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“La gatta sul tetto che scotta”: sesta rappresentazione accessibile della stagione al Carignano di Torino
Sesto appuntamento della stagione per il percorso da noi regolarmente seguito, ideato già da alcuni anni dal Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale e sviluppato in collaborazione con il partner tecnologico PANTHEA e con l’Associazione +Cultura Accessibile, per consentire anche alle persone con disabilità visiva e sensoriale di assistere agli spettacoli mediante nuove tecnologie e materiali di approfondimento.
Accadrà da martedì 6 a domenica 11 maggio, al Teatro Carignano del capoluogo piemontese, con una nuova regia di Leonardo Lidi, La gatta sul tetto che scotta, una delle opere più famose del drammaturgo statunitense Tennessee Williams, che con questo testo vinse nel 1955 il suo secondo Premio Pulitzer e che mette in scena la storia dei Pollitt, ricca famiglia del Sud degli Stati Uniti che vive una profonda crisi di fronte all’imminente morte del padre. Un dramma in cui si esplorano temi come l’ipocrisia, la sessualità repressa, il desiderio di amore e accettazione e si evidenziano le forzature della famiglia tradizionale.
Come sempre, dunque, per questo tipo di rappresentazioni torinesi, lo spettacolo sarà corredato da sovratitoli in italiano e in italiano semplificato con descrizione dei suoni, attraverso l’uso di dispositivi forniti direttamente dal Teatro, ovvero smart-glasses (occhiali smart) o smartphone. All’inizio di ogni recita, inoltre, è prevista la trasmissione in sala di una breve audiointroduzione e verrà resa disponibile l’audiodescrizione in cuffia per tutta la durata dello spettacolo, fruibile attraverso smartphone, sempre messi a disposizione dal teatro.
E ancora, nel pomeriggio di venerdì 9 (ore 18), è previsto l’ormai tradizionale appuntamento gratuito con il tour descrittivo e tattile sul palcoscenico (previa prenotazione, entro l’8 maggio, scrivendo a accessibilita@teatrostabiletorino.it).
Da ricordare, poi, che in una specifica sezione del sito internet del Teatro Stabile (a questo link), predisposta per la lettura da parte di applicazioni screen reader e con un plug-in facilitante, oltreché sulla app del Teatro stesso, sono disponibili alcuni materiali consultabili prima della fruizione dello spettacolo, ossia un video di approfondimento con audio, sottotitoli in italiano e in LIS (Lingua dei Segni Italiana), la scheda di presentazione dello spettacolo e un’ulteriore scheda con la trama semplificata.
Da segnalare infine che le persone con disabilità avranno diritto al biglietto ridotto e, in caso di necessità, l’accompagnatore potrà entrare gratuitamente. (S.B.)
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Servono risposte chiare e un confronto trasparente su quei corsi per il sostegno
Esprimiamo profonda preoccupazione in merito all’annunciata attivazione dei corsi INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa) rivolti ai docenti in possesso di titoli esteri di specializzazione sul sostegno ancora in fase di riconoscimento, così come ai docenti con esperienza pluriennale sul sostegno ma privi di titolo conseguito in Italia. In particolare, ci rivolgiamo al Ministero dell’Istruzione e del Merito per chiedere con urgenza chiarimenti e garanzie su aspetti fondamentali che riguardano la tutela dei docenti formati in Italia, la difesa della qualità dell’inclusione scolastica e il futuro della professionalità docente nel sostegno.
Per quanto riguarda innanzitutto i percorsi TFA per il sostegno (Tirocini di Formazione Attiva), essi prevedono una preselezione nazionale, otto mesi di formazione in presenza, laboratori didattici, tirocinio diretto e indiretto e prove finali. Riteniamo pertanto che questi percorsi non possano essere assimilati a un corso intensivo di tre mesi online.
Chiediamo dunque: come intende il Ministero garantire un trattamento coerente e differenziato tra chi ha seguito il percorso ufficiale previsto dall’ordinamento italiano e chi accede a corsi semplificati?
Rispetto poi alla semplice esperienza sul campo, riteniamo che essa non possa automaticamente sostituire un percorso formativo strutturato. Chiediamo quindi: come verrà valutata l’esperienza maturata sul sostegno? Un contratto di lavoro, infatti, non è, da solo, garanzia di competenze adeguate. E inoltre, come verranno considerate le interruzioni dovute a congedi o aspettative, che sono diritti del lavoratore? E che valore verrà riconosciuto, in questo contesto, ai docenti che hanno sia esperienza che una specializzazione TFA?
Va ricordato, infine, che il ruolo del docente di sostegno è centrale e trasversale all’intero sistema scolastico: egli lavora in sinergia con tutti gli attori della comunità educante, accompagna gli alunni e le alunne con disabilità nella costruzione del loro progetto di vita, promuove competenze relazionali e di autonomia, e contribuisce concretamente alla realizzazione dell’inclusione scolastica.
In questa prospettiva, un percorso svolto unicamente online per tre mesi non può essere equiparato a un iter formativo lungo otto mesi e svolto in presenza, con tirocinio diretto nelle scuole. Riteniamo pertanto necessaria una distinzione netta tra i due percorsi.
In conclusione, chiediamo al Ministero risposte chiare e un confronto trasparente con le rappresentanze dei docenti specializzati. L’inclusione scolastica si fonda su professionalità solide e consapevoli, capaci di rispondere ai bisogni complessi degli alunni e delle alunne con disabilità. Il lavoro del docente di sostegno è fondamentale non solo per il singolo studente, ma per l’intero sistema educativo. Non possiamo permetterci di compromettere questa funzione per logiche emergenziali o semplificazioni generalizzate.
*collettivodocentispecializzati@gmail.com.
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Vita Indipendente: penalizzate dalle nuove regole le persone con disabilità della Toscana
Per le persone con disabilità che hanno necessità di supporti intensivi, «“Vita Indipendente” significa la concreta possibilità di vivere con un grado di libertà comparabile con quello delle altre persone. Ciò è possibile solo attraverso l’assistenza personale», lo afferma l’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente della Toscana), tornando ad esprimersi sulla nuova disciplina di accesso ai contributi individuali per la Vita Indipendente della Regione Toscana, concretamente attuata a partire dal 1° marzo scorso. Le persone con disabilità vogliono e pretendono «di vivere come tutte le altre persone», argomentano dall’Associazione, ed «è ampiamente dimostrato che, con un’adeguata assistenza personale, questo è possibile».
Le stesse persone con disabilità si sentono dunque danneggiate dalle nuove diposizioni introdotte dalla Regione Toscana allo scopo di cofinanziare il servizio regionale attraverso le risorse del Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), e in particolare dalla Delibera di Giunta 753/24 (con la quale sono state approvate le nuove Linee di indirizzo regionali per la presentazione dei progetti in questione, contenute nell’Allegato A, e gli Elementi essenziali per l’adozione di un avviso pubblico per la presentazione dei progetti stessi, contenuti nell’Allegato B), e tutti gli atti attuativi che ne sono conseguiti. Con la pubblicazione delle graduatorie dei bandi per la Vita Indipendente FSE+, e l’avvio dei nuovi progetti che, come detto, è avvenuta il 1° marzo scorso, le persone con disabilità che già avevano un progetto di Vita Indipendente in essere hanno riscontrato come la nuova procedura sia più complessa e penalizzante.
In particolare, dall’AVI Toscana evidenziano come il massimale del contributo per la Vita Indipendente (corrispondente a 1.800 euro mensili) venne fissato nel 2012 e sia rimasto in vigore fino a febbraio 2025, ma, nonostante in questo arco di tempo i costi per l’assistenza personale siano aumentati di oltre il 20%, il nuovo massimale – innalzato a 2.000 euro mensili – non copre l’aumento dei costi stessi, ed oltretutto moltissime persone con disabilità non hanno avuto nessun aumento dell’importo del contributo, oppure hanno avuto aumenti minimi (dell’1 o del 2%).
