzioni dei compiti intellettuali vi sono certamente le esigenze di essere ascoltati, di essere riconosciuti, di avere quindi un pubblico, si può dire.
E quale migliore pubblico di quello che potesse coincidere con il grande pubblico colpito dalle sofferenze? E quindi una prima riflessione riguarda il nostro ruolo di persone che hanno dei compiti intellettuali, e che possono mettere nel gioco del riconoscimento quelle attenzioni alle situazioni tragiche che permettono di avere il riconoscimento stesso, con tutte le possibilità che il termine gioco, usato in una concezione più dinamica che ludica, consente di avere, per cui ci si può identificare, ma si può anche, ed è il ruolo interpretato dai negazionisti, avere una ricerca di riconoscibilità proprio negando quella precisa sofferenza oppure, anche con disinvoltura, negando la possibilità che una sofferenza sia sofferenza. Ad esempio: la quotidianità ci porta a contatto con gravi violenze di vario tipo, anche di carattere sessuale, nei confronti dell’infanzia, e vi può essere una ricerca di riconoscimento nell’identificazione di quella sofferenza come “la mia”, oppure nella negazione di quella situazione come sofferenza, o invece nell’attribuire a quella situazione altre caratteristiche, anche di gioia, come una forzatura della realtà, leggibile più come desiderio di un proprio riconoscimento, che non come contributo alla conoscenza della realtà stessa.
Collegato a questo c’è il secondo elemento di riflessione che riguarda proprio l’infanzia. A volte si ha la sorpresa amara di scoprire che bambini e bambine testimoni, e non solo testimoni ma anche protagonisti, martiri di sofferenze, di violenze compiute su di loro da parte di adulti, in realtà avevano falsato quello che era stato compiuto, lo avevano inventato, ed erano diventati falsi martiri. Anche in questo caso la preoccupazione di molti, nell’educazione come nell’informazione, è che una storia inventata inquini le tante altre situazioni reali che purtroppo esistono.
La riflessione da fare è ancora una volta quella di come sia seducente, per chi desidera essere ascoltato, raggiungere quella che viene presentata, e finisce per essere creduta, la situazione in cui l’ascolto è garantito, e in cui si è sicuri protagonisti. E questo deforma in maniera profonda il senso della realtà. Si sovrappone alla realtà un’invenzione determinata da una ricerca di risultati che non può che essere del tutto precaria. E si collega a quella diffusa percezione di come sia più importante essere protagonisti, quale che sia il prezzo da pagare.
A volte questo diventa davvero un elemento di tragicità, quando l’opinione pubblica viene informata del grande successo – si può usare questa parola purtroppo – che hanno i protagonisti tragici di certi avvenimenti. In Belgio l’autore di fatti di violenza sessuale terminati con uccisioni, incarcerato, ci ha sempre informato la grande stampa, ha ricevuto un numero strepitoso di dichiarazioni appassionate da parte di molte donne – e non crediamo che questo voglia dire che le donne hanno un debole per le figure con queste caratteristiche, perché vale la stessa operazione per gli uomini. È una società che, stranamente, in termini veramente singolari, per quello che sappiamo, configura l’elemento del protagonismo come talmente più importante di ogni altra considerazione, da permettere di sperare, al peggiore dei delinquenti, di avere successo, perché diventa protagonista.
Sull’infanzia questa immagine si rivela immediatamente come fortemente importante, e fornisce a chi cresce una concezione sociale inevitabilmente violenta, in cui l’elemento violenza può diventare anche accettabile, purché sia lo strumento giusto per arrivare al successo del protagonismo. Violenza subita, ma anche violenza attiva, nei confronti degli altri.
Questo modo di percepire la società e l’organizzazione dei suoi valori colpisce soprattutto perché è molto presente a chi fa delle riflessioni educative, e sembra incapace di essere altrettanto presente in chi ha dei compiti così importanti, quali sono quelli dell’informazione. Moltissime occasioni di riflessione per l’informazione vengono arginate, circoscritte, e lo stesso termine pedagogico ha una connotazione di ridicolo, quasi, o di noiosamente pedantesco. Quando si suole indicare la strada sbagliata al mondo dell’informazione, si dice che la televisione non deve avere un carattere pedagogico, o la grande stampa e altrettanto. Questo significa proprio che l’idea della pedagogia come riflessione sugli elementi educativi che sono in tutte le azioni umane, e non solo umane, non è presente, o per lo meno è rifiutata, e forse il rifiuto è più duro ancora che la non presenza. Quindi vi è una deresponsabilizzazione molto ampia dei grandi settori dell’informazione che non ritengono necessario cambiare nulla di ciò che fanno, permettendo così che sia sempre più forte la percezione sociale del successo e del protagonismo come quelli che bisogna conquistare per forza, e quindi della strumentalizzazione della violenza.
Tutta questa riflessione nasce dalla possibilità di leggere la storia raccontata da Wilkomirski con la veridicità che essa contiene, e anche con l’altra storia che rimane tra le righe, quella del suo autore, capace di soffrire realmente per qualcosa che, al punto in cui è, probabilmente ritiene di avere vissuto, e che non ha vissuto, ma che è stato quasi costretto a vivere, per potere identificarsi con il successo della sofferenza. E usando questa espressione “il successo della sofferenza” si capisce quale possibile perversione stiamo vivendo: la sofferenza garantisce dei successi. E questo, per chi ha delle responsabilità educative nei confronti dell’infanzia, è un punto su cui non smettere di riflettere e non smettere di operare.
I grassetti nel testo sono di mano redazionale.
*Andrea Canevaro (1939-2022) è stato professore di Didattica e Pedagogia Speciale all’Università di Bologna (Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione).
Nota bibliografica:– AA.VV., Minori: luoghi comuni: crescere in comunità, a cura di Gabriella Gabrielli, Gruppo Minori CNCA, Capodarco di Fermo, Comunità Edizioni, 1996.
– Binjamin Wilkomirski, Frantumi. Un’infanzia (1939-1948), Milano, Mondadori, 1990 (edizione originale 1985).
– Elena Lappin, L’homme qui avait deux têtes, Paris, Éditions de l’Olivierd/Le Seuil, 2000 (edizione originale 1999).
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GPS 2024/2026 – DECRETO ESCLUSIONE SU PROPOSTA DELLE SCUOLE DI PRIMA NOMINA
“Sessualità e SLA”: un tema da esplorare insieme
Sessualità e SLA: si chiama così il documento nato dall’esperienza clinica maturata negli anni e dalle testimonianze raccolte dal Centro d’Ascolto dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), che sarà presentato, durante un incontro online, nel pomeriggio del 14 febbraio (ore 17). Questo lavoro evidenzia l’importanza di mantenere una vita sessuale attiva e di sentirsi liberi di parlarne, anche per le persone con la SLA e per i loro partner.
L’Associazione, da sempre impegnata nel rispondere alle esigenze delle persone affette da SLA, ha promosso questo progetto con l’obiettivo di «informare e sensibilizzare su un tema spesso trascurato; normalizzare una sessualità sana basata su consensualità, legalità e piacevolezza; offrire un supporto qualificato non solo alle coppie ma anche agli operatori sanitari che si confrontano con questo argomento».
Il documento è rivolto sia alle persone con SLA e ai loro partner, sia ai professionisti della salute, che talvolta possono incontrare difficoltà nell’affrontare il tema della sessualità in modo adeguato, per mancanza di strumenti o per timori legati alla privacy.
Il link di accesso al webinar sarà fornito dopo l’iscrizione (tramite questo link) e per arricchire il dibattito e rendere la presentazione ancora più significativa, è possibile condividere in forma anonima una domanda o una riflessione. (C.C.)
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Prima riunione dell’anno per l’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità
Al centro della prima riunione del 2025 tenuta dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità vi è stato segnatamente l’avvio, dal 1° gennaio scorso, della sperimentazione avviata in nove Province (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste), per l’applicazione del Decreto Legislativo 62/24, riguardante la definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, norma attuativa della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità. «Dobbiamo proseguire uniti e convinti in questa direzione – ha dichiarato per l’occasione la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli -, il cambiamento è iniziato e indietro non si torna».
Durante la riunione, poi, che ha visto anche la presentazione ufficiale dell’Autorità Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità, con l’intervento del presidente di essa Maurizio Borgo, Locatelli ha anche ricordato l’appuntamento degli Special Olympics Winter Games, in programma a Torino dall’8 al 15 marzo, mentre Carmela Pace, presidente del Comitato Italiano per l’UNICEF, ha illustrato la traduzione italiana del Commento Generale n. 9 del Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia, che dedica una particolare attenzione ai bambini e agli adolescenti con disabilità.
Da segnalare infine anche la presentazione da parte di Luigi Colombo del Festival del Cinema Nuovo di Bergamo, concorso internazionale di cortometraggi interpretati da persone con disabilità, e l’intervento di Camillo Galluccio, che ha illustrato il 3° Festival Nazionale dello sport per bambini e ragazzi, organizzato dall’ENS (Ente Nazionale Sordi). (S.B.)