Le persone con disabilità lamentano quindi che nella definizione di questi importi non siano state considerate le reali necessità di assistenza personale delle persone.
Un altro elemento di criticità risiede poi nel fatto che «il nuovo sistema di regole tratta le persone con disabilità come se ognuna di loro fosse una “azienda”». Nella sostanza, mentre con la precedente disciplina i contributi regionali venivano erogati in anticipo, adesso questi vengono erogati “a rimborso”, ciò che in concreto obbliga la persona con disabilità a pagare in anticipo tutte le spese per l’assistenza personale che le verranno rimborsate solo in seguito, a fronte della presentazione dei giustificativi, e senza che sia fissato un temine temporale certo per il rimborso.
Per le persone con necessità di supporti intensivi è molto facile sforare il tetto dei 2.500 euro mensili per l’assistenza personale, osservano ancora dall’Associazione, soprattutto se queste vivono sole. L’assistenza personale, infatti, viene utilizzata per rispondere a esigenze primarie – come andare in bagno, o potersi alzare dal letto –, e l’Associazione ha avuto notizia di persone con disabilità che hanno dovuto provare a chiedere prestiti alla banca per coprire queste spese.
Invece di una semplificazione delle procedure, viene dunque riscontrata un’eccessiva burocratizzazione del servizio che penalizza le persone con maggiori necessità di assistenza personale. E tale burocratizzazione si concretizza anche nella richiesta di una rendicontazione eccessivamente dettagliata, che obbliga le persone a rivolgersi a un commercialista o a un centro di assistenza fiscale, sebbene non sia previsto che questi costi siano rimborsati. A ciò si aggiunga che è stata stabilita un’incompatibilità tra la fruizione dei contributi per la Vita Indipendente e altri contributi erogati sempre in relazione alla condizione di disabilità (come l’assistenza specialistica), una cosa che penalizza in particolare le persone con necessità di sostegno intensivo molto elevato.
Per tali ragioni, dunque, l’AVI Toscana è tornata a rivolgere alla propria Regione le seguenti richieste:
1) Adeguamento dell’importo dei contributi per la Vita Indipendente alle necessità di assistenza personale della persona con disabilità e all’aumento, avvenuto in questi anni, del costo dell’assistenza personale.
2) Anticipo del contributo entro il giorno 25 del mese di riferimento.
3) Inclusione degli accantonamenti della tredicesima e del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) nella rendicontazione.
4) Conguaglio della rendicontazione a fine anno.
5) Rendicontazione mensile entro tempi più lunghi dei 5 giorni richiesti, ad esempio, da Firenze.
La stessa AVI Toscana, infine, ha indetto un presidio di protesta che si terrà a Firenze (Piazza del Duomo, davanti al palazzo della Presidenza della Regione) il prossimo 5 maggio (ore 10.30), data coincidente con la Giornata Europea della Vita Indipendente, per denunciare le criticità riscontrate e chiedere un incontro con il presidente della Regione Eugenio Giani. (Simona Lancioni)
Per ulteriori informazioni: avitoscana@avitoscana.org.Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, insieme all’immagine utilizzata, per gentile concessione.
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Nota 5525 del 28 aprile 2025 – Pubblicazione decreti direttoriali approvazione variazioni dotazione organica AFAM aa 2024-2025
L’utopia non è un sogno impossibile, ma una direzione da seguire, ripartendo dai diritti
Come padre di un figlio autistico adulto, classificato di “livello 3”, ho spesso parlato – negli ultimi anni – di quanto grande sia il business che ruota attorno alla disabilità in generale, non solo all’autismo. Siamo davanti ad un sistema in cui i genitori vengono visti sempre più come semplici “fonti di denaro”. Chi gestisce i servizi pretende trasparenza da loro, “dimenticando” di essere altrettanto trasparente sul proprio operato.
Sono molti i familiari che finiscono per accettare tutto questo in silenzio, preferendo illudersi che vada tutto bene, anche quando la realtà dimostra palesemente il contrario.
Si parla troppo di mirabolanti progetti e, al contrario, troppo poco si parla di “reali opportunità” per i nostri figli. Quando si intravede il business della disabilità ecco, per esempio, materializzarsi miracolosamente lo specialista nella stesura di “Progetti di vita” (il cui accoglimento, per altro, è tutto da verificare…), o colui che propone la creazione di fondazioni private che promettono una vita… destinata ad essere tanto più indipendente, per la persona con disabilità, quanto più si paga!
Porte aperte (spalancate), insomma, solo per chi ha soldi da spendere; le briciole (spesso nemmeno quelle) sono riservate a chi non è nemmeno sicuro, all’indomani, di mettere assieme un pasto caldo per tutti in famiglia.
E che importanza può mai avere il fatto che (cito a caso) “Progetto di vita” (lex 328/00), “Dopo di Noi” (lex 112/16), “Lavoro” (lex 68/99), sono obblighi primari che competono allo Stato?
Anche i media, spesso, giocano su due tavoli: da una parte danno spazio a genitori esasperati che denunciano carenze e abusi, dall’altra promuovono gli stessi personaggi e le stesse strutture che alimentano queste criticità, senza mai approfondire davvero come funzionano. Può sembrare un paradosso, ma è così.
Vogliamo restringere il campo all’autismo? In tanti centri, soprattutto quelli gestiti da Cooperative (non tutte, ma molte), in partnership con i Servizi, i casi più complessi vengono frettolosamente respinti. I ragazzi con le situazioni più gravi non vengono accolti, con la scusa del “non si può fare”. Questa frase è ripetuta persino da quei cosiddetti “esperti”, pagati profumatamente, ma pronti a tirarsi indietro davanti alle vere difficoltà.
Così i problemi si moltiplicano, diventando sempre più intricati. Senza un controllo serio su come vengono impiegati i soldi pubblici, e senza ascoltare davvero le famiglie e i caregiver, il rischio è quello di una crisi sempre più profonda e, forse, irreversibile.
Le cronache sono piene di storie drammatiche, ma le risposte dei Servizi e delle Istituzioni sono deboli o assenti. Si inaugurano nuove strutture con grandi cerimonie e sorrisi dei politici in prima fila, salvo poi scoprire che quei centri rifiutano i ragazzi più fragili, “per mancanza di competenze”. E intanto si continua a parlare di inclusione, mentre tanti giovani — autistici e non — restano fuori. Che futuro li aspetta? Resteranno chiusi in casa, invisibili, dimenticati? O finiranno in strutture psichiatriche, senza alternative? In giro si sentono tanti slogan, ma anche nei contesti più “innovativi” si vedono contraddizioni enormi. L’abilismo — quell’idea per cui chi non ha disabilità vale di più — è ancora ovunque.
Si continua a proporre un’idea distorta di inclusione, come se fosse un favore fatto ai “diversi” da chi si considera “normale”. Non si capisce che l’inclusione vera è un processo reciproco, continuo, fondato sui diritti, non sulla carità o sulla compassione. Non può essere un gesto condiscendente, né basarsi su rapporti di forza. Le discriminazioni continuano a esistere, spesso nemmeno riconosciute da chi le mette in atto, impedendo così una reale partecipazione delle persone con disabilità a scuola, al lavoro, nei servizi, nella vita quotidiana.
Bisognerebbe sempre ricordare cosa dice la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. L’articolo 27, ad esempio (Lavoro e occupazione), parla chiaramente del diritto al lavoro e dell’obbligo, per gli Stati, di garantire l’assenza di discriminazioni, dalla selezione al mantenimento del posto, fino alla carriera e alla sicurezza sul lavoro. Vogliamo ricordare, in tutta onestà e senza nascondere nulla, alla vigilia del Primo Maggio, Festa del Lavoro, quale realtà abbiamo oggi in Italia? Solo una persona con disabilità su tre ha un lavoro e se parliamo di autismo il quadro è ancora più desolante: tantissime persone autistiche, pur avendo talento, competenze e determinazione, sono disoccupate o sottoutilizzate. Secondo il CESIE, inoltre, solo il 10% degli adulti con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) lavora.
La già citata Legge 68/99, che avrebbe dovuto favorire il collocamento mirato, è rimasta lettera morta. Si pensi che nell’anno in corso, in Lombardia, le aziende hanno preferito pagare 81 milioni di euro di sanzioni piuttosto che assumere persone con disabilità.
Eppure io penso che sia semplicistico, e probabilmente fuorviante, attribuire questo quadro drammatico esclusivamente al cattivo funzionamento di una legge, pur fallimentare, come sicuramente è la 68/99. Sono convinto, invece, che siamo davanti ad un problema molto più grande, perché di matrice culturale: finché il lavoratore con disabilità sarà visto come un peso e non come un valore, non cambierà nulla. Ne consegue che le multe non bastano. Servono formazione, consapevolezza, cambiamento di mentalità.
Perché, allora, non investire nella formazione di imprenditori e dipendenti sulle buone pratiche inclusive? Perché non cominciare a parlare delle competenze delle persone con disabilità, invece di soffermarsi sulla loro condizione? Non è di nuovi obblighi che abbiamo bisogno, ma di una vera e propria rivoluzione culturale.
Negare i diritti è un vero e proprio abuso. Eppure, la Costituzione Italiana non parla solo di princìpi astratti: stabilisce anche come devono essere gestite le risorse pubbliche. Come ha ricordato di recente Pierluigi Frassineti, padre di un uomo autistico grave e vice presidente del FIDA (Forum Italiano Diritti Autismo), in un pregevole commento a un articolo di chi scrive, ci sono tre tipi di spese: vietate, facoltative e obbligatorie. Le spese vietate sono quelle contrarie ai principi costituzionali. Quelle facoltative si fanno solo se ci sono risorse in più. Le obbligatorie, invece, devono (devono) essere sostenute per garantire diritti fondamentali come salute, istruzione, lavoro e assistenza.
In parole povere: il rispetto dei vincoli di bilancio non può mai giustificare la negazione dei diritti. Garantire il benessere delle persone più fragili non è un lusso: è un obbligo costituzionale. I diritti sono ben altra cosa rispetto a concessioni fatte per bontà d’animo.
Basta invece leggere una qualunque Delibera Regionale per avere la conferma di come l’attenzione sia tutta rivolta ai costi da contenere, mai alla qualità da garantire. È una lacuna gravissima. Ecco perché è fondamentale tornare a richiamarsi alla Costituzione e alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che tanti citano, ma pochi rispettano davvero.
Se vogliamo cambiare le cose, serve un impegno collettivo. Può sembrare un’utopia, soprattutto in tempi in cui si trovano miliardi per le armi, ma si tagliano i fondi per il welfare. Ma l’utopia non è un sogno impossibile: è una direzione da seguire. Ed è solo andando in quella direzione che qualcosa potrà cambiare davvero. È una riflessione tecnica. È politica. È etica. Solo così potremo capire che l’assenza di un sistema serio di valutazione della qualità dei servizi non è una svista, ma il frutto di una strategia perversa e di una visione distorta, tutta rivolta al risparmio economico, che svuota di senso ogni dichiarazione ufficiale. I “vincoli di bilancio” non possono venire prima dei diritti, perché i diritti non sono opzionali.
Arriverà il giorno in cui si smetterà di ricorrere solo a inutili vetrine mediatiche e a sterili mediazioni politiche che non portano a nulla? Il giorno in cui si capirà che i diritti si conquistano solo con la lotta, la condivisione, la partecipazione delle famiglie, la mobilitazione nel territorio? Io voglio crederci. E continuerò a lottare perché quel giorno arrivi.
Per il rispetto dei diritti degli Ultimi, e perciò anche delle Persone con Disabilità, si è sempre battuto Papa Francesco. È a Lui, e a quello che è stato il suo altissimo magistero, che vorrei dedicare queste mie modestissime riflessioni. Grazie.
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Il volontariato, vera palestra di cittadinanza attiva
Come avevamo anticipato nei giorni scorsi, è stata presentata all’Università di Roma Tre la ricerca sulle competenze dei volontari italiani, nata dall’indagine denominata NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dalla Caritas Italiana, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Ateneo ospitante. All’incontro di presentazione ha partecipato, tra gli altri, la viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci.
«L’indagine NOI+ – spiegano dal Forum del Terzo Settore – che ha coinvolto circa 10.000 volontari e volontarie, ha rilevato che la motivazione principale che spinge a fare volontariato è quella di offrire un contributo alla comunità (87,6%) ma, soprattutto tra i più giovani, assume particolare importanza la possibilità di sviluppare i propri punti di forza e l’opportunità di arricchimento professionale. Oltre la metà dei volontari ritiene che il proprio impegno abbia un forte impatto nel modificare la realtà e più del 75% afferma che fare volontariato ha cambiato profondamente il proprio modo di pensare. Inoltre, la gran parte dei volontari italiani agisce, durante l’impegno solidale, svariate competenze trasversali, come la capacità di collaborare, gestire le proprie emozioni e i conflitti, sviluppare pensiero critico, apprendere lungo tutte le fasi della vita, affrontare i cambiamenti».
«Queste competenze trasversali – ha commentato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore – sono sempre più fondamentali nei luoghi di lavoro, nelle relazioni interpersonali e di comunità e per la costruzione di cittadinanza attiva. Il loro riconoscimento è al centro di una sfida per la crescita del capitale umano e sociale. Il Terzo Settore è stato pioniere di questo percorso nell’ambito del Servizio Civile Universale, ma è tempo di compiere ulteriori passi in avanti, seguendo la strada indicata anche dall’Unione Europea».
«Occorre dunque realizzare – ha aggiunto Pallucchi – quanto già disposto dal Codice del Terzo Settore sul riconoscimento delle competenze dei volontari, dando seguito al Decreto del 2024 sull’individuazione, validazione e certificazione delle competenze. L’obiettivo è un sistema strutturato, omogeneo su tutto il territorio nazionale, che valorizzi nel concreto quanto acquisito dai volontari nella loro esperienza, facendo leva sul ruolo chiave degli Enti di Terzo Settore. Questo rafforzerà la cultura del volontariato nel nostro Paese, soprattutto tra i più giovani, e favorirà l’apprendimento delle persone, rispondendo ai loro bisogni di crescita personale e professionale».
«Le competenze dei volontari, coniugate con le loro motivazioni – ha sottolineato dal canto suo don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana -, sono la forza del volontariato stesso e una risorsa importante per tutta la società. I volontari non solo sono spesso capaci di operare bene, ma sono anche consapevoli di ciò che può far crescere la società in umanità e nella prospettiva del bene comune. Dare piena attuazione alle normative che promuovono lo sviluppo del servizio volontario va a beneficio di tutti, a cominciare dalle Pubbliche Istituzioni più vicine ai cittadini».
«Da questa ricerca – ha concluso – emerge come i volontari siano animati dal desiderio di fare qualcosa per la propria comunità. E questo, di fronte all’individualismo che ci circonda, è un dato assai confortante. Essi, i volontari e le volontarie, sono anche consapevoli di dare con il loro impegno un contributo efficace al cambiamento in meglio della società nel suo complesso. Un cambiamento che parte dalla loro stessa crescita personale. Anche questo ci parla del volontariato – e dei volontari – come di una delle risorse più preziose del nostro Paese». (S.B.)