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Accessibilità nei trasporti: una collaborazione tra FlixBus e l’Associazione Coscioni
Grazie soprattutto a un confronto continuativo con l’Associazione Luca Coscioni, l’azienda FlixBus ha migliorato il trasporto delle persone con disabilità, incrementando la propria flotta con 17 nuovi autobus dotati di pedane, che si sommano ai 15 già introdotti nel 2023.
Dopo questi interventi, dunque, il numero totale di autobus idonei al trasporto di persone con disabilità è passato dagli 82 del 2020 ai 114 di oggi, registrando un incremento complessivo del 30%.
L’azienda tedesca di autobus low cost ha inoltre già da tempo predisposto all’interno del proprio sito un’area dedicata volta a garantire una corretta assistenza alle persone con disabilità, oltre ad avere messo a disposizione, in svariate città italiane, il servizio di accompagnamento di UGO per persone anziane e a mobilità ridotta che vengono assistite nella salita e nella discesa dagli autobus, così come nella gestione dei bagagli e negli spostamenti da e verso le fermate di partenza e di arrivo. (C.C.)
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Arrivi finalmente la Legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia!
«Quando si spegneranno le luci viola e i comunicati celebranti la Giornata Internazionale, le nostre famiglie, che vedono per una semplice crisi il figlio rifiutato nelle gite scolastiche o nei centri sportivi o se stessi rifiutati o licenziati dal lavoro, senza poter accedere al collocamento mirato e a quel minimo di misure inclusive riconosciute a quanti siano in condizione di disabilità, forse pochi avranno compreso che la clandestinità in cui sono costrette le persone con epilessia non è frutto di uno “stigma culturale”, ma della mancanza di una Legge che rimuova le barriere che impediscono a 550.000 italiani e alle loro famiglie pari diritti come per tutti»: a dirlo è Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), nell’imminenza della Giornata Internazionale dell’Epilessia (International Epilepsy Day) del 10 febbraio, evento che si celebra ogni anno il secondo lunedì del mese di febbraio.
È dunque proprio sull’esigenza di arrivare a una Legge che dia finalmente piena cittadinanza alle persone con epilessia, che punta tutta la propria attenzione l’AICE, per il 10 febbraio di quest’anno. «Sono oltre 550.000 – ricorda infatti ancora il Presidente dell’Associazione – i cittadini e le cittadine del nostro Paese che, insieme alle loro famiglie, vivono le numerose e distinte condizioni patologiche, tutte caratterizzate dalla manifestazione di crisi epilettiche, raccolte in un termine di origine greca, epilessia che esprime nell’immediato il forte impatto, personale e sociale, di questa malattia: “essere colti di sorpresa”. I monumenti illuminati di viola, il colore che contraddistingue questa patologia vissuta da oltre 50 milioni di persone al mondo, e che il 10 febbraio prossimo rimarranno accesi, coincideranno dunque con una nostra precisa e diretta richiesta al ministro della Salute Schillaci, alla ministra per le Disabilità Locatelli e al sottosegretario all’Economia e alle Finanze Freni, di adoperarsi affinché venga consegnata la relazione tecnica richiesta dal Senato dal mese di giugno dello scorso anno, per poter procedere all’approvazione del Disegno di Legge 898 (Disposizioni per la tutela delle persone affette da epilessia), promosso dalla nostra Associazione e sul quale vi è volontà bipartisan, un testo, per altro, trattato congiuntamente con altri, promossi anch’essi dalla nostra Associazione (Disegni di Legge 122, 410 e 269)».
Sul fronte, infine, della ricerca scientifica, e sempre in occasione della Giornata Internazionale del 10 febbraio, «tenendo conto del permanere del 40% dei casi di epilessia farmaco-restistente – dichiara Pesce -, della disponibilità di farmaci che non curano le cause della malattia, ma, per i più fortunati, ne sedano solo i sintomi, oltreché nell’assenza di dispositivi che preallertino l’insorgenza di una crisi, la nostra Associazione conferma il proprio impegno a sostegno della ricerca, destinando 40.000 euro, tramite il 19° bando AICE FIRE (Fondazione Italiana per la Ricerca sull’Epilessia)». (S.B.)
Per ulteriori informazioni: assaice@gmail.com.L'articolo Arrivi finalmente la Legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia! proviene da Superando.
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