A questo link vi è l’elenco completo di tutti i soci e degli aderenti al Forum Nazionale del Terzo Settore, tra cui anche la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
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“Io per Lei”, a sostegno delle “mamme rare”
«Anche quest’anno, con la nostra campagna di primavera, celebreremo la forza delle “mamme rare”, che con grande determinazione si prendono cura ogni giorno dei figli nati con malattie genetiche rare»: a dirlo è Ilaria Villa, direttrice generale della Fondazione Telethon, presentando la nuova edizione della campagna Io per Lei, organizzata per il 3 e 4 maggio, in prossimità della Festa della Mamma, che consentirà tramite i tradizionali Cuori di biscotto (donazione minima di 15 euro), di compiere un gesto di sostegno verso le mamme e le famiglie di bambini con una malattia genetica rara.
Nel prossimo fine settimana, dunque, in tutta Italia sarà possibile trovare oltre 2.500 punti di raccolta, distribuiti dai volontari della Fondazione Telethon, della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani Sangue), dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), dell’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia), dell’Azione Cattolica Italiana e delle edicole aderenti al SINAGI (Sindacato Nazionale Giornalai d’Italia). (S.B.)
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L’impronta indelebile lasciata da Papa Francesco sugli atleti e le atlete di Special Olympics
Papa Francesco ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore degli atleti del nostro movimento e delle loro famiglie [Special Olympics Italia, componente nazionale del movimento di sport praticato da persone con disabilità intellettive, N.d.R.]. Quando il Pontefice prese in mano, per la prima volta, il pallone rosso di calcio, simbolo dello sport unificato e del nostro stesso movimento, è apparsa subito nei suoi occhi vivaci la tentazione di provare un tiro. Per sua stessa ammissione, Papa Francesco era stato un grande appassionato di sport.
Nel corso degli anni, ha dedicato sempre tempo e attenzioni agli atleti di Special Olympics Italia. Tra i momenti memorabili della nostra storia, c’è senz’altro il suo incontro con la piccola Gemma Pompili, un’atleta del nostro programma Young Athletes. Era il 2017 e Papa Francesco aveva di fronte a sé la delegazione dello Special Olympics Unified Football Tournament in corso a Roma. Nonostante fosse un’udienza privata, fece il giro del mondo l’immagine di lei che, dopo avergli donato le scarpe sportive rosse, si sedette accanto a lui spontaneamente restituendo al mondo intero un messaggio potente di futuro e di piena inclusione.
Quel gesto semplice e naturale fu un simbolo della rivoluzione di prospettiva che Special Olympics promuove ogni giorno.
Non è stata quella l’unica occasione in cui il Papa ha incontrato il nostro movimento. Era infatti il 2015 quando accolse la delegazione italiana in partenza per i Giochi Mondiali Special Olympics di Los Angeles, augurando ad essa buona fortuna e incoraggiandola a rappresentare l’Italia con orgoglio e determinazione.
E ancora, per i primi 50 anni di vita di Special Olympics – movimento nato nel 1968 grazie all’intuizione di Eunice Kennedy Shriver -, Papa Francesco ha benedetto la Torcia della Speranza, simbolo dell’unità e della forza degli atleti Special Olympics, la stessa ha acceso poi il tripode al Soldier Field di Chicago, per celebrare quell’importante traguardo.
In un’altra occasione, il Papa ha affermato che «gli atleti di Special Olympics sono un esempio di come la fragilità possa diventare forza e come la debolezza possa diventare potenza», e poi ancora, «non stancatevi di mostrare al mondo dello sport il vostro impegno condiviso per costruire società più fraterne, in cui le persone possano crescere e svilupparsi e realizzare appieno le proprie capacità. In questo senso, lo sport è uno di quei linguaggi universali che supera le differenze culturali, sociali, religiose e fisiche, e riesce a unire le persone, rendendole partecipi dello stesso gioco e protagoniste insieme di vittorie e sconfitte».
Non ci stancheremo. Promesso.
*Special Olympics Italia è la componente nazionale del movimento di sport praticato da persone con disabilità intellettive.
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Il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri?
La proposta di riforma della Legge 6/04 (che istituì l’amministrazione di sostegno), promossa dalla nostra Associazione [Proposta di Legge di iniziativa popolare di cui si può leggere a questo link, N.d.R.], si fonda su un principio radicale quanto imprescindibile: il pieno riconoscimento della soggettività e dei diritti della persona con disabilità. Essa si allinea ai dettati della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ne raccoglie i commenti del Comitato di riferimento, e risuona con forza con le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. In essa si ritrovano, in filigrana, le tracce ancora vive della Legge 180/78: il rifiuto della violenza istituzionale, il limite alla coercizione, l’affermazione della libertà come premessa della cura.
Le critiche che il professor Paolo Cendon esprime nella sua intervista pubblicata da Superando (Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità), a cura dell’avvocato Salvatore Nocera e di Simona Lancioni – sembrano ignorare questo orizzonte.
Come già puntualizzato dalla stessa Lancioni sulle medesime pagine [si veda: L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione, N.d.R.], la Proposta di Legge non è un sogno velleitario: è un tentativo concreto di rispondere alla domanda di giustizia che sale da chi, oggi, si vede privato della propria voce nel nome della tutela.
Definire tutto questo “utopistico” rivela un limite che non è solo teorico, ma antropologico: è il riflesso di un pensiero che ancora separa realtà e utopia come se fossero mondi opposti, anziché due facce della stessa esigenza di trasformazione. È la modernità giuridica che difende se stessa, protetta dalle eccezioni normative di essa. Ed è in questo che la filantropia del professor Cendon mostra il suo volto più ambiguo: una filantropia che, pur dichiarandosi progressista, continua a legittimare norme “speciali” per le persone con disabilità. Una sorta di diritto parallelo, “a parte”, che ripropone – con altri nomi – logiche di esclusione che pensavamo superate.
Perché, allora, una persona senza patologie o menomazioni che decide di non pagare le bollette non viene sottoposta ad amministrazione di sostegno? Vogliamo forse introdurre una nuova categoria di “disabilità gestionale”, utile a garantire quel meccanismo di normalizzazione psichiatrico-giuridica che serve più agli interessi dell’ordine economico-sociale che a quelli della persona?
Il paternalismo del professor Cendon è, in fondo, la cartina di tornasole di un modello medico della disabilità che ancora resiste sotto la superficie del diritto. Un modello che valuta le persone sulla base di ciò che manca, di ciò che è difettoso, e non di ciò che c’è, che pulsa, che resiste.
Il diritto alla vita autonoma, alla capacità giuridica universale, non può più essere subordinato a valutazioni della “capacità naturale” o della “funzionalità”. È tempo di passare dal governo della vita alla promozione del vivere. Di spostare l’asse dal “bene presunto” dell’interesse alla dignità concreta della volontà. Di preferire la relazione alla sorveglianza, il sostegno alla delega, la fiducia alla diagnosi.
Il professor Cendon, con un’affermazione che suona più demagogica che informata, evoca la tossicodipendenza come giustificazione per l’intervento giudiziario, paragonandolo, di fatto, a un’amputazione salvifica. Ma la psichiatria – quella che ascolta, non quella che decide – sa che qui non si tratta di tagliare, ma di comprendere. La clinica delle dipendenze, delle psicosi, dei disturbi mentali gravi non si riduce a un atto di potere, né a un automatismo normativo. Qui sta la complessità: nella tensione tra libertà e cura, tra desiderio e protezione, tra il diritto di essere lasciati soli e il bisogno di non esserlo.
Dichiararsi progressisti non basta. Occorre esserlo davvero. Nell’inconscio, come direbbero Deleuze e Guattari. Nelle fibre più profonde delle nostre convinzioni, dove si decide se il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri.
Ringraziamo Simona Lancioni per la collaborazione.
*Psichiatra, membro del Direttivo dell’Associazione Radicale Diritti alla Follia.
Questi i precedenti testi pubblicati dalla testata Superando sul medesimo tema, a partire dall’intervista a Paolo Cendon di Salvatore Nocera e Simona Lancioni, citata nel presente contributo, vale a dire Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità. Quindi le riflessioni di Salvatore Nocera, Amministrazione di sostegno: come evitare che le cose vadano “così e così” o decisamente male? e di Simona Lancioni, L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione.L'articolo Il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri? proviene da Superando.
Anno scolastico 2024/2025. Monitoraggio dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo nelle Istituzioni scolastiche – Avvio quarta edizione Piattaforma ELISA. Prima rilevazione: studenti e studentesse delle scuole secondarie di II grado. Seconda rilevazione...
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Un Giubileo carico di significato, ma c’è un’ombra
Il 28 aprile si aprirà ufficialmente il Giubileo delle Persone con Disabilità, evento che si preannuncia solenne e carico di significati simbolici [se ne legga già anche su queste pagine, N.d.R.].
Il Giubileo del 2025 è stato indetto da Papa Francesco con la Bolla Spes non Confundit. L’organizzazione dell’evento è stata affidata al Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, è un momento di grazia per la Chiesa Cattolica, con la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria e rappresenta un’occasione di riflessione e inclusione che travalica i confini religiosi, toccando la sfera civile e sociale. Un momento che avrebbe potuto – e dovuto – essere un punto di svolta nel modo in cui le persone con disabilità vengono coinvolte e ascoltate nei processi decisionali che le riguardano.
Tuttavia, a poche ore dall’inizio delle celebrazioni, emerge una criticità profonda che suscita delusione e perplessità: le due principali Federazioni italiane che rappresentano le persone con disabilità, FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), sono state escluse dal convegno NOI: pellegrini di speranza, evento centrale del Giubileo delle Persone con Disabilità, organizzato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e coordinato da suor Veronica Donatello, che nella stessa CEI è responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità.
Un’assenza che non può passare inosservata, e che solleva interrogativi importanti: come si può parlare di disabilità, di speranza, di futuro, senza coinvolgere direttamente chi quella realtà la vive quotidianamente? Com’è possibile che in un evento pensato per l’inclusione vengano escluse proprio le voci che rappresentano centinaia di migliaia di persone e famiglie in Italia?
Il principio del Nulla su di Noi senza di Noi (Nothing about Us without Us), divenuto uno slogan internazionale delle persone con disabilità già dagli Anni Novanta e ispirato ai movimenti dei diritti civili, sembra essere stato dimenticato. La partecipazione attiva delle persone con disabilità alla definizione delle politiche che le riguardano non è un atto di gentilezza, ma un diritto.
E questo diritto è riconosciuto anche dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che afferma chiaramente, all’articolo 4 (Obblighi generali), che «nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, gli Stati Parte devono coinvolgere attivamente le persone con disabilità […] attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
FISH e FAND non sono sigle astratte, ma realtà vive, articolate, radicate nei territori, che quotidianamente si confrontano con problemi reali: l’accessibilità, l’inclusione scolastica, il diritto al lavoro, il supporto alle famiglie, l’autonomia, la vita indipendente. Avrebbero potuto portare sul tavolo del convegno una prospettiva preziosa, concreta, fatta di esperienze dirette e di conoscenza profonda delle esigenze della comunità.
L’evento NOI: pellegrini di speranza si presenta dunque monco, privo di un elemento fondamentale: l’ascolto autentico. Non basta parlare di accoglienza e fraternità se poi, nei fatti, si escludono proprio i protagonisti di quel cambiamento che la Chiesa e la società intera dichiarano di voler sostenere.
Papa Francesco, in diverse occasioni, ha ricordato che «nessuno dev’essere escluso dalla misericordia di Dio», e nel Messaggio per la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità del 2020 affermava: «La peggiore discriminazione di cui soffrono le persone con disabilità è la mancanza di attenzione spirituale, che a volte abbiamo nei loro confronti». Parole forti, che oggi risuonano come un monito non ascoltato.
Anche Giovanni Paolo II, nel 1981, dichiarava: «Ogni uomo, anche il più debole e segnato da limitazioni fisiche o psichiche, è un valore in se stesso, e va rispettato e amato». Eppure, non si può parlare di rispetto se si nega il confronto, se si ignora la rappresentanza collettiva di chi da decenni lavora per affermare questi stessi valori.
In un momento storico in cui la disabilità è finalmente entrata nel dibattito pubblico, grazie anche alle battaglie di chi lotta da anni per i diritti e la dignità delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ci si sarebbe aspettati un segnale diverso. Più forte, più inclusivo, più coraggioso. Un segnale che dicesse chiaramente: «Vi vediamo, vi ascoltiamo, siete parte di noi». E invece, ancora una volta, chi dovrebbe essere al centro è rimasto ai margini.
Ma il tempo del silenzio è finito. Le persone con disabilità continueranno a farsi sentire, a rivendicare il loro spazio, a chiedere non solo parole, ma scelte concrete, responsabilità condivise, e soprattutto, rispetto.
Il Giubileo delle Persone con Disabilità avrebbe potuto essere – e può ancora diventare – un segno profetico, un momento in cui la Chiesa dimostra concretamente che l’inclusione non è solo una parola, ma un gesto, una scelta, una strada da percorrere insieme.
Includere significa riconoscere, non solo accogliere. Significa costruire spazi dove le persone con disabilità non siano ospiti, ma protagoniste. Dove le loro competenze, le loro storie, le loro fatiche e le loro speranze siano parte integrante del cammino collettivo. Finché questo non accade, ogni dichiarazione rischia di restare solo una bella intenzione. E la speranza, anziché germogliare, resta soffocata.
Il tempo del Giubileo invita alla conversione: è il momento perfetto per correggere un passo falso, per riaprire il dialogo, per fare spazio a chi è stato lasciato fuori. Perché solo così il Giubileo parlerà davvero a tutti. Solo così sarà pienamente credibile. Solo così, sarà giusto.
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
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========= Data: 26/04/2025 ========= ...
L’impegno per una libertà davvero inclusiva
Il 25 Aprile è una delle ricorrenze più significative del nostro Paese: la Festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Non è soltanto una celebrazione del passato, ma un momento per interrogarsi sul presente e per rilanciare un’idea di libertà che sia davvero piena, concreta e condivisa.
Come ricordava il padre costituente Piero Calamandrei, «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».
Questa frase, semplice e potente, ci invita a riflettere sul fatto che la libertà non è mai scontata, e che non può dirsi compiuta finché resta esclusa una parte della società.
Nel nostro Paese, infatti, sono ancora numerose le persone che ogni giorno si scontrano con barriere che limitano l’accesso ai diritti fondamentali. Le persone con disabilità, in particolare, vivono una condizione di libertà parziale, ostacolata da discriminazioni strutturali e culturali.
Secondo quanto evidenziato dal XXVI Rapporto del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, permangono gravi criticità nell’accesso all’occupazione, nella formazione professionale e nella partecipazione piena alla vita sociale. I numeri parlano chiaro: nonostante le normative e le dichiarazioni di principio, la realtà è fatta ancora troppo spesso di esclusione.
La libertà di una società si misura dalla sua capacità di includere e una democrazia autentica è tale solo se riesce ad abbattere ogni ostacolo che impedisce ai cittadini e alle cittadine – tutti e tutte – di contribuire al bene comune, di autodeterminarsi, di vivere con dignità.
Il significato profondo del 25 Aprile va oltre la ricorrenza storica. La Resistenza è stata una straordinaria esperienza di partecipazione e solidarietà, in cui donne e uomini, provenienti da contesti diversi, hanno unito le forze per conquistare la libertà e la giustizia. Oggi, quell’eredità ci chiede di proseguire la lotta per i diritti civili e sociali, in nome di quella stessa libertà che fu conquistata allora con il sacrificio e il coraggio.
Liberiamoci dai pregiudizi. Liberiamoci dalle barriere. Liberiamoci dai silenzi. Questo è il senso attuale del 25 Aprile: un invito a rimuovere ogni ostacolo che impedisce a una parte della cittadinanza – come le persone con disabilità – di accedere pienamente alla vita democratica e sociale del Paese.
Celebrare oggi la Festa della Liberazione significa dunque anche rilanciare un progetto di società aperta, solidale, inclusiva. Significa riconoscere che il cammino della democrazia è ancora in corso, e che non possiamo dirci davvero liberi finché qualcuno resta ai margini.
Il 25 Aprile è memoria, ma è anche impegno quotidiano. È una chiamata alla responsabilità collettiva, affinché la libertà non sia solo un valore scritto nella Costituzione, ma una realtà vissuta da ogni persona, senza distinzioni, senza esclusioni, senza eccezioni.
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
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Cura e impegno: il Trentino risponde alle sfide delle persone con la SLA
Tecnologia, rete territoriale e, naturalmente, generosità: c’è stato tutto questo nella cerimonia di consegna della donazione per l’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), che si è svolta presso il Centro Clinico NeMO di Trento (NeuroMUscular Omnicentre), all’interno dell’Ospedale Riabilitativo Villa Rosa di Pergine Valsugana, lo scorso 8 aprile.
La donazione complessiva è ammontata a 17.690 euro, di cui 8.900 euro raccolti agli sportelli Bancomat e il resto integrato da Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano. Grazie alla campagna Ci muoviamo per chi non può muoversi, sono stati raccolti i fondi necessari per l’acquisto di un dispositivo innovativo che supporta la riabilitazione motoria di persone con la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e malattie neuromuscolari.
«Questa donazione – ha dichiarato Fulvia Massimelli, presidente nazionale dell’AISLA – è frutto della generosità di una comunità che ha scelto di esserci. È la risposta concreta a un bisogno reale e quotidiano, che riguarda non solo chi vive con la SLA, ma tutte le persone che condividono con noi un’idea di società inclusiva e giusta».
Operativa in Trentino Alto Adige dal 2009, l’AISLA si conferma come un punto di riferimento per le esigenze dei malati e delle loro famiglie: con 54 casi stimati solo nella Provincia di Trento e 104 in tutta la Regione, coinvolgendo 40 soci, 7 volontari attivi e supportando 21 famiglie nel 2024 con interventi di sollievo – che includono supporto psicologico, fisioterapia domiciliare e trasporti sanitari – l’Associazione ha realizzato una media di 16 interventi per persona, totalizzando 328 assistenze.
Dal canto suo, il Centro NeMO Trento, attivo dal febbraio 2021, vanta una struttura all’avanguardia di 1.500 metri quadri; con oltre 1.700 pazienti presi in carico – tra cui 30 pediatrici – e il 46% proveniente da fuori Provincia, il Centro ha registrato, nel 2024, 240 ricoveri e 1.678 prestazioni ambulatoriali multispecialistiche e day hospital, oltre ad attivare 8 studi clinici e offrire nuovi trattamenti farmacologici a 23 pazienti.
L’evento dell’8 aprile ha rappresentato un esempio virtuoso di alleanza tra istituzioni politiche, sistema sanitario, società civile, comunità scientifica e pazienti, rafforzando un modello integrato di cura, ricerca e innovazione terapeutica. Un modello capace di rispondere in modo concreto ed efficace alle sfide della fragilità, garantendo assistenza d’eccellenza e una migliore qualità della vita a chi ne ha più bisogno. (C.C.)
A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: Ufficio Stampa AISLA (Elisa Longo), ufficiostampa@aisla.it.L'articolo Cura e impegno: il Trentino risponde alle sfide delle persone con la SLA proviene da Superando.
Decreto Interministeriale 77 del 24 aprile 2025 - Percorsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità
Decreto Ministeriale 75 del 24 aprile 2025 - Percorsi di specializzazione sul sostegno
L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione
Ringrazio a mia volta il professor Paolo Cendon per avere risposto all’intervista [la si legga a questo link, N.d.R.] curata dall’avvocato Salvatore Nocera, figura di riferimento dell’associazionismo delle persone con disabilità, soprattutto, ma non solo, in àmbito scolastico, e da chi scrive, Simona Lancioni, responsabile di un servizio informativo in materia di disabilità, Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, nonché curatrice, per il medesimo servizio, di una sezione tematica in materia di tutela giuridica (fruibile online al seguente link).
Sin dalla risposta alla prima domanda della nostra intervista il professor Cendon sembra discostarsi dal paradigma delineato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09. Egli, infatti, trova che sia sostanzialmente mal posta la nostra domanda «com’è stato possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si concretizzi, in decine di migliaia di casi, in una violazione dei loro diritti umani?». Ritiene che sia mal posta perché, argomenta, non è corretto affermare che lo scopo della Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, «fosse solamente quello di favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone» sottoposte a questo istituto giuridico. Infatti il professore, pur ritenendo questo aspetto importantissimo, considera che anche l’elemento della «protezione» rivesta un’importanza fondamentale. Dunque Cendon osserva che la Legge 6/04 per metà sia indirizzata all’«emancipazione e alla “fioritura” delle persone, ma per un’altra metà miri «a salvaguardare, a impedire che le persone precipitino in condizioni peggiori o pericolose».
Posto che l’amministrazione di sostegno si applichi ad una molteplicità di situazioni nelle quali l’aspetto della protezione può assumere una specifica valenza (penso, ad esempio, alle persone con dipendenze da sostanze e ludopatie, richiamate dallo stesso professore), trovo invece problematico che l’approccio della protezione continui ad essere applicato nei confronti delle persone con disabilità, perché in contrasto con l’articolo 12* (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della citata Convenzione ONU, nonché con le indicazioni esposte dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel Commento generale n. 1 del 2014, un testo elaborato proprio allo scopo di supportare gli Stati nella corretta applicazione dell’articolo menzionato. Infatti, l’articolo 12 della Convenzione ha istituito la capacità legale universale, vietando che ci si possa sostituire alla persona con disabilità. Esso prescrive quindi che i regimi decisionali sostitutivi siano aboliti e vengano disposti sistemi di supporto alle decisioni.
Le affermazioni di Cendon meritano un’attenta riflessione, perché se possiamo considerare plausibile che la Legge 6/04 – essendo stata promulgata prima della Convenzione ONU (che è del 2006), e dunque ovviamente prima che quest’ultima venisse recepita dal nostro Paese (nel 2009) – possa contenere un elemento paternalistico (la protezione) in contrasto con la capacità legale universale, non dovrebbe invece essere ammissibile che la medesima Legge 6/04 possa continuare ad essere intesa e applicata con modalità sostitutive, anche dopo l’entrata in vigore della Convenzione ONU.
Affermo ciò anche alla luce della raccomandazione rivolta al nostro Paese dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ossia quella «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare a attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale» (punto 28 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU del 31 agosto 2016, grassetti miei).
Ma il professor Cendon non vuole intervenire sulla Legge 6/04 che ha contribuito ad elaborare, insiste sul tasto della protezione, non applicando dunque l’articolo 12 ed eludendo deliberatamente le indicazioni espresse in merito dal Comitato ONU. Nei fatti egli perpetua il paradigma che tratta le persone con disabilità come “oggetti da proteggere”, usando come argomentazione i “casi limite” – cita, ad esempio, quello della persona che non vuole pagare le bollette e si espone al rischio che le vengano sospese le utenze –, mentre in concreto la sostituzione nell’àmbito dell’amministrazione di sostegno non è applicata solo nei “casi limite”, né solo a scopo di protezione, ma viene frequentemente utilizzata con modalità coercitive, ad esempio, per istituzionalizzare le persone con disabilità contro la loro volontà; per spacciare Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) come volontari, sebbene siano autorizzati da terzi, e protrarli anche per anni o addirittura decenni (quando la disciplina del TSO li ammette per soli sette giorni); per praticare sulle donne con disabilità psicosociale contraccezioni e aborti forzati; per derubare le persone con disabilità dei loro averi; per rompere forzatamente legami affettivi significativi per le persone amministrate e isolarle dal mondo ecc. ecc. Di tutte queste situazioni Cendon non si occupa e non sembra avere risposte per loro, sebbene non si tratti di casi marginali: infatti, come accennato, riguardano decine di migliaia di persone.
Chi protegge queste persone dall’istituto che dovrebbe supportarle, ma ne viola di diritti? Nessuno! La norma non prevede tutele per queste situazioni, non è vero che sostituzione equivale sempre a protezione, in molti casi sostituzione equivale a coercizione e negazione del diritto all’autodeterminazione. La sostituzione è stata, e continua ad essere, lo strumento principe del paternalismo, dell’infantilizzazione, della prepotenza, dell’ingiustizia epistemica e, in definitiva, dell’abilismo che le persone con disabilità hanno sempre subìto e continuano a subire.
L’implicito disconoscimento dell’autorevolezza del Comitato ONU da parte di Cendon, a parere di chi scrive, esprime in modo plastico la fallacia della posizione assunta dal professore: egli si comporta come chi crede di sapere meglio delle persone con disabilità cosa sia meglio per le stesse persone con disabilità, e continua proporre lo stesso approccio di protezione anche quando un gruppo di esperti/e con disabilità perfettamente in grado di definire le politiche che le riguardano – il Comitato ONU – insiste nell’affermare e rivendicare con forza il proprio diritto all’autodeterminazione.
La mia impressione è che tutte le risposte fornite dal professore alle domande dell’intervista siano in qualche modo condizionate dalla sua convinzione che l’articolo 12 della Convezione ONU sia inapplicabile perché incapace di affrontare in modo adeguato i “casi limite”, e che sia proprio questa convinzione a portarlo a credere che tutte le iniziative volte a chiederne l’applicazione siano «illusorie o utopistiche».
Eppure anche la dottrina giuridica si sta sforzando di trovare soluzioni teoriche/applicative compatibili col dettato convenzionale. Ad esempio, ho trovato davvero interessante e ben argomentato il saggio La capacità legale universale come requisito indefettibile della libertà. Notazioni teoriche in un’ottica di riforma di Maria Giulia Bernardini, docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara (il saggio si trova alle pagine 343-369 del volume collettivo a cura di Ciro Tarantino, Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, Bologna, il Mulino, 2024. Il volume è liberamente fruibile a questo link).
Per questa ragione, e anche in considerazione del fatto che il professor Cendon è il coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili e che proprio in virtù di questo ruolo, la sua opinione ha verosimilmente un peso nella definizione delle politiche nazionali in materia di istituti di tutela, auspico caldamente che egli inizi ad interrogarsi sulla fondatezza della sua convinzione. Ci sono decine di migliaia di casi a documentare che in sede applicativa le cose non stanno funzionando come dovrebbero e che le modalità sostitutive vengono tranquillamente impiegate per attuare abusi e violenze di ogni tipo ai danni di persone in situazioni di vulnerabilità. Non si tratta di un effetto collaterale accettabile. Una modalità che permette questo semplicemente non può essere considerata una buona modalità né sotto il profilo giuridico, né sotto quello umano.
A ciò si aggiunga, ma non è un particolare secondario, che la Convenzione ONU è stata recepita dal nostro ordinamento giuridico e che dunque tutti i cittadini e le cittadine sono obbligati/e a conoscerla e ad impegnarsi per applicarla, anche quando, come in questo caso, trovare le soluzioni applicative si rivela un compito complesso.
Credo che la grande esperienza e le competenze del professore – che io stessa, pur avendo una posizione molto diversa dalla sua, non fatico a riconoscere –, sarebbero veramente preziose e importanti se utilizzate per dare applicazione all’articolo 12 della Convenzione ONU.
*Articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (“Uguale riconoscimento dinanzi alla legge”):
1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica.
2. Gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita.
3. Gli Stati Parti adottano misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica.
4. Gli Stati Parti assicurano che tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. Queste garanzie devono essere proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle persone.
5. Sulla base di quanto disposto nel presente articolo, gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate ed efficaci per garantire l’uguale diritto delle persone con disabilità alla proprietà o ad ereditarla, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario, e assicurano che le persone con disabilità non vengano arbitrariamente private della loro proprietà.
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Sono il 15% della popolazione mondiale e sono i più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico
«Arriva un’ondata e ti porta via tutto: tutto quello che avevi in casa, i tuoi ricordi, la tua intimità, la tua vita. Dentro la tua mente che cosa resta: come esprimeresti quel pensiero, quel sentimento? Se sei una persona con disabilità cognitiva fai davvero fatica a raccontarlo o, nel caso in cui il tuo linguaggio è compromesso, non sei in grado neppure di parlare, mentre dentro di te hai un mondo di angoscia, di paura, di rabbia»: Nives Baldoni, presidente dell’ANFFAS di Faenza (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), ci racconta l’impatto delle ultime alluvioni che hanno colpito la città romagnola sulle famiglie con persone con disabilità.
Negli ultimi tre anni, Faenza, in provincia di Ravenna, è stata colpita da tre alluvioni. La prima si è verificata il 2 e 3 maggio 2023, seguita da un evento ancora più devastante il 16 e 17 maggio dello stesso anno. L’ultima è avvenuta tra il 18 e il 19 settembre 2024: secondo uno studio condotto dalla Commissione Tecnico-Scientifica istituita dalla Regione Emilia Romagna dopo le inondazioni del maggio 2023 c’era l’1 per cento di probabilità che un nuovo episodio delle medesime proporzioni potesse verificarsi nell’arco di un anno. È accaduto dopo 16 mesi, con un’intensità ancora maggiore. È la crisi climatica, che spiazza ogni previsione, che mette a dura prova le infrastrutture esistenti (non basta certo aggiungere blocchi di cemento lungo gli argini più fragili, come a Faenza, per impedire un’inondazione) e la capacità di adattamento delle comunità locali.
Durante la seconda alluvione del 2023, andò completamente distrutta la sede dell’ANFFAS Faenza, dove si svolgevano tutti i giorni i laboratori per le persone con disabilità e ancora adesso queste attività – sollievo per le persone con disabilità e per le loro famiglie – vengono portate avanti in un locale provvisorio; ma più che l’elenco dei danni è una storia, raccontata da Nives Baldoni, a rendere visibile ai nostri occhi l’impatto di questi eventi estremi sulle persone con disabilità e a farci percepire perché se sei una persona con disabilità si “riacutizza ogni cosa”, come dice la presidente dell’Associazione.
Luca (nome di fantasia), 34 anni, con un disturbo dello spettro autistico, insieme alla madre ha dovuto abbandonare il proprio appartamento, dichiarato inagibile, subito dopo le alluvioni del 2023. «Questo ragazzo, dopo 20 giorni trascorsi presso amici a cui la mamma aveva chiesto ospitalità, è fuggito», racconta Baldoni, «continuava a dire: non è casa mia». Stando alla Presidente dell’Associazione, la madre di Luca è riuscita a rientrare nel vecchio appartamento dopo una trattativa con il Comune, ma hanno vissuto per mesi senza corrente, riscaldamento e acqua calda. «Oggi, tutte le volte che piove, questo ragazzo dice: mamma noi stiamo in questa casa, non andiamo via».
Se la storia di Luca ci permette di accendere una luce per vedere l’impatto della crisi climatica sulla vita quotidiana di chi è più vulnerabile, i dati confermano quanto siamo di fronte a una questione globale, che richiede risposte strutturali per non lasciare indietro nessuno.
I report dell’ONU, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli studi scientifici, tutti sono concordi nell’affermare che le persone con disabilità sono sproporzionatamente colpite dal cambiamento climatico. «Il cambiamento climatico sta minacciando direttamente e in modo sproporzionato il diritto alla salute delle persone con disabilità a causa delle temperature sempre più elevate, degli elevati inquinanti atmosferici e della crescente esposizione a eventi meteorologici estremi, che includono ondate di calore, inondazioni, uragani e incendi»: è un passaggio chiave dell’articolo Climate change and the right to health of people with disabilities, pubblicato dalla rivista scientifica «Lancet» nel dicembre 2021: «Sorprendentemente, il tasso di mortalità globale delle persone con disabilità in caso di calamità naturali è fino a quattro volte superiore a quello delle persone senza disabilità, a causa della scarsità di pianificazione inclusiva, di informazioni accessibili, di sistemi di allerta precoce e di trasporti, oltreché per la perdurante presenza di atteggiamenti discriminatori all’interno delle istituzioni e tra gli individui».
Ma cosa rende queste persone così esposte ai rischi legati al cambiamento climatico? «Essendo le persone con disabilità quelle che sono state rese vulnerabili – nel senso che la nostra vulnerabilità è una costruzione sociale: noi non siamo vulnerabili, siamo resi vulnerabili, perché in questi millenni non abbiamo avuto accesso agli stessi diritti, alle stesse opportunità e servizi –, appare evidente che nel momento in cui dobbiamo rispondere a eventi estremi che richiedono evacuazioni rapide, infrastrutture e informazioni accessibili, la cosa diventa estremamente complicata», spiega Giampiero Griffo, componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), organizzazione per i diritti umani impegnata nella tutela dei diritti delle persone con disabilità.
«Ci ritroviamo a essere meno protetti perché nell’emergenza di un evento estremo e in generale nelle situazioni di rischio si è lontani dall’avere compreso come trattare le persone con disabilità», aggiunge Griffo. In questo senso, l’esperto cita l’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, «anche se alla fine nessuno si attrezza».
L’accordo internazionale Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, adottato nel 2015 dai membri delle Nazioni Unite, sottolinea che le persone con disabilità dovrebbero essere in tutti i cluster dell’emergenza, «quindi il primo problema è coinvolgere le persone con disabilità e le loro organizzazioni all’interno delle pratiche di intervento immediato, ma non c’è ancora un’adeguata consapevolezza», conclude Griffo.
L’“adeguata consapevolezza” richiamata da Griffo risulta assente persino all’interno delle Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici: durante l’ultima COP29, a Baku, in Azerbaigian, infatti, otto organizzazioni internazionali di persone con disabilità hanno protestato con forza per l’esclusione del movimento delle persone con disabilità dai negoziati sul clima delle Nazioni Unite, mentre invece esistono “costituenti” per le politiche di genere, le comunità indigene e i giovani.
«La rivoluzione climatica deve essere inclusiva», rimarca Gordon Rattray, uno degli autori del rapporto Mappare l’inclusione della disabilità nell’azione climatica in Europa, pubblicato nello scorso mese di dicembre dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, che analizza le politiche climatiche di 13 Paesi europei e dell’Asia centrale, evidenziando l’assenza di fondi specifici e la scarsa considerazione delle esigenze delle persone con disabilità nelle strategie climatiche. «Le persone con disabilità incontrano barriere praticamente in tutti gli aspetti della vita quotidiana. La crisi climatica sta aumentando queste barriere. Ad esempio, inondazioni e ondate di calore più frequenti in Europa mettono a dura prova l’assistenza sanitaria, il che significa che le persone che sono già emarginate sono più a rischio. Laddove le popolazioni devono migrare per trovare acqua, cibo e mezzi di sostentamento, le persone con disabilità sono tra quelle lasciate indietro».
Perché è così difficile tenere conto anche delle persone con disabilità nelle politiche di mitigazione e adattamento? «Perché siamo tutti nati e cresciuti in una società abilista che appunto è pensata da e per persone abili», è la risposta chiara di Erika Moranduzzo, esperta di diritti umani nel contesto del cambiamento climatico e attualmente ricercatrice presso l’Università di Leeds nel Regno Unito. «Le persone con disabilità – aggiunge l’esperta – sono circa il 15 per cento della popolazione mondiale, dunque la più ampia minoranza esistente. Ci ricordano quanto siamo vulnerabili. La disabilità non è, infatti, qualcosa di unico, ma è una parte intrinseca della vita umana. Ciò significa che siamo tutti esposti a disabilità e questo vale soprattutto nel contesto del cambiamento climatico. Inoltre, come per altri gruppi sociali, le persone con disabilità non sono solo vittime sproporzionalmente impattate dal cambiamento climatico, ma sono agenti di cambiamento». In poche parole, «accendono la luce su modi di immaginare il mondo che portano beneficio a tutti, non solo alle persone con disabilità», conclude Moranduzzo.
E “agente di cambiamento” è esattamente ciò che prova a essere ogni giorno Daniele Sicherhof, in carrozzina dall’età di 18 anni a causa di un incidente sul lavoro, che in Val di Non (Trento) alleva mucche della razza Grigio Alpina, completamente scomparse dopo gli Anni Sessanta e oggi Presidio Slow Food. Sogna anche di ripiantare, accanto all’attuale ettaro e mezzo di classiche mele Golden, la cosiddetta mela renetta del Canada, anch’essa a rischio di scomparire perché invisa alla grande distribuzione.
Insieme al fratello, Daniele conduce una piccola azienda biologica. «Lavorare in agricoltura vuol dire seguire la natura». Il cambiamento climatico qui si fa sentire, con inverni più miti rispetto al passato e danni alle colture causati dalle gelate primaverili. Quando parte la stagione, Sicherhof vive “con il cellulare in mano” per seguire le previsioni meteo e organizzare il lavoro di conseguenza, perché «è il tempo che comanda», dice.
Nel 2008, riprendendo l’attività del nonno, Daniele ha progettato un caseificio accessibile, una stalla senza barriere architettoniche e ha adattato anche il trattore, così da poterlo guidare. Convinto sostenitore del biologico, racconta di dare alle mucche solo erba, fieno, e un po’ di cereali a mezzogiorno, perché «crediamo in un’agricoltura che dia reddito, prodotti buoni e salutari con il minor impatto ambientale possibile». Daniele critica il modello dell’allenamento intensivo, dove «devi fare quintali di latte e poi come lo fai e la qualità del latte vengono dopo» e, attraverso visite guidate nella sua azienda, cerca di sensibilizzare le persone.
Perché essere un “agente del cambiamento” è una bella responsabilità e dare il buon esempio è un gran bel modo per iniziare a cambiare qualcosa.
*Il presente servizio è già apparso in “A Fuoco”, newsletter su clima e disinformazione e viene qui ripreso, con mi nimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